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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 228976 volte)
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« Risposta #315 inserito:: Giugno 17, 2014, 05:15:46 pm »

Politica

16/06/2014 - partiti. Le nuove strategie
Berlusconi, il caso Ruby frena le riforme
Venerdì al via l’appello del processo: l’ex premier pronto a mettere da parte gli accordi presi con il Pd

Ugo Magri
Roma

Tutta questa voglia di chiarirsi con Renzi, e di prendere impegni definitivi sulle riforme, l’ex Cavaliere non la sta dimostrando. Anzi, dà la netta impressione di svicolare. Finge di farsi tirare la giacca dai suoi, chi da una parte e chi dall’altra, in modo da apparire combattuto e con questa scusa rinviare ogni appuntamento. 

Prova ne sia che il faccia a faccia risolutivo non è ancora fissato in agenda. Rimane nel limbo delle intenzioni. Tutti sono certi che prima o poi l’incontro avverrà, nessuno sa prevedere quando. Nel frattempo si sono fatti avanti Salvini e Grillo, disponibili a colloquiare con Renzi. Il quale ha urgenza di procedere, esige di sapere chi ci sta. Per cui la domanda è: Silvio che cosa aspetta? Non teme di essere tagliato fuori?

No, a quanto pare non teme affatto. «Se il Pd vuole mettersi nelle mani di Grillo, o appendere alla Lega il destino delle riforme, padronissimo di suicidarsi...», alzano le spalle dalle parti di Arcore. Dove nutrono la matematica certezza che Renzi nelle prossime ore tornerà alla carica con Berlusconi. Il quale, confermano nel «cerchietto magico», non ha la minima fretta di farsi stringere in un angolo. Anzitutto per le ragioni suggerite da Brunetta. Argomenta il capogruppo alla Camera: se devi negoziare un accordo, conviene sederti al tavolo quando la controparte è debole. In questo momento Renzi appare fortissimo. Meglio dunque rinviare il braccio di ferro conclusivo al giorno che avrà perso un po’ di smalto. Accettare adesso sarebbe un insulto alla grammatica politica. Berlusconi dunque sfugge in quanto teme di rimetterci e basta. Darla vinta al «giovanotto» senza qualcosa di veramente forte in cambio (leggi: impegno sul presidenzialismo) significherebbe spaccare Forza Italia e, soprattutto, alimentare l’equivoco tra gli elettori, che considerano lui e Renzi fin troppo in sintonia (se ne sono visti i risultati alle Europee).

Fin qui i calcoli politici. Poi c’è un secondo aspetto che con la politica e, forse, con la razionalità non c’entra un bel nulla perché molto semmai ha a che vedere con la natura degli umani, con i loro sentimenti e pulsioni. Nel caso di Berlusconi, inseparabili dalle sue disgrazie processuali. Venerdì comincia a Milano il processo di appello per Ruby e l’Imputato non parla che di questo. A chiunque lo chiami, regala interminabili sfoghi. Professa la propria innocenza, lamenta i quattro lustri di «persecuzione» ai suoi danni, teme di finire sepolto vivo. In primo grado venne condannato a 7 anni di carcere; se gli venissero confermati, altro che servizi sociali... Il verdetto è questione di settimane. Ma da subito, senza attendere la sentenza, Berlusconi vestirà i panni infamanti dell’imputato per concussione e, soprattutto, per sfruttamento della prostituzione minorile. L’umiliazione è tale che i suoi avvocati nemmeno sanno se il cliente accetterà di presentarsi in aula.

 
In questo stato d’animo, le sorti della riforma costituzionale sono l’ultimo dei suoi pensieri. 

«Riparliamone dopo il processo e dopo la sentenza», è la reazione in parte inevitabile. Dove si coglie una vena di sordo risentimento contro il Pd, contro lo stesso Renzi che in autunno guidò il fronte giustizialista («peggio della Bindi, una specie di Leoluca Orlando», accusa Minzolini), contro le istituzioni ai massimi livelli che non hanno mosso un dito per tirarlo fuori dalle peste. Fa letteralmente impazzire Berlusconi che gli chiedano di comportarsi, fino a giovedì 19 giugno, come un potenziale padre della Terza Repubblica, salvo salire sul banco degli imputati dal 20 giugno in avanti quale sfruttatore di minorenni. Un cortocircuito oggettivo, una tempistica micidiale, una sovrapposizione che, comunque la si voglia giudicare, non aiuta lo sforzo di Renzi. Nessuno avrebbe mai immaginato che il cammino delle riforme si sarebbe arenato contro lo scoglio di Ruby Rubacuori. Ma la realtà batte 3 a 0 la fantasia.

Da - http://lastampa.it/2014/06/16/italia/politica/berlusconi-il-caso-ruby-frena-le-riforme-7ZwBHCWtRJZrCuAJbG5l2O/pagina.html
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« Risposta #316 inserito:: Giugno 25, 2014, 05:35:03 pm »

Politica
25/06/2014 - riforme.

A un passo dal sì
Senato, il governo blinda l’intesa con Fi
Berlusconi benedice l’accordo. I forzisti non porranno problemi

Ugo Magri
Roma

L’accordo con Forza Italia, stavolta, c’è per davvero. Un’ora e mezzo di colloquio tra il ministro Boschi e la delegazione berlusconiana (Matteoli-Verdini) ha sciolto i dubbi residui. Per cui adesso le riforme di Renzi hanno una maggioranza oceanica: sulla carta, ben 280 senatori su 320. Poi, certo, le defezioni non mancheranno tanto nelle file Pd che in quelle berlusconiane. Ma per quanto numerose possano essere, la soglia dei due terzi sembra a portata di mano (in Senato si colloca a quota 214). Insomma, la notizia è che Renzi ha blindato le sue riforme e, forse, non avrà nemmeno bisogno di passare attraverso un referendum confermativo.

A questo punto, con la strada politicamente in discesa, chi se ne importa se la Commissione affari costituzionali in Senato si prenderà qualche ora in più per presentare i sub-emendamenti. Difatti nessuno, nei palazzi romani, si straccia le vesti. Le votazioni cominceranno domani, o magari direttamente la prossima settimana, per approdare in Aula dopo il 15 luglio. Entro il mese verrà approvata in prima lettura. L’unica incognita è rappresentata da Ruby: nel senso che la sentenza del processo di appello a Berlusconi è attesa per il 27 del mese prossimo, e casomai la condanna a 7 anni di carcere venisse confermata potrebbe accadere di tutto. Però al momento l’ex Cavaliere sembra orientato a non mettere bastoni tra le ruote. Anzi, i suoi avvocati gli consigliano caldamente di mostrarsi collaborativo sulle riforme, di tenere un tono alto da statista se vuole coltivare la speranza di un’assoluzione. Si racconta che ieri mattina, parlando al telefono con i suoi, Silvio abbia tagliato corto: «Inutile che mi spieghiate i dettagli della trattativa con il governo, perché tanto dobbiamo dire di sì, punto e basta...». E difatti, poco dopo, l’incontro dei suoi luogotenenti con la Boschi è filato via liscio come l’olio.

