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Autore Discussione: Marco Zatterin. “Mio padre che scrisse Oci Ciornie e fece ballare lo zar”  (Letto 2688 volte)
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« inserito:: Ottobre 15, 2016, 07:36:18 pm »

“Mio padre che scrisse Oci Ciornie e fece ballare lo zar”
La Belle Époque dell’autore novarese Adalgiso Ferraris

13/10/2016
Marco Zatterin
Inviato a Pettenasco (Novara)

Nella memoria quasi novantenne di Luigi Ferraris c’è ancora una voce gracchiante ascoltata da bambino, lo speaker della Bbc che annunciava «Once Again, Black Eyes!». Lanciava «ancora una volta» Occhi neri, ovvero Oci Ciornie, una delle più celebri melodie russe che russa era solo in parte perché a darle una forma definitiva era stato suo padre, Adalgiso, pianista che nella natia Novara fece danzare Francesco Baracca, a Pietroburgo intrattenne gli Zar e a Londra si esibì sui palchi reali. «Once Again!», diceva la voce, segno evidente che un ascolto non saziava gli inglesi che vivevano i turbolenti Anni Trenta imbevuti di jazz, di classica e degli intermezzi che stavano a metà strada con le armonie tzigane. Gli stessi che il maestro Adalgiso Ferraris, l’uomo che scrisse Oci Ciornie, maneggiava come fosse nato sulle rive della Neva.

Il ricordo del figlio 
«Mio padre era uno del popolo, certo non uno snob», assicura oggi Luigi, classe 1927, anestesista in pensione che abita una villetta affacciata sul Lago d’Orta. Fuori piove mentre ricostruisce l’epopea musicale di Adalgiso, un bell’uomo dai capelli neri e la faccia spiritosa che una foto del 1923 ritrae con l’indice puntato mentre dirige la Novarese Band, orchestrina da ballo con cui infiamma col ritmo i londinesi. «Suonava tutti gli strumenti - rivela il figlio -, una prerogativa scontata per un arrangiatore abile come lui». 

Si concede con pazienza e amore per il dettaglio, il dottor Luigi. Finge di impennarsi soltanto quando torna la storia di Oci Ciornie che si ripete da sempre come un disco rigato, puntuale come i diritti d’autore che arrivano ancora ogni anno a Pettenasco. I russi hanno fatto del brano una sorta di altro inno nazionale, ma la storia della musica lo ha spinto oltre. L’ha cantato Luciano Pavarotti, l’ha soffiato Louis Armstrong, l’ha intonato il coro dell’Armata Rossa. «Era una tema popolare che ha sentito a Pietroburgo - continua il figlio dell’artista -. Un’impressione tzigana». Occhi neri, di una donna bellissima. «Sì, ho sentito parlare di una russa...», è la confessione che segue, forse inevitabile.

L’accusa di spionaggio 
Adalgiso, figlio di un ferroviere originario della Bassa, nacque nel 1890 e cominciò a studiare il piano da ragazzo. A sedici anni suonava già alla fine della messa, «prima la Marcia reale e poi l’Inno di Garibaldi perché bisognava accontentare tutti». Quattro anni più tardi era a San Pietroburgo. Di giorno studiava con un maestro locale, di notte suonava nei club. «Ne fecero di tutti i colori», concede Luigi. Fra le avventure, un concerto al trecentesimo dei Romanov al termine del quale si intrattenne con Rasputin «senza rimanerne impressionato» e un arresto con l’accusa di spionaggio. «Fu chiuso in una cella bassa da non consentirgli di stare in piedi, stretta per non farlo sdraiare, con la musica costante e le luci accese». Oci Ciornie e le sue sorelle lo salvarono. «Un ufficiale lo riconobbe e gli disse “maestro, dove crede di essere?».

Il maestro capì che era ora di salutare la Grande Madre Russia dove soffiava vento di rivoluzione e rientrò in Italia, a Roma. Fu arruolato come interprete, perché sapeva il russo e il tedesco. Lontano dal fronte trovò una bella moglie, Adele, e a guerra finita si stabilì a Londra. Era l’inizio di una nuova vita, del resto bisogna chiudere col passato. «Un esule russo incontrato in città - ammette il figlio - gli ricordò d’una donna che lo aspettava a Pietroburgo per essere portata via». Ma lui era già sposato e fece orecchie da mercante. 

