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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229066 volte)
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« Risposta #285 inserito:: Settembre 06, 2013, 09:21:51 am »

Politica
06/09/2013

E Berlusconi (per ora) fa un passo indietro

Il leader frena. Tra gli intimi c’è chi torna a sperare nella grazia

Ugo Magri
Roma

Una via di scampo dev’essere balenata agli occhi di Berlusconi, forse una concreta possibilità di salvare il salvabile della sua immagine pubblica, della vita privata, delle aziende. Altrimenti come spiegare l’improvviso, imprevedibile cambio di toni e di umore ad Arcore, dopo la nota serale del Quirinale? 

È come se da quelle parti fosse arrivato un segnale ansiosamente atteso da lui, dal Cavaliere in persona. La conferma che con Napolitano un dialogo è ancora possibile, nel rispetto reciproco, si capisce. Che la grazia non è una chimera agitata dalle «colombe» per chissà quale secondo fine. Che insomma lo scontro all’ultimo sangue, la crisi di governo, forse le elezioni non sono l’ultima disperata risorsa prima di soccombere...

 

Adesso, di colpo, tacciono trombe e tamburi. Il messaggio televisivo che Silvio aveva in animo di lanciare su tutte le reti domenica, con una polemica furibonda contro le «toghe rosse» di Magistratura democratica, risulta in forse, non è detto che mai lo farà; e sebbene, giura la Santanché, sia già stato registrato, quel discorso incendiario può ancora essere corretto, limato, ammansito. Neppure c’è garanzia che lunedì mattina il Cavaliere risponda su Canale 5 alle domande di Belpietro, e che nel pomeriggio si rechi alla kermesse di Sanremo, organizzata dal «Giornale», per rispondere alle domande del direttore Sallusti: al momento questa trasferta non è annotata in agenda, le scorte, gli autisti, eccetera debbono essere ancora allertati. «Se il Presidente vuole andare ce lo comunicherà», è il sussurro di chi gli sta vicino.

 

Non ha deciso se recarsi a Sanremo, tantomeno se far saltare il banco della politica. Potrebbe, volendo. Ma non è detto. Nell’eterno pendolo berlusconiano, e all’insaputa del gruppo dirigente Pdl senza distinzione tra «falchi» e «colombe», ieri sera la crisi era più no che sì. Napolitano scongiura il Cavaliere di non sottoporre l’Italia a questo stress. Gli riconosce un ruolo di leader determinante per il bene comune, altro che pregiudicato da affidare alle patrie galere. Addirittura gli fa intendere tra le righe della nota tracimata dal Colle che lassù nessuno sta brigando per rimpiazzare il Pdl, nel malaugurato caso di crisi, con qualche maggioranza raccogliticcia (il governo Letta-Scilipoti non è dietro l’angolo).

 

Qualcuno molto addentro sostiene che in tutto questo ci sia lo zampino di Confalonieri. Mercoledì pomeriggio, il presidente Mediaset era stato avvistato negli uffici di Gianni Letta, a pochi passi dal quartier generale Pd. Ieri mattina Fidel è scomparso senza lasciare traccia. Nelle stesse ore il Presidente della Repubblica si allontanava dal Quirinale e, sebbene ne manchino le conferme ufficiali, fonti berlusconiane si azzardano a sostenere che vi sarebbe stato un colloquio seguito nel pomeriggio da un altro incontro, stavolta protagonista Letta (lo zio, non il nipote Enrico). Quando sono in gioco questioni serie, a cominciare dalla stabilità politica con una guerra vera alle porte, non c’è da stupirsi che la diplomazia si metta al lavoro.

 

Così la giornata si è chiusa in una chiave meno drammatica di come l’aveva impostata il capogruppo Pdl Schifani, annunciando sfracelli. A cena è arrivato il capo dei negoziatori Pdl, Alfano. E addirittura adesso c’è chi, tra le persone più care del Cavaliere che sono i figli e la compagna Francesca, si spinge a fantasticare un pubblico discorso in cui Napolitano riconosca a Berlusconi l’onore delle armi, gli prometta la grazia per l’oggi e per il domani, gli chieda in cambio di tornare nella trincea del lavoro e dell’impresa da dove aveva iniziato, dicendo definitivamente addio alla politica... Se il Capo dello Stato avesse questo coraggio, assicurano gli intimi, lui mollerebbe senza esitare «falchi» e «colombe» al loro destino, scegliendo la libertà.

http://lastampa.it/2013/09/06/italia/politica/e-berlusconi-per-ora-fa-un-passo-indietro-yjDlbzoZ7MGshNRS9QKRPK/pagina.html
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« Risposta #286 inserito:: Settembre 11, 2013, 04:54:50 pm »

Politica
10/09/2013 - l’analisi

Governo, il Pdl accelera verso la crisi col rebus della maggioranza alternativa

La caduta dell’esecutivo porterebbe alla nascita di una coalizione gracile

Improbabile un’alleanza Pd-M5S

Neppure un centrosinistra guidato da Renzi garantirebbe la stabilità

Ugo Magri


Se cade il governo (perché questo è lo scenario che incombe), cosa ci si deve attendere poi? Sembra la domanda più ovvia, la più scontata. Eppure non c’è uno solo protagonista del Palazzo che sappia darvi risposta. Nessuno sa con certezza a che cosa l’Italia sta andando incontro. Al massimo si fanno delle ipotesi, delle alate supposizioni. Ad esempio una parte del mondo politico ritiene che, caduto il governo Letta, se ne possa subito fare un altro. E che i voti del Pdl al Senato, dove la sinistra non è autosufficiente, possano essere rimpiazzati raccattando qua e là un po’ di «cani sciolti», transfughi grillini e berlusconiani. Nel migliore dei casi nascerebbe una coalizione gracile, in balia delle opposizioni, marchiata dal peccato d’origine del trasformismo. Avrebbe vita breve. E comunque, nessuno ha la certezza che vi sarebbero i numeri per strappare quantomeno la fiducia. Anzi, svariati indizi fanno ritenere il contrario. Per cui lo sbocco elettorale viene da molti giudicato probabile.

 

In un Paese normale, votare non sarebbe un dramma. Però, diversamente dagli altri, noi abbiamo il «Porcellum» che non è stato cambiato. E la legge in vigore ha la triste caratteristica di non poter garantire una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. Era stata concepita per un sistema bipolare, nessuno aveva previsto l’irruzione di Grillo. Per vincere davvero, con il «Porcellum» occorre stravincere. Chi arriva primo deve registrare perlomeno 5-6 punti di vantaggio sul secondo classificato, altrimenti si ritrova come Bersani 6 mesi fa. L’unico che sulla carta potrebbe farcela sembra Renzi: i sondaggi gli accreditano un consenso personale molto elevato. Però al momento, negli stessi sondaggi, il centrodestra risulta avanti (chi sostiene di 1 chi di 4 punti percentuali). E le campagne elettorali non sono mai state marce di trionfo. Perfino con un centrosinistra guidato da Renzi, nessuno potrebbe offrire la ragionevole garanzia di governo stabile. Il rischio da prendere in attenta considerazione è che ci si ritrovi esattamente nelle condizioni attuali. Anzi peggio, perché non si vede come potrebbe rinascere dalle sue ceneri un governo delle larghe intese appena travolto dalla condanna di Berlusconi. E una maggioranza Pd-M5S, che chance avrebbe? Mistero. Attualmente non risulta che Grillo e Casaleggio siano interessati, altrimenti il patto già si sarebbe fatto. Per cui siamo nel regno dei presagi e delle macumbe.

 

Qualcuno ipotizza che il «Porcellum» possa essere aggiustato in corsa, magari solo per metterlo al riparo dalla Consulta, chiamata il 3 dicembre a pronunciarsi sulla sua costituzionalità... Ma se i grandi partiti non sono riusciti ad accordarsi finora sulla nuova legge, cosa fa supporre che ci riescano nelle prossime settimane, oltretutto con le elezioni alle porte? Restiamo, come si vede, nel campo delle superstizioni. E nonostante il futuro sia avvolto da una fitta nebbia, i nostri eroi stanno allegramente spingendo tutti quanti, chi più e chi meno, verso la crisi di governo. All’insegna del «Dio provvede».

da - http://lastampa.it/2013/09/10/italia/politica/governo-il-pdl-accelera-verso-la-crisi-col-rebus-della-maggioranza-alternativa-HTs1eJO8VFZGtPoo3pNgdN/pagina.html
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« Risposta #287 inserito:: Settembre 11, 2013, 05:44:47 pm »

Italia
11/09/2013 - Berlusconi Dall’ultimatum alla tregua

Il Cavaliere senza bussola

Annullata la riunione decisiva con i ministri, anarchia nel partito

Ugo Magri
Roma


La Colt del Cavaliere appare e scompare come in un gioco di prestigio, a seconda dei momenti. Era puntata sul governo e sull’Italia lunedì sera, quando lo scontro nella Giunta delle elezioni faceva presagire una conclusione fulminea (decadenza da senatore); è tornata ieri nella fondina quando il relatore Augello gli ha raccontato via telefono che no, non c’era motivo di premere il grilletto perché nulla di drammatico sarebbe accaduto nelle ore seguenti. 

