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Autore Discussione: Nel Senese le aziende si uniscono per tutelare le antiche varietà di grano  (Letto 3012 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Ottobre 07, 2016, 08:33:26 pm »

Nel Senese le aziende si uniscono per tutelare le antiche varietà di grano
Otto imprese di Asciano hanno siglato un accordo di filiera per coltivare lo storico «Senatore Cappelli»

07/10/2016
Asciano (Siena)

C’è un progetto per favorire la riscoperta dei grani antichi, per coltivarli e macinarli in modo naturale e per produrre pasta di qualità. È la sfida di fare otto aziende agricole di Asciano, 7mila abitanti in provincia di Siena: hanno siglato in Regione l’atto costitutivo del Consorzio Pastasciano che intende garantire la produzione dello storico e famoso grano duro «Senatore Cappelli» secondo un preciso disciplinare. 

«È la risposta di alcuni produttori toscani - commenta l’assessore regionale all’agricoltura, Marco Remaschi - alla crisi nazionale del settore: puntare decisamente sulla qualità coltivando grani dal valore aggiunto, in grado di incontrare i favori dei consumatori più sensibili, anche perchè coltivati e trasformati a chilometro zero, per un prodotto interamente tracciabile e tutto toscano. Bene ha fatto il Comune di Asciano a favorire la nascita di questa aggregazione tra produttori e molto volentieri teniamo a battesimo questo nuovo raggruppamento tra imprese agricole senesi». 

 Il Consorzio, aperto all’adesione di altre aziende con sede legale e terreni coltivati nel Comune di Asciano, riceverà dall’amministrazione comunale un contributo di 16mila euro in 3 anni e lavorerà da subito ad un progetto di filiera. «In un momento molto difficile per il comparto - aggiunge il sindaco di Asciano, Paolo Bonari - dove i prezzi del grano al produttore non sono certo remunerativi per il lavoro svolto, il progetto di Pastasciano rappresenta la miglior risposta alla crisi. La collaborazione tra pubblico e privato può permettere di raggiungere obiettivi economici e qualitativi del prodotto che fino a poco tempo fa erano impensabili. Il Comune di Asciano si è impegnato fin da subito per un progetto di filiera in grado di garantire la sostenibilità dei produttori e, al contempo, la tutela di un prodotto che è icona del nostro territorio». 

«Con questo progetto - conclude il consigliere regionale Stefano Scaramelli - le terre di Siena si confermano sempre più protagoniste e simbolo dell’eccellenza e dell’alta qualità del made in Tuscany. Con la riscoperta e la valorizzazione dei grani antichi, la lavorazione artigianale della pasta e il coinvolgimento delle aziende del territorio, Asciano promuove e sostiene economicamente il proprio tessuto produttivo gettando basi importanti per la creazione di un nuovo volano per lo sviluppo turistico delle crete senesi». Le aziende agricole che hanno costituito il Consorzio Pastasciano sono la «Fontanelle» di Edoardo Lanini, la «Almerico Pasquale Giuseppe Giacomo Antonio», la «Casanova» di Bartalo Conte, la «Baccoleno» di Tonino Congiu, la «Pietro Masci», la «Antonio Trapassi», la «Liborio e Guido Rizzuto» e la «Francesco Cini». 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/07/italia/cronache/agricoltura/nel-senese-le-aziende-si-uniscono-per-tutelare-le-antiche-variet-di-grano-B3V44lq1dzHfiDI3r0w9cJ/pagina.html
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 10, 2016, 11:55:41 am »

Chianti, la lezione di Cosimo de’ Medici dura ancora…

Di Mauro Giacomo Bertolli
9 October 2016


Il Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici regnò per 53 anni, dal 1670 al 1723: fu il regno più lungo nella storia della Toscana. Se molti storici sono anche piuttosto critici sul suo operato, nel settore vitivinicolo è stato senz’altro un legislatore che ha saputo guardare al futuro, capendo l’importanza del vino e del suo legame col territorio: ed eravamo nel 1716! Proprio per questo, ma anche per sfruttare un’incredibile opportunità di marketing storico-territoriale, tutto il mondo del vino toscano negli scorsi giorni gli ha reso omaggio per le sue politiche, ispirate da principi decisamente diversi da quelli di alcuni amministratori locali toscani che negli ultimi 2 anni hanno sostenuto esserci troppi vigneti nel territorio, considerandoli addirittura elemento negativo del paesaggio, scatenando ovviamente un’enorme quantità di polemiche.

