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Autore Discussione: Oltre un anno di attesa per colonscopie di routine da eseguire al “Giannoni”  (Letto 4708 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Ottobre 07, 2016, 08:30:17 pm »

Non va alla visita prenotata perché è morto: l'Ulss invia il conto al figlio

BASSANO - Non si era presentato alla visita ospedaliera prenotata, senza avvertire o disdire almeno tre giorni prima. Perciò l'Ulss, come da regolamento, ha mandato il conto da pagare al figlio. Tutto normale, se non fosse per un "piccolo" particolare, ovvero che il paziente da visitare era morto poco prima della visita. E aveva cessato di vivere proprio mentre era ricoverato al San Bassiano.

Una storia di burocrazia impazzita che avrà un lieto fine, perché l'Ulss ha annunciato che cancellerà il recupero di quel credito di poco più di 14 euro. Ma una storia che ha lasciato l'amaro in bocca a Riccardo Zebele, il figlio che si è visto recapitare la richiesta di pagamento della sanzione.

Il papà, malato oncologico terminale, era stato ricoverato al San Bassiano in maggio. Pochi giorni prima di andarsene per sempre. Il suo medico di base gli aveva prenotato una visita specifica per il 27 maggio.

Ma l'anziano era spirato il 25 maggio e nessuno si era ricordato di "avvertire" l'Ulss che la visita sarebbe saltata. In più, mancavano meno di tre giorni. Forse si sarebbe dovuto predire il futuro, per rispettare i regolamenti, mentre la burocrazia non si è accorta, incrociando i dati, che il paziente prenotato era anche ricoverato all'ospedale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Venerdì 7 Ottobre 2016, 11:45

Da - http://www.ilgazzettino.it/vicenza_bassano/bassano/bassano_ulss_visita_prenotata_paziente_morto_sanzione_figlio-2011456.html
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 07, 2016, 08:31:19 pm »

Pronto soccorso, fino a 7 giorni per un ricovero. I numeri della sanità

Infondata 7 ottobre 2016

A fronte del fatto che un cittadino su quattro viene inviato in pronto soccorso dal medico di base, qual è lo stato di salute di queste strutture in Italia? Lo studio, realizzato dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanza attiva e dalla Società scientifica Simeu, mette in evidenza le inefficienze delle cure in emergenza. Se nel complesso è “buono” il giudizio espresso dai circa 3mila intervistati (famigliari e pazienti) tra maggio e novembre 2015, l’indagine mette in luce una vera e propria schizofrenia nell’attuazione di standard e linee guida.

Il problema più preoccupante è la carenza di posti letto, con un’incidenza dell’82%. Si consideri che solo nel 13% dei casi è presente un bed manager, figura che dovrebbe smistare i pazienti del pronto soccorso nei vari reparti e provvedere a ricoveri e dimissioni. In poco più della metà delle strutture esiste un sistema che permette di sapere in tempo reale i posti disponibili al pronto soccorso.

Altrettanto negativo il bilancio per i tempi di attesa. In questo caso la situazione varia molto da città a città. In generale, per ottenere un posto letto, si superano i due giorni nel 38% dei Dipartimenti di emergenza e accettazione di II livello e nel 20% dei pronto soccorso. Attesa massima fino a 7 giorni in Osservazione breve intensiva.

Male anche nella gestione della privacy: il 30% delle persone dichiara di non aver visto preservata la propria riservatezza. Difficoltà per certe categorie di pazienti: i bambini, peri i quali raramente sono attrezzati spazi d’attesa ad hoc, e i malati terminali che solo nel 13% dei casi hanno degli ambienti dedicati.

A rendere ancora più nere le prospettive per il futuro lo stallo delle trattative per il rinnovo del contratto della medicina generale, che rallenta la riorganizzazione degli spazi e dell’assistenza.

Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 7 ottobre a pagina 26

Da - http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/10/07/pronto-soccorso-fino-a-7-giorni-per-un-ricovero-i-numeri-della-sanita/
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 07, 2016, 08:42:43 pm »

La crisi degli ospedali: “Posti letto fantasma e disabili senza bagni”
Il rapporto del Tribunale dei malati su 93 strutture
Il 39% dei responsabili giudica insufficienti i reparti d’emergenza