 

E così pure l’adunanza solenne dei parlamentari Pdl, convocata oggi alle 13 per recitare il «de profundis» del governo Letta, alla fine è stata annullata. Qualcuno spiffera alle redazioni che il rinvio sarebbe stato disposto su suggerimento del «duro» Verdini, per non sprecare una cartuccia inutilmente, «meglio tenerla in canna fino al prossimo incidente causato dalla sinistra». Altri invece precisano che a smobilitare la riunione è stato lui, Silvio, in quanto a questo punto non sa più bene che fare, l’inatteso calo della tensione politica gli ha tolto l’alibi per mandare tutto all’aria. Peggio: l’ha ripiombato nel solito dilemma. Trattare o non trattare? Fidarsi o non fidarsi? Fare un passo avanti o due indietro? 

 

Seguire i ragionamenti di Berlusconi rischia di venire a noia, perché triste è il Paese dove il dramma di un uomo ossessiona così tanto la vita pubblica. Per fortuna, ad Arcore l’ora delle decisioni irrevocabili sembra scoccata. Silvio ne è consapevole, e nell’incertezza si dibatte. Arriva a supplicare snervato le persone amiche: «Basta, fate quello che volete, io vi seguirò...». Quando si rivolge a un «falco», il suo appello viene subito interpretato come via libera allo scontro cruento che secondo la «Pitonessa» Santanchè è questione di giorni, magari già venerdì la Giunta boccerà la relazione Augello rendendo automatiche le dimissioni dei ministri Pdl. I quali ieri si sono riuniti per fare i loro piani non alla sede nuova del partito, come nel galateo politico d’antan sarebbe stato doveroso, ma addirittura a Palazzo Chigi, nello studio del vice-premier Alfano. Chi è transitato da quelle parti, cogliendo frammenti di discorso, descrive la comitiva ministeriale «speranzosa che nulla accada, ma tutta quanta allineata al Capo casomai qualcosa dovesse accadere».

 

Il «fate quello che volete» viene inteso dalle «colombe» ministeriali come un incitamento a darsi pure loro da fare, E non solo Alfano, ma Quagliariello, Lupi, la De Girolamo, la Lorenzin mai sono apparsi così propositivi, vere fabbriche di machiavelli volti ad allontanare giorno dopo giorno, ora dopo ora, l’amaro calice dell’addio al Parlamento che Berlusconi dovrà mandar giù comunque il 19 ottobre, quando la Corte d’Appello di Milano lo dichiarerà dai pubblici uffici, dunque indegno di sedere tra i rappresentanti del popolo.

 

Inutile dire che regna sulla destra l’anarchia tattica più totale, chi dice una cosa e chine fa un’altra, nell'indifferenza quantomeno apparente del Líder Máximo. L’ultima da Villa San Martino, quando nella Giunta al Senato i commessi stavano ormai spegnendo le luci, raccontano di un’ultima disperata carica del Cavaliere sul Capo dello Stato per ottenere da lui una grazia «tombale», un vero e proprio colpo di spugna per il presente e per il futuro, che gli consenta di dedicarsi anima e corpo alle sue aziende... Giurano ad Arcore che sia l’unico negoziato di cui a Silvio importi veramente qualcosa. Se andasse a buon fine, potrebbe compiere forse il «beau geste» di dimettersi con qualche giorno d’anticipo sulla Corte d’Appello, o addirittura di affrontare senza drammi il «plotone d’esecuzione» Pd. Verdini ha colto lo stato d’animo. Gli ha mandato una lettera di sette pagine che sono un inno alla lotta e al contempo mettono le mani avanti: «Qualunque scelta farai, Presidente, io sarò sempre al tuo fianco...».

da - http://lastampa.it/2013/09/11/italia/politica/dallultimatum-alla-tregua-il-cavaliere-senza-bussola-RSF3kffySbQ9mtrsnxUwjN/pagina.html

 
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« Risposta #288 inserito:: Settembre 17, 2013, 11:12:18 pm »

POLITICA
16/09/2013 - RETROSCENA

Berlusconi, niente crisi di governo ma il partito sarà affidato ai falchi

Se verrà votata la decadenza farà un discorso contro le toghe, confermerà l’appoggio a Letta e liquiderà le colombe.

Forza Italia a Verdini e Santanchè

UGO MAGRI
ROMA

Vuoi vedere che Letta ci ha indovinato, mercoledì non scoppierà la crisi, giovedì neanche e venerdì nemmeno? Berlusconi sta per alzare bandiera bianca. Se la Giunta delle elezioni deciderà di cacciarlo dal Parlamento, con un nobile discorso lui protesterà al mondo la propria innocenza, si dichiarerà vittima dei magistrati. 
Ma per il bene supremo dell’Italia incasserà il ceffone senza mandare tutto all’aria...
 
Così perlomeno in questo momento il Cavaliere sembra orientato. Sabato ne aveva discusso con i più fedeli amici, e domenica non ha cambiato idea. Anzi, si va convincendo vieppiù che tenere in vita il governo sarebbe una trovata strategica geniale, l’unico modo per intralciare la marcia trionfale di Renzi. Se fino a pochi giorni fa Silvio non vedeva l’ora di tornare alle urne, adesso pare intenzionato a votare non prima del 2018.
 
 
Questa è l’istantanea postata da Arcore, sempre soggetta a ripensamenti si capisce. Verrebbe dunque da immaginare le «colombe» che festeggiano a champagne la svolta pacifista del Líder Máximo, e viceversa i cosiddetti «falchi» con le piume abbassate. Invece, sorpresa, succede esattamente il contrario. Il gruppone dei moderati è in grande allarme, laddove si coglie euforia tra i duri e puri. Pare infatti che, nel suo discorso al Paese, il Cav non voglia soltanto confermare il sostegno a Letta, ma intenda sbaraccare il Pdl e annunciare la rinascita di Forza Italia la cui gestione finirebbe (ecco il motivo del loro giubilo) tutta nelle mani dei «falchi». Vale a dire di Verdini, di Bondi, di Capezzone e, naturalmente, della volitiva Santanché. Verrebbe nominato un comitato di gestione provvisorio, come avviene in tutte le fasi di transizione rivoluzionaria. 
 
 
Ma trova pure conferma l’indiscrezione, divulgata dal «Giornale», secondo cui Berlusconi avrebbe già vergato di suo pugno una carta che trasferisce a Verdini tutte le deleghe operative fin qui gestite da Alfano. In pratica, un trasferimento dei poteri che nella visione berlusconiana segnerebbe una sorta di Yalta, una pace durevole tra le anime interne basata sulla ripartizione delle sfere di influenza: di qua il partito, di là il governo. Chi si occupa del primo non dovrà immischiarsi del secondo, e viceversa.
 
 
Oltre al quartetto sopra illustrato, i ruoli di primo piano verrebbero conferiti a Crimi, nella veste di tesoriere, a Palmieri, a Fontana, a D’Alessandro, alla Calabria: tutti quanti falchi, falchissimi. Ma come escludere dagli organigrammi Michela Vittoria Brambilla, già animatrice dei circoli berlusconiani, tornata in auge dopo una campagna di battaglie animaliste? Ci sarà posto anche per lei, laddove i governativi, i ministeriali saranno tenuti fuori dal palazzo di Piazza San Lorenzo in Lucina, finemente arredato con divani in pelle della Natuzzi, una sede sibaritica che Berlusconi inaugurerà con la sua presenza mercoledì o giovedì, davanti a un nugolo di telecamere.
 
E potrebbe essere quella (sebbene come sempre nulla sia deciso) l’occasione ideale per il doppio annuncio, sul passaggio delle consegne Pdl-Forza Italia e sulla crisi che non si farà più. Ma dopo averla più volte minacciata salvo cambiare idea, difficilmente in futuro qualcuno ci cascherà, certo non Letta, non il Pd. Cosicché la delegazione «azzurra» al governo si troverà inerme, perennemente sotto schiaffo, mai più nella condizione di poter alzare la voce. E quando prima o poi tornerà al partito, troverà le stanze tutte occupate...

da - http://www.lastampa.it/2013/09/16/italia/politica/berlusconi-niente-crisi-di-governo-ma-il-partito-sar-affidato-ai-falchi-0ULSvi4HJH385QukUZpr1L/pagina.html
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« Risposta #289 inserito:: Settembre 20, 2013, 04:53:55 pm »

Politica
19/09/2013 - retroscena

Il Cavaliere lascia il cerino in mano al Pd e placa falchi e colombe

I ministri possono restare, ma lui renderà il clima irrespirabile

Ugo Magri
Roma

L’ultima malizia del Cavaliere, che spiega come mai quest’uomo è riuscito a occupare per vent’anni la scena italiana, consiste nel dire al Pd, a Letta, a Napolitano: «Io il governo non lo faccio cadere. Però, visto che mi avete abbandonato al mio destino di condannato senza muovere un dito, vi bombarderò ogni giorno rendendo l’aria politicamente irrespirabile. La crisi, se ne avete il coraggio, provocatela voi...». Cioè, perfido, Berlusconi scarica a sinistra l’onere di mettere a repentaglio la stabilità politica, tanto invocata dall’Europa e dai mercati. Porrà gli alleati di governo davanti a un bivio: subire tutti i santi giorni le provocazioni di Forza Italia (d’ora in avanti il Pdl torna alla vecchia insegna); oppure reagire in preda all’esasperazione, premendo loro il grilletto della crisi. Che poi è quanto si augura sotto sotto l’ex-premier. 

Le sue reali intenzioni vengono a galla là dove impartisce l’ordine ai suoi ministri di «fermare il bombardamento fiscale». Non chiede loro di dare le dimissioni, ma di infilare i bastoni tra le ruote a qualunque manovra economica comporti tasse. Quando Alfano, Quagliariello & C chiederanno il da farsi, Silvio confermerà che possono restare al posto loro, nessuno li chiamerà per questo traditori o peggio. Però avranno quale mission di evitare che il governo Letta somigli sempre più a quello «tecnico» di Monti, con le sue scelte di rigore molto apprezzate a Bruxelles e un po’ meno gradite in Patria. Berlusconi non dovrà nemmeno di illustrare il piano strategico, perché sull’aumento dell’Iva i suoi lo stanno già mettendo in pratica con ultimatum e minacce concentrate sul ministro dell’Economia Saccomanni. E sbaglia chi si attende che le cosiddette colombe oppongano qualche forma di resistenza ai dettami del leader. Su questa linea ci stanno tutti, tanto i «ministeriali» accusati dai falchi di vendersi per una poltrona, quanto i più scalmanati fautori della crisi. Interpelli Cicchitto, che passa per moderato, e il video-messaggio viene interpretato come una prova ulteriore di grande responsabilità: «Discorso ottimo, perché Berlusconi lancia un segnale forte senza prendersi la colpa di far cadere il governo». Senti invece la Santanché, e quel medesimo passaggio sul governo (che in verità non viene neppure citato) diventa preludio di una lunga cavalcata elettorale destinata a concludersi in febbraio, massimo a marzo. Però al fondo entrambi sono soddisfatti.

Insomma, con un’astuzia quasi diabolica Berlusconi è riuscito a illudere entrambe le anime del suo partito, nonché a disseminare nuovi dubbi tra i palazzi della politica. Guarda caso, quelle poche parole-chiave sui ministri sono le uniche da lui personalmente messe nero su bianco. Il resto del discorso è figlio del canovaccio predisposto dagli avvocati (l’intero capitolo «processi e condanne») nonché dal ghost-writer più accreditato ad Arcore, che è Capezzone. A loro si è affidato il Cav, limitandosi a poche correzioni e rari ritocchi. Se poi ha impiegato tre giorni per registrare il messaggio, creando senza volere un’attesa mediatica spropositata, ciò è dipeso soltanto dal tono dell’umore. Lunedì la prosa non gli sembrava scorrevole, martedì lui si impappinava e insistendo andava sempre a peggiorare, ieri finalmente il parto. E oggi pomeriggio calerà a Roma per inaugurare la nuova sede di Forza Italia. Verdini gli farà trovare una folla di giovani festanti. Su tutte le pareti, grandi poster di Berlusconi con Blair, Putin, Bush e Sarkozy. Lussuosi divani in pelle. Una grande sala col tavolo ovale, proprio come quella dove si tiene a Palazzo Chigi il Consiglio dei ministri. Forse un modo per mitigare la nostalgia del governo, ricreandone l’atmosfera come a Cinecittà.

da - http://www.lastampa.it/2013/09/19/italia/politica/il-cavaliere-lascia-il-cerino-in-mano-al-pd-e-placa-falchi-e-colombe-gI0gvnch4SyzITpVNmcR5M/pagina.html
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« Risposta #290 inserito:: Ottobre 09, 2013, 04:28:43 pm »

POLITICA
09/10/2013 - RETROSCENA

Carceri, Berlusconi non ha affatto gradito il messaggio di Napolitano

Carceri, il prezzo dell’immobilismo del passato

È certo anzi che dai benefici sarebbero esclusi i reati dei suoi processi

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi, cioè colui che secondo i grillini dovrebbe stappare champagne, non ha per nulla apprezzato il messaggio presidenziale. Lo considera alla stregua di «una presa in giro», o poco ci manca. È convinto che tanto un’amnistia quanto un indulto ben poco influirebbero sul suo destino. Con chi privatamente lo interpella, l’uomo ostenta estremo scetticismo. Sostiene che se Napolitano avesse voluto davvero dargli una mano, non sarebbero mancate in passato le occasioni. Che il Colle avrebbe potuto intervenire anzitutto evitandogli la condanna. Che muoversi solo adesso, quando ormai incombe l’umiliazione della decadenza, ha il sapore politico della beffa. Ma soprattutto, il Cavaliere è in cuor suo certissimo che amnistia e indulto non gli porteranno alcun vantaggio. Durante l’iter parlamentare, il Pd metterà il veto su tutto quanto potrebbe giovare alla sua causa. E dunque dal provvedimento verranno sistematicamente escluse proprio le tipologie di reato che farebbero molto comodo a lui, dalla frode fiscale alla concussione, dalla prostituzione minorile alla corruzione di senatori. In sintesi: se per ipotesi il messaggio presidenziale avesse avuto quale obiettivo quello di raffreddare gli animi, l’esito sembra di segno contrario alle attese. Il diretto interessato ostenta distacco e freddezza. Di Napolitano continua a non fidarsi. Anzi, paradossalmente, se ne fida ancor meno di prima.
Questo, perlomeno, è quanto filtra da Arcore, dove ieri Berlusconi è rimasto rintanato. Doveva scendere a Roma per discutere con gli avvocati le sue prossime mosse, ma Ghedini è stato colto dal virus influenzale, Silvio ha preferito evitare il contagio. Probabile che il summit coi legali si tenga oggi, e venga confermata la decisione di chiedere l’affidamento in prova presso una comunità: in «pole position» rimane la Ceis di don Picchi, dove già Previti scontò la sua pena, sebbene pure Capanna accoglierebbe con grande voluttà il Caimano nella sua «Fondazione diritti genetici», garantendogli mansioni all’altezza del personaggio. L’ultima parola comunque spetterà ai magistrati, al termine di una procedura per un ex-premier parecchio umiliante, comprensiva di rilevamento delle impronte digitali e di foito segnaletica, nonché di test psicologico volto ad accertare se il servizio sociale potrà giovare o meno al reinserimento sociale del reo, anche in base alla sua storia personale e al suo atteggiamento in generale nei confronti della giustizia. L’umore a villa San Martino, dunque, non è quello dei giorni migliori.
C’è anche, da quelle parti, chi la vive diversamente. I figli, l’azienda di famiglia, per non parlare dei ministri e di chi sostiene le larghe intese, ritengono che alla fine Berlusconi medesimo farà prevalere l’istinto di sopravvivenza. E una volta superato il malumore metterà i suoi consiglieri al lavoro per ricavare il massimo possibile (Ghedini è scettico, però tentar non nuoce). Insomma, lui stesso si affezionerà alla prospettiva di migliorare la propria condizione di imputato, dal momento che altre pesanti condanne incombono sulla sua testa. Ecco perché i cosiddetti «ministeriali» plaudono entusiasti al Capo dello Stato.
Alfano promette massima collaborazione alla Cancellieri, ministro della Giustizia; Quagliariello, fulmineo, ieri l’ha già incontrata. Personaggi di equilibrio come Schifani salutano con soddisfazione il passo quirinalizio. Brunetta ringrazia Napolitano «per aver portato in primo piano il tema della giustizia», evocato con forza giusto ieri dal «Mattinale» (il bollettino interno e riservato del Pdl). Se Berlusconi metterà da parte l’orgoglio, e accetterà di cedere per sempre lo scettro del centrodestra, non è escluso che tra le pieghe dell’amnistia o dell’indulto potrà davvero spuntare qualcosa di buono anche per lui...