 Si stabilì a Chelsea e mise insieme abbastanza soldi per comprare una casa a Brixton. Tempi frenetici e felici, «mio padre era davvero soddisfatto». Il secondo conflitto mondiale li colse appena rientrati a Novara con l’Opel Kadett di famiglia. Cinque anni di stasi, chiusi con un impegno nella resistenza. Poi di nuovo a Londra, fra mille difficoltà. Suonò nei locali e in mare, sulla Caronia che faceva la traversata atlantica. Quello che capitava. «Quando apparvero i Beatles era già fuori dal giro». Morì a Woolwich il 31 dicembre 1966. La casa, dove abita la figlia Gisella, conserva ancora il suo piano Pleyel.

Gli spartiti 
Fra le carte custodite da Luigi, insieme con un basco nero del padre, decine di spartiti. Musiche tzigane, melodie antiche per ogni umore incise ripetutamente: Two Guitars, Idylle Tzigane, il tango A Balalaika. «Brutta vita quella degli artisti - sospira l’uomo agitando una pipa -, rivedo la volta che mi portò sul palco, le ballerine truccatissime; sento la puzza di sudore fortissima». 

 Adalgiso, padre severo, se la cavò con classe sulla ribalta. Ebbe un successo discreto e visse bene. «Odiava le patate, doveva averne mangiate in abbondanza». Amava gli Occhi neri ma non troppo. Pensava fosse solo una delle sue tante canzoni. E poi c’era una ragazza russa che forse era meglio dimenticare. 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/13/edizioni/novara/mio-padre-che-scrisse-oci-ciornie-e-fece-ballare-lo-zar-m903S4YKgQB1NBYGW5xcJJ/pagina.html
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 15, 2016, 07:53:04 pm »

Stoltenberg: “Anche gli italiani schierati al confine con la Russia”
Il segretario generale della Nato avvisa Mosca: «Non avrà un’altra Yalta»
Da due anni segretario della Nato, dopo il danese Anders Fogh Rasmussen, Jens Stoltenberg è stato primo ministro della Norvegia dal 2000 al 2001 e poi di nuovo dal 2005 al 2013

14/10/2016
Marco Zatterin
Roma

Nel 2018 un contingente di soldati italiani sarà inviato al confine europeo con la Russia. «Sarete parte di uno dei quattro battaglioni dell’Alleanza schierati nei Paesi baltici», precisa Jens Stoltenberg, da due anni segretario della Nato. Pochi uomini, presenza «simbolica» in una forza «simbolica» da quattromila unità.

Tuttavia, serve a dimostrare che «ci siamo e siamo uniti», che «abbiamo una difesa forte che garantisce la deterrenza», mentre «vogliamo tenere aperto il dialogo» col Cremlino. Non solo. «Sempre nel 2018 - aggiunge il norvegese - l’Italia sarà nazione guida nel Vjtf», la Task Force di azione ultrarapida, la «punta di lancia» in grado di intervenire in cinque giorni in caso di emergenza. Schierata, e non è un caso, sulla frontiera Est. Davanti a Putin che, ammette l’ex premier di Oslo, «ha dimostrato la volontà di usare la forza militare contro i vicini». 

Visita romana ricca di incontri per Stoltenberg. Passaggio al Defence College, colloqui col Papa, col presidente Mattarella e coi ministri del governo Renzi. Bagno serale fra le stellette a Palazzo Brancaccio. Dove, per nulla distratto dai ricchi stucchi della residenza un tempo patrizia, il norvegese ha fatto il punto con «La Stampa» sulle tante minacce che ci circondano. Tranquillo e convinto, almeno nei limiti del possibile.

C’è una escalation tesa fra Russia e Alleanza. I rapporti fra Washington e Mosca sono ai minimi. È una nuova Guerra fredda? 

«Non siamo nella Guerra fredda, ma non c’è nemmeno il partenariato a cui lavoriamo da anni. Attraversiamo un territorio nuovo, è un sistema di relazioni con Mosca mai visto sinora».

 Come lo affrontate? 
«La Nato deve essere in grado di adattarsi e rispondere alle sfide. Il messaggio è “Difesa e dialogo”. Non “Difesa o dialogo”. Sinché la Nato si dimostra ferma e prevedibile nelle sue azioni sarà possibile impegnarsi in contatti concreti con la Russia, che è il nostro vicino più importante. Non possiamo in alcun modo isolarla, non dobbiamo nemmeno provarci. Ma dobbiamo ribadire con chiarezza che la nostra missione è proteggere tutti gli alleati. Che serve una forte Alleanza non per provocare una guerra, ma per prevenirla. La chiave è la deterrenza, un concetto che si è dimostrato valido per quasi settant’anni».

