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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229219 volte)
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« Risposta #225 inserito:: Novembre 06, 2012, 10:31:34 pm »

politica
06/11/2012

Se le elezioni americane non cambiano più l’Italia

Per la prima volta dal dopoguerra, nessuno si domanda cosa succederà nella politica italiana con l’arrivo
di un presidente Usa piuttosto che di un altro. E al fondo tifano Obama

Ugo Magri
Roma

Per la prima volta dal dopoguerra nessuno, ma proprio nessuno, si domanda che cosa cambierà nella politica italiana per effetto di una vittoria dell’uno o dell’altro candidato alle presidenziali Usa. Più che sul voto in America, i nostri capipartito sono tutti concentrati sulle prossime primarie. E se si domanda loro delle elezioni, subito pensano a quelle dell’aprile 2013. 

Finora i leader della “strana maggioranza” non hanno trovato il tempo e la voglia di pronunciarsi su quanto potrebbe accadere al di là dell’Atlantico. Sicuramente commenteranno domani i risultati. Ma la sensazione nettissima è che, in fondo, per loro non cambierebbe molto. La sinistra al governo con Prodi non ha faticato a intendersi con il repubblicano Bush. Allo stesso modo il Cavaliere si è perfettamente adattato a Obama, sebbene sulla carta avrebbe potuto temerne l’ostracismo specie dopo la gaffe sull’«abbronzatura». Quale che sia l’inquilino della Casa Bianca, ai nostri governanti da lungo tempo non viene negata una “photo opportunity”, accompagnata magari da una cordiale pacca sulla spalla. Pure se vincesse Romney, Bersani sa già che verrebbe accolto con tutte le cerimonie del caso. E perfino con Vendola al governo, gli Usa continuerebbero ad avere in Italia lo status di grande fratello, mai verrebbe negato loro un favore. Sulla carta (ma solo sulla carta) il centrodestra dovrebbe fare il tifo per Romney, e la sinistra per il presidente in carica. A conti fatti, però, nessuno ha gradito le battute di Romney sull’Italia, portata come cattivo esempio da non imitare. Per cui sotto sotto tutti tifano per Obama, berlusconiani compresi.

Non è sempre stato così. Ai tempi della Dc, del Pci e della guerra fredda, l’America faceva apertamente le sue scelte nella politica italiana e non mancava di aiutare in tutti i modi i partiti amici, anche a suon di dollari per bilanciare i rubli dall’altra parte. L’ambasciata Usa in Via Veneto era, tra tutti i palazzi romani, uno dei più influenti. Una vasta letteratura accompagnò fino alla caduta del Muro le gesta, vere o presunte, della Cia in Italia. In quella fase storica davvero da noi poteva incidere l’elezioni di un presidente anziché di un altro. Ma rispetto ad allora il Belpaese è ormai una pigra periferia. Chiuse una dopo l’altra le basi americane in Italia, perché il fronte si è spostato altrove. Con il cambio così sfavorevole per il biglietto verde, nemmeno per i turisti Usa siamo più una meta obbligata, al massimo ci dedicano tre giorni di un “trip” europeo. E quanto ai nostri politici, ormai a Washington li dividono tra persone serie, su cui fare affidamento, e quaquaraqua (magari pure poco onesti). Basti dire che uno dei personaggi pubblici più stimati e ascoltati oltre Atlantico è un comunista d’antan di nome Giorgio Napolitano. The Times They Are a-Changin’...

da - http://lastampa.it/2012/11/06/italia/politica/se-le-elezioni-americane-non-cambiano-piu-l-italia-byfJoEEBwyeispTU2rBJwJ/pagina.html
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« Risposta #226 inserito:: Novembre 07, 2012, 11:02:11 pm »

intervista
07/11/2012

“Sceneggiata napoletana il Pd non cada dalle nuvole”

Il leader centrista: qualcuno vorrebbe tenere il Porcellum

Ugo Magri
Roma


Presidente Casini, il Pd vi accusa di fare sgambetti in commissione sulla riforma elettorale. Che risponde? 

«È tutta una sceneggiata napoletana, mica possiamo raccogliere queste polemiche. In Senato si è solo preso atto di un principio fissato dalla Corte costituzionale, secondo cui bisogna superare una certa soglia per poter accedere al premio di maggioranza. Sono anni che la Consulta lo va ripetendo, e il Presidente della Repubblica ci ha richiamati più volte. Nessuno può cadere dalle nuvole. Ma allora, di quali sgambetti stiamo parlando?».

 

Sta di fatto che Bersani è pronto alle barricate contro la soglia del premio al 42,5 per cento. La trova eccessivamente elevata, praticamente irraggiungibile. 

«Se non piace la soluzione che abbiamo indicato, ne proponga un’altra. Si può cambiare l’altezza dell’asticella, si può ragionare sul premio al partito, sono tante le soluzioni possibili. Ma non è che, siccome non ci piace l’idea del tetto, dobbiamo abbattere l’edificio. Io non vorrei che fosse vero quanto si va dicendo in giro...».

 

Cosa si dice? 

«Che a furia di rinvii, qualcuno si era ormai rassegnato a tenere il Porcellum, con il suo premio di maggioranza spropositato; per cui adesso non gradisce il passo avanti compiuto in Senato».

 

Scusi, ma tra i padri del Porcellum non c’era anche lei? 

«Certo che diedi un contributo. Però spesso si omette di ricordare che allora le condizioni erano molto diverse. Nel 2006 i due poli sfiorarono ciascuno il 50 per cento. E nel 2008 Berlusconi vinse con quasi il 47. Il premio di maggioranza, nel suo caso, fu dell’8 per cento, mica del 20. Oggi non si può pensare di prendere il 25 e di essere proiettati, grazie al premio, al 55 per cento dei seggi».

 

Bersani la vede al contrario, «qualcuno teme che governiamo noi» è la sua accusa... 

«Potrà governare, figuriamoci. Ma in tutta amicizia gli dico quello che già sa: non si può consentire a lui e a Vendola di raddoppiare per legge i propri voti. Il problema del suffragio universale si pone anche per loro».

 

La via d’uscita, a questo punto, quale può essere? 

«Proseguire il lavoro avviato in Commissione, arrivare nell’aula del Senato con un testo, discutere e votare con serenità gli emendamenti. Lo ripeto: noi siamo aperti a ogni miglioramento della riforma. Anzi di più, siamo sdraiati, distesi se è questo che occorre per arrivare a un accordo serio. Tutto è perfettibile, figuriamoci se non lo può essere un testo di riforma elettorale che deve per forza nascere da un compromesso. Io stesso, che di ispirazione sono proporzionalista, in nome dell’intesa possibile ho accettato l’idea di un premio alla coalizione o al partito vincente. Dunque discutiamone, senza minacce di rovesciare il tavolo».

da - http://lastampa.it/2012/11/07/italia/politica/sceneggiata-napoletana-il-pd-non-cada-dalle-nuvole-9LReHcJlVRZteTPUQRDiQK/pagina.html
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« Risposta #227 inserito:: Novembre 15, 2012, 04:42:50 pm »

Politica
15/11/2012 - retroscena

Il Quirinale prudente E Monti potrebbe prendere tempo

Per il governo decisione difficile, si affaccia l’idea di un voto in aula la prossima settimana

Ugo Magri
Roma

La minaccia sembra autentica, stavolta davvero il Pdl potrebbe far saltare il banco. Berlusconi lo raccontano «determinatissimo», il che non è una garanzia assoluta perché Silvio cambia spesso idea. 