Da - http://www.lastampa.it/2013/10/09/italia/politica/carceri-berlusconi-non-ha-affatto-gradito-il-messaggio-di-napolitano-rahIcfFFDPXZyoWwpaPuDI/pagina.html
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« Risposta #291 inserito:: Ottobre 13, 2013, 05:21:19 pm »

italia
13/10/2013 - la escort rossini dal gup. ai magistrati disse: berlusconi? abbiamo mangiato un gelato

Berlusconi-Alfano ai ferri corti

Fitto: azzeriamo tutte le cariche

L’ex premier: riprenderò in mano il partito. Ma in pochi ormai ci credono


Ugo Magri
Roma

A tutti Berlusconi va ripetendo che «ora ci penso io, riprendo in mano il partito» e a quel punto basta con le faide interne, basta con l’orrendo spettacolo dei «lealisti» contro i «ministeriali» o viceversa. Batte i pugni sul tavolo, il Cavaliere, però giusto la Santanché resta certissima che lui «saprà trovare la sintesi». Degli altri, non uno che gli dia retta. La sua incapacità di imporre la disciplina ricorda ormai quella di certi giovani prof nelle classi dei ripetenti...

L’altra sera è andato a parlarci Alfano, che in passato pendeva dalle labbra del Capo ma adesso pretende la guida del partito, in pratica vuole incassare tutta e subito l’eredità politica berlusconiana con la minaccia che in caso di rifiuto lui e una trentina di senatori potrebbero fare gruppo autonomo. Nelle versioni diffuse dagli avversari, che non esitano a dipingerlo come avido di potere e vendicativo, Alfano si terrebbe, oltre alla guida del partito, pure la vice-presidenza del Consiglio e il Viminale. Lontanissimo è quel 9 agosto 2013 quando una delegazione di amici (Schifani e Brunetta, Cicchitto e Gasparri, più l’onnipresente Lupi) andò a Palazzo Chigi e implorò Angelino di mollare quantomeno il ministero dell’Interno. «Ci penserò», rispose l’interessato, senza mai dare seguito. Figurarsi se lo farà adesso che ha il coltello dalla parte del manico.

La versione alfaniana è che l’incontro dell’altra sera con Berlusconi non avrebbe potuto dare frutti migliori. L’uomo gli avrebbe promesso: «Ricostruirò Forza Italia intorno a te», o qualcosa del genere. Bonaiuti è stato autorizzato a smentire tutte le cattiverie che il giorno prima Silvio aveva detto sul conto dei «traditori»: il solito «malvezzo giornalistico» di inventare dissidi eccetera. Sicuro del fatto suo, e con Berlusconi politicamente sotto schiaffo, Alfano ha tenuto ieri mattina a Prato un pubblico discorso dai toni olimpici, con cui ha promesso di «chiudere in gabbia falchi e colombe», di farsi supremo garante dell’unità interna, di promuovere «primarie nel partito ovunque e a tutti i livelli». È arrivato addirittura a sostenere che «con Berlusconi ci si capisce al volo», l’intesa è saldissima. Sennonché, proprio mentre lo diceva, il Cavaliere era al telefono con Fitto, cioè colui che guida il fronte dei nemici di Alfano. E guarda, combinazione, poco dopo è circolata una versione molto meno idilliaca dei rapporti tra Berlusconi e il vice-premier. Sarebbero in realtà pessimi, venati di reciproca diffidenza, come tra due coniugi che non si amano più e sperano solo che l’altro resti col cerino in mano della separazione.

Nel pomeriggio Fitto è passato decisamente all’offensiva. Ha chiesto con una nota di «azzerare» le cariche interne, tutti a casa compreso Alfano, e di restituire a Berlusconi i pieni poteri, «per poi decidere insieme strumenti, regole e tempi per rilanciare il partito». Velenose accuse ai ministri di predicare bene sulle tasse e contro la magistratura politicizzata, salvo razzolare malissimo (aumento dell’Iva e tema giustizia escluso dal capitolo riforme). Ne è derivata l’ennesima baruffa, con i «lealisti» schierati a favore della proposta-Fitto (in prima fila Gelmini, Carfagna, Bernini, Prestigiacomo, Minzolini, Capezzone) e gli alfaniani, come è facile indovinare, decisamente contrari (si sono esposti Marinello, Viceconte, Santelli, Costa...). Tutte dichiarazioni quasi in fotocopia, chiaramente sollecitate dai capi-corrente. In mezzo, a reclamare buon senso e ascolto reciproco, il tandem Gasparri -Matteoli. Insomma: il tiro alla fune prosegue, senza grandi progressi da una parte o dall’altra.

Per la prima volta ricostruirà in un’aula di tribunale la serata trascorsa a Palazzo Grazioli il 4 novembre 2008 la escort barese Lucia Rossini, testimone nel processo con rito abbreviato all’avvocato Salvatore Castellaneta. La deposizione è prevista domani dinanzi al gup di Bari Ambrogio Marrone e sarà a porte chiuse. Rossini, barese di 29 anni, è nota alle cronache per essersi fotografata assieme a Barbara Montereale in uno dei bagni della residenza dell’allora premier Silvio Berlusconi. «Abbiamo mangiato un gelato e chiacchierato» disse ai pm nel 2009.

da - http://lastampa.it/2013/10/13/italia/cronache/berlusconialfano-ai-ferri-corti-fitto-azzeriamo-tutte-le-cariche-rFsJWRpNpr3NnwYH8DXB9O/pagina.html
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« Risposta #292 inserito:: Novembre 17, 2013, 06:31:27 pm »

Politica
15/11/2013

Pdl, fallisce l’ultima mediazione
Respinte le richieste dell’ala vicina ad Alfano, che ora è pronta a disertare il Consiglio nazionale

Ugo Magri
Roma

Restano poche ore al Cavaliere per decidere la propria sorte. O si scrolla di dosso i «falchi», i «falchetti», i «lealisti» e tutti gli ultrà che vietano qualunque concessione, sia pure minuscola, ad Alfano; oppure domani, anziché il battesimo di Forza Italia, Berlusconi celebrerà un funerale politico: la triste, rancorosa e un po’ squallida scissione del suo movimento. 

Senza precise garanzie, i «governativi» facenti capo al vice-premier non intendono metter piede all’Eur, dove è convocato il Consiglio nazionale del Pdl. Ma in pochi credono ormai ai colpi di scena, dopo che pure l’ultima mediazione è andata in fumo nella giornata di ieri, incominciata tra voci di patti praticamente sottoscritti e precipitata poi nella solita convulsa rissa tra le fazioni.

In sintesi, ecco la cronaca degli ultimi accadimenti: l’altra notte, a Palazzo Grazioli, Silvio e Angelino s’erano lasciati con una stretta di mano. «Allora siamo d’accordo...», «si sì procediamo in questo modo». Cioè, in pratica, come avrebbe voluto Alfano: convocazione immediata dell’ufficio di presidenza, correzione del documento che venne approvato due settimane fa con un blitz, impegno a mandare avanti il governo Letta, ma soprattutto nomina di due coordinatori nazionali, uno per conto dei ribelli-ministeriali e l’altro dei falchi-lealisti, in modo da non potersi combinare scherzetti a vicenda. 

Alfano ne ha dato notizia ai suoi e si è messo pazientemente in attesa. Ma passa un’ora, passa l’altra, la convocazione dell’ufficio di Presidenza non è mai arrivata. Anzi, verso sera si è saputo che Berlusconi aveva ricominciato con le telefonate «strappacore» ai senatori dissidenti per supplicarli di tornare all’ovile: segno inequivocabile che la mediazione è fallita e si torna alla casella del via (con tanti auguri).

Come mai il voltafaccia? Perché come furie si sono precipitati dal Capo prima Verdini, poi Ghedini, a sera Fitto. Gli hanno gridato che giammai si poteva cedere al ricatto di Alfano, che Angelino è solo chiacchiere e distintivo, che solo loro gli vogliono bene. Berlusconi, spalleggiato da Gianni Letta, ha tentato sulle prime di resistere. Lui spera (a questo punto, meglio, sperava) di scansare l’onta della scissione e, soprattutto, dell’espulsione dal Parlamento, già fissata per il 27 novembre. 

Contava in un rinvio del voto sulla decadenza al Senato perché attende in ansia l’arrivo di non meglio precisate carte dagli Usa, un dossier che (stando alle sue privatissime confidenze) gli permetterebbe di chiedere la revisione del processo Mediaset e magari addirittura di rimettere in forse la condanna... Per rinviare la decadenza, o perlomeno tentare ancora, un partito unito gli avrebbe fatto comodo assai. Ma poi è giunta notizia da Palazzo Madama che il rinvio della decadenza è un miraggio, a spostare la data il Pd non ci pensa neppure lontanamente. Eventuali ritardi della legge di stabilità non avranno alcun effetto sul calendario dell’«esecuzione». 

Strattonato dai suoi scudieri, quasi costretto a indossare l’armatura per guidarli nell’ultima battaglia, il Cavaliere viene descritto da persone estranee all’una e all’altra parrocchia come un uomo turbato, quasi sconvolto, per la prima volta in preda allo sgomento.

Riunione serale a Largo Chigi dei governativi, rassegnati all’addio. Quagliariello, padrone di casa: «Non si entra in Forza Italia per guastare la festa», tanto vale tenersi alla larga dall’Eur. Clima da caccia alle streghe tra i «lealisti», al punto che perfino una strettissima collaboratrice del Cav, la senatrice Rossi, è finita nel vortice delle maldicenze, per aver osato pronunciare pubblicamente la parola più vietata: «Unità». 

http://lastampa.it/2013/11/15/italia/politica/pdl-fallisce-lultima-mediazione-Mxyl7IziCiXNtc1Qd7NjyL/pagina.html
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« Risposta #293 inserito:: Novembre 25, 2013, 05:16:28 pm »

politica
25/11/2013 - retroscena

Il Cavaliere cede allo sconforto “Mi faranno marcire in galera”

Si è convinto col tempo che il capo dello Stato abbia congiurato contro di lui “Se dichiarato incompatibile, dal giorno dopo mi salteranno addosso le Procure”
Ugo Magri
Roma

Berlusconi è nello stato d’animo disperato di chi pensa che ieri sia stata l’ultima sua domenica da uomo libero. Agli amici rimasti fedeli (i «superstiti» come li chiama lui) confida con voce da oltretomba: «Mi faranno marcire in galera, e quando ciò avverrà, vi ricorderete della mia previsione...». 

Non c’è baldanza né sfida in queste parole, semmai la sconfinata angoscia di chi era balzato ai vertici massimi del potere e adesso si sente sprofondare sempre più giù. Stasera a cena riceverà Putin, in transito a Roma, e anziché dargli conforto la visita del presidente russo aggraverà il rimpianto del tempo che fu, la rabbia per quanto si addensa sul suo capo. Il Cavaliere (così lo raccontano quanti gli stanno vicino) non riesce a farsi una ragione della decadenza che sarà votata dopodomani al Senato. Più ancora della condanna per frode fiscale, considera l’espulsione dal Parlamento come uno sfregio insopportabile alla sua dignità. Spera ancora di rovesciare l’esito dei voto, si illude che sia possibile arrestare in extremis il conto alla rovescia grazie alle carte in parte arrivate e in parte no dagli States, di cui saremo messi a conoscenza nel pomeriggio tramite conferenza stampa. Grazie a quei documenti Usa, che Capezzone avendoli annusati considera «clamorosi», Berlusconi arriva a immaginare non solo di restare senatore, ma di essere scagionato dalla giustizia italiana attraverso un ricorso che gli permetterebbe di tornare candido come un giglio e, udite udite, di ricandidarsi lui personalmente contro Renzi alle prossime elezioni politiche (ecco in che cosa realmente consiste il misterioso «colpo segreto» con cui Silvio vorrebbe stendere al tappeto il sindaco di Firenze, altro che dossier o sgambetti del genere).

Ma gli slanci di ottimismo sono sempre più rari. E con il giorno del giudizio che si avvicina, prevale a palazzo Grazioli un senso cupo di prostrazione. «Si sta consumando un colpo di Stato con una precisa spietata regia politica», è la sintesi del pensiero berlusconiano. La nota quirinalizia che gli ingiunge di non travalicare i limiti della legalità è stata accolta dal Cavaliere come se la prova provata che Napolitano ha sempre congiurato contro di lui, l’ha indebolito mettendogli contro dapprima Fini e ora Alfano, ha permesso che i magistrati infierissero e adesso addirittura maramaldeggia trattandolo come un pericolo per la democrazia... Se ieri sera avesse seguito il consiglio della Santanché, replicando personalmente al Colle, Berlusconi avrebbe forse evocato il 25 aprile 2008, quando si recò a Onna per celebrare il 25 aprile nei luoghi del terremoto. «La mia popolarità toccò vette mai raggiunte, e quel successo qualcuno non me l’ha mai perdonato», è il sospetto che avvelena l’ex-premier. Però poi almeno stavolta si è cucito la bocca, lasciando che in sua difesa si scatenasse contro il Colle la solita salva di dichiarazioni in batteria dei pasdaran «falchi» e «lealisti», non tutti ineducati per la verità, alcuni anzi portati contro il Presidente della Repubblica sul filo del galateo costituzionale, come se Napolitano si fosse permesso di zittire una libera forza politica democratica (tesi di Gasparri) trascurando gli articoli 17 e 21 della Carta repubblicana (glielo rimprovera Fitto, ormai numero due del partito). Oggi verrà consacrata la scelta dell’opposizione, con il «falchissimo» Minzolini che già gongola: «Finite le larghe intese, il rottamatore Renzi si troverà a braccetto con Formigoni, Giovanardi e tutti gli altri rottami della Prima Repubblica...».

Ma di fare opposizione Berlusconi non muore dalla voglia. Teme di ritrovarsi ben presto in un cono d’ombra. Ciò che alla vigilia della decadenza più lo inquieta è proprio la distrazione collettiva, l’indifferenza dei più: lui che viene messo fuori gioco da un «golpe», e la vita che prosegue come se niente fosse, senza sdegno dei media, senza furori di popolo. L’Italia dovrebbe insorgere in sua difesa, e invece nemmeno una convulsione politica, uno scioglimento delle Camere, una crisi di governo, nulla di nulla. «Mi stanno buttando fuori della politica a tempo di record, in tre mesi fanno fuori il leader del centrodestra, e tutto questo dovrebbe passare sotto silenzio?». Nel tumulto dei sentimenti, con la rabbia che si alterna alla paura, in certi attimi il Cavaliere sembra preparato ad affrontare il «plotone d’esecuzione» con la camicia sbottonata sul petto e il grido «mirate qui». Ma subito dopo si coglie un uomo in preda alla prostrazione, se non addirittura atterrito dal destino che lo attende: «Se mercoledì verrò dichiarato incompatibile, dal giorno dopo mi salteranno addosso le Procure in gara tra loro con l’obiettivo di chiudermi in carcere». In quel caso, è certissimo Berlusconi, «passerò alla storia come il Mandela italiano». Ma da come lo dice ben si capisce che, potendo, rinuncerebbe volentieri a questo onore.

Da - http://lastampa.it/2013/11/25/italia/politica/il-cavaliere-cede-allo-sconforto-mi-faranno-marcire-in-galera-zWfZNfYe3U3loTYbdtFIoJ/pagina.html
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« Risposta #294 inserito:: Novembre 25, 2013, 05:17:43 pm »

politica
24/11/2013

“Napolitano mi dia la grazia io non la chiederò mai”

Berlusconi: “La decadenza un colpo di Stato”. Ma non parlerà in Aula

Ugo Magri
Roma

Berlusconi ci ripensa, forse rinunzia a pronunciare in Senato l’ultimo disperato fiammeggiante discorso della sua carriera parlamentare. Si va convincendo che presentarsi mercoledì in aula, e rovesciare contro la magistratura tutto quanto gli passa per la mente, sarebbe un doppio boomerang. Suonerebbe come provocazione sfrontata nei confronti delle Procure, specie di quelle che un’ora dopo potrebbero spiccare un mandato di carcerazione domiciliare. 

Già non mancano i rumors, specie da Milano come effetto dell’inchiesta «Ruby ter». Andarsi a cercare il martirio, per quanto invocato dai pasdaran, non è gesto compatibile con gli interessi aziendali in gioco. Ma c’è dell’altro. Il Cavaliere riflette sull’immensa vergogna che gli causerebbe l’espulsione fisica dal Parlamento. Berlusconi rischia, una volta passata la decadenza, di essere allontanato dall’emiciclo come un intruso, in base alla spietata formula: «Preghiamo il dottor Berlusconi di uscire dall’aula per consentire la prosecuzione dei nostri lavori». Le immagini dell’ex-premier che guadagna furibondo l’uscita, magari accompagnato dagli sberleffi della sinistra e dal ludibrio dei Cinque stelle, forse addirittura (questo si spingono a ipotizzare certi «berluscones» nel delirio delle ultime ore) con i carabinieri in attesa giù davanti al portone, farebbero all’istante il giro del mondo segnando, esse sì, il crepuscolo di un’epoca...

Dunque al momento, quando il conto alla rovescia segna «meno tre giorni», e ormai tutti danno scontato che il 27 pomeriggio si voterà sulla decadenza senza ulteriori «traccheggiamenti» (come li definisce il presidente del Senato Grasso), l’orazione berlusconiana contro la giustizia ingiusta sembra destinata ad altre platee. Tipo quella dei giovani forzisti, che all’Eur hanno udito il Cavaliere lanciarsi nell’elogio del mafioso Mangano, «un eroe» perché non accettò di chiamarlo in causa a Palermo (diversamente dall’ex senatore De Gregorio «convinto dai pm di Napoli ad accusarmi»). I giovani «falchi» sono rimasti interdetti dalla definizione del «Corsera» quale «organo della Procura milanese». 

Ma hanno convenuto con Silvio che sarebbe «ridicolo» scontare i servizi sociali da Don Mazzi «il quale dice “Presidente, venga a pulire i cessi qui da noi”, credete che io possa umiliarmi così?». E infine, sono stati testimoni del primo minaccioso attacco al Presidente della Repubblica. Berlusconi (ecco la novità) ormai lo sfida pubblicamente. Napolitano, alza la voce, «non dovrebbe avere un attimo di esitazione a dare, senza che io presenti la richiesta, in quanto ho la dignità di non chiederla, un provvedimento di grazia». L’ex-premier sa che il Capo dello Stato mai lo farà a comando (e forse nemmeno dietro cortese domanda). Ma in realtà Berlusconi non mira alla clemenza presidenziale. Semplicemente, dicono i suoi, vuole marcare l’addio al Parlamento con un rombo assordante di tuono, intende sottoporre la Repubblica a uno stress senza precedenti. Non a caso già grida al «golpe» e minaccia con toni giudicati eversivi dal Pd: «La sinistra non pensi che il colpo di Stato si realizzi senza una reazione da parte nostra...».
Sembra l’avvio di un’«escalation» che punta a sommergere il Colle, senza risparmiare le altre istituzioni. Ormai espulso dal Parlamento, Berlusconi già si comporta come un leader extra-parlamentare. Manifestazione convocata per mercoledì pomeriggio davanti a Palazzo Grazioli, stavolta senza obiezioni dal sindaco Marino. Sarà una sorta di veglia intorno al leader, ma con l’intento di trasferirsi tutti quanti davanti a Palazzo Madama (cordoni di sicurezza permettendo) qualora alla fine il Cavaliere decidesse ugualmente di presentarsi in Senato. Domani, conferenza stampa per mostrare certe carte in arrivo dagli Usa, annunciate come la prova del fisco americano «che io non c’entro niente» con le società off-shore di Agrama, per le quali gli è piovuta addosso la condanna. Sempre domani, assemblea dei gruppi forzisti, deputati e senatori superstiti, per formalizzare un ormai scontatissimo passaggio all’opposizione.

Da - http://lastampa.it/2013/11/24/italia/politica/napolitano-mi-dia-la-grazia-io-non-la-chieder-mai-dNo8TlqriwnLrHsyhsxtkM/pagina.html
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« Risposta #295 inserito:: Novembre 26, 2013, 06:17:19 pm »

Politica
26/11/2013 - centrodestra. il leader e la giustizia

Nuovi testimoni

Berlusconi gioca la “carta segreta”

 “Nuovi testimoni smentiscono la mia condanna”

Appello ai senatori Pd e M5S: decadenza vergognosa

Ugo Magri
Roma

L’«arma segreta» del Cavaliere, quella che dovrebbe sbugiardare i giudici e cancellare la condanna per frode fiscale, è stata svelata nel cosiddetto «Mausoleo» di Forza Italia, la nuova sede a piazza San Lorenzo in Lucina. Ressa di telecamere, folla di cronisti da ogni dove. Berlusconi s’è accomodato al tavolo con aria spossata, la neo-regista della comunicazione Deborah Bergamini al suo fianco, il professor Zangrillo sulla porta pronto a intervenire in caso di défaillance. Stavolta non ce n’è stato bisogno: l’ex-premier ha parlato un’ora senza cedimenti, con la tempra del combattente mai domo, solo strascicando un po’ le parole e lasciando in sospeso un paio di concetti. Ha dato lettura di un «affidavit» (dichiarazione giurata) sottoscritto sei giorni fa a Los Angeles da Dominique Appleby, già amministratore delegato del gruppo Agrama. Questa signora Dominique sostiene che il suo boss di allora, l’intermediatore di programmi televisivi Frank Agrama appunto, mai fece a mezzo con Berlusconi dei proventi realizzati a danno dell’Erario, e dunque lei stessa rimase scioccata nell’apprendere della condanna inflitta al Cavaliere, a suo dire del tutto innocente e vittima semmai di una truffa, complici alcuni dirigenti Mediaset. Provò ad allertare i difensori dell’uomo politico italiano, i quali però nemmeno si degnarono di rispondere: ecco come mai non le fu possibile deporre a Milano (in verità la Procura milanese sostiene che la teste era già tra le carte da 6 anni, insomma sapeva eccome). Su tutti questi traffici veri o presunti di Mr.Agrama, nonché sulla stessa Appleby, sta indagando il fisco americano che, rispetto a quello di casa nostra, è perfino più implacabile.

Oltre a questa testimonianza «assolutamente di livello», come la presenta Berlusconi, ne sono pervenute altre 11 di cui 6 nuove o (come nel caso della Appleby) semi-nuove, e le rimanenti 5 «usate», nel senso che invano i legali del Cavaliere tentarono di farle prendere in esame dai tribunali, dunque vengono riproposte. Da Hong-Kong, dove Agrama faceva perno per i suoi traffici, sarebbero arrivati 15 mila documenti da passare al vaglio, ne sono attesi pure dalla Svizzera e dall’Irlanda. La conclusione del leader di Forza Italia è che tutto ciò comprova la sua totale innocenza. Per cui presenterà istanza di revisione della condanna presso la Corte d’Appello di Brescia. Con quale speranza di ribaltare il verdetto? Secondo i fedelissimi, a cominciare da Capezzone, le «rivelazioni smontano anni di teoremi e castelli di carte». Berlusconi, addirittura, avrebbe voluto presentare oggi stesso l’istanza di revisione. Ma i difensori, Coppi e Ghedini, l’hanno convinto accumulare altro fieno in cascina prima di mettere in pista un ricorso che farebbe assai poca strada se fosse basato solo su quanto Silvio ha tirato fuori in conferenza stampa.

Berlusconi ha garantito ai cronisti che non pensa affatto di darsela a gambe, dunque falsa è la voce che possa chiedere a Putin un passaporto diplomatico, magari quale rappresentante russo presso la Santa Sede. Non fuggirà, e nemmeno farà un passo indietro, dimettendosi prima della decadenza che sarà votata domani. Fino all’ultimo Berlusconi spera nella resipiscenza del Pd e dei grillini, gratificati con un elogio sperticato della loro battaglia di opposizione. Maledizione biblica scagliata già dalla mattina da RadioUno contro Epifani, ed estesa in conferenza stampa a chiunque gli voterà contro: «Non assumetevi questa responsabilità di cui poi vi vergognerete davanti ai vostri figli...». Il Cavaliere si accontenterebbe che, come propone Casini, la decadenza venisse posticipata. Per quanto stuzzicato, nulla si è lasciato sfuggire contro Napolitano. Anzi, ha smentito una volta per tutte le chiacchiere, secondo cui il Capo dello Stato gli avrebbe garantito un salvacondotto: «Nessun patto, nessuna contrattazione». Però sul golpe ai suoi danni non demorde: «Se non è colpo di Stato, come chiamarlo?».

Da - http://lastampa.it/2013/11/26/italia/politica/nuovi-testimoni-berlusconi-gioca-la-carta-segreta-tNdv1jzfQoX83xHIW3iNMK/pagina.html
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« Risposta #296 inserito:: Dicembre 04, 2013, 12:02:33 pm »

Politica
02/12/2013 - il punto

Il “porcellum” alla prova della Consulta
La politica appesa all’udienza di domani
La Corte costituzionale si esprimerà sul ricorso di inammissibilità

Ugo Magri

La sorte del governo Letta, le ambizioni di Renzi, le residue chance del Cavaliere, le mediazioni di Napolitano, insomma l’intero castello di carte della politica italiana, è appeso a quanto deciderà domani la Corte costituzionale. Sotto la lente della Consulta, infatti, arriverà la legge elettorale vigente, il famigerato “Porcellum”. È fissata una pubblica udienza, al termine della quale i giudici della Corte dichiareranno ammissibile o inammissibile il ricorso presentato da un singolo cittadino, l’avvocato Bozzi, e accolto in sede di Cassazione. Ne deriveranno alcune immediate e rilevanti conseguenze sul piano politico.

Ipotesi numero 1: la Corte respinge il ricorso. Grande soddisfazione del “Porcellum”, che si salva dal secondo assalto (il primo fu quasi due anni fa, con il referendum dipietrista bocciato proprio dalla Consulta). Ciò non renderebbe l’attuale legge inattaccabile; di sicuro, resterebbe viva la contestazione nei confronti delle liste bloccate, che producono un Parlamento di “nominati”. Sul premio di maggioranza continuerebbe a pesare un forte sospetto di incostituzionalità. Ma da Grillo, da Berlusconi e dallo stesso Renzi, lo stop della Consulta al ricorso verrebbe accolto come un disco verde alle elezioni da celebrare proprio con il “Porcellum”. Magari già nella prossima primavera. Rendendo davvero sovrumani gli sforzi di Napolitano e di Letta.

Ipotesi numero 2: la Corte giudica ammissibile il ricorso. Ciò non significa che lo approverà. In teoria, potrebbe venire bocciato. Però nessuno può avere la certezza di quanto verrà deciso, forse nemmeno gli stessi giudici. L’impressione di chi se ne intende è che dalla Consulta ci si possa attendere davvero di tutto, compreso un annullamento in radice della legge attuale, troppo storta per poter essere raddrizzata, e una “reviviscenza” del “Mattarellum”, vale a dire del sistema in parte maggioritario e in parte proporzionale che fu in vigore fino al 2005.

E quando verrà sciolta, in questo secondo caso, la prognosi della Consulta? Ci vorranno settimane, più probabilmente mesi prima della decisione finale. Col risultato che, nel frattempo, nessuno potrà azzardarsi a chiedere elezioni politiche anticipate. Perché il Capo dello Stato avrebbe facile gioco a obiettare: non si può andare alle urne con un sistema elettorale gravemente indiziato di incostituzionalità, su cui addirittura pende un giudizio della Consulta. Prima si cambia la legge e poi si ritorna a votare.

Sarebbe musica per le orecchie di Enrico Letta. Un po’ meno per quelle dei suoi avversari. 

DA - http://lastampa.it/2013/12/02/italia/politica/il-porcellum-alla-prova-della-consulta-la-politica-appesa-alludienza-di-domani-TLbRUuD7OoO5B6gfpoLjUL/pagina.html
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« Risposta #297 inserito:: Dicembre 11, 2013, 11:22:34 am »

politica
08/12/2013

Forza Italia e la sponda con Grillo negli attacchi a governo e Colle

Il voto anticipato è l’obiettivo, Napolitano il nemico comune

Ed entrambi insistono: a casa i deputati di Pd e Sel “illegittimi”

Ugo Magri
Roma

Tra Berlusconi e Grillo, chi copia chi? Accertarlo è impossibile. Mai come in questi giorni forzisti e Cinque stelle si scippano gli argomenti, si scambiano le parole d'ordine, si contendono i bersagli con una ferocia spesso smodata. 

In comune, questo «strano asse» ha un nemico: abita su un Colle, ormai è prossimo ai 90 anni, si chiama Napolitano.

È diventata la regola.

Ogni qualvolta il Comico chiama, il Condannato risponde (e viceversa). Grillo non fa in tempo a esprimere sul suo blog un desiderio (pubblicare «nomi e volti» dei deputati eletti con il premio di maggioranza), che i giornali di area berlusconiana glielo esaudiscono in tempo reale. La terza pagina del «Giornale», ieri mattina, sembrava un casellario giudiziario: tutte e 148 le faccine dei parlamentari «abusivi». «Libero» ha trovato eccessive le foto segnaletiche, limitandosi ai profili anagrafici ripartiti per regione. Cosicché Grillo c’è tornato su, forse per riprendersi il maltolto («Questi abusivi devono essere fermati all’ingresso di Montecitorio», ha sparato ancora più forte). 

In altre circostanze erano stati i «berluscones» ad accendere la miccia, con i grillini a ruota. Per esempio, mercoledì scorso sulla contestazione dei senatori a vita che va intesa come vendetta trasversale contro il Capo dello Stato. Oppure nella caccia spietata ai giornalisti di parte avversa: aveva incominciato Brunetta prendendo di mira gli emolumenti di Fazio; poi si erano lanciati come un sol uomo lui e Grillo contro Floris; infine ha esagerato l’altroieri Beppe mettendo all’indice come un pericolo pubblico la cronista dell’«Unità» Maria Novella Oppo (ma tutti i giorni il «Mattinale» forzista fa le pulci ai retroscenisti nella rubrica, simpaticamente polemica, «Se la cantano e se la suonano»).

Gli studiosi di politica potrebbero evocare mille altre assonanze tra il popolo grillino e quello del Cavaliere: dalla comune idiosincrasia per le toghe alla incomprimibile vena euro-scettica, dalle cavalcate ventre a terra contro Equitalia alla scarsa simpatia per gli immigrati, resa pubblica da Grillo tra gli «ooooh» stupiti di quanti lo reputavano (come era già accaduto molto tempo fa per Bossi) quasi una costola della sinistra italiana. Con assoluta certezza, l’opposizione a Cinque stelle viene considerata da Berlusconi un punto di riferimento esemplare, un modello da ricalcare. E dunque tra i forzisti ben si coglie l’ansia di raccordarsi col M5S. Al punto che, dopo la scissione di Alfano, qualche emissario del Cav è corso a proporre ai grillini di cambiare collocazione nell’emiciclo, di accostarsi, insomma, così da raffigurare plasticamente il neonato fronte comune...

Non se n’è fatto nulla poiché, spiega D’Ambrosio, «quando una come la Santanché si dichiara pronta a votare la nostra proposta di impeachment, mi viene da vomitare». In molti da quelle parti la pensano come lui, incominciando da Grillo che con Silvio non vuole avere nulla a che fare. Al «guru» Casaleggio, invece, e all’«ideologo» Becchi, la «Pitonessa» non suscita questi stessi conati; anzi, viene giudicata un’utile sponda, un sensore affidabile per capire che cosa ha in mente Berlusconi. Si vocifera di contatti anche molto recenti, in vista della grande offensiva che verrà scatenata contro il Colle non appena la Consulta depositerà le motivazioni della sentenza ammazza-Porcellum. Su quali basi la campagna di «impeachment» verrà argomentata, al momento non è dato sapere. Però dalle parti di Arcore non attendono che un segnale: se Grillo darà il via, loro sono pronti a spalleggiarlo. L’ha confermato ieri Brunetta, non senza previa consultazione del leader: «Quando il M5S presenterà l’atto d’accusa contro Napolitano, avremo il dovere di esaminarlo».

Nessuno si illude che la forzatura avrà successo. Ma l’obiettivo palese è di mettere le istituzioni sotto stress, di surriscaldare l’atmosfera al punto che nessuno, tantomeno il Capo dello Stato, potrà sentirsi al riparo. Svela il piano un senatore di Forza Italia che è già in prima linea contro il Quirinale, l’ex direttore del Tg1 Minzolini: «Napolitano deve smettere di fare scudo al governo, di difendere l’indifendibile». Altrimenti, è il sottinteso, finirà sotto i colpi di Grillo e di Berlusconi... 

Da - http://lastampa.it/2013/12/08/italia/politica/forza-italia-e-la-sponda-con-grillo-negli-attacchi-a-governo-e-colle-GfspDMGhnX4gfaVe4XzE9H/pagina.html
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« Risposta #298 inserito:: Dicembre 28, 2013, 11:47:08 pm »

Editoriali
27/12/2013
Due Camere raddoppiano gli sprechi
Ugo Magri

A confronto con le grandi abbuffate della Prima Repubblica, quando i partiti non si curavano di aprire voragini nei conti dello Stato, le ultime manovre varate dal Parlamento potrebbero apparire uno snack, una cena di magro in stile francescano. Parliamo in fondo di «mance» a questa o quella categoria che, nell’insieme, rappresentano una goccia nel mare del debito pubblico. Eppure, mai come stavolta la razzia è risultata offensiva al senso comune, in quanto l’avidità delle lobby viene di solito tollerata finché regna l’abbondanza; risulta viceversa imperdonabile quando sul tavolo restano poche briciole che dovrebbero bastare per un intero Paese.

A fronte di questo assalto condotto con la forza della disperazione, la classe di governo nel suo insieme è sembrata debole quando non complice. C’è voluto un intervento di Napolitano (nessuno lo accusi, please, di avere esorbitato dai propri poteri) per stoppare l’obbrobrio di una legge su Roma Capitale.

Una legge dov’era stato infilato di tutto, comprese le norme sulle «slot machines» bollate da Renzi come «una porcata», al netto del tira-e-molla sugli affitti di Stato da disdettare, anzi no, anzi sì... Ma se si allarga lo sguardo all’intera manovra finanziaria, quel tanto di buono che contiene viene sommerso dalla pioggia di mini-contributi erogati senza un filo di coerenza, scandalosi proprio in quanto premiano istanze capaci di farsi largo a discapito di altri interessi non meno degni. E così ritroviamo i «Virtuosi» di Verona trattati alla stregua dei chioschi abusivi sulle spiagge, l’Orchestra del mediterraneo a braccetto con i pensionati d’oro, i mondiali del volley femminile sovvenzionati insieme all’emittenza radio-televisiva. 

Troppo facile farne carico a Letta e ai suoi ministri. Molte di queste e altre generosità sono opera del Parlamento, dove le giovani reclute hanno fatto comunella con i vecchi marpioni per mettere al primo posto le ragioni della propria sopravvivenza. Certi onorevoli della vasta maggioranza, per quanto de-berlusconizzata, mostrano di avere come minimo comune denominatore soprattutto il tirare a campare, sembrano affratellati dalla paura di tornare alle urne. Visibilmente manca loro un progetto forte che non sia il «carpe diem». L’errore del governo, se tale possiamo considerarlo, è di avere impostato i rapporti con il Parlamento su un piano di correttezza e civiltà, passando dalle maniere forti di un recente passato alla ricerca del dialogo, o quantomeno del galateo. Rispetto ai tempi in cui Tremonti, con i suoi no, era l’uomo più detestato del governo Berlusconi, e a confronto con il passo tecnocratico del professor Monti, accusato di essere più «rigorista» di Frau Merkel, forse l’educato Letta ha confidato troppo nella maturità dei suoi interlocutori. Libera finalmente di esprimersi, la politica vi ha provveduto con la «p» minuscola anziché con la maiuscola.

E’ auspicabile che il nuovo patto programmatico di cui si parla, richiesto da Renzi e cavalcato da Letta, conferisca alla maggioranza il senso di una missione. E dunque si ristabiliscano delle nette gerarchie. Eppure, dietro alle debolezze rimproverate all’esecutivo, c’è molto più di quanto si voglia vedere. Ci sono tutte le fragilità delle nostre istituzioni che non c’è nemmeno bisogno di elencare, tanto sono note. La più anacronistica è rappresentata da un bicameralismo che moltiplica almeno per due, spesso per tre o per quattro, gli assalti alla diligenza, secondo una dinamica bollata dal vice-ministro Fassina come «insostenibile» per le casse dello Stato. A ogni passaggio parlamentare, i governi sono costretti a cedere qualcosa in commissione (terreno ideale per le imboscate lobbistiche) e poi in aula. I deputati non accetteranno mai di approvare le regalie distribuite dai senatori, senza prima averne elargite di proprie. E viceversa, naturalmente. Qualche economista con nozioni di politica si spinge a sostenere che per un’Italia in bolletta e affamata, la riforma del bicameralismo sia addirittura più urgente della stessa riforma elettorale, su cui pure si accapigliano i partiti. Come dare loro torto?

Da - http://lastampa.it/2013/12/27/cultura/opinioni/editoriali/due-camere-raddoppiano-gli-sprechi-iPviuTnrAahNfOi4nSe5DK/pagina.html
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« Risposta #299 inserito:: Gennaio 16, 2014, 04:17:45 pm »

politica
16/01/2014
Legge elettorale, i numeri alle Camere e il fantasma dei franchi tiratori
Due calcoli aritmetici sulle chance che avrebbero Renzi e Berlusconi di imporre la «loro» riforma elettorale (uno «spagnolo» con premio di maggioranza, oppure il «Mattarello» anch’esso con premio)


Ugo Magri
Roma

È il momento di riprendere in mano il pallottoliere. E di fare due calcoli aritmetici sulle chance che avrebbero Renzi e Berlusconi di imporre la «loro» riforma elettorale (uno «spagnolo» con premio di maggioranza, oppure il «Mattarello» anch’esso con premio). 

Partiamo dal Senato dove, sulla carta, i numeri sono più ballerini. Qui, per fare passare la legge in un clima arroventato, sarebbe prudente disporre della maggioranza assoluta. I senatori, compresi quelli a vita e di diritto, sono 321. Dunque, il minimo sindacale per travolgere le resistenze di Grillo e dei centristi, si colloca a quota 161. Il Pd (ammesso che tutti votino compatti) ha 108 senatori, a Forza Italia dopo la scissione ne sono rimasti 60. Sulla carta potrebbero bastare, specie se si dovesse unire la Lega (15 seggi) che per bocca di Calderoli dichiara il proprio favore tanto allo spagnolo quanto al «Mattarellum». Però il Senato si pronuncerà dopo la Camera, dove da qualche settimana è stata spostata la riforma elettorale. 

Trasferiamoci allora a Montecitorio. Qui il gioco di Renzi e di Berlusconi dovrebbe essere, sulla carta, ancora più semplice. L’asticella si colloca a quota 315. Il Partito democratico da solo, per effetto del premio che nelle sue attuali proporzioni la Consulta ha dichiarato incostituzionale, conta su 293 seggi. Il Cavaliere ne può recare in dote altri 67, per cui saremmo (così suggerisce il pallottoliere) abbondantemente oltre la soglia minima necessaria per imporre un sistema elettorale sgradito ai «proporzionalisti». Si aggiungano per sicurezza i 20 deputati della Lega, e siamo a 380 voti per lo spagnolo o per il «Mattarellum»: 65 più del necessario. 

C’è tuttavia un piccolo particolare. Alla Camera, diversamente che in Senato, sulla riforma elettorale è ammesso lo scrutinio segreto. E dunque la vera domanda da porsi è la seguente: quanti potrebbero essere i «franchi tiratori», in caso di accordo di ferro tra Renzi e il «Pregiudicato» (perché tale lo considera la sinistra Pd)? Per rispondere, servirebbe il dono della divinazione. Durante le elezioni presidenziali, ma a Camere riunite, furono addirittura in 101 a pugnalare nel segreto dell’urna la candidatura autorevole di Romano Prodi. Vuoi davvero che sulla legge elettorale, da cui dipende la carriera politica di quasi tutti i «nostri eroi», non spuntino una quantità di dissidenti, magari proprio da chi meno te lo aspetteresti? Ecco perché, nonostante alla Camera la sfida per Renzi (e per Berlusconi) sembri più abbordabile, in realtà presenta parecchi scogli sotto il pelo dell’acqua. Occhio a non sbatterci contro. 

Da - http://lastampa.it/2014/01/16/italia/politica/legge-elettorale-i-numeri-alle-camere-e-il-fantasma-dei-franchi-tiratori-JECu9MMpoXb8HQXCasOPWM/pagina.html
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