07/10/2016
PAOLO RUSSO
ROMA

La morte senza dignità tra sguardi indiscreti e tossicodipendenti al Pronto soccorso del San Camillo di Roma non è un’eccezione, ma lo specchio di una realtà troppo diffusa tra gli ospedali d’Italia. Fino a due ore di attesa per un codice giallo, assegnato a pazienti comunque gravi. Persone ammonticchiate in stanzoni del dolore senza il minimo rispetto per la privacy. Fino a una settimana in letti arrangiati o, peggio, in barella, per ottenere un ricovero. E, soprattutto, lo scandalo delle centinaia di milioni di euro spesi per informatizzare la nostra sanità e avere poi la metà dei dipartimenti di emergenza e urgenza che, quando arriva un paziente in ambulanza, non sanno nemmeno se alle loro spalle c’è un posto letto in reparto dove ricoverarlo. Che è poi quel che nella maggioranza dei casi spiega come mai tutti quei malati abbandonati nelle astanterie o costretti a girovagare tra un ospedale all’altro. Con il rischio di non farcela.
 
Il quadro desolante, che spiega i tanti, troppi casi di malasanità nei Pronto soccorsi d’Italia, ce lo fornisce il rapporto sul loro stato di salute redatto dal Tribunale dei diritti del malato insieme al Simeu, la Società scientifica della medicina di emergenza e urgenza. Un lavoro che ha scandagliato 93 strutture sanitarie, dando voce a quasi tremila pazienti. Proprio mentre gli ispettori inviati dalla Lorenzin al San Camillo cercano di accertare le responsabilità di sanitari e dirigenti, ma anche di capire come mai un malato terminale fosse finito in un pronto soccorso anziché in un «hospice», le strutture per i malati terminali. 
 
«Certi fatti non devono accadere, non da noi», afferma la Lorenzin. Ma il Rapporto dice che si verificano ancora troppo spesso.
 
Ovviamente le medie non dicono che a fronte di molte eccellenze nel Nord c’è un Centro-Sud che dal Lazio in giù ignora i più elementari diritti degli assistiti. Come quelli dei disabili, che nel 20% dei casi non hanno nemmeno un bagno accessibile e che devono ancora vedersela con barriere architettoniche inconcepibili altrove, figuriamoci in una struttura sanitaria. E comunque oltre la metà dei servizi igienici non ha nemmeno il sapone per lavarsi la mani. Precauzione igienica d’obbligo in un ospedale.
 
Il diritto alla privacy resta invece un miraggio in una struttura su tre. Anche perché è difficile garantire la riservatezza di chi casomai combatte contro la morte quando, come al San Camillo di Roma, codici gialli e rossi sono tutti ammassati in un unico stanzone con 27 barelle. Certo, a questa promiscuità che azzera la dignità della persona contribuisce anche il sovraffollamento di pronto soccorso e dipartimenti d’emergenza, rilevato in un terzo dei casi, con situazioni limite che hanno visto aggiungere fino a 30 letti e barelle in più in un solo punto di osservazione breve intensiva. Mentre spazi riservati ai malati terminali sono previsti solo in circa il 30% dei casi.
 
Anche il dolore acuto non è sempre combattuto come si dovrebbe. Prima di tutto perché un 40% dei Pronto soccorso non lo rileva al momento di assegnare i codici di gravità dal bianco al rosso. E poi solo la metà delle strutture si è dotata di linee guida per la gestione del dolore.
 
Del resto che le cose non vadano bene lo ammettono gli stessi responsabili dei dipartimenti intervistati, che nel 39% assegnano una insufficienza piena ai servizi di emergenza e al loro rapporto con il territorio.
 
Gli autori del Rapporto per far fronte a questo caos propongono una Carta dei diritti del Pronto soccorso, compreso quello di non sostarvi per più di 6 ore. Ma perché siano applicati servirà rivoluzionare l’organizzazione della nostra sanità.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/07/italia/cronache/la-crisi-degli-ospedali-posti-letto-fantasma-e-disabili-senza-bagni-x1jgEw6x7VRNWNmh2i3CcL/pagina.html
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« Risposta #3 inserito:: Ottobre 07, 2016, 08:43:32 pm »

Tra le barelle del San Camillo: “Con un cancro aspettiamo da 15 ore”
Al Pronto soccorso dove è morto Marcello Cairoli: di notte i barboni in sala d’attesa
Ogni anno al Pronto soccorso dell’ospedale San Camillo di Roma vengono assistite 90mila persone

07/10/2016
ANTONIO PITONI
ROMA

Saranno in tutto una ventina, in sala d’attesa, i familiari che aspettano notizie dei propri cari. C’è chi è lì dalla notte precedente. Altri sono appena arrivati. E’ il tempo che scorre, scandito dall’intervallo che separa le sirene di un’ambulanza che arriva e quelle di un’altra che parte, la variabile imprevedibile. «Sai quando entri, ma non sai quando uscirai». Alle due del pomeriggio la signora Angela Curella è ancora lì, su una panchina allestita all’esterno del pronto soccorso del San Camillo di Roma. «Siamo arrivati ieri sera da Civitavecchia intorno alle 22,30», racconta. «Mio marito ha un tumore alla vescica, ha avuto delle perdite di sangue e abbiamo deciso di venire qui: è ancora in attesa di un letto nel reparto di urologia», spiega con il volto provato da oltre quindici ore di snervante attesa.
 