Torniamo a Cosimo III, autore di due Bandi nel 1716 di straordinaria valenza: nel primo, datato 18 luglio, l’oggetto è il commercio del vino, ed in esso si ordina l’istituzione di una “Congregazione”, con il compito di vigilare sui vini commercializzati, in particolare “….che averanno Ricolto nel Chianti, Pomino, Carmignano, e Val d’Arno do Sopra” , difendendoli dalle intrusioni di vini di altre zone. Un organismo quindi che deve controllare gli spostamenti dei vini, garantendo che la loro origine corrisponda a quanto dichiarato. Sembrerebbe a tutti gli effetti una sorta di antenato dei Consorzi di Tutela o, meglio ancora, degli organismi di controllo che si affiancano agli stessi.

Con il secondo Bando, «Dichiarazione de’ Confini delle quattro Regioni Chianti, Pomino, Carmignano e Valdarno di Sopra», datato 24 settembre, vengono delimitate alla perfezione le zone di produzione del Chianti, del Pomino, del Valdarno di Sopra e del Carmignano, citate nel bando precedente. Di fatto possiamo dire che Cosimo III con quei bandi ha anticipato la definizione di DOC e di disciplinare che la regolamenta.

A cosa corrispondono oggi le quattro aree definite da Cosimo III?

La zona definita “Chianti” corrisponde all’attuale area della DOCG Chianti Classico, “Pomino” all’area di produzione del Pomino e del Chianti Rufina, “Carmignano” al territorio delimitato dalla DOCG Carmignano, “Valdarno di Sopra” all’omonima DOC.

I due bandi  costituiscono uno dei  primi esempi al mondo di delimitazione di zona di origine dei vini basata sulla qualità superiore, e costituiscono uno strumento fondamentale per testimoniare la vocazione dei territori citati a produrre vini di alta qualità: la ricorrenza dei 300 anni dall’emanazione dell’editto è quindi una formidabile occasione che ha la Toscana per riaffermarsi come una delle culle dell’enologia mondiale anche per radici storiche, e magari per rafforzare la candidatura del Chianti al riconoscimento Unesco di Patrimonio dell’Umanità, di cui il Consorzio del Chianti Classico ha iniziato l’iter lo scorso febbraio.

I festeggiamenti hanno visto riuniti a Firenze i Consorzi delle 4 denominazioni citate nel Bando, protagonisti di un ricco programma a partire dal 24 settembre.

Nei giorni successivi i 4 Consorzi hanno poi organizzato, ed in parte devono ancora tenersi, degli eventi in proprio, per meglio focalizzarsi sui singoli territori. In particolare io ho partecipato a quanto organizzato lunedì 26 settembre dal Consorzio Valdarno al Borro, la tenuta Ferragamo di San Giustino Valdarno: un interessantissimo convegno con tre relatori molto focalizzati sulla storia vitivinicola dell’area ed una degustazione di diversi vini del territorio. Nell’interessante relazione del Prof. Giuseppe Tartaro, vicepresidente dell’Accademia del Poggio, si è evidenziato come il Valdarno sia stato territorio vinicolo già ai tempi degli Etruschi. Molto importante per il territorio fu dal 1400 in poi, ma soprattutto nel 1600-1700, la nascita e lo sviluppo delle fattorie della Valdarno: dapprima per la caccia e le coltivazioni, con magazzini, cantine e alloggi per il fattore, con i nobili proprietari residenti a Firenze, e successivamente, con lo spostamento delle famiglie nobiliari nelle fattorie, diventate vere residenze, oltre che centri di sviluppo economico del territorio: i nomi più famosi sono i Concini, i Bracciolini, i Dal Borro, i Riccardi Medici, i Ricasoli e i Soldani Bensi.

Nel secondo intervento Paolo Storchi del CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – ha mostrato dei dati del catasto di Firenze del 1427 dai quali risultava l’alto prezzo di vendita dei vini della Valdarno rispetto ad altre aree della Toscana, indicatore questo della qualità riconosciuta a tali vini. Molti erano i vitigni coltivati secoli fa, alcuni presenti ancora oggi, altri scomparsi. Mi piace citare il caso dell’Orpicchio, a bacca bianca, salvato dall’estinzione, reinserito nel 2007 nel Catalogo nazionale, ed ora oggetto di reimpianto di alcuni produttori. Oggi la prevalenza è del Sangiovese (65 %), accanto ad una significativa presenza di vitigni internazionali – Merlot, Cabernet e Chardonnay – oltre a Trebbiano e Malvasia.

L’intervento finale è stato dell’applauditissimo Marco Santagata, Professore di Letteratura Italiana all’Università di Pisa, e scrittore, che ci ha molto coinvolti nella presentazione e nella parziale lettura del ditirambo “Bacco in Toscana”, pubblicato nel 1685 da Francesco Redi, medico di Cosimo III, filosofo, biologo e scienziato. Nel “poemetto” di 980 versi, il Redi, attraverso Bacco immaginato ad assaggiare i vini della regione, realizza un divertente catalogo dei vini toscani del tempo, accompagnato anche da una requisitoria contro tè, caffè, cioccolata, sidro e birra: insomma il messaggio è bere solo vino. La cosa curiosa è che sembra che il Redi fosse astemio.

Tra i vini assaggiati, 7 mi hanno colpito in modo particolare: di seguito voglio raccontarli brevemente, in ordine d’annata.

Prima però voglio ricordare due interessantissimi progetti del Consorzio Valdarno di Sopra: in primo luogo portare il territorio della DOC a coincidere interamente con l’area delimitata dal Bando di Cosimo III, ed in secondo luogo, progetto decisamente più ambizioso e per certi versi rivoluzionario, modificare il disciplinare per diventare la prima DOC esclusivamente biologica del mondo!

Passiamo ora ai vini

1) Borrigiano 2015 Valdarno di Sopra rosso DOC – Il Borro

Vino ancora molto giovane, per l’85 % da uve Sangiovese, la parte restante è da uve Syrah, matura per pochi mesi in botte grande. Di colore tra il porpora ed il rubino, si caratterizza per i profumi fruttati, la ciliegia in tutte le sue declinazioni, per i fiori di viola e sambuco. Sullo sfondo un accenno di speziatura, di pepe, tabacco ed anche cuoio. Di buon corpo, ottima l’acidità che gioca con i tannini, presenti e piacevoli. Sicuramente ottimo tra 6 mesi, probabilmente strepitoso tra 3-4 anni. Tenore alcolico del 15 %.

Il produttore è Il Borro, di Loro Ciuffenna (AR). E’ una meravigliosa tenuta di circa 700 ettari, di cui poco più di 45 vitati, di proprietà dal 1993 di Ferruccio Ferragamo, ed appartenuta nei secoli a famiglie che hanno fatto la storia, come i Pazzi, i Medici Tornaquinci ed i Savoia. Cuore della tenuta è il borgo medioevale, risalente al 1039, perfettamente restaurato. Viticoltura eco-sostenibile, principi biologici e biodinamici caratterizzano il lavoro al Borro, con una cantina                                                              che merita di essere visitata, scavata nella terra in una struttura di origine medioevale.

2) Galatrona 2014 Val d’Arno di Sopra Merlot DOC – Petrolo

Galatrona è un Merlot in purezza, a mio parere uno dei Merlot italiani di riferimento, ottenuto da uve provenienti da un vigneto impiantato a inizio anni Novanta sulla collina dominata dalla torre medievale di Galatrona. La prima annata prodotta è stata il 1994: oggi se ne fanno poco meno di 20.000 bottiglie, vendute quasi interamente all’estero. Dopo la vinificazione matura in barrique di rovere francese nuove per 18 mesi, per poi affinare per 6 mesi in bottiglia. Tenore alcolico pari al 13,5 %. Di colore rubino, deciso ed intenso, ci conquista con i suoi profumi di amarena e di piccoli frutti del bosco, le note vegetali e di tamarindo e chinotto. In bocca è morbido ed avvolgente, dai sapori di confettura di ciliegia, con un’idea di balsamicità. Equilibrato nei tannini, seppur ancor giovane, è un vino di grande personalità e persistenza.

Petrolo è condotta da quattro generazioni dalla famiglia Bazzocchi-Sanjust: Luca Sanjust, l’attuale conduttore, è anche Presidente del Consorzio Valdarno di Sopra DOC, ama le sue vigne in modo quasi viscerale, andando alla ricerca di un vino che racconti non solo il territorio ma anche le persone che si sono sporcate le mani per farlo, consapevole che il tempo in viticoltura si misura in decenni e che “…i risultati spesso si vedono dopo generazioni”.

3) Valdarno di Sopra DOC Sangiovese Riserva Castello di Montozzi 2013 – Migliarina-Montozzi

Sangiovese in purezza, con tenore alcolico del 13 %. Dopo la vinificazione in vasche di cemento vetrificato, matura per 12 mesi in tonneaux di rovere francese nuovo, per poi effettuare 18 mesi di affinamento in bottiglia. Di colore rosso rubino, con una nota granata sull’unghia, ha uno spettro olfattivo complesso, che inizia con fragola e ciliegia, per proseguire con una nota vegetale marcata anche da un sentore piacevole ed appena accennato che ricorda il peperoncino verde piccante. Significative le note speziate, di vaniglia e pepe nero. Accenni di china e rabarbaro. Al sorso è equilibrato, di buona acidità, composto nei tannini, rotondo e morbido, di ottima struttura.

Ad inizio del ‘900 le due tenute di Migliarina e Montozzi sono unificate sotto la proprietà della famiglia Bartolini Baldelli. L’azienda, che si estende per circa 500 ettari intorno al Castello di Montozzi e alla Fattoria di Migliarina, attualmente comprende circa 20 ettari di vigneto. E’ diretta dai cugini Antonio e Carlo Bartolini Baldelli, che orgogliosamente ricordano come la loro famiglia sia presente sul territorio occupandosi di agricoltura da almeno 400 anni. Importante il passaggio all’agricoltura biologica, avvenuto già nel 2010.

4) Vigna dell’Impero 2013 Valdarno di Sopra Sangiovese DOC – Tenuta Sette Ponti

Sangiovese in purezza, tenore alcolico del 13,5 %, ottenuto da uve provenienti dal più antico vigneto della Tenuta Sette Ponti, piantato nel 1935 per volere di Sua Altezza Reale il Conte di Torino Vittorio Emanuele di Savoia, e denominato Vigna dell’Impero per festeggiare la conquista dell’Abissinia. E’ la seconda annata per questa etichetta. Dopo la vinificazione matura in botti grandi per 24 mesi, per poi affinare alcuni mesi in bottiglia. Nel bicchiere è di colore estremamente intenso, un rubino scuro tendente al granata, deciso, luminoso. Si è subito colpiti dall’amarena, quasi sotto spirito, ma anche da cacao, tamarindo, tabacco e cuoio, tutte note espressive e ben amalgamate. Buona acidità e tannini ben presenti, sapido e persistente, è un vino progettato per durare a lungo, con alcune spigolature da esuberanza giovanile, ma destinato ad un grande futuro.

Antonio Moretti, imprenditore di successo nel tessile, oltre a Tenuta Sette Ponti, possiede con la famiglia altre 4 cantine, 2 in Sicilia e 2 in Toscana. Sette Ponti è stata acquistata da Alberto Moretti, papà di Antonio, negli anni ’50 dalle principesse Margherita e Maria Cristina di Savoia d’Aosta. Decisivi sono stati gli investimenti fatti negli anni ’90 sui vigneti e poi in cantina. Le vigne sono gestite in regime di agricoltura biologica.

5) I SEI Valdarno di Sopra Pratomagno Rosso Riserva 2012 DOC – Eredi Benito Mantellini – Agriturismo Campo del Monte

Il nome si riferisce alla cifra 6, che rappresenta il numero dei figli che i proprietari, i Mantellini, hanno nel loro complesso. E’ ottenuto con uve Syrah, vinificate in acciaio. Matura in legno per 24 mesi, prima di affinare per almeno 6 mesi in bottiglia. Tenore alcolico del 14 %.

Nel bicchiere è di colore rosso rubino di grande intensità, con un’accennata unghia granata. I profumi giocano prevalentemente sul frutto rosso e nero del sottobosco, ma anche prugna e ciliegia sotto spirito; piace anche il pepe nere, la liquirizia, il tamarindo ed una leggera striatura balsamica. Coerente in bocca, sapido, importante nei tannini, è un vino morbido, di grande corpo e struttura, estremamente persistente.

Nel 1978 la famiglia Mantellini ha creato la fattoria “Campo del Monte”, sviluppandola negli anni fino ai 30 ettari attuali, con 7,6 ettari vigneti, poco più di 3 di oliveti, e poi nocciole e bosco ceduo. A condurre l’azienda è di famiglia è Stefano Mantellini, aiutato parzialmente dalla sorella Giovanna e dai giovani nipoti, Duccio e Vieri. La produzione si avvicina alle 20.000 bottiglie, tra cui voglio ricordare il suo Vin Santo, Il Conio, premiato al Concorso Enologico del Vinitaly 2015 con il miglior punteggio in assoluto.

6) Settembre Valdarno di Sopra DOC Merlot Riserva 2011 – Gianluca Baldi

Ho assaggiato la bottiglia n° 294 delle sole 600 prodotte. Merlot in purezza, vendemmiato a fine settembre: deriva da qui il nome. Vinificazione in acciaio, 40 mesi di maturazione, i primi 24 in acciaio ed i successivi 16 in legno piccolo, a cui segue un periodo di affinamento in bottiglia di almeno 8 mesi. Credo che questo vino possa considerarsi rappresentativo di cosa può essere il Merlot in Valdarno. Di colore rosso rubino estremamente carico, al naso è un trionfo del frutto rosso e nero, dall’amarena alla prugna alla ciliegia sotto spirito, ma anche fichi secchi. Leggera la nota vegetale, gioca di più su speziature e balsamicità, non solo pepe e vaniglia, ma anche cioccolato e tabacco dolce. In bocca si conferma, ha un gran corpo, morbidezza e calore, elegante nei tannini, con una persistenza sussurrata ma quasi infinita.

Gianluca è un personaggio genuino, di cuore, orfano di padre a soli 13 anni, si è dovuto rimboccare da subito le maniche, lavorando in campagna come secondo lavoro: c’era bisogno di portare a casa uno stipendio fisso. A inizio del nuovo millennio decide che è il momento di fare l’agricoltore a tempo pieno: ora ha 8 ettari di vigneto, produce 10.000 bottiglie ed anche del vino sfuso. Credo che il suo futuro sia però di imbottigliare e vendere tutto il suo vino, non appena riuscirà a farsi meglio conoscere.

7) Il Ruscheto 2011 Valdarno di Sopra Sangiovese DOC – La Salceta

Vino biologico ottenuto da uve Sangiovese in purezza provenienti da Vigna Ruschieto. Vendemmia in cassette nell’ultima decade di settembre, questo vino non fa legno. Dopo la vinificazione in piccoli tini d’acciaio, matura per 18 mesi ancora in acciaio, prima di affinare per 12 mesi in bottiglia. Di colore rosso rubino, dopo qualche accenno floreale e balsamico, esplode nel frutto, con note simili alla confettura di visciola, ai più golosi di noi fa pensare ad una crostata della nonna. In bocca è fresco, piacevole, con una bella acidità, tipica del Sangiovese, armonico nei suoi tannini, è un vino di grande bevibilità.

La Salceta è la piccola azienda vitivinicola di Ettore Ciancico, che dopo essere stato per molti anni dirigente nel mondo dell’industria ha deciso nel 2000 di cambiare vita e di costruire la sua azienda agricola, con 3,5 ettari di vigneto ed una produzione di circa 20.000 bottiglie, seguendo fin dall’inizio le regole della produzione biologica. Il suo primo vino è del 2004. Molto attivo nel mondo del vino anche a livello associativo, è segretario del Consorzio Valdarno di Sopra DOC e membro del Consiglio Direttivo della FIVI, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti.

Da - http://food24.ilsole24ore.com/2016/10/chianti-la-lezione-di-cosimo-e-medici-dura-ancora/
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