Però ci sono anche gli altri. E tutti, da Alfano in giù, si sono passati parola: le Regionali debbono svolgersi nello stesso giorno delle Politiche, altrimenti meglio la crisi. 

 

Sono attendibili in quanto disperati. Se il 10 febbraio si votasse solo in Lombardia e nel Lazio, come propone il ministro Cancellieri, sarebbe come mettere in vetrina i panni sporchi del centrodestra. Il Pdl (ma pure i centristi, che di quelle giunte facevano parte) verrebbero puniti dagli elettori proprio a ridosso delle Politiche, che si terrebbero il 6-7 aprile. La successiva campagna elettorale si trasformerebbe in una faccenda privata tra Bersani e Grillo. A Berlusconi resterebbero le briciole, forse nemmeno quelle. Ecco perché, morto per morto, il Cavaliere è pronto a licenziare i tecnici pur di confondere tutto nel gran calderone dell’«election day», da tenere in febbraio... 

 

La situazione di Monti è delicata assai. Può tirare dritto per la sua strada, come lo incita Bersani, e confermare già domani in Consiglio dei ministri la data fatidica del 10 febbraio. In questo caso, però, il Prof dovrà attendersi che da destra gli facciano lo sgambetto con la scusa che sarebbe indegno sperperare 100 milioni di euro per votare due volte in due mesi. È ben vero quanto ribatte il Viminale: rinviare le Regionali ad aprile sarebbe arduo dal punto di vista giuridico. Ed è altrettanto vero ciò che ricordano sul Colle più alto, anticipare le Politiche a febbraio significherebbe andare al voto con il «Porcellum», perché mancherebbe il tempo di riformare questa legge da tutti deprecata. Ma tali discorsi, benché fondati sulla ragione, sarebbero sommersi dall’onda demagogica su cui ieri «surfava» allegramente Alfano denunciando la «tassa Bersani» e gli indegni costi della politica. Non solo: la polemica divamperebbe al punto da lambire lo stesso Presidente.

 

Già ieri nel Pdl, ma pure nel giro centrista, Napolitano veniva additato come il vero artefice delle date, una specie di calendario vivente. Si sosteneva che la scelta di tenere le Regionali in febbraio fosse stata concordata da Re Giorgio direttamente con Bersani e comunicata a Monti durante il pranzo di martedì. Si dava in quegli ambienti per certo che il premier non fosse tanto d’accordo, anzi proprio per niente, salvo cedere all’ora del dolce, onde evitare un pericoloso cortocircuito. Si vociferava di un certo freddo tra premier e Presidente, motivato dal timore che Monti possa o voglia interferire nella campagna elettorale, addirittura accettando che Casini spenda il suo nome quale candidato di un grande «rassemblement» dei moderati... Tutte chiacchiere smentite con forza tanto al Quirinale quanto a Palazzo Chigi, dove anzi si domandano chi le metta in giro, e con quali disegni per la mente. Ai vertici della Repubblica regna, garantiscono, una totale armonia.

 

Sul tappeto c’è pure l’altra ipotesi: che Monti si pieghi al «ricatto» (così lo definiscono da sinistra). E che per evitare l’assalto della speculazione internazionale, conseguente a una crisi di governo immediata, acconsenta di spostare le Regionali ad aprile. Tale ritirata suonerebbe come grave segno di debolezza, oltre che come sconfessione del ministro Cancellieri. Inoltre, avrebbe l’effetto di mandare su tutte le furie il Pd. Il crollo della fiducia nel Prof sarebbe verticale, a sinistra Monti avrebbe chiuso per l’oggi e per il domeni. Dunque c’è da credere a quanti nel suo entourage lo descrivono pensieroso e prudente. Ieri sera è tornato tardi dalla visita di Stato in Algeria, non ha avuto tempo e modo di tuffarsi nei colloqui politici. Lo farà nei prossimi giorni, senza precipitazioni. Da nessuna parte sta scritto che la decisione sulle date debba essere presa per forza domani, nel Consiglio dei ministri già convocato. Probabile che se ne parli a cuore aperto, ma che l’ultima parola slitti alla prossima settimana. Magari dopo un voto di indirizzo parlamentare, sotto forma di ordine del giorno sostenuto da Pdl e centristi, cui il governo sarebbe costretto a ottemperare. Con sollievo inconfessato di Monti e, a essere molto maliziosi, dello stesso Quirinale.

DA - http://lastampa.it/2012/11/15/italia/politica/il-quirinale-prudente-e-monti-potrebbe-prendere-tempo-RZ7iiAS0z9j3XMKwrjkZEN/pagina.html
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« Risposta #228 inserito:: Novembre 23, 2012, 01:26:37 am »

Verso il 2013

22/11/2012 - le strategie dei partiti

Il “consiglio” di Bersani a Monti: non si candidi

Bersani sarebbe disposto ad accettare la proposta Calderoli di un premio in base alla percentuale di voti ottenuta

Legge elettorale verso l’accordo: premio legato alla percentuale raggiunta

Ugo Magri
Roma


Due mosse chiare e risolute da parte di Bersani. La prima: il segretario Pd lancia un altolà politico a Monti. Gli consiglia, tra virgolette, di non farsi sedurre da Montezemolo e da Casini, se il premier «vuole dare una grossa mano per il futuro è meglio che non si metta nella mischia». Certo, riconosce Bersani, «volendo avrebbe tutti i diritti, ma se si tiene fuori è meglio...». Un messaggio politico forte e chiaro dopo settimane in cui aveva finto di ignorare le grandi manovre al centro.

 

L’altra mossa, importante, di ieri: il segretario Pd indossa i panni del leader generoso e responsabile, che sacrifica un po’ del suo bottino elettorale futuro pur di liberare l’Italia da questa legge indecente, non a caso ribattezzata «Porcellum»... La novità consiste nello scendere dal pero e nell’aderire all’unica mediazione in campo, quella cui sta lavorando Calderoli, qualcuno dice con la benedizione del Colle. 

 

Il Pd non la sposa in tutto e per tutto, restano ancora certi spigoli da limare. Però sottoscrive il congegno, che ricorda tanto un ascensore: alla lista o alla coalizione vittoriosa viene assegnato un premio diverso, a seconda del piano raggiunto. Primo piano (cioè fino al 30 per cento dei voti): il «bonus» alla Camera consiste in una quarantina di seggi che si sommano a quelli già ottenuti. Piano secondo (tra il 30 e il 35 per cento): il premietto sale e può arrivare, grazie all’ascensore, a quota 60 seggi. 