Qui, in uno dei presidi ospedalieri più grandi della capitale, dove solo nel pronto soccorso vengono assistiti 90 mila pazienti ogni anno, la storia di Angela è un déjà-vu che si ripete ciclicamente. Il giorno seguente il caso di Marcello Cairoli, malato terminale di cancro, morto dopo aver trascorso le ultime 56 ore della propria vita «accanto anziani abbandonati, persone con problemi irrilevanti che parlavano e ridevano, vagabondi e tossicodipendenti», come denunciato dal figlio Patrizio in una lettera al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, la routine ha ripreso il suo corso. Alle prese con mezzi e strutture spesso non all’altezza e le mille difficoltà che finiscono, a volte, per risucchiare ogni senso di umanità verso i pazienti, che pure non dovrebbe mai mancare, nel vortice dell’indifferenza. «Lo scriva che ieri notte qui la situazione era impossibile: nei bagni non ci si poteva entrare e poi c’erano dei barboni che si aggiravano per la sala d’attesa chiedendo soldi per comprarsi qualcosa da mangiare», insiste la signora Angela. Il giorno dopo la situazione sembra sotto controllo. In sala d’attesa si scambiano due chiacchiere, ci si racconta dei propri cari dall’altra parte della vetrata che separa la sala d’attesa dal reparto di urgenza. Un brusio tranquillo che si interrompe solo quando, di tanto in tanto, una voce chiama un nome per dare notizie e informazioni sui pazienti. Anche i bagni sono decenti: dal registro affisso sulla porta risulta che sono stati puliti due volte, alle 8 e alle 10,15 del mattino.
 
E’ al di là di quella vetrata che Patrizio aveva protestato. Chiedendo una stanza in reparto o in terapia intensiva. Rivendicava solo dignità per le ultime ore di vita del papà malato. Ha dovuto accontentarsi di un paravento. «Perché gli altri servono per garantire la privacy durante le visite», gli è stato spiegato. «Una persona che sta morendo, invece, non ne ha diritto: ci hanno detto che eravamo persino fortunati. Così, ci siamo dovuti ingegnare: abbiamo preso un maglioncino e, con lo scotch lo abbiamo tenuto sospeso tra il muro e il paravento; il resto della visuale lo abbiamo coperto con i nostri corpi», ha scritto alla Lorenzin. 
 
Emanuele Guglielmelli, direttore dell’unità di medicina d’urgenza e pronto soccorso del San Camillo – quello che una volta molto più semplicemente si chiamava primario – ha passato la giornata a rispondere alle domande dei giornalisti. «Qui abbiamo a disposizione un numero di posti limitato rispetto alle richieste, che in ogni caso facciamo di tutto per soddisfare interamente – spiega –. Il problema si fa più delicato quando abbiamo di fronte due pazienti e un solo posto letto». Un dilemma quotidiano. «Tra un paziente al quale non si può fare altro che assicurare una morte dignitosa e un altro che, invece, può essere salvato siamo costretti a fare una scelta», aggiunge Guglielmelli. E nel caso del signor Cairoli la scelta è stata di lasciarlo al pronto soccorso in mezzo agli altri pazienti. «Ma gli abbiamo assicurato il massimo delle cure e delle attenzioni possibili in quella situazione», conclude il direttore del pronto soccorso. 
 
In questa vicenda, però, non c’è solo il profilo medico. C’è anche il rovescio umano della vicenda. «Quanto accaduto al signor Marcello Cairoli non doveva succedere. In Italia il pronto soccorso non è e non deve essere l’ultima tappa della vita di un paziente oncologico», ha fatto sapere la ministra Lorenzin. Eppure è il suo stesso dicastero a fotografare una situazione disarmante: in 5 anni il sistema sanitario ha perso 24.155 posti letto. Due ore dopo, in sala d’attesa, le facce sono quasi tutte ancora le stesse. Al San Camillo, è il tempo che scorre la variabile imprevedibile. «Chissà quando finirà tutta questa attesa», allarga le braccia una signora. Già, chissà quando.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/07/italia/cronache/tra-le-barelle-del-san-camillo-con-un-cancro-aspettiamo-da-ore-txKs6xMlcO4eho0z1EUUrL/pagina.html
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« Risposta #4 inserito:: Ottobre 07, 2016, 08:45:38 pm »

Oltre un anno di attesa per colonscopie di routine da eseguire al “Giannoni”
Centro di livello nazionale: molti pazienti da altre regioni
18/09/2016

GIANNI MICALETTO – SANREMO

Più di un anno d’attesa per una colonscopia di routine all’ospedale di Sanremo. Se non è un record (negativo) poco ci manca. Telefonando al Cupa per prenotare questo esame diagnostico sempre più diffuso, per l’importanza che riveste nelle comuni patologie e nella prevenzione dei tumori intestinali, ci si sente rispondere che l’agenda 2017 ha già raggiunto il tutto esaurito. Se ne riparla nel 2018, salvo rinunce da parte di chi aspetta già il proprio turno. Le urgenze, per legge, devono essere soddisfatte entro 10 giorni ed entro 60 le altre richieste di accertamento non «semplici».

Già in passato si erano registrate lamentele per le estenuanti liste d’attesa, ma anziché migliorare la situazione peggiora di giorno in giorno. Perché la struttura complessa di gastroenterologia al padiglione «Giannoni», diretta dal dott. Massimo Conio, specialista conosciuto anche all’estero, è diventata a tutti gli effetti un riferimento nazionale. Sono infatti sempre più numerosi i pazienti provenienti da altre regioni, specie quelli definiti «complessi». Ciò determina un sovraccarico di lavoro, con organico e attrezzature immutati. «Abbattere i tempi d’attesa è impossibile - sottolinea il dott. Conio - Disponiamo, infatti, di una sola sala endoscopica dove eseguire le colonscopie e ogni giorno viene sfruttata al massimo. E non si possono pretendere miracoli da medici oberati dall’attività routinaria, costretti a dedicare sempre meno tempo all’aggiornamento». Insomma, per assurdo, un’eccellenza della sanità imperiese rischia di diventare un problema. 

Il reparto esegue in media circa 8 mila esami endoscopici l’anno, fra colonscopie e gastroscopie. «Da molto tempo siamo in attesa dell’apertura della quarta sala endoscopica - continua il primario - che permetterebbe di eseguire almeno 900 colonscopie in più all’anno». I vertici dell’Asl hanno deciso di posizionare la colonna video all’interno del nuovo pronto soccorso del «Borea», per coprire così le urgenze notturne e quelle che si verificano durante i weekend. 

«Il fatto è che le emergenze sono poche e la colonna risulta sottoutilizzata», fa notare Conio, secondo il quale l’eventuale impiego al «Giannoni» permetterebbe di effettuare quattro esami diagnostici in più al giorno, con riduzione delle lunghe liste d’attesa. 

Le colonscopie di screening pazienti positivi alla ricerca di sangue occulto fecale) vengono eseguite all’ospedale di Imperia il lunedì e il venerdì mattina (7 per volta). Per non «sottrarre» al Cupa posti disponibili a favore di pazienti sintomatici, dal «Giannoni» hanno proposto alla direzione Asl di eseguire le sedute di screening nelle ore pomeridiane, assegnando un «gettone» a medici e infermieri incaricati. «Se anche aprissimo la quarta sala endoscopica non ci sarebbero abbastanza medici - fanno sapere dall’Asl - I “gettoni” per surplus di lavoro? Sono finanziati per le necessità nei vari settori, ma con i vincoli orari dei medici servono a poco. E in certi casi non possiamo rivolgerci all’esterno, “acquistando” prestazioni, perché mancano centri privati con tutti i requisiti necessari. Non è facile colmare le lacune di organico per alte specialità: arrivano medici da altre regioni, dopo una lunga trafila burocratica, e appena possibile se ne vanno per avvicinarsi a casa. Comunque, la nuova direzione (Marco Damonte Prioli si è insediato da poco alla guida dell’Asl 1, ndr) ha fissato la riduzione dei tempi d’attesa fra gli obiettivi prioritari, su input dell’assessorato regionale alla sanità. Non sarà subito, ma l’impegno è assicurato». 