Soddisfatto Romani, capogruppo «azzurro» a Palazzo Madama. Ancora più felice Verdini, che da mesi tesse dietro le quinte la tela dell’accordo con il suo compatriota fiorentino. Forza Italia chiede che nel futuro Senato i sindaci non scassino l’equilibrio proporzionale. Suggeriscono di designarli insieme ai rappresentanti delle Regioni, in modo da mantenere un certo bilanciamento tra le forze politiche. Pare che la ministra abbia dato rassicurazioni. Ma in fondo si tratta di dettagli marginali perché l’«impianto resta quello», come fa notare Alfano (e il Nuovo centrodestra lo condivide).

 Non solo Berlusconi dà il via libera, ma si mette a disposizione di Renzi pure sull’immunità: «Noi non porremo problemi», annuncia Romani. Proprio lui, nei giorni scorsi, aveva preso le distanze («sull’immunità ai futuri senatori nutriamo riserve»). Ora invece Forza Italia se ne lava le mani, anche per non apparire in conflitto con il suo profilo garantista. Aggiunge la Bergamini, portavoce berlusconiana: rinunciare all’immunità «equivarrebbe a far vincere l’anti-politica». Va oltre la Santanché, «bisogna ripristinare l’articolo 68 della Costituzione come era una volta», con tanto di autorizzazione per procedere contro i membri del Parlamento.

Perde a questo punto rilievo l’incontro odierno tra Pd e M5S (ore 14,30 in diretta streaming su YouTube). O meglio, conterà soprattutto ai fini della propaganda. Tra l’altro, i grillini arrivano all’appuntamento parecchio mal disposti. Sul blog del loro leader è apparsa una nota dei gruppi parlamentari dove l’intero progetto riformatore viene bollato come una «porcata». E sulla pagina Facebook di Grillo sono stati postati fiumi di insulti volgarissimi, irriferibili, nei confronti della Boschi. 

Da - http://www.lastampa.it/2014/06/25/italia/politica/senato-il-governo-blinda-lintesa-con-fi-9eSEq5lo6lxr1ClDJo5b3L/pagina.html
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« Risposta #317 inserito:: Luglio 11, 2014, 11:55:52 pm »

Politica
11/07/2014

Riforme, stavolta Renzi ha i numeri (ma attento alla voglia di vendette)
Con l’avvicinarsi della sentenza su Ruby, attesa tra 7 giorni esatti, Berlusconi
Si mostra sempre più nervoso. Arriverebbe al punto di far saltare le riforme, casomai i giudici della Corte di appello gli confermassero la condanna?

Ugo Magri
Roma

Renzi ha motivo per essere soddisfatto: l’accordo di ieri sulla composizione del Senato chiude virtualmente i giochi in merito alla riforma. La maggioranza c’è, e pure vasta. Che i dissidenti di destra e di sinistra siano alla fine 20, o 30, o addirittura 40, ai fini pratici cambierà poco perché il premier ha la forza dei numeri dalla sua. Può coltivare addirittura la speranza che, nella seconda lettura richiesta dall’articolo 138, la riforma costituzionale passi in Aula al Senato con il quorum dei due terzi capace di evitargli la scocciatura del referendum. Game over, dunque?

Se ci limitassimo alla sostanza delle riforme, probabilmente sì. Ma la politica, non solo quella nostrana, mescola spesso capra e cavoli. Obbliga le maggioranze e i partiti a conciliare esigenze diverse in una sorta di «suk», dove per vendere un tappeto è necessario comprare un cammello. Lo si è visto ieri in Commissione Affari costituzionali. Ncd e Lega hanno puntato i piedi non solo per far valere le proprie ragioni sulla composizione del Senato, ma anche (e soprattutto) per far intendere che sulla legge elettorale loro non faranno sconti a nessuno, né si faranno mettere in un angolo da Renzi e da Berlusconi.

A proposito di Berlusconi: nelle ultime ore l’uomo è apparso meno risoluto e convinto, dubbioso sui patti che lui stesso ha sottoscritto col premier. Ha ceduto alle richieste di tenere un’assemblea dei gruppi parlamentari martedì mattina, che rappresenta pur sempre un punto di domanda. E con l’avvicinarsi della sentenza su Ruby, attesa tra 7 giorni esatti, l’ex Cavaliere si mostra sempre più nervoso. Arriverebbe al punto di far saltare le riforme, casomai i giudici della Corte di appello gli confermassero la condanna? Probabilmente no, perché gli resterebbe pur sempre la speranza del verdetto ultimo di Cassazione. Oppure sì, in quanto Berlusconi cede talvolta alle sue pulsioni più vendicative (Enrico Letta ne sa qualcosa). Insomma, per ora i conti tornano, e Renzi può dichiararsi soddisfatto. Ma ancora lo aspettano equazioni con parecchie incognite. 

DA - http://lastampa.it/2014/07/11/italia/politica/riforme-stavolta-renzi-ha-i-numeri-ma-attento-alla-voglia-di-vendette-lCen2NHcCCVZtxiaJdX5rJ/pagina.html
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« Risposta #318 inserito:: Luglio 13, 2014, 11:04:16 am »

Politica
09/07/2014
Quando vedremo le riforme?
Rileggere l’art.138 per saperne di più
Attendiamoci il seguente percorso: approvazione del testo in discussione a Palazzo Madama entro la fine di questo mese. Poi, alla ripresa di settembre, nuovo round alla Camera dove, se tutto filerà liscio, a fine ottobre verrà messo il timbro con qualche variazione, magari minima, tale comunque da rendere indispensabile un riesame al Senato. Ed è solo l’inizio...

Ugo Magri
Roma

Alle volte, magari non tutti i giorni, conviene rileggersi la Costituzione. E in particolare l’articolo 138 che fissa le regole per modificarla: tema di cui nei palazzi molto si discute, talvolta purtroppo senza conoscere l’Abc. E cosa si ricava da un diligente ripasso sull’articolo in questione? Anzitutto che cambiare la Carta è come una qualificazione di Champions League, c’è l’andata, c’è il ritorno e conta pure la differenza reti.