Si sente pronunciare sempre più spesso la parola “guerra”. 
«La responsabilità della Nato è prevenirla. Conservare la pace. Per questo anche il linguaggio è importante e io non farò nulla per aumentare le tensioni. Anche perché non vedo minacce imminenti per gli alleati. Ce n’è una terroristica, ma non militare».

La Russia testa i suoi missili. È successo con gli Iskander a Kaliningrad poche ore fa. Solo “business as usual”? 
«Fa parte del loro modo di comportarsi. Hanno investito pesantemente nella Difesa. Hanno triplicato la spesa in termini reali dal Duemila, mentre gli alleati europei della Nato la tagliavano. Hanno modernizzato l’esercito. Hanno dimostrato di essere disposti a usare la forza. Questo è il motivo per cui la Nato ha reagito. Si è adattata a un contesto nuovo e più insidioso».

Con le nuove forze e basi alla frontiera orientale? 
«Abbiamo triplicato la dimensione della forza di risposta rapida, con otto quartieri generali nell’Europa centro-orientale. Ci sono i quattro battaglioni nelle repubbliche baltiche. Sono difensivi e proporzionati. Però dicono che la Nato c’è e che la risposta, certo limitata rispetto alle divisioni russe, è multinazionale».

Cosa vuole Putin? 
«Non voglio speculare troppo sulle sue ragioni. Vedo però cosa fa la Russia. Da anni cerca di ricostruire un sistema basato sulle sfere di influenza in cui le grandi potenze controllano i vicini, per limitarne sovranità e indipendenza. È il vecchio sistema, il sistema di Yalta in cui le potenze si spartivano l’Europa. Non lo vogliamo. Nessuno può violare la sovranità dei singoli Paesi». 

Mosca dice che, crescendo, minacciate la loro sovranità? 
«Sbagliato. È una scelta libera e democratica di Stati sovrani quella di unirsi alla Nato».

 
Però si rischia grosso, no? 
«Dobbiamo essere forti, calmi, uniti e determinati. È così che si prevengono i conflitti. La Nato deve rafforzare la Difesa e fare il possibile per avere una relazione di maggiore cooperazione con la Russia». 

C’è un problema anche in Siria. Putin bombarda i convogli umanitari e minaccia le forze francesi e americane. 
«La risposta è evitare di aumentare le tensioni. Essere fermi, ma affermare che non vogliamo alcuno scontro».

E la Turchia? 
«È un valido alleato. Importante per la Nato e l’Europa».

Anche se Putin e Erdogan sono sempre più vicini. 
«Incoraggio il dialogo politico sempre e l’ho fatto anche dopo l’incidente dell’aereo abbattuto. Non è nell’interesse di nessuno che fra i due Paesi ci siano delle tensioni». 

La Nato auspica che gli alleati spendano il 2% del Pil per la Difesa. È il momento di alzare la voce? 
«Non piace a nessuno aumentare le spese militari. Quando ero ministro delle Finanze negli Anni Novanta le ho tagliate. Ma era un altro tempo. Ora non si può. Bisogna aumentare la spesa. Non perché ci piace, ma perché una Difesa forte previene i conflitti».

Lo chiede anche all’Italia? 
«Apprezzo pienamente l’ottimo contributo dell’Italia all’Alleanza. È in Afghanistan come in Kosovo. Ospita molte installazioni, a partire dal comando di Napoli. Presto arriverà la sorveglianza del territorio con aerei e droni, a Sigonella. Nel 2018 sarete nella “punta di lancia” e nei battaglioni baltici».

E i soldi? 
«Nel 2016 per la prima volta da tempo ha aumentato la spesa per la Difesa. Tutti devono tendere al 2%. L’obiettivo resta».

Veniamo al Mediterraneo. Che programmi avete? 

«Ho discusso con l’Alto rappresentante Federica Mogherini e prepariamo un sostegno maggiore all’operazione Sophia per il controllo delle acque internazionali. Siamo pronti ad aiutare la formazione della guardia costiera e del personale della Difesa libica, se richiesti. La nostra operazione marittima “Sea Guardian” unirà i proprio sforzi a quelli di Sophia. Stiamo discutendo le modalità. Nato e Ue lavorano bene insieme».

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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/14/esteri/stoltenberg-anche-gli-italiani-schierati-al-confine-con-la-russia-SsIPcchStChHVnideCVP9N/pagina.html
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