 

Piano terzo (se il vincitore si piazza tra il 35 e il 40 per cento): il premietto diventa un premio vero e proprio, sfiorando i 70 seggi. Piano quarto (oltre il 40 per cento): è fatta, chi ci arriva riceve la maggioranza assoluta dei seggi. Rispetto a Calderoli, la proposta Pd ritocca all’insù le percentuali. Il sub-emendamento presentato da Finocchiaro e Zanda prevede che già al terzo piano, con il 35 per cento dei voti, Bersani possa conquistare il controllo del Parlamento. Ma la distanza da Calderoli adesso è minima, 7-8 seggi non di più.

 

A questo punto il cerino acceso passa dalle mani di Bersani a quelle di Alfano. Il quale rischia di ustionarsi seriamente, in quanto Napolitano è pronto a denunciare davanti al Paese colui o coloro che per calcoli miopi ci riportassero alle urne con il «Porcellum». Nel Pdl non sanno bene che fare, se convergere anche loro su Calderoli o se restare isolati anche rispetto alla Lega. Si sono presi tempo fino a lunedì per una risposta. Dunque, nuovo rinvio.

da - http://lastampa.it/2012/11/22/italia/politica/il-consiglio-di-bersani-a-monti-non-si-candidi-QUudZL9BGdPFgBTtYXqo5L/pagina.html
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« Risposta #229 inserito:: Novembre 23, 2012, 05:11:07 pm »

politica
30/10/2012

Grillo, un trampolino per il Monti bis

Il Financial Times ironizza sull’Italia guidata da un comico, ma chi l’ha detto che la sua vittoria sarebbe un passo indietro per la governabilità?

Ugo Magri
Roma

Stamane in prima pagina il Financial Times lancia l’allarme ai mercati: questa vittoria di un «comico» in Sicilia potrebbe recare grave instabilità politica all’Italia. E ciò, chiarisce la Bibbia della City londinese, in quanto l’esito delle regionali conferma quanto i sondaggi vanno rilevando su scala nazionale a proposito di Beppe Grillo. Non è impossibile che di questo passo il suo movimento possa affermarsi alle Politiche come secondo partito, e a quel punto il Belpaese tornerebbe nel caos... Vedremo quali effetti potranno avere sull’andamento dello spread queste e altre consimili previsioni. Tuttavia traggono da una premessa esatta conclusioni molto discutibili. 

Chi l’ha detto che se Grillo dovesse crescere l’Italia uscirebbe dal seminato? Sarebbe possibile esattamente il rovescio. Per esempio, potrebbe succedere che l’assenza di maggioranze chiare finisca per rendere inevitabile una conferma di Monti. E che, per non cedere il passo a Grillo, pure nella prossima legislatura si venga a riprodurre qualche forma di grande coalizione. In questo caso saremmo al paradosso, uno dei tanti che suscitano stupore fuori dei nostri confini: l’effetto del movimento anti-sacrifici sarebbe proprio quello di conservare al suo posto colui che li ha saputi imporre come nessun altro... L’ipotesi non è poi così peregrina. Pare che per calcoli non sempre commendevoli i due maggiori partiti siano intenzionati, al di là delle chiacchiere, a tenersi l’attuale sistema di voto, il famigerato Porcellum. Che ha la caratteristica di garantire maggioranze super-solide alla Camera e molto ballerine al Senato. L’ irruzione sulla scena di un nuovo partito del 15-20 per cento, forse addirittura di più, avrebbe l’effetto di rendere la distribuzione dei seggi a Palazzo Madama assolutamente imprevedibile. E se la sera delle elezioni ci ritrovassimo senza alcun chiaro vincitore al Senato, sarebbe giocoforza richiamare in campo come estrema risorsa della Repubblica (e dei partiti) il Prof. Il quale, guardando avanti, si è già messo a disposizione. 

da - http://lastampa.it/2012/10/30/italia/politica/grillo-un-trampolino-per-il-monti-bis-ApS5aaYzeCoBtFd1qJLVIN/pagina.html
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« Risposta #230 inserito:: Novembre 24, 2012, 05:41:16 pm »

intervista
24/11/2012 - verso il 2013

Alfano: “I Centri sono velleitari solo noi alternativi alla sinistra”

Su Casini e Montezemolo: dividere i moderati è un modo per far vincere il Pd

Ugo Magri
Roma


Davvero lei, che tanto si è battuto per le primarie, potrebbe dire «con certi signori non vi partecipo»? 

«Ne faccio una questione di credibilità e di serietà. Io sono indisponibile a gareggiare con soggetti estranei alla nostra storia, ma che portano in compenso la loro biografia comprensiva di qualche vicenda giudiziaria in corso...».

 

Lei, però, da ministro e da segretario ha sempre difeso Berlusconi. Con lui come la mettete? 

«Siamo stati, e sempre saremo, al fianco del Presidente in quanto perseguitato della giustizia. Però non crediamo che tutti gli indagati siano automaticamente vittime dell’ingiustizia. Siamo veri garantisti, ma da qui a volere l’impunità ne corre».

 

Tra i suoi sfidanti alle primarie, chi le sembra privo dei requisiti, diciamo così, morali? 

«Non è questione di nomi. Per questo c’è un Comitato dei garanti, dai quali mi aspetto una valutazione particolarmente attenta delle singole posizioni. E me l’attendo, in quanto dobbiamo fare una gara seria e credibile nell’interesse del Pdl, del centrodestra e dell’Italia stessa. La prima volta delle primarie, perdoni il bisticcio, deve essere un evento assolutamente inattaccabile».

 

Giorgia Meloni già le domanda, in tono di sfida, se userete lo stesso metro anche per i candidati alle prossime elezioni politiche... 

«Saremo severissimi, ma senza per questo farci scrivere le liste dai pubblici ministeri. Abbiamo conosciuto e vediamo tutti i giorni troppi errori per poterci fidare delle ipotesi accusatorie a scatola chiusa».

 

Ma in tivù con gli altri concorrenti, lei è disposto ad andarci? 

«Nessun problema. Anzi, sa che le dico? Sarà solo un piacere discutere pubblicamente con chi milita sotto la stessa bandiera e persegue gli stessi obiettivi».

 

Che partecipazione si attende alle vostre primarie? Mezzo milione? Un milione? Di più? 

«Non riuscirà a farmi dare i numeri... Dico che è una grande sfida organizzativa, e aggiungo: non sarebbe onesto paragonarci a una sinistra che fa le primarie non del Pd ma dell’intera coalizione, e in una congiuntura politica provvisoriamente favorevole».

 

Provvisoriamente? 

«Io sono sicuro che il nostro sforzo renderà effimero il loro vantaggio».

 

Nell’attesa, certi ultras del Cavaliere la dipingono come alleato degli ex-An contro il mondo di Forza Italia... 

«Ecco una bufala colossale. Primo, perché nella ex-Forza Italia godo di un sostegno larghissimo, e non trascuriamo che di lì provengo. Secondo, perché dalle primarie verrà fuori una nuova generazione della destra italiana, giovani donne e giovani uomini che so di certo stimati dallo stesso presidente Berlusconi. Basta, per favore, con questa abitudine di buttare tutto quanto nel cestino della polemica! Io sono convinto che molte cose cambieranno, anche per effetto delle primarie. Grazie a questo profondo rinnovamento, il Popolo delle libertà tornerà appetibile per quei milioni di italiani che non vogliono consegnarsi alle sinistre».