Vengono infatti richieste «due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi». Tra Camera e Senato, dunque, almeno 4 letture che, con tutta probabilità, diventeranno 5 perché difficilmente a Montecitorio gli onorevoli deputati si acconceranno a fare da passacarte dei loro colleghi senatori. Per cui attendiamoci il seguente percorso: approvazione del testo in discussione a Palazzo Madama entro la fine di questo mese. Poi, alla ripresa dopo la canicola, nuovo round alla Camera dove, se tutto filerà liscio, a fine ottobre verrà messo il timbro con qualche variazione, magari minima, tale comunque da rendere indispensabile un riesame al Senato. Sottoposti a mille pressioni, i senatori entro novembre metteranno il timbro. E a quel punto scatterà la regola dei 3 mesi: l’inizio dell’anno nuovo per il secondo via libera dei deputati, la primavera per il terzo e definitivo di Palazzo Madama. Fa notare il costituzionalista Stefano Ceccanti: «In quest’ultimo giro le due Camere dovranno limitarsi a un sì o a un no, senza possibilità di apportare emendamenti». Ecco, dunque, il binario sui cui viaggia il trenino delle riforme. Salvo imprevisti, si capisce.

Ad esempio, una bella lite sulla legge elettorale potrebbe complicare i piani del governo. Già, perché tra una lettura e l’altra della riforma costituzionale si affronterà il passaggio finale dell’«Italicum» in Senato, che verrà a maturazione dopo l’estate (sebbene gli ultimi accordi tra Berlusconi e Renzi prevedano che se riprenda l’esame entro fine mese). Se l’impianto venisse stravolto per venire incontro a Grillo, l’ex Cavaliere sarebbe nella condizione di vendicarsi ostacolando le riforme costituzionali al secondo giro…

 Poi c’è la differenza reti, vale a dire le maggioranze parlamentari richieste per cambiare la Costituzione. Torniamo perciò a rileggere cosa sta scritto all’articolo 138: alla prima votazione è sufficiente una maggioranza semplice, come per qualunque altra legge. Invece alla seconda si richiede che sia «assoluta», vale a dire almeno la metà più uno dei componenti. In Senato, dove la situazione è più critica, servono 161 voti, traguardo alla portata. Sennonché poi basterebbero le firme di soli 64 senatori (i grillini più un manipolo di «cani sciolti») per innescare un referendum popolare sulla nuova Costituzione. In alternativa, 500 mila elettori o 5 consigli regionali. Sempre dalla (ri)lettura istruttiva del 138 si apprende che non ci sarebbe modo di disinnescare il referendum con trucchi largamente adottati negli anni recenti, tipo far mancare il quorum, dal momento che nei referendum costituzionali il quorum non esiste: perfino se alle urne si recassero pochi milioni di italiani, quel referendum sarebbe perfettamente valido. Quando si potrebbe eventualmente tenere? Non prima dell’autunno 2015, forse nei primi mesi del 2016. Perché (anche qui soccorre Ceccanti) scatterebbe a quel punto la legge 352 del 1970, che fissa un timing di circa sei mesi relativo ai vari adempimenti referendari. 

L’unico modo per non fare ricorso al popolo, e garantire alla riforma un’immediata attuazione, è indicata dal solito 138. Consiste in una larga approvazione nella seconda lettura, e in entrambi i rami del Parlamento. A Renzi serviranno 421 voti alla Camera e 214 al Senato. Sulla carta, potrebbe farcela grazie a Forza Italia. Purché tra i nostri eroi che siedono in Parlamento non s’insinui il terrore di essere tutti quanti mandati a casa, con nuove elezioni, subito dopo il varo della Carta riformata. Per cui, immaginando come vanno le cose, già tutti danno per scontato che il quorum dei due terzi non verrà raggiunto, e gli onorevoli si prolungheranno la vita fino al 2017. Nella segreta speranza di maturare i 4 anni, 6 mesi e un giorno che darebbero loro diritto alla pensione. 

Da - http://lastampa.it/2014/07/09/italia/politica/quando-vedremo-le-riforme-rileggere-lart-per-saperne-di-pi-JUDZHEQtsa0So6U35bc3AM/pagina.html
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« Risposta #319 inserito:: Luglio 13, 2014, 11:18:52 am »

Politica
10/07/2014 - Forza Italia. Le liti interne
Il disagio di Marina, testimonial involontaria dalla Pascale
La primogenita di Berlusconi: “Inutile dividere il partito sui gay”

Ugo Magri
Roma

Forza Italia è un Maracanà. In preda al delirio. Adunanze di deputati e senatori prima convocate, poi disdette, infine riconvocate da Berlusconi, costretto a esercitare la sua leadership per mettere un briciolo di ordine nel caos. Siamo al punto che Gasparri, il quale tante ne ha vissute nella sua carriera, ieri sera esclamava scandalizzato: «Mo’ basta, altrimenti qui sembriamo come il Brasile...». Già, perché tra i dirigenti regna la discordia.

Uno fa e l’altro disfa. Romani, capogruppo a Palazzo Madama, per giorni aveva resistito alle pressioni dei «peones» guidati da Minzolini (ma il grosso della truppa è pilotata da Fitto) che vorrebbero rimettere in discussione gli accordi con Renzi sulle riforme, in particolare quella che secondo loro trasformerebbe il Senato in un cimitero di elefanti. Quando però gli hanno sventolato davanti 24 firme di altrettanti senatori che chiedevano un’assemblea, come ai tempi del Sessantotto, e per timore di diventare parafulmine della protesta, Romani ha detto «okay, facciamola». Con Berlusconi presente. Alle 10 di giovedì, cioè oggi. Solo senatori e senza i deputati. Dunque senza Brunetta, che è il vero stratega della resistenza anti-renziana.

E cosa ha fatto allora Brunetta? Ha convocato a sua volta i deputati. Mezz’ora prima dei senatori. Quelli di là e loro di qua. Una situazione assurda, inconcepibile. Ma la mossa è stata vincente. Perché l’ex Cavaliere verso sera ha ripreso in mano lo scettro e d’imperio ha cancellato entrambe le riunioni per tenerne una congiunta martedì prossimo, ore 10. Proprio come desiderava il capogruppo alla Camera. L’impianto delle riforme non verrà stravolto poichè «Roma locuta causa finita» come dicevano gli antichi: la decisione del Capo è presa e non si torna indietro. Però verrà meglio modulata, come anticipa il consigliere berlusconiano Toti, l’opposizione al governo, che sarà più tosta di quanto sia apparsa fin qui.