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/09/18/edizioni/imperia/oltre-un-anno-di-attesa-per-colonscopie-di-routine-da-eseguire-al-giannoni-fsP9fHJdT6m14EOz46q9LI/pagina.html
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« Risposta #5 inserito:: Ottobre 10, 2016, 11:41:13 am »

“Mi hanno tolto i denti senza alcun motivo”, la denuncia in procura
Le accuse di una paziente al centro Dentalpro per un intervento costato 15.660 euro.
La società si difende: “L’intervento era necessario”


09/10/2016
Massimiliano Peggio
Torino

«Uscendo dal supermercato, mi sono fermata con mio marito a fare una panoramica gratuita ai denti. Pensavo fosse vantaggioso. Subito dopo l’esame, il dottore mi ha detto che dovevo togliere tutti i denti, perché avevo una grave infezione. A sentirlo rimasi molto scioccata e gli chiesi se non fosse possibile salvarli. Mi rispose che al massimo avrei potuto salvarne uno, ma dovevo decidere in fretta, perché era in gioco la mia salute. Così, dopo pochi giorni vissuti in preda all’angoscia, accettai, pagando subito una parcella di 15660 euro. Metà utilizzando i risparmi di famiglia, e metà con un finanziamento in banca. È stato il più grosso errore della mia vita».

È iniziato così, con un check-up gratuito, il calvario della signora Giovanna, 57 anni, che dopo un anno di dolori lancinanti in bocca e 14 chili in meno per l’impossibilità di nutrirsi regolarmente, è stata costretta a rivolgersi ad un nuovo dentista, scoprendo che quelle estrazioni effettuate da un medico nel centro Dentalpro di Collegno, all’ingresso del centro commerciale «La Certosa», sarebbero state ingiustificate. Assistita dall’avvocato Renzo Capelletto, ha presentato un esposto in procura per lesioni gravissime, ravvisando anche altre ipotesi di reati, come ad esempio l’esercizio abusivo della professione, in quanto gli accertamenti radiodiagnostici, a suo dire, sarebbero stati effettuati da un’addetta commerciale. Ipotesi che dovranno essere valutati dalla procura, s’intende.

Ma, stando ai riscontri medicolegali allegati alla denuncia, l’intervento sarebbe consistito in «un’estrazione ingiustificata di 20 denti con la totale mutilazione dell’organo della masticazione». A firmare la consulenza è il dottor Mario Marcellino, un decano dei dentisti torinesi, da sempre in lotta contro «ciarlatani» e «pratiche scorrette». Secondo il medico, che ha preso in carico la paziente, la prima panoramica avrebbe evidenziato «una diffusa recessione ossea orizzontale» sintomo di una «parodontopatia pregressa o in atto e abbastanza in linea con l’età del soggetto». E aggiunge: «In tutta la modulistica non c’è traccia di riscontro diagnostico che giustifichi un intervento così mutilante». Perché allora? «In questi centri dove si accalappiano clienti panoramiche omaggio - dice - l’obiettivo non è la cura ma il business. E “cavare” i denti, per poi inserire una protesi, è più semplice e redditizio che curarli». Ma non è che si teme la concorrenza? «No. La concorrenza la fanno i colleghi dell’est, che hanno costi minori, ma non in questi centri, dove i prezzi sono in linea con i tariffari. Qui il punto è che si fa politica commerciale in campo medico. Paradossalmente, se la signora non avesse avuto problemi di salute, nessuno si sarebbe accorto dell’inutilità dell’intervento».

LA DIFESA 
«Queste accuse - afferma l’avvocato Attilio Zuccarello, legale di Dentalpro - si basano su un parere di parte. Di questo caso ce ne stiamo occupando da mesi, dopo i reclami della signora, e il nostro parere professionale arriva a conclusioni diametralmente opposte. Vorrà dire che un tribunale valuterà le due perizie e si vedrà quale di queste è la più fondata». E aggiunge: «Di una cosa siamo certi: la panoramica è stata fatta da personale medico e non da un’addetta del settore commerciale, che si limita a spiegare il piano di cura. Queste sono illazioni». Anche dalla clinica respingono le accuse: «Per gli esami clinici seguiamo protocolli rigidissimi, inoltre il dentista che ha preso in cura la signora è un professionista in regola, di comprovata esperienza». 

«Siamo sempre a disposizione per risolvere qualunque problema possa sorgere - aggiungono da Dentalpro -. Nello specifico, il nostro dentista segue centinaia di pazienti tutti con piena soddisfazione e Dentalpro oltre 100.000 pazienti a testimonianza della nostra professionalità. Inoltre seguiamo al 100% le leggi e i protocolli di qualità e vigiliamo con grande attenzione, pertanto diffidiamo dall’accusare personale non medico di aver svolto compiti diversi dalle proprie competenze».

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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/09/cronaca/mi-hanno-tolto-i-denti-senza-alcun-motivo-la-denuncia-in-procura-YMR0WRZ2FXF9qEUdt1c6SL/pagina.html
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