 

Lei, Alfano, ha rifiutato l’investitura già ricevuta, preferendo farsi eleggere nelle primarie. Che bisogno c’era? 

«E’ vero, ho scelto la strada più scomoda, la più stretta, quella più ricca di incognite: mi sono messo in discussione. Ma creda a me, con il Presidente c’è un vincolo non solo politico ma personale solidissimo. È un uomo che ha scritto pagine molto belle della storia politica italiana e che eserciterà ancora un ruolo fondamentale nell’area dei moderati, di cui è stato dal ’94 a oggi il federatore».

 

In futuro, potrebbe esserlo Monti? 

«Il presidente del Consiglio ha svolto una funzione importante in una fase di sospensione democratica. Ma a marzo la democrazia tornerà e, se vorrà continuare a governare il paese, Monti dovrà dirlo chiaramente affinché gli elettori possano dare un giudizio. E comunque, che lui scenda in campo o meno, un concetto dev’essere chiaro: senza l’apporto del Pdl, le forze moderate non avranno alcuna chance di successo». 

 

Par di capire che lei non crede troppo al successo dell’iniziativa di Montezemolo, Riccardi, Casini... 

«Io credo in quello che stiamo facendo con le nostre primarie e con il profondo rinnovamento del Pdl. Perciò sostengo che un’alleanza alternativa alla sinistra si può costruire solo intorno a noi e insieme con noi. Altrimenti risulterebbe velleitaria. O peggio, sarebbe di aiuto a Bersani e a Vendola. Perché ci sono due modi per farli vincere. Il primo è votarli».

 

E il secondo? 

«Dividere i moderati quando invece avrebbero tanti motivi per restare uniti. Basti vedere chi ha firmato l’accordo sulla produttività, e chi invece l’ha contestato. Da una parte le forze sociali favorevoli a un patto utile per la crescita, che consente di guadagnare di più a chi più lavora. Dall’altra la Cgil, ancora capace di dettare l’agenda della sinistra e, se Bersani dovesse vincere, dell’Italia».

da - http://lastampa.it/2012/11/24/italia/politica/alfano-i-centri-sono-velleitari-solo-noi-alternativi-alla-sinistra-WhhMj0uhY0nTuOTSY8J1BJ/pagina.html
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« Risposta #231 inserito:: Novembre 26, 2012, 07:43:41 pm »

politica
23/11/2012

Le primarie Pdl? Un regolamento di conti tra Alfano e il Cavaliere


Chi perderà il prossimo 10 marzo sarà il leader del centrodestra nel Parlamento futuro: il vero nodo della dialettica interna riguarda
l’inaugurazione di una nuova stagione politica dopo Berlusconi

Ugo Magri
Roma

Ci sono tanti modi di guardare alle primarie del Pdl. Quello più in voga rispecchia il modello sperimentato a sinistra, dove cinque candidati si battono (due con maggiori chance) per conquistare la guida della coalizione e, probabilmente, del paese. Con questo stesso metro di giudizio, trapiantato a destra, ecco finire sotto i riflettori personaggi quali Proto, come Samorì e come altri signori sconosciuti al grande pubblico, perché di loro mai le cronache si erano interessate. La corsa tra Alfano e i suoi avversari ricorda un po’ una gara tra Biancaneve e i sette nani, tale e tanta risulta la sproporzione di forze tra il segretario col suo apparato di partito da una parte, e i vari più o meno probabili competitor dall’altra. Lo spettacolo delle primarie Pdl, insomma, potrà risultare gradito agli amanti del folklore politico, ma per tutti gli altri rischia di essere assai poco avvincente.

 

C’è però un altro modo, assai più vivace, di «leggere» quanto sta capitando a destra. Dove nessuno, nemmeno Angelino, può ragionevolmente sperare che una vittoria alle primarie lo proietti a Palazzo Chigi. Bene che gli vada, il Pdl potrà ambire alla seconda piazza (ma rischia la terza dietro a Grillo, e forse addirittura la quarta se il progetto centrista decolla). Al massimo, insomma, la disfida interna potrà servire per consegnare lo scettro al nuovo capo o, se più piace, al nuovo padrone del partito. Colui che, pure perdendo il 10 marzo prossimo, sarà il leader dell’opposizione di centrodestra nel Parlamento futuro. E qui scatta qualche brivido autentico, poiché nel Pdl come altrove si comanda uno alla volta, dunque il significato vero di queste primarie ha molto a che vedere con la cacciata del vecchio sovrano Berlusconi per inaugurare una nuova stagione. Le primarie, in realtà, vanno intese come un duro, incerto, per certi versi appassionante regolamento di conti tra Alfano e il Cavaliere.

 

In quest’ottica, si comprende come mai Berlusconi remi disperatamente contro, e perché invece il suo ex-figlioccio ci tenga tanto a celebrare il rito. Silvio non voleva che le primarie si tenessero, ha negato perfino la risorsa di cui maggiormente dispone, i quattrini.
Alfano le ha imposte invece alla data prestabilita, costi quello che costi. Il Cavaliere sospinge nell’arena i candidati più improbabili, in modo (direbbero a Roma) da «buttarla in caciara» e avvolgere l’aspirante successore al trono in una nube di ridicolo. Il segretario viceversa ha l’interesse opposto, quello di mostrare che la stagione dei nani e delle ballerine appartiene al passato, adesso si volta pagina...
Ecco spiegata l’uscita odierna di Alfano, «se si candidano gli indagati, allora non mi candido io». Il vero destinatario dell’ultimatum non è Proto, come a prima vista potrebbe sembrare, ma chi l’ha spinto a scendere in pista. Chissà perché, torna in mente il titolo di un vecchio film di Nanni Loy: «Mi manda Picone»...

da - http://lastampa.it/2012/11/23/italia/politica/le-primarie-pdl-un-regolamento-di-conti-tra-alfano-e-il-cavaliere-MeYTJYVaQ2JkMGbV3Wgl8I/pagina.html
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« Risposta #232 inserito:: Dicembre 04, 2012, 05:09:53 pm »

politica

04/12/2012

Il diktat del Cavaliere sull’election day

La linea di Berlusconi: andare alle urne il 10 febbraio insieme al Lazio per evitare sprechi. Ma il Quirinale non accetta ultimatum sullo scioglimento delle Camere

Ugo Magri
Roma

Berlusconi è pronto a far cadere il governo se non gli verrà concesso l’«election day» il 10 febbraio prossimo. Pretende proprio quel giorno (e non per esempio un mese dopo) in quanto già è stabilito che vada alle urne il Lazio. Non «agganciarvi» pure la Lombardia, il Molise e il Parlamento nazionale sembrerebbe a Silvio e al Pdl un intollerabile spreco di risorse, oltre che un insulto alla pazienza dei cittadini.
Di qui la minaccia, pare molto seria, di licenziare Monti in modo da costringere Napolitano a sciogliere subito il Parlamento e approdare comunque al 10 di febbraio…