A sera, dopo avere imposto il coprifuoco, Berlusconi è andato a presenziare una cena di raccolta fondi allestita dalla fedelissima Rossi, con gli ospiti che hanno sborsato (tramite preventivo bonifico) mille euro a capoccia. Accanto a Silvio, una Pascale raggiante per l’eco della sua campagna pro-gay: altro motivo di tensione tra le file «azzurre» e un po’ anche in famiglia. Dove parlare di irritazione forse è troppo, poiché affetto e stima per Francesca non sono certo venuti meno. Però Marina Berlusconi non ha fatto i salti di gioia nel sentirsi chiamata in causa dalla fidanzata di papà. È vero, pure lei condivide le ragioni delle coppie «omo»; ma quale bisogno c’era (questo si domanda Marina) che la Pascale spiattellasse una confidenza privata a mezzo stampa?

Tra l’altro, in un contesto alquanto sboccato di polemiche con la Bonev, con Santanchè, con tutti quanti dentro Forza Italia coltivano un’idea diversa... Pure su questo la figlia maggiore di Berlusconi nutre riserve: non le sembra il momento adatto per aggiungere nuove tensioni dentro un partito già così litigioso. I diritti gay sono una grande questione di civiltà «che tuttavia lacera il centrodestra, di sicuro non lo compatta». Non a caso Marina ha sempre evitato di esporsi sull’argomento. E il giorno in cui ritenesse giusto uscire allo scoperto, vi provvederebbe in prima persona, senza limitarsi a fare da testimonial per la battaglia della Pascale. Tantomeno Marina gradisce che Francesca l’abbia invocata quale futuro leader del centro-destra. La circostanza è stata più volte esclusa, «con preghiera di non insistere. Tra l’altro il capo c’è», obietta la presidente di Mondadori, «e di nome fa Silvio». Per cui non si comprende qualche motivo ci sia di tener vivo il tema della successione...

Da - http://lastampa.it/2014/07/10/italia/politica/il-disagio-di-marina-testimonial-involontaria-dalla-pascale-1mdPbOFMp66PzR3GeKCAAP/pagina.html
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« Risposta #320 inserito:: Agosto 30, 2014, 09:47:06 am »

Alfaniani sulle barricate. “Questa riforma sbilanciata ci dà in pasto a Berlusconi”

28/08/2014

Ugo Magri
ROMA

Il dramma della giustizia, e di Renzi alle prese con la sua riforma, è che i possibili interventi sono tutti etichettati. Vent’anni di «guerra civile» hanno profondamente falsato il metro di giudizio. Cosicché le intercettazioni sono considerate un tema di Forza Italia, laddove il falso in bilancio passa per un cavallo del Pd; idem la battaglia contro i tempi troppo brevi della prescrizione, mentre la responsabilità civile dei magistrati risulta una bandiera del centrodestra... Cosa non esatta perché c’è modo e modo. Il testo messo a punto dal ministro Orlando, per dire, è un piccolo capolavoro di acrobazia, chi ha la pazienza di leggerlo non ci troverà nulla di berlusconiano (e nemmeno di anti). Però, ahilui, è con queste deformazioni che il premier dovrà fare i conti nella giornata odierna, per decidere cosa portare nel Consiglio dei ministri di domani e dove invece soprassedere.

Il dilemma si pone in quanto gli alfaniani sono parecchio agitati. Ieri mattina, quando Orlando ha riunito in Via Arenula la maggioranza per spiegare gli intendimenti sul terreno penale, l’imbarazzo dei rappresentanti Ncd si tagliava a fette. Da una parte volevano mostrarsi cordiali. Dall’altra non facevano nulla per nascondere il disaccordo sui tempi lunghissimi «anzi eterni» delle future prescrizioni, sui ricorsi in Appello e in Cassazione che il ministro vorrebbe frenare (perché a furia di ricorrere non si finisce mai) e invece, secondo Ncd, «così si rischia di limitare i diritti dell’imputato». Oggi Alfano riunirà i vertici del partito con l’intenzione di mettere dei paletti. Alza la voce Quagliariello: «Ci sono questioni non negoziabili in quanto fanno parte della civiltà giuridica». 

Ed è qui che scatta, perverso, il gioco delle etichette: uno sbilanciamento vero o presunto a sinistra esporrebbe Ncd agli attacchi dei «berluscones», alle solite accuse di tradimento, insomma a tutto il repertorio degli insulti che Forza Italia scaglia contro i fratelli separati. Diverso sarebbe se Renzi spingesse avanti la riforma delle intercettazioni, o quella del Csm: in quel caso da destra nessuno potrebbe obiettare.

Ma la legge sulle intercettazioni è ancora in cantiere. L’altra sul Csm si trova anch’essa in stand-by per un giusto scrupolo istituzionale segnalato dal Colle (l’organo di autogoverno dei giudici dev’essere rieletto). Se Renzi decidesse di procedere infischiandosene di tutto ciò, Alfano finirebbe in pasto al Caimano. Affamatissimo. Narrano che Berlusconi non abbia preso bene le anticipazioni della riforma. Chi è con lui ad Arcore lo racconta «preoccupato». Lui pensava che il premier volesse limitarsi a un decreto per smaltire l’arretrato civile. Invece Caliendo e Chiarelli (cioè la delegazione che nel pomeriggio è andata da Orlando) gli ha dipinto un quadro a tinte fosche: «Questa riforma della giustizia è una regressione di 30 anni», «un danno per il sistema», anzi «il peggio del peggio del peggio...». Cosicché l’ex Cavaliere ha deciso di vederci chiaro. Telefonata a Verdini, ambasciatore accreditato presso il premier, con la «mission» di sondare le intenzioni del «giovanotto» (Matteo) e di fargli presente che così non va.


Si ipotizza a breve un faccia a faccia tra Renzi e Orlando per decidere se approvare domani sera il disegno di legge su prescrizioni e falso in bilancio, oppure rinviarlo prudentemente a settembre. Il questo secondo caso, Grillo accuserebbe il premier di connivenza col condannato (non vede l’ora di rinfacciarglielo). Nel primo, invece, si aprirebbe una crepa nella maggioranza. Inoltre Berlusconi farebbe fatica a trattenere i suoi che scalpitano e mal sopportano la disciplina imposta dal Patto del Nazareno.

Il puzzle si scioglierà entro le 18 di stasera. Per quell’ora è convocata a Palazzo Chigi una riunione preparatoria del Consiglio di domani. I provvedimenti che Orlando è pronto a scodellare sono sette. Vedremo quanti ne arriveranno sul tavolo del governo, e se qualcuno si perderà per strada.

Da - http://lastampa.it/2014/08/28/italia/politica/alfaniani-sulle-barricate-questa-riforma-sbilanciata-ci-d-in-pasto-a-berlusconi-Pxlf9dcyS2GKJUtUB0ZADN/pagina.html
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« Risposta #321 inserito:: Ottobre 19, 2014, 05:10:38 pm »

Consulta, dal Colle nomine equilibrate

18/10/2014
Ugo Magri

Napolitano ha scelto, per la Consulta, due professori su cui c’è veramente poco da obiettare. Una, Daria De Pretis, è rettore a Trento e stimata amministrativista. L’altro, Nicolò Zanon, insegna diritto costituzionale ed è stato membro «laico» del Csm. La prima è culturalmente orientata a sinistra, il secondo risulta più attento alle ragioni nobili della destra. Nell’ottica istituzionale, l’equilibrio è perfettamente garantito. E proprio perché le nomine presidenziali non possono essere accusate di favorire questo o quello, viene meno anche una delle ragioni per cui parte del Parlamento faceva «ammuina» sulle altre due nomine di sua pertinenza: cioè menava il can per l’aia in attesa di vedere come si sarebbe regolato il Colle. 

Non a caso il Quirinale ora sollecita le Camere a fare la propria parte: dopo venti inutili votazioni, è venuto meno ogni possibile alibi. E la determinazione di Napolitano contiene un implicito avvertimento: faccia molta attenzione chi, profittando del voto segreto, mette a repentaglio la piena funzionalità di un organismo costituzionale. Di questo passo, il Parlamento verrebbe a dimostrarsi ingovernabile, e getterebbe le premesse della propria dissoluzione... 

Da - http://www.lastampa.it/2014/10/18/italia/politica/consulta-dal-colle-nomine-equilibrate-RsUbbrW6LfmRv1b6s07fKP/pagina.html
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« Risposta #322 inserito:: Novembre 15, 2014, 05:55:26 pm »

Renzi-Berlusconi, accordo a metà
Nota congiunta: “L’intesa è più solida che mai”.
Ma restano le divergenze su sbarramento e premio alla lista
13/11/2014

Ugo Magri
Roma

Solo nella patria di Machiavelli può accadere che due leader si dichiarino in disaccordo su altrettanti punti chiave della riforma elettorale, salvo sostenere poi che il loro patto non è mai stato così forte. L’incontro tra Renzi e Berlusconi si è concluso con un comunicato congiunto dove viene argomentato proprio questo paradosso. Per cui viene da domandarsi come ciò sia possibile ed, eventualmente, che cosa si nasconda dietro.

Chi è bene al corrente del colloquio garantisce che davvero quei due sono andati per un’ora e mezzo d’amore e d’accordo. È stato tutto uno scambio di complimenti battute e perfino smancerie. Mai un passaggio scabroso, nemmeno quando si è arrivati a trattare i motivi del dissenso: il premio di maggioranza alla lista anziché alla coalizione (è Renzi che insiste per ottenerlo), la soglia di sbarramento per i «nanetti» al 5 per cento e non al 3 (pretesa come contraccambio da Berlusconi). Tanto Silvio quanto Matteo hanno stabilito che il nodo si scioglierà con calma strada facendo, durante l’iter dell’«Italicum» in Senato che riprenderà il 18 novembre. Straordinaria acrobazia nel comunicato finale: «Le differenze registrate sulla soglia minima di ingresso e sulla attribuzione del premio di maggioranza alla lista, anziché alla coalizione, non impediscono di considerare positivo il lavoro fin qui svolto e di concludere i lavori in aula entro il mese di dicembre e la riforma costituzionale entro gennaio 2015». Non impediscono, okay, ma con i voti di chi?

Al momento non con quelli di Forza Italia che, sui punti in dissenso sembra orientata ad astenersi (e in Senato l’astensione vale voto contrario). Renzi dunque dovrà far leva sulla sua maggioranza, senza «soccorso azzurro». Lui pensa di farcela, i berlusconiani scommettono di no. Possiamo dunque immaginarci il premier e Berlusconi come due giocatori di poker, uno che sostiene di avere le carte vincenti e l’altro che lo sfida: «Vediamo». Però circola un’altra interpretazione: i due non hanno chiarito perché a entrambi fa comodo lasciare per ora dei punti in sospeso. Dimodoché Renzi possa sorridere ad Alfano: «Nonostante il pressing di Forza Italia non ho alzato le soglie, e dunque voi piccoletti mi dovete la pelle». Berlusconi, dal canto suo, può tener buoni Brunetta, Fitto, Romani e Toti (li ha visti tutti quanti ieri sera a cena) con la favola dell’accanita resistenza opposta al premier, il quale voleva imporgli una soglia del 3 per cento e lui non ha ceduto... Salvo che all’ultimo momento, zac, spunterà fuori un numero intermedio, il 4 ad esempio, capace di scontentare tutti e calare il sipario sulla vicenda.

Ma questi tecnicismi non sono il nocciolo vero. La sostanza è che l’ex Cavaliere, spalleggiato da Verdini, darebbe un dito pur di non essere tagliato fuori dai giochi e in particolare dalle scelte del dopo-Napolitano, rimaste sullo sfondo del colloquio. Al punto da sottoscrivere un comunicato entusiasta dove Renzi viene autorizzato a procedere, sui punti di dissenso, fuori dai famosi patti del Nazareno. Berlusconi è come se dicesse al premier: io non sono granché d’accordo ma tu fai pure, non c’è problema. Si sfoga al telefono un esponente «azzurro» di primo piano, a patto di restare anonimo: «È come se io dicessi: sì, mia moglie mi tradisce, però non ho nulla da obiettare e anzi il nostro matrimonio non è mai stato così saldo...».

Da - http://www.lastampa.it/2014/11/13/italia/politica/renziberlusconi-accordo-a-met-WZrBdNMVajthFbxXqRPbUO/pagina.html
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« Risposta #323 inserito:: Dicembre 07, 2014, 05:51:28 pm »

Tre motivi per cui “il sacco di Roma” fa male all’Italia
Danni agli investimenti internazionali, disaffezione alla politica e sostegno indiretto alle ragioni della politica più intransigente.
05/12/2014

UGO MAGRI
ROMA

Il nuovo «sacco di Roma» non sarà privo di conseguenze politiche. Alcune si possono prevedere già, anche senza bisogno della sfera di cristallo. 
 
1) La capitale d’Italia in mano alla mafia, sia pure una mafia molto «sui generis», non ci aiuta in generale. Si rafforzerà nel mondo l’idea - non del tutto infondata - che darci finanziariamente una mano sia inutile e anzi dannoso perché servirebbe solo a sostenere il malaffare. In particolare, quando ci sarà da chiedere soccorsi all’Europa per i rifugiati politici e per i Rom, sarà più difficile ottenere ascolto: visto l’uso che dei fondi comunitari è stato fatto dalla premiata ditta Carminati & C., ogni richiesta italiana verrà accolta con un surplus di scetticismo e di diffidenza.
 
2) Chi ci sguazza è soprattutto la Lega. Per Salvini, questo rigurgito di «Roma ladrona» vale mille campagne promozionali, è quanto di meglio avrebbe potuto desiderare. Secondo autorevoli sondaggisti, aspettiamoci che i «padani» ne ricevano ulteriore slancio, a spese soprattutto di Forza Italia. Il partito di Berlusconi c’entra abbastanza poco con Alemanno, la cui storia politica è tutta diversa; eppure, nell’immaginario collettivo, Alemanno è stato un sindaco berlusconiano a tutti gli effetti. Il Cavaliere ne pagherà politicamente il conto. 
 
3) Neppure il PD ci fa buona figura. L’intreccio di relazioni con l’altro boss della «cupola» Buzzi è stato tale da giustificare il commissariamento immediato disposto da Renzi. Probabile che la pentola scoperchiata dai magistrati aumenti il disgusto di molti elettori, che già alle recenti elezioni in Emilia Romagna non si sono mostrati entusiasti di votare per questi partiti. L’idea di una corruzione così estesa e così profondamente radicata avrà quale inevitabile conseguenza un maggior tasso di disaffezione già dalle Regionali della prossima primavera. Attendiamo un grande flop di partecipazione.

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/05/italia/politica/tre-motivi-per-cui-il-sacco-di-roma-fa-male-allitalia-K9n9Cfh4A8QnXVS8XCfiIN/pagina.html
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« Risposta #324 inserito:: Dicembre 09, 2014, 03:09:42 pm »

Renzi, il Colle e il contrappasso generazionale
Il premier sarà obbligato a designare un personaggio tra coloro che avrebbe voluto “rottamare”.
Ecco perché non muore dalla fretta di affrontare la questione

09/12/2014
Ugo Magri

Di cambiare l’inquilino del Colle, Renzi non avvertiva alcun bisogno. Avrebbe sicuramente preferito trattenere Napolitano per almeno altri sei mesi, fino all’estate prossima, senza doversi porre il tema della successione adesso. Nella mente del premier ci sono altre priorità. E comunque, l’elezione presidenziale si presenta per lui come un appuntamento non privo di trappole. La più insidiosa per certi versi Renzi se l’è fabbricata da se medesimo e consiste nel «paradosso generazionale». 

Per effetto di tale paradosso, il premier sarà obbligato a designare un personaggio tra quanti egli avrebbe voluto «rottamare». E che ha tentato politicamente di mettere in un cantone. È una banale questione anagrafica. Renzi non ha ancora varcato i quaranta, li passerà a gennaio. La nostra Costituzione stabilisce che per la più alta magistratura della Repubblica l’età minima sia di anni 50. In teoria il prescelto (o la prescelta) potrebbe avere appena superato quella soglia. Ma l’esperienza insegna che di solito non funziona così. Il più giovane Capo dello Stato fu Cossiga: quando venne eletto aveva 56 anni. E comunque la media dei nove Presidenti dal 1948 a oggi è parecchio più elevata, diciamo che si colloca a quota 72.

A Renzi come Presidente potrebbe capitare un nonno, più facilmente un genitore. Cioè un esponente della generazione che ha vissuto il Sessantotto e che è cresciuta nei chiaroscuri della Prima Repubblica, dal suo punto di vista autentici brontosauri. Ben che gli vada, sempre per effetto delle regole costituzionali, per il giovanissimo premier il successore di Napolitano può rappresentare un fratello maggiore o una sorella con 15 anni di più che, quando Matteo andava in triciclo, usciva già col suo fidanzato... Insomma, questa legge del contrappasso generazionale aiuta a capire come mai Renzi non muoia dalla fretta di affrontare la partita del Colle, e perché sono così pochi i nomi su cui potrebbe puntare. 

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/09/italia/politica/renzi-il-colle-e-il-contrappasso-generazionale-pGZ7vMnH4370BXINzKi1wM/pagina.html
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« Risposta #325 inserito:: Gennaio 05, 2015, 05:14:41 pm »

Napolitano, saluto agli italiani con un discorso di ottimismo
Questa sera in diretta tv e internet il congedo del presidente della Repubblica. Parlerà dei mali nazionali e dei rimedi, oltre che delle sue imminenti dimissioni

31/12/2014
Ugo Magri
Roma

Alle 20,30 di stasera, via internet e su tutte le reti tivù nazionali, andrà in onda il nono messaggio agli italiani di Giorgio Napolitano. Sarà anche il suo secondo e stavolta definitivo congedo. Il primo porta la data del 31 dicembre 2012, quando il mandato ormai volgeva al termine e (allora come oggi) tra i partiti già impazzava il toto-Quirinale. Nulla in quel momento faceva presagire un bis di fatica per l’anziano presidente che aveva già compiuto 87 anni e sperava di dedicare più tempo a se stesso, alla famiglia, alle amate letture. Nell’occasione Napolitano rivendicò di aver svolto il proprio compito «con scrupolo, dedizione e rigore». Ringraziò «dal profondo del cuore» tutti quanti gli avevano fatto sentire il loro affetto e il loro sostegno. E su quelle parole sembrava dovesse calare il sipario. Invece un supplemento di fatica gli fu imposto dalla paralisi del dopo-elezioni. Cosicché alla vigilia del nuovo addio vale la pena di andarsi a rileggere che cosa puntualizzò 12 mesi dopo Napolitano, quando ritornò in video a San Silvestro 2013. «Resterò presidente», specificò, «fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e possibile, e fino a quando le forze me lo consentiranno». Con una precisazione ulteriore: «Fino ad allora e non un giorno di più; e dunque di certo solo per un tempo non lungo».

Quel tempo è agli sgoccioli. Due settimane fa Napolitano, rivolgendosi alle alte cariche della Repubblica, aveva annunciato una «conclusione imminente». Stasera ne spiegherà i termini agli italiani, questo è inevitabile, ma non è detto che indichi pure la data esatta che porterà la lettera di dimissioni indirizzata alla presidente della Camera Boldrini: ci sono controindicazioni di prudenza e anche un po’ di scaramanzia. D’altra parte le intenzioni di Napolitano sono chiare, cosicché dal 13 gennaio in avanti, non appena Renzi avrà pronunciato davanti al Parlamento di Strasburgo il discorso conclusivo del semestre italiano di presidenza Ue, ogni giorno potrà essere anche l’ultimo del mandato.

Altra facile scommessa: il tono del messaggio sarà ispirato alla fiducia nel futuro e, pur nelle difficoltà, all’ottimismo della ragione. Per usare una metafora d’attualità, Napolitano non è un comandante che abbandona la nave nel mezzo della tempesta (e l’ha dimostrato). Se ritiene di potersene andare non è solo per limiti di età ma perché l’orizzonte promette bene, o in ogni caso ci sono istituzioni sufficientemente solide con un governo e una maggioranza in grado di camminare sulle proprie gambe, senza il puntello quirinalizio. La fase dei governi presidenziali si è conclusa quasi un anno fa, ora a Palazzo Chigi c’è un premier attivo e ambizioso, che vuole agire di testa sua.

Si prevede che il saluto durerà una ventina di minuti e conterrà una franca elencazione dei mali italiani, nonché dei possibili rimedi, comprese alcune proposte. Napolitano ci ha lavorato tutto il pomeriggio di ieri e proseguirà in giornata. Sarà il rendiconto di una lunga stagione incominciata in un’Italia che, nel 2006, era molto diversa. A Palazzo Chigi c’era Prodi, Berlusconi aveva appena perso le elezioni per una manciata di voti, la politica era spaccata in due blocchi, non esistevano i grillini e, soprattutto, la crisi economica non sembrava così nera... 

Come due anni fa, i pacchi con la corrispondenza privata di Napolitano sono già pronti per essere traslocati in parte nell’abitazione di via dei Serpenti, dove da presidente emerito tornerà a vivere con la moglie Cloe, e il resto nello studio a Palazzo Giustiniani, giusto di fronte alle stanze che ospitano Carlo Azeglio Ciampi, il suo predecessore. 

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/31/italia/politica/napolitano-saluto-agli-italiani-con-un-discorso-di-ottimismo-gK4qWuogtHZAjOOGCDYSxK/pagina.html
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« Risposta #326 inserito:: Gennaio 30, 2015, 05:33:55 pm »

Dopo il soccorso azzurro a Renzi sulle riforme, Berlusconi tenta di passare all’incasso sul Colle

28/01/2015
Ugo Magri

Ci sono affermazioni che, per senso di opportunità, alle volte sarebbe meglio evitare. Per esempio, certi esponenti del governo e del Pd hanno festeggiato ieri il varo della legge elettorale in Senato sostenendo che la maggioranza è bastata a se stessa, l’apporto del centrodestra non è risultato determinante. Vero, ma perché sottolinearlo? Per far credere che da domani, quando si voterà per il Presidente della Repubblica, l’ex Cavaliere non sarà determinante? In realtà sull’«Italicum» i voti di Forza Italia sono stati essenziali almeno in un paio di passaggi. E perfino ieri, quando non ce ne sarebbe stato bisogno, la maggioranza è risultata tale per appena 3 voti. Ma con 3 voti di vantaggio non si governa: ne sa qualcosa Prodi, che tra il 2006 e il 2008 aveva un margine di 7 voti in Senato, ma non gli evitarono una lunga agonia politica.

Questo per dire che Renzi è tuttora il «dominus», colui che dà le carte per effetto della sua grande popolarità. Ma sul piano dei numeri in Parlamento deve stare attento, molto attento, tanto nelle votazioni per il Colle quanto nel day-by-day dell’attività di governo. Berlusconi conosce questa fragilità di Renzi. Gli si è avvicinato sperando di sfruttarla a proprio vantaggio in modo da poter dire al mondo: «Mi credevate fuori dei giochi, e invece eccomi qua, più centrale che mai». A questa sua centralità imposta dai numeri in Parlamento il Cav non intende rinunciare. Dopo aver concesso aiuti e sostegni, addirittura sostituendosi alla sinistra Pd e concedendo il via libera a una legge elettorale che penalizza il centrodestra sotto diversi aspetti, ora l’uomo punta all’incasso. Vuole pesare sul nuovo Capo dello Stato. E, se si dà credito al suo mondo, pretende che di essere ascoltato.

Ecco perché il colloquio odierno tra Renzi e Berlusconi non si annuncia facile. Testardo il primo e determinato il secondo. Pare che il premier voglia convincere l’interlocutore a farsi piacere Sergio Mattarella, uomo politico e giurista di provenienza cattolica, con un fratello (Piersanti) eroe dell’antimafia. Ma al Cavaliere Mattarella non va giù. Lo considera figlio di una tradizione politica a lui molto ostile. Lo paragona idealmente a Oscar Luigi Scalfaro, autentica «bestia nera». Pensa (e come lui la vedono i negoziatori Verdini e Gianni Letta) che stavolta il «ragazzo» Renzi stia un po’ esagerando. Forte dei numeri che lo rendono partner necessario, Berlusconi pretende dal premier un segno tangibile di riconoscenza, contrappone a Mattarella un Amato o un Casini. Il patto stretto con Alfano restringe ulteriormente a Renzi i margini di manovra. Insomma, oggi il nodo viene al pettine. Qualunque esito appare possibile, tanto un’intesa quanto una clamorosa rottura. 

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/28/italia/speciali/elezione-presidente-repubblica-2015/dopo-il-soccorso-azzurro-a-renzi-sulle-riforme-berlusconi-tenta-di-passare-allincasso-sul-colle-kNj4HGeawtj4LSkmjLDjJP/pagina.html
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« Risposta #327 inserito:: Febbraio 20, 2015, 04:40:50 pm »

Ascolto e cortesia, il Mattarella-Style spiazza i politici
Al termine dell’incontro Brunetta si è mostrato soddisfattissimo, scommettendo che Mattarella farà tutto quanto è nelle sue possibilità per rimettere le cose a posto. Cambio di passo anche con Grillo: gettate le basi per un dialogo costruttivo

17/02/2015
Ugo Magri

Che cosa farà in concreto Mattarella, quali atti politici metterà in cantiere per ristabilire un clima di dialogo nel Parlamento sulle riforme, è prematuro azzardarlo. «It takes two to tango», per ballare bisogna essere in due, dicono a ragione gli anglosassoni, e in questo caso per andare d’accordo c’è bisogno non solo della mediazione quirinalizia, ma soprattutto di buona volontà da parte dei duellanti, che al momento non abbonda. In attesa di farci scoprire le sue intenzioni, tuttavia, il neo Presidente sta dando prova di una attenta disposizione d’animo nei confronti delle opposizioni. 

Gli incontri di stamane al Colle (il primo con la delegazione di Forza Italia, l’altro con Sel) seguono di pochi giorni le richieste dei due partiti, dunque sono entrati nell’agenda presidenziale con una certa sollecitudine. Di fronte al Capo dello Stato, Brunetta ha potuto illustrare le sue preoccupazioni circa i rischi che corre la Repubblica nel caso si sommino insieme monocameralismo e sistema elettorale ultra-maggioritario: tesi che il capogruppo ha sempre sostenuto con coerenza, va detto, perfino quando il suo leader di riferimento sosteneva l’esatto contrario. Alla fine del colloquio Brunetta si è mostrato soddisfattissimo, scommettendo che Mattarella farà tutto quanto è nelle sue possibilità per rimettere le cose a posto.

Ma il vero cambio di passo va registrato nei confronti dei Cinque Stelle. La cortese risposta epistolare a Grillo, il quale si era rivolto al Presidente con altrettanto garbo istituzionale, getta le basi per un incontro cordiale tra i due e, quel che più conta, per un dialogo non effimero con l’opposizione fin qui più irriducibile. Pure in questo caso, siamo solo al «carissimo amico. Sufficiente però a segnalare che, forse, Mattarella riserverà delle sorprese. Agli amici e anche a chi non aveva puntato su di lui.

Da - http://www.lastampa.it/2015/02/17/italia/politica/ascolto-e-cortesia-il-mattarellastyle-spiazza-i-politici-GUHWhmwpVzlU3PG86AKSZL/pagina.html
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« Risposta #328 inserito:: Giugno 27, 2015, 10:35:32 am »

A Venezia un test per Renzi, ma il vero timore è Roma
Sulla Capitale l’ombra di nuovi arresti che porterebbero al voto anticipato
Matteo Renzi ha incassato una vittoria per 5-2 alle Regionali

14/06/2015
Ugo Magri
Roma

La fortuna di Renzi è che il candidato sindaco del Pd a Venezia si chiama Casson: un esponente della minoranza interna sempre in conflitto col leader e pronta a rinfacciargli qualunque passo falso. Per cui stasera, casomai la bandiera della sinistra venisse ammainata in Laguna e vincesse il campione del centrodestra Brugnaro, Renzi non faticherà a trovare gli argomenti per rivoltare la frittata. Dirà di prendersela con quei veneziani che nelle primarie hanno bocciato i suoi candidati. Né gli avversari interni avranno troppa voglia di addossargli la colpa. In questo senso Casson rappresenta per il premier una polizza di assicurazione. Dopodiché, se l’ex pm riuscirà a spuntarla nel ballottaggio, pure Renzi ne ricaverà vantaggi.

L’impatto del test 
Con il Pd che mantiene Venezia, Renzi potrà sostenere con più argomenti che questa tornata amministrativa è stata (Liguria a parte) un successo. Poco importa che cosa accadrà a Rovigo, o a Chieti, oppure a Matera, insomma negli altri 11 capoluoghi di provincia dove oggi si vota (2 milioni 160 mila gli aventi diritto): Venezia ha ben altro peso. Con tutto quanto sta accadendo sull’immigrazione, con le opposizioni scatenate che ormai si scambiano tra loro gli argomenti, Grillo usa quelli di Salvini e Brunetta gli stessi di Di Maio, una vittoria nella città del Mose avrebbe per il governo un segno rassicurante. Darebbe la sensazione di un timoniere che nella burrasca tiene la barra dritta. In caso contrario, beh, sai che risate si farebbero i gufi... Direbbero che Renzi non possiede antidoti contro gli anti-sistema, nei migranti e nella sicurezza ha il suo tallone d’Achille, il famoso 40 per cento delle Europee è un ricordo sbiadito e, con esso, pure la capacità di controllare le spinte centrifughe destinate a crescere in Parlamento. Con ansia il Pd comincerebbe a considerare le Comunali 2016, quando andranno alle urne città come Milano, Torino, Napoli: quel voto potrebbe diventare un calvario. Figurarsi poi se alle città contese dovesse aggiungersi Roma, magari sull’onda della questione morale.

Scommessa Capitale 
La soluzione immaginata da Renzi pare al momento funzionare: il sindaco Marino ha sostanzialmente accettato un «tutor» nella figura del prefetto Gabrielli, che cercherà di aiutarlo nel Giubileo («coordinamento istituzionale» lo definisce pudicamente Orfini). L’obiettivo è di spostare per quanto possibile l’attenzione dal primo cittadino, senza arrivare alle maniere forti del commissariamento. Resta tuttavia l’incognita rappresentata da Mafia capitale. Si vocifera di una terza tranche dell’inchiesta, dagli esiti che al momento nessuno è in grado di prevedere. Con il rischio che tutti i calcoli di oggi possano rivelarsi sbagliati. E Roma rotoli verso le urne nel peggiore dei modi.

Da - http://www.lastampa.it/2015/06/14/italia/politica/a-venezia-un-test-per-renzi-ma-il-vero-timore-roma-t3CZ82q5wO6t4X2rnmGsPN/pagina.html
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« Risposta #329 inserito:: Aprile 16, 2016, 05:38:52 pm »

Referendum: un paio di dritte per chi vota (e per chi non vota)

ANSA
16/04/2016
Ugo Magri

Molti dei 50.786.340 elettori sanno già come regolarsi e non hanno bisogno di consigli. Ma ce ne sono altri (un bel po’) che si stanno ponendo in queste ore il problema: andare o non andare alle urne? Accanto alle mille motivazioni più serie e profonde ce ne sono altre, meno nobili, che possono aiutare i dubbiosi nella decisione. Tipo che tempo farà domani; o come sapere in anticipo se il loro voto potrà essere decisivo. Ecco un paio di dritte a riguardo.

Il trucco degli orari 
I risultati si sapranno alla chiusura dei seggi, dalle ore 23 in poi. Ma l’aria che tira si capirà molto prima, già a mezzogiorno. Per quell’ora il Viminale ha promesso che pubblicherà i primi dati sull’affluenza. Le comparazioni col passato indicano che, sotto il 10 per cento, molto difficilmente il quorum verrà raggiunto, ci vorrebbe un miracolo. Sopra quota 10, invece, a sentire gli esperti ci sarebbe una chance. Per cui chi vuole scomodarsi o meno in base all’affluenza si colleghi dopo le ore 12 al sito elezioni.interno.it, dove la «primizia» comparirà in tempo reale. Ps: se è vero che l’affluenza di mezzogiorno può invogliare un po’ di gente (o il contrario), il consiglio a chi sostiene la causa no-triv è di alzarsi presto, nonostante la domenica sia una fatica, e di recarsi al seggio quanto prima, in modo da far scattare alle 12 una percentuale più interessante.

 Che tempo farà 
C’è chi magari, tutto sommato, a votare ci andrebbe, però dentro di sé non trova motivazioni così forti e dunque si affida al meteo: se c’è il sole va al mare o fuori città, se invece piove magari un salto al seggio lo fa. Ecco, questi dubbiosi sappiano che domani il tempo sarà così così. Pioggia e temporali nel Nord Ovest, «nuvole sparse» (è l’esatta dizione) in tutto il resto della Penisola, con tendenza al bello dopo pranzo. Una scampagnata fuori porta sarà possibile, anche se Renzi probabilmente avrebbe gradito di meglio, un anticipo dell’estate. Diciamo che il tempo sarà «super partes», non con il premier ma nemmeno con l’opposizione.
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