Opinioni
Ascanio Celestini
@ascaniocelestin
· 14 ottobre 2016
Io, il maestro e quella maschera
Un giorno Ascanio Celestini andò a casa di Dario per intervistarlo. Gli chiese cos’è la memoria, lui raccontò della faccia, del corpo e della voce del personaggio
«Il riso che affiora negli spettacoli di teatro di narrazione è, al contempo, un contrassegno d’appartenenza, una forma di compensazione e l’indizio che il racconto accade in un contesto relazionale vivo» scriveva qualche anno fa Edoardo Sanguineti. Insomma raccontare una storia significa raccontarla in un posto dove ci stanno persone vive che vivono una vita vera fatta di tutte quelle cose semplici e complicate che appartengono alle persone veramente vive. E si ride di un racconto perché sentiamo che ci appartiene, che siamo esseri viventi tra altri esseri viventi. I teatranti lo sanno, i teatranti sono fatti così. Quando stanno sul palcoscenico si mascherano e diventano tanti personaggi, poi ti accorgi che quei personaggi sono tutti finti, che l’unico volto vero è quello dell’attore. Eppure quando l’attore muore se li porta via tutti quanti i personaggi finti, come in uno strano funerale. E Dario Fo era questa cosa. Un attore che ci mette la faccia, il corpo e la voce nel personaggio. Un attore che si muove e che canta, che saltella e rumoreggia, che scrive un testo e poi lo cambia e l’improvvisa.
Così un giorno vado a casa sua per intervistarlo. Gli chiedo cos’è la memoria. La memoria nei confronti della grande storia, ma anche la memoria per un testo, per un attore che se lo deve imparare. E lui si mette a parlare della “maschera”. Mi dice che l’attore deve recitare pensando alla maschera che potrebbe avere sulla faccia, anche se non ha nessuna maschera. «Personalmente cerco sempre di uscire dal personaggio. Nella vita, nella famiglia o con gli amici, non uso mai una maschera. Moretti, che è stato uno dei più grandi Arlecchini di questo secolo, ammoniva i giovani attori perché non si abituassero a vivere con la maschera in faccia. La maschera è importantissima, ma se la tieni troppo sulla faccia, quando la togli finisci per toglierti anche la faccia! Quindi bisogna saper abbandonare la maschera e imparare a recitare senza, ma come se ancora la si stesse indossando. Che cosa significa?». E infatti non lo capisco cosa significa, ma ci credo che sia una cosa importante, ci credo che mi sta dicendo qualcosa di significativo perché, come dice lui «il grande insegnamento della maschera è che ti obbliga a recitare col corpo, dal momento che ogni movimento dei muscoli facciali è cancellato, gli occhi stessi si vedono poco e appare solo la bocca, con il labbro inferiore e il mento. Tutto il resto del viso è quasi cancellato dalla maschera e questo ti costringe a sviluppare tutta un’azione mimica in sostituzione delle espressioni facciali».
Franca è nella stanza accanto e, ogni tanto, si affaccia per seguire il discorso di Dario. Lui dice che «è lei l’attrice di casa, lei che conosce queste cose». Sorridono tutt’e due. Poi Dario ricomincia il discorso. Ricomincia dalle mani. Si tocca la faccia. «Per esempio, se indossi la maschera e la tocchi con le mani, la maschera “sparisce”, non ha più senso. La maschera ha bisogno di gesti diversi rispetto a quelli che puoi sviluppare se reciti senza: ad esempio, non puoi piangere strofinandoti gli occhi veramente, il gesto deve essere compiuto lontano dalla maschera al punto che il movimento delle spalle e del bacino deve essere abnorme rispetto a quando reciti senza la maschera. I comici dell’Arte dicevano che il bacino è il centro dell’universo: non solo per un attore di teatro, ma anche per le persone comuni. Dimmi come cammini, come ti muovi, come respiri, come muovi la tua anca sopra la gamba, come ti giri, come ti atteggi, la posizione di tutto il tuo corpo in rapporto alla tua maschera e ti dirò chi sei! Diceva un grande poeta inglese che un uomo quando ha la maschera non riesce più a mentire. Perché? Perché parlando con la maschera non può servirsi delle espressioni facciali, ma deve servirti di qualcos’altro: il gesto delle braccia, delle mani e dei piedi. E quello del corpo è un linguaggio che non vive di ipocrisia: è un linguaggio diretto, spietatamente onesto. Tutte queste cose le impari usando la maschera, allora perché a un certo punto è necessario distaccarsene? Il burattino e la marionetta, che sono “parenti” stretti della maschera, sono mossi da schemi meccanici, non più di quattro o cinque, come in una danza: la rovesciata, l’inchino, il gioco, il saltello. Allo stesso modo ogni maschera ha il suo linguaggio di espressioni e di gesti stereotipati: guai se un attore conservasse questo repertorio una volta sfilata la maschera!».
E allora perché abbiamo pensato che Dario Fo facesse politica quando saliva sul palcoscenico? Perché non abbiamo capito che lì sopra faceva semplicemente teatro? Sul palco non c’è mai l’attore, ma sempre il personaggio, anche quando è incredibilmente simile all’attore che lo interpreta. Gli attori hanno sempre la maschera, anche quando non ce l’hanno sulla faccia. La maschera se la levano quando scendono dal palco.
«Tolta la maschera è necessario perdere anche la gestualità connessa a quella data maschera» mi dice. E infatti, quando se la leva torna ad essere una persona reale, non più un personaggio, e non stiamo più a teatro, torniamo nella stanza da pranzo o al bar.
Mi canta una canzone che dice di aver ascoltato a Venezia. Mi parla di Giovanna Marini e di “ci Ragiono e Canto”. Mi offre il caffè e dopo tante parole ci salutiamo. Dario Fo è stato uno straordinario inventore, un allegro falsario. Ha inventato per tutta la vita giocando con la maschera della sua faccia e della sua voce. La maschera che sta sulla faccia quando non sembra che ci sia “per dire qualcos’altro”. Con questa maschera ci ha raccontato che l’attore può raccontare di tutto se riesce recitare con la maschera fingendo di non averla. Fare teatro come se fosse televisione. Fare cinema come se fosse teatro. Fare musica come se fosse chissà cos’altro… Stare sempre da un’altra parte, portare in scena l’inaspettato. Se un artista riesce a essere “completamente folle”, come diceva lui, è possibile che sia anche incredibilmente credibile.
Da -
http://www.unita.tv/opinioni/io-il-maestro-e-quella-maschera/