 

Il fatto è che il Capo dello Stato non ragiona allo stesso modo. A lui e a nessun altro spetta il potere di sciogliere le Camere, così dice la Costituzione. Sul Colle si esclude che Re Giorgio voglia concludere il suo mandato ubbidendo tremebondo al Cavaliere. Perfino nel caso in cui Berlusconi volesse precipitare la crisi, Napolitano potrebbe manovrarne la tempistica in modo da tenere le elezioni politiche alla scadenza concordata due settimane orsono con i presidenti delle Camere: il 10 e 11 marzo 2013. In quella stessa data potrebbero essere chiamati al voto i cittadini della Lombardia e del Molise, come non definirlo «election day»? L’unico anticipo riguarderebbe dunque il Lazio, a votare due volte sarebbero soltanto i suoi abitanti. Ma non è colpa nostra, osservano al Quirinale, se nel Lazio la data è stata fissata al 10 febbraio. La decisione è figlia del Consiglio di Stato, nonché della Polverini, la quale ha emanato un apposito decreto per convocare i comizi. Vi era obbligata dalla sentenza, è vero; però volendo avrebbe potuto rifiutarsi di eseguirla, facendosi commissariare dal governo per non avere ottemperato. In altre parole la Polverini, convocando le elezioni nel Lazio il 10 febbraio, si è resa partecipe della decisione.
Ma l’ex governatrice, c’è chi fa in alto loco, appartiene allo stesso partito di Berlusconi. Non potevano mettersi d’accordo, i due, in maniera da evitare un simile pasticcio? 

 

Sempre dalle parti del Quirinale si sostiene che, a questo punto, non c’è alcuna fondata ragione per cambiare l’agenda. Anzi, sarebbe una follia subire il diktat berlusconiano. Perché, primo, non si fa tecnicamente più in tempo a votare per febbraio. In teoria la legge consentirebbe di sciogliere le Camere fino a Natale, ma poi l’amministrazione (che è una lumaca) non riuscirebbe ad allestire seggi, a stampare le schede e tutto il resto in maniera dignitosa nei 45 giorni disponibili. Avrebbe bisogno di almeno 15 giorni in più, diciamo che lo scioglimento dovrebbe intervenire non oltre metà dicembre. Ma (seconda considerazione) in quel caso le Camere verrebbero mandate a casa ancor prima di avere approvato la legge di stabilità, cioè la manovra economica che ci salva agli occhi dei mercati. Il provvedimento deve essere ancora licenziato alla Camera, poi toccherà al Senato… Dovremmo andare al voto con l’esercizio provvisorio, e sarebbe una pessima figura. Facile prevedere un’impennata dello spread, proprio quando finalmente sembra calato a livelli accettabili. Col risultato che, per risparmiare allo Stato qualche milione di euro, ne verrebbero bruciati miliardi sull’altare della speculazione internazionale… Napolitano non pensa proprio a farci correre un tale rischio. Berlusconi, si domandano perplessi nei dintorni del Colle, è pronto ad assumersi una responsabilità così seria?

da - http://lastampa.it/2012/12/04/italia/politica/il-diktat-del-cavaliere-sull-election-day-HIeFo4tJJvD8xDk0aCya1N/pagina.html
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« Risposta #233 inserito:: Dicembre 05, 2012, 10:06:27 pm »

politica
05/12/2012

Berlusconi e la tentazione di fare lo sgambetto a Monti

Oggi a pranzo riunione con i colonnelli del Pdl per decidere se staccare la spina al governo

Ugo Magri
Roma


All’ora di pranzo Berlusconi riunisce i capi del suo partito con l’intenzione di staccare la spina al governo con un mese di anticipo. La scusa ufficiale è legata all’«election day» (il Pdl vuole che si voti il 10 febbraio anziché il 10-11 marzo), ma la giustificazione vera ha molto a che vedere con le strategie della campagna elettorale. Il Cavaliere è convinto di essere precipitato negli indici di gradimento come conseguenza dell’appoggio a Monti più che dei suoi tanti errori. La sua gente si è sentita tradita (questa è la teoria in voga dalle parti di Arcore) dalle tasse e dai tagli del Professore, per cui sarebbe impossibile risalire la china senza prendere le distanze dal governo con un gesto forte e chiaro. La crisi, appunto.

Però il gruppo dirigente del Pdl non la pensa allo stesso modo. Alfano, Cicchitto, Gasparri, Fitto, per non dire di Lupi, ieri sera gli hanno mandato a dire tramite l’«ambasciatore» Gianni Letta che sgambettare Monti adesso, con la legge di stabilità ancora da approvare, con la riforma elettorale lasciata a metà, sarebbe un gigantesco regalo a Bersani, oltre che un rischio gravissimo. Se i mercati finanziari dovessero reagire male alla crisi, lo spread schizzerebbe di nuovo alle stelle, e il centrodestra se ne dovrebbe assumere intera la colpa. Una follia politica. Dunque generali e colonnelli del Pdl (eccezion fatta per Verdini e per le «amazzoni» berlusconiane, dalla Santanché alla Biancofiore) implorano il Capo di lasciar perdere. Nel primo pomeriggio sapremo come è andata a finire. Ma qualora Berlusconi voglia tirare diritto per la sua strada, causando il patatrac, non è da escludere che una parte del Pdl si stacchi dal gruppo e decida di sostenere il governo a oltranza, in modo da completare la legislatura (lo scioglimento delle Camere è previsto per metà febbraio). Già ieri l’ex ministro Frattini è salito al Colle per informare il presidente della Repubblica che lui e altri si opporrebbero a forzature tali da metterci in cattiva luce con l’Europa.

La riforma elettorale dipende da tutto ciò. Nel senso che la linea dura berlusconiana implica la chiusura di fatto del Parlamento. Per cui non ci sarebbe più tempo per rimpiazzare il «Porcellum». Stamane il Senato esamina il decreto sviluppo, riservandosi di portare in Aula la legge elettorale nel pomeriggio, qualora così decida la conferenza dei capigruppo. I quali capigruppo aspettano, inutile dire, l’esito del pranzo «chez» Berlusconi. Altamente probabile la fumata nera. Ma pure se così non fosse, i due maggiori partiti hanno ormai perso la fiducia di poter trovare un accordo. Che sarebbe a un passo, le distanze sul premio di maggioranza sembrano infinitesimali (53 seggi vorrebbe il Pd, 50 ne offre il Pdl con l’ultima proposta firmata Quagliariello). Però tanto Bersani quanto Berlusconi ritengono, in cuor loro, di ricavare maggiori vantaggi dalla legge attuale. Sotto sotto si domandano chi glielo fa fare di cambiarla per una soluzione meno conveniente… Comunque vada il pranzo a Palazzo Grazioli, una cosa è certa: sulla XVI legislatura della Repubblica incominciano a scorrere i titoli di coda.

da - http://lastampa.it/2012/12/05/italia/politica/berlusconi-e-la-tentazione-di-fare-lo-sgambetto-a-monti-ClVz8EY4uNCmAEuCoXgUFO/pagina.html
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« Risposta #234 inserito:: Dicembre 06, 2012, 04:46:12 pm »

verso il 2013
06/12/2012 - le questioni aperte

Election day, governo tra due fuochi

Oggi il Consiglio dei ministri: il Pdl preme per il voto unificato, il Pd vuol separare Regionali e Politiche

Ugo Magri
Roma


La mina dell’«election day» non è ancora disinnescata, anzi si annuncia uno scontro molto aspro tra Pd da una parte, Pdl dall’altra, con il governo in mezzo a farne potenzialmente le spese. Nel caso in cui Monti non faccia come dice lui, Berlusconi è sempre più deciso a sgambettare il Prof. A sua volta Bersani ha messo in chiaro al premier che si attende il rovescio di quanto pretende il Cavaliere: veda un po’ lui a chi dare retta... 

