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Autore Discussione: Enrico FERRO. Le mani della 'ndrangheta su Padova  (Letto 3309 volte)
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« inserito:: Novembre 03, 2016, 12:05:37 pm »

La lettera dimenticata sugli amici del boss di Cosa Nostra
Un'informativa sulla rete di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro mai consegnata all'autorità giudiziaria. I personaggi di spicco del trapanese che aiutavano la latitanza dell'ultimo grande capo mafia latitante

Di FRANCESCO VIVIANO
02 novembre 2016

PALERMO -  Due primari ospedalieri, un commercialista, tre imprenditori, un gioielliere, personaggi potenti ed insospettabili del trapanese, costituirebbero la rete segreta di protezione del capo mafia Matteo Messina Denaro, latitante da 23 anni. Con alcuni di loro, sarebbe andato a cenare abitualmente in un ristorante di Santa Ninfa, sempre armato assieme a tre suoi fidatissimi guardiaspalle perché non voleva farsi catturare vivo. Nomi e cognomi, indirizzi, età e professioni dei favoreggiatori dell'ultimo grande boss di Cosa Nostra sono contenuti in una informativa dei carabinieri da dieci anni, una informativa incredibilmente mai trasmessa all' autorità giudiziaria, rimasta chissà in quale cassetto, e soltanto da poche settimane riapparsa e consegnata alla procuratrice aggiunta Teresa Principato (che coordina il gruppo interforze di carabinieri, polizia e 007 dell' Aisi che danno la caccia a Matteo Messina Denaro) e al sostituto procuratore Nino Di Matteo, pm del processo per la presunta "trattativa" Stato-mafia.

Dopo avere fatto terra bruciata attorno al boss, arrestando decine di familiari e di fiancheggiatori delle cosche del trapanese senza però essere riusciti a stanarlo, gli inquirenti puntano ora agli anelli più alti di quella catena che continua a garantire la latitanza di Messina Denaro. E l'informativa, venuta fuori ora, suggerisce nomi di personaggi finora mai finiti nel mirino degli investigatori. Alcuni di loro si sarebbero anche prestati a fare da "postini" che farebbero la spola tra Castelvetrano (il paese del latitante) ed altri centri della Sicilia per fare arrivare o ricevere i "pizzini" con gli "ordini" e le "raccomandazioni" di Matteo Messina Denaro ad altri boss siciliani. Tra i "postini" più attivi due insospettabili, una donna e un pensionato delle ferrovie dello stato.

Informazioni fornite da una fonte ritenuta "attendibilissima" - si legge nell' informativa- che suggeriva ai carabinieri di non coinvolgere nelle indagini le forze dell’ordine che allora operavano nella provincia di Trapani per evitare fughe di notizie ed informazioni che sarebbero potute arrivare proprio al boss Matteo Messina Denaro che probabilmente disponeva di qualche "talpa" tra gli investigatori trapanesi. La scottante informativa dei carabinieri che Repubblica ha potuto leggere ha provocato sconcerto e stupore nella Procura di Palermo, che ha avviato una indagine e una serie di accertamenti anche per ricostruire come e perché quell'informativa così importante sia rimasta nascosta per tanto tempo.

Le due pagine dell'informativa sono state consegnate nelle settimane scorse alla Procura di Palermo dal generale in pensione dei carabinieri Nicolò Gebbia, che fu tra l'altro comandante della compagnia dei carabinieri di Marsala (che indagava anche su Matteo Messina Denaro) e poi comandante provinciale dei carabinieri di Palermo. Interrogato nei giorni scorsi dal pubblico ministero Nino Di Matteo il generale ha svelato di avere avuto quell'informativa poco prima di lasciare il comando provinciale di Palermo per assumere quello di Venezia e di averla consegnata - ha dichiarato a verbale -  al generale Gennaro Niglio allora comandante della Regione Carabinieri Sicilia, morto in un incidente stradale assieme al suo autista, il 9 maggio del 2004 mentre tornava a Palermo da Caltanissetta. Ma da allora di questa informativa nessuno ha saputo più niente.

Nell'informativa si fa riferimento a un altro dei misteri siciliani, il sequestro dell'esattore Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo, rapito il 17 luglio 1975 dai corleonesi e il cui corpo non è stato mai ritrovato. Il documento inedito svela ora che il suo cadavere sarebbe sepolto in una campagna di proprietà di uno dei favoreggiatori della latitanza di Matteo Messina Denaro. Un sequestro che provocò uno scontro tra i corleonesi e i boss Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti (amici dei cugini Salvo) che reagirono uccidendo 17 mafiosi alleati dei corleonesi che avevano partecipato al sequestro di Corleo.  Il generale Gebbia ha anche rivelato di avere appreso che pochi giorni dopo il sequestro di Corleo Nino Salvo telefonò a Giulio Andreotti, a quel tempo Presidente del

Consiglio, "ordinandogli" di dare un permesso al boss Gaetano Badalamenti che si trovava al confino nel nord Italia, per rientrare per qualche mese in Sicilia per aiutarlo a liberare il suocero. Il permesso non fu concesso ed i Salvo "si adirarono molto" con Giulio Andreotti.

© Riproduzione riservata 02 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2016/11/02/news/la_lettera_dimenticata_sugli_amici_di_matteo_messina_denaro-151132107/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_02-11-2016
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 29, 2017, 08:30:06 pm »

Le mani della 'ndrangheta su Padova
Il clan Piromalli su supermercati, centri commerciali e agroalimentare: due sequestri in città e 33 arresti in tutta Italia

Di Enrico Ferro
27 gennaio 2017

PADOVA. Le mani della ’ndrangheta sui banchi di frutta e verdura dei nostri supermercati, sui negozi di abbigliamento dei nostri centri commerciali, sulle forniture d’olio made in Italy nel mercato americano ma anche sugli appalti per le pulizie nei villaggi turistici.
Il blitz dei carabinieri del Ros e i 33 arresti fatti ieri mattina all’alba confermano la paura di molti. Cioè che ormai è tardi. L’indagine della Dda di Reggio Calabria ha dimostrato che la cosca Piromalli di Gioia Tauro comanda l’Ortomercato di Milano e mira a espandersi a Nordest.
La malavita organizzata ora si cela dietro intraprendenti agenti di commercio in grado di stringere relazioni con i gruppi della grande distribuzione come Alì, Lando, Bennet. Ma quanto marcio c’è dietro quelle clementine calabresi.
Il blitz Al vertice della piramide della cosca c’era Antonio Piromalli, 45 anni, originario di Polistena, a Reggio Calabria, ma residente in centro a Milano. Antonio, figlio dello storico boss Giuseppe Piromalli, 72 anni, “facciazza”, detenuto in regime di massima sicurezza a L’Aquila, è accusato di “avere il controllo del mercato ortofrutticolo di Milano attraverso la creazione di una complessa rete di imprese”. Nell’ordinanza gli investigatori parlano di “affiliati” e “fiancheggiatori”, di predominio esercitato grazie a “metodi mafiosi”.
Piromalli è considerato il “socio occulto” delle società OrtoPiazzolla e Polignanese, attraverso cui curava la distribuzione di agrumi anche in Veneto e Friuli. Così riusciva a gestire le attività di riciclaggio dei proventi della cosca.
Le perquisizioni a Padova. Il Veneto si sveglia e scopre che le infiltrazioni sono ormai una solida realtà. Padova scopre che il magazzino 46 di Interporto è concesso in affitto a una ditta della ’ndrangheta e che un’impresa governata dalle cosche aveva la sede nello studio di un commercialista di Vigonza.
OrtoPiazzolla, ditta milanese sequestrata, aveva messo le basi anche ai magazzini generali di corso Stati Uniti 18. Da lì partivano le forniture per supermercati, ristoranti, alberghi.
Era la base d’appoggio che Alessandro Pronesti, ambasciatore del capo-cosca tra Milano e Gioia Tauro, presentava con orgoglio durante le trattative con i responsabili delle grandi catene.
Sua moglie, la milanese Cinzia Ferro, era riuscita invece a entrare in una società padovana che opera nel campo dell’abbigliamento. Si tratta della Original Trade Srl, impresa nata per aprire un negozio con il marchio francese Jennifer al Pradamano Shopping Center, in provincia di Udine (catena Bennet).
Due giovani imprenditrici padovane, Valentina Carraro e Caterina Fortunato, si sono fidate di un rappresentante che le ha messe in contatto con la Ferro. Ora si ritrovano con una società sequestrata dal Ros e un mare di guai giudiziari.
L’operazione in tutta Italia. Sette le persone arrestate a Milano, dove secondo gli investigatori tra i capannoni di via Lombroso la ’ndrangheta aveva una delle basi più importanti d’Italia. A Peschiera Borromeo è stato sequestrato un negozio di abbigliamento e a Lecco un altro punto vendita della catena francese in franchising Jennifer. Piromalli era capace di controllare i settori immobiliare e agroalimentare.
La sua egemonia parte dalla Calabria, grazie al legame con le famiglie della Piana di Gioia Tauro, si estende in Puglia, arriva in Lombardia e Veneto, varca l’oceano raggiungendo gli Stati Uniti d’America. Con i carabinieri del Ros hanno collaborato anche gli uomini dell’Fbi.
Ancora i pizzini. La ’ndrangheta al Nord, secondo quanto ricostruito dal Ros, predilige comunicazioni dirette, affidate ai famosi “pizzini” e sempre in spazi aperti, mai mediate da chat o social network. Contatti epistolari, visite notturne, affari gestiti a voce camminando sui marciapiedi della città. Il tutto per evitare di essere intercettati.
Determinante all’interno della cosca Piromalli il ruolo delle donne, fondamentali per le comunicazioni tra affiliati. Compito che le portava a viaggiare tra Milano, Roma, Reggio Calabria e Padova.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

27 gennaio 2017

Da  - http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2017/01/27/news/le-mani-della-ndrangheta-su-padova-1.14775738
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