 

Oggetto del contendere sono Lombardia e Molise: devono andare alle urne insieme con le Politiche, presumibilmente il 10-11 marzo, oppure vanno accorpate con le elezioni del Lazio, che proprio ieri mattina il Tar ha fissato per sentenza al 3 febbraio? Unire le date o separarle? Sembra una questione burocratica, di sicuro poco appassionante, ma politicamente è dinamite. Perché si sa, gli elettori tendono a buttarsi con chi vince e a fuggire da chi perde: in America lo chiamano «band wagon effect». Per cui il doppio appuntamento favorisce chi ha più chance di far bene nel primo, che sarebbero appunto le Regionali. In Lazio e in Lombardia si torna a votare dopo gli scandali che hanno travolto il Pdl. Logico che da quella parte si attendano di essere puniti dagli elettori. E di essere penalizzati ancora di più alle Politiche del mese successivo. Il risultato è che Berlusconi e i suoi fanno il diavolo a quattro per «annegare» perlomeno Lombardia e Molise nelle Politiche di marzo, confondendo un po’ le acque. Si aspettano che il Consiglio dei ministri stamane decida in tal senso.

 

E in effetti, oggi una decisione dovrebbe maturare. Ma quale? Mettiamoci nei panni della ministra Cancellieri, ieri per tutto il giorno impegnata a Bruxelles. Il Tar le ha complicato l’esistenza, anticipando di una settimana la data delle elezioni nel Lazio: accogliendo il ricorso presentato dal Movimento difesa del cittadino, i magistrati amministrativi hanno annullato il decreto Polverini (elezioni il 10 febbraio) ingiungendo alla ministra di convocarle il 3. Sul tavolo della Cancellieri c’è un allarmato rapporto degli uffici competenti, dove si avverte che ubbidire al Tar comporterebbe un aggravio di spese, in quanto gli uffici del Viminale dovrebbero restare aperti durante le festività natalizie; ma soprattutto, la presentazione delle liste e dei candidati si trasformerebbe in una complicatissima corsa ostacoli, con il rischio di ricorsi, polemiche eccetera. Il caos sarebbe garantito. Ragion per cui la Cancellieri porrà oggi un problema ai colleghi di governo: non c’è modo di tornare al 10 febbraio? La maniera, appunto, ancora non è stata individuata. Di sicuro non può trattarsi di un decreto legge, perché Napolitano negherebbe la controfirma a un atto di urgenza in materia elettorale, che oltretutto sconfessa una decisione della magistratura.

 

Quale che sia la data, 3 o 10 febbraio, la Cancellieri sembra comunque orientata a proporre la soluzione prediletta da Bersani: Lombardia e Molise alle urne insieme col Lazio; le Politiche un mese dopo quando, con tutta probabilità, finirà per aggiungersi il voto per il sindaco della Capitale (è questa l’aria che si respira in Campidoglio). Ma una scelta del genere, come si è detto, avrebbe l’effetto di scatenare l’ira del Pdl contro Monti. Berlusconi e i suoi gerarchi sembrano divisi su tutto, tranne che su questo specifico punto. Addirittura il Cavaliere avrebbe voluto che le Politiche fossero anticipate a febbraio, pur di non separarle dalle Regionali. Ma Napolitano è intransigente; troppe cose restano da fare prima di congedare le Camere, per cui vuole tenere aperta la legislatura quantomeno fino a metà gennaio, che altrimenti dovrebbe sciogliere entro il 20 dicembre... Materia intricata. L’ultima parola spetta a Monti: o scontenta gli uni, o delude gli altri. 

da - http://lastampa.it/2012/12/06/italia/politica/election-day-governo-tra-due-fuochi-mjFevUJPJuwFWsdlNi4SNI/pagina.html
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« Risposta #235 inserito:: Dicembre 06, 2012, 04:52:23 pm »

politica
06/12/2012

La corsa del Cav contro tutto e tutti

Ostaggio di una pattuglia di fedelissimi, Berlusconi non ascolta i sondaggi né i suoi consiglieri di un tempo. E c’è chi lo aspetta al varco...

Ugo Magri
Roma


I veri amici l’hanno supplicato in tutte le lingue di non farlo, per il bene suo e anche quello del centrodestra. E’ stato un coro unanime, da parte di dirigenti Pdl sinceri e leali, ma anche di vecchi consiglieri come Gianni Letta. Probabile che qualche ultimo tentativo di farlo desistere venga messo nuovamente in campo, nelle ulteriori riunioni che si susseguiranno per tutta la giornata a Palazzo Grazioli. Ma ormai il destino sembra segnato, nulla ferma più il galoppo del Cavaliere verso la sua quinta discesa in campo. 

 

Questa volta si può ben affermare che Berlusconi è in corsa contro tutto e contro tutti. Falso quanto ha sostenuto nella dichiarazione notturna, tutti mi vogliono per cui non posso esimermi... A reclamare il suo ritorno, in realtà, è una pattuglia di «ultras» dei quali Silvio sembra leader e prigioniero: una corte variopinta di «nominati» che a lui tutto debbono, e che resterebbero senza arte né parte nel caso in cui venissero abbandonati dal loro mentore. Per mesi l’hanno blandito, incitato, aizzato, sussurrandogli all’orecchio che «quello» (vale a dire il successore designato Alfano) non aveva il «quid» capace di trasformarlo in vero leader, dunque solo il Fondatore, poteva rifondare il partito e nessun altro. La goccia quotidiana ha ottenuto l’effetto desiderato.

 

Per la prima volta nella sua ormai lunga carriera politica, invece, Berlusconi non ha dato retta ai sondaggi. Se li avesse seguiti, tutto avrebbe fatto tranne che lasciarsi tentare da suppliche e lusinghe. Stando a certe chiacchiere di via dell’Umiltà, Alessandra Ghisleri (Euromedia Research) è stata assolutamente cristallina con il suo cliente: la vasta platea di «fan» è ridotta al lumicino, lo «zoccolo duro» del berlusconismo ormai frantumato, resta solo una claque di tifosi i quali però non rappresentano il popolo di centrodestra, composto fondamentalmente da moderati e non da estremisti. Non è esattamente la congiuntura migliore per lanciarsi nella nuova carica disperata.

 

Berlusconi ritorna non in quanto ha una vera speranza di convincere l’Italia, ma perché la voglia è più forte di lui. Ci riprova dal momento che non sembra capace di indossare la veste del «padre nobile» il quale fa crescere i figli e gode nel vederli adulti. Lui, come Crono, li divora dietro l’impulso coattivo di riproporsi al centro della scena, condannato a essere protagonista. Aveva sbranato Fini dopo uno scontro selvaggio, l’ha rifatto con il mite Angelino. Nulla di strano che un patriarca voglia battersi fino in fondo, e che i giovani leoni debbano lottare per strappargli lo scettro: l’umanità trabocca di vecchi «die hard», duri a morire. Stavolta, però, tutto congiura affinché sia davvero l’ultima. C’è chi, nel partito, sotto sotto è soddisfatto che Berlusconi torni al volante, nella certezza che nel voto andrà a sbattere e a quel punto «finalmente ce lo leveremo di torno». Aspettiamoci oggi un via libera, ipocrita, dei colonnelli assiepati in riva al fiume, per godersi l’epilogo.

da - http://lastampa.it/2012/12/06/italia/politica/la-corsa-del-cav-contro-tutto-e-tutti-YrwTv6w53sH2LNZ5pLQl6M/pagina.html
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« Risposta #236 inserito:: Dicembre 07, 2012, 03:50:15 pm »

Cronache
07/12/2012

E Berlusconi: spariglia “Vogliono farci finire in galera”

Letta prova a frenarlo: l’Europa te la farà pagare

Ugo Magri
Roma

Il tentativo di golpe si è rovesciato nel suo contrario, e tutti quei colonnelli che volevano cacciare l’anziano dittatore adesso si esercitano nel bacio della pantofola. Addirittura con perfidia Berlusconi, per ufficializzare che lui si ricandida, ha spedito in conferenza stampa proprio lo sconfitto Alfano. Il quale non solo ha eseguito con stile e disinvoltura, ma ha messo immediatamente a disposizione del leader i comitati che già aveva allestito in vista delle primarie. Così va la politica, straordinaria commedia umana. Più fatica il Cavaliere ha speso per riportare nei ranghi certi ex di An. Con il recalcitrante La Russa ha avuto effetto una mediazione della Santanché, figura sempre più centrale del Pdl prossimo venturo. Altri, come Augello, ancora difendono il loro diritto di contestare il Capo, ma i dissenzienti si contano sulla punta delle dita perché Berlusconi se li è tirati dietro praticamente tutti con quell’alzata d’ingegno mercoledì sera, un piccolo pezzo di storia patria da raccontare.

 

La scena si svolge intorno al desco di Palazzo Grazioli. Col padrone di casa sono seduti Alfano, Verdini, Brunetta e l’immancabile avvocato Ghedini. Le Chevalier è scontroso, visibilmente infastidito. Per tutto il pomeriggio, tra la lunga riunione con i vertici del partito e la visita dell’ambasciatore russo Meshkov, ha dovuto subire il pressing del suo amico Dell’Utri, «guarda che il governo ci sta combinando un bello scherzo, qui bisogna reagire». Si era sparsa la voce (qualcuno dice: alimentata da Previti) che il decreto sull’incompatibilità avrebbe introdotto misure tali da precludere a Silvio e Marcello il seggio in Parlamento, mettendoli insomma alla mercè dei pubblici ministeri. «Vogliono farci finire in galera», era stata l’amara conclusione dei due. In verità, nel decreto approvato ieri di queste misure non c’è traccia; ma la giustizia è da sempre un’ossessione del Cavaliere. Al punto che nel suo giro qualcuno si spinge a sostenere una tesi arditissima: far cadere il governo e causare le elezioni gli serve anche per posticipare la sentenza di condanna su Ruby. Fino al giorno del voto è prassi che venga congelata...

 

Dunque sono tutti seduti a tavola, quando il telefonino di Letta emette un «bip». È Gasparri che tramite sms segnala una notizia di agenzia, secondo cui Berlusconi non si candiderebbe più in quanto tradito dal suo partito. Letta ne dà conto a voce alta, e lì deflagra l’ira del Cavaliere. Un colpo di testa. Un’alzata d’ingegno. «Ma quale passo indietro, io mi candido eccome! E col governo basta, dobbiamo chiudere in fretta». Entusiasmo di Verdini, che lo spalleggia. Angelino se ne dichiara lieto, che altro può fare per salvare il partito da una scissione? Letta valuta in un lampo i contraccolpi politici, tenta la carta disperata. «Non lo fare», quasi urla, «se tu ritorni le cancellerie europee te la faranno pagare carissima. Pensa alle conseguenze per te e per le tue aziende...». Niente da fare. Berlusconi è un treno in corsa. Con il soccorso di Bonaiuti, alle 22,25 viene diramata la dichiarazione che annuncia il ritorno in campo e dichiara guerra al governo. L’attacco frontale al Prof è tutta farina del sacco di Brunetta (altro personaggio destinato a un ruolo crescente, tanto lui che la Santanché saranno ospiti fissi delle trasmissioni di combattimento), il quale ha pronta in tasca una delle «slides» anti-governative con cui inonda internet.

 

Così, in quei pochi attimi dopo mesi di incubazione, si è decisa la sorte del Pdl, del Cavaliere e del governo. Ieri quattro ore di vertice a Grazioli solo per celebrare l’unità ritrovata, niente più «spacchettamenti» o altre amenità. Folle in processione a via del Plebiscito, come ai vecchi tempi. A tutti Berlusconi chiede idee e proposte in vista del discorso ufficiale che terrà forse alla Camera, euforico del giocattolo ritrovato.

da - http://lastampa.it/2012/12/07/italia/cronache/vogliono-farci-finire-in-galera-esRMDOrk9Y83KsxQpSCHtN/pagina.html
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« Risposta #237 inserito:: Dicembre 21, 2012, 05:08:21 pm »

Politica
20/12/2012 - la giornata

Accordo al Quirinale Si vota il 24 febbraio

Proposta della Cancellieri, sì di Napolitano. Sprint finale in Parlamento

Ugo Magri

L’ultimo braccio di ferro si conclude all’insegna del realismo: voteremo nella data che sulla carta promette meno pasticci, meno brogli (speriamo di no) e meno ricorsi successivi, vale a dire il 24 febbraio. La Cancellieri, ministro dell’Interno, è intervenuta per segnalare che si potrebbe votare anche una settimana prima, come gradirebbe il Pd, però meglio non correre rischi. Il Presidente della Repubblica non ha potuto che prenderne atto. Cosicché a questo punto, davvero, il cammino verso le urne sembra sgombro da ostacoli. Cade la minaccia di ostruzionismo del Pdl, in parte accontentato dal mini-slittamento (sebbene Berlusconi avrebbe preferito le elezioni chi dice il 3 marzo, chi addirittura il 10). Domani sera, salvo sorprese, il Parlamento concluderà i lavori. La XVI legislatura verrà inghiottita dai flutti.

 
L’ultima scialuppa

Vi troveranno scampo la legge di stabilità e il decreto cosiddetto «taglia-firme». Sono destinate a salvarsi pure le misure sull’Ilva, l’articolo 81 della Costituzione e il decreto delegato per le «liste pulite», che il governo intende varare oggi. Qualche concreta speranza rimane per le pene alternative al carcere, su cui si batte con tutte le sue forze Pannella, anche grazie alla frustata di Napolitano. Forse passerà in extremis la riforma forense.

A quel punto che si prevede? Monti sabato tornerà sul Colle, per confermare le dimissioni. Napolitano ne prenderà atto. E dopo aver «sentito» (così vuole la Costituzione) i presidenti delle due Camere, il Capo dello Stato sarà in grado di firmare il decreto che manda tutti a casa. È corsa ieri una strana voce, secondo cui il Pdl si appresterebbe a chiedere che Napolitano tolga il governo a Monti, in quanto potenziale candidato, e lo affidi per l’ordinaria amministrazione a Schifani, presidente del Senato. Ma la chiacchiera sul Colle non viene presa troppo sul serio, anche perché pure Schifani è parte in causa. A portare il Paese alle urne sarà il Professore, che si candidi o meno.

 
Liberi tutti

Napolitano firmerà il decreto di scioglimento forse già sabato. La fine del governo, e degli annessi vincoli di «bon ton», permetterà finalmente a Monti di chiarire le proprie intenzioni. Scenderà in campo? Come? Con chi? Bersani da Bruxelles si mostra olimpico, qualunque cosa scelga Monti non guasterà i rapporti... La conferenza stampa di fine anno, che doveva tenersi domani, è stata rinviata. In compenso, pare che il premier sia intenzionato a pronunciarsi pubblicamente domenica, gettando le basi programmatiche di un «super-centro» dove non ci sarebbe posto per il Cavaliere e per i suoi scudieri.

Alfano ne prende atto, spiegando che l’ipotesi di Mondi «federatore» dei moderati è stata «bombardata» da Fini e Casini. I quali discutono ora con Montezemolo e naturalmente con Monti se è meglio presentare una lista unica (cosa assodata per il Senato) oppure due liste, una di società civile e l’altra rimpinzata di «politici». Di sicuro, il dubbio andrà chiarito entro l’11 gennaio, termine ultimo per depositare i simboli. Già, perché dal preciso momento in cui le Camere verranno sciolte tutto sarà regolato dalla legge. Compreso l’aspetto che più preme a Berlusconi, cioè le apparizioni tivù.

 
Stop al Cavaliere

La «par condicio», con cui dai tempi di Scalfaro si cerca di mettere un freno all’esuberanza televisiva di Berlusconi, scatta 45 giorni prima del voto e comprende due fasi, una più blanda, l’altra più severa. Tuttavia l’invasione dell’etere, con cui Silvio ha marcato il suo ritorno in campo, ha avuto l’effetto di scatenare Pd e centristi. I quali a gran voce reclamano che intervengano d’urgenza le autorità garanti per mettergli un freno non dalla Befana in poi, bensì da subito, perché a quel punto il Cavaliere avrebbe già ottenuto il suo scopo. 

Appello raccolto. I vertici Rai hanno già deciso una sorta di «autodisciplina». E, se si dà retta alle voci, l’Autorità per le comunicazioni dovrebbe emanare oggi un provvedimento valido per le reti private su cui Berlusconi, notoriamente, ha una certa presa. 

 da - http://lastampa.it/2012/12/20/italia/politica/accordo-al-quirinale-si-vota-il-febbraio-JFkbdUxfdjyJozaUKwzV8M/pagina.html
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« Risposta #238 inserito:: Dicembre 21, 2012, 05:11:14 pm »

politica
20/12/2012 - il punto

La metamorfosi di Monti in politica

Il premier se davvero competerà per Palazzo Chigi dovrà indossare i guantoni e attendersi colpi bassi

Ugo Magri
Roma

Dunque nei prossimi giorni assisteremo alla metamorfosi di Monti che, da tecnico «super-partes» incaricato di evitare il crac, si trasformerà in politico «tous azimuts», direbbero i francesi, a trecentosessanta gradi. Conserverà ovviamente il suo spessore accademico e la giusta fama di competente che gli deriva dalla storia personale. Tuttavia questa sua candidatura a premier (perché, dichiarata o meno, di ciò si tratterà) avrà un paio di conseguenze niente affatto da sottovalutare.

La prima: da domenica in poi, vale a dire dal giorno in cui si pensa che possa ufficializzarsi la discesa in campo, Monti verrà misurato con lo stesso metro di tutti gli altri protagonisti, che è il consenso. Napolitano giorni fa è stato piuttosto chiaro in proposito, anticipando l’intenzione di conferire l’incarico di governo sulla base dei voti raccolti alle elezioni del 24 febbraio, in quanto indicazione certa della volontà popolare. Se la lista, o le liste collegate al nome del Prof, non otterranno la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento, si può bene immaginare che il Presidente della Repubblica vorrà partire anzitutto da chi avrà ottenuto il premio alla Camera (al momento tutti i sondaggi fanno ritenere che quel qualcuno sarà Bersani). La qualità dei candidati che si raccolgono intorno a Monti si annuncia ragguardevole, ma non li esimerà dalla fatica di rastrellare consensi nella società civile, da cui provengono, esattamente come avverrà a sinistra, a destra e per lo stesso Grillo.

L’altro effetto conseguente alla «metamorfosi» di Monti si coglie già da certi attacchi che gli ha scagliato contro stamane Berlusconi, dai microfoni di «Radio Anch’io». Nel momento in cui si spoglia della veste di arbitro, e accetta di competere per Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio si espone alle scorrettezze, alle volgarità, forse addirittura (speriamo di no) alle infamie da cui è costellata la lotta politica. Da che mondo è mondo, la lotta per il potere non è un ballo di debuttanti, anzi insuperata resta la definizione offerta dall’allora ministro socialista Formica («La politica? E’ sangue e m…..»). Se non piace l’immagine, eccone un’altra: chi entra nel «saloon» della politica, deve attendersi che qualche ubriaco voglia fare a cazzotti con lui… Monti si prepari dunque a mettere i guantoni, a suonarle ma anche a incassare colpi sopra e sotto la cintura. 

da - http://lastampa.it/2012/12/20/italia/politica/la-metamorfosi-di-monti-in-politica-EupnfOji6fqjYvMQpQFfBK/pagina.html
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« Risposta #239 inserito:: Dicembre 22, 2012, 06:25:44 pm »

Esteri
22/12/2012 - il punto

Monti, il passo indietro facilita il cammino verso le urne

Le consultazioni filano via lisce, ma resta l’interrogativo sul ruolo del Professore: il suo memorandum orienterà la campagna elettorale

Ugo Magri
Roma

La quasi-rinuncia di Monti a scendere in pista ha reso parecchio più semplice il compito di Napolitano. Le consultazioni di stamane sono filate via lisce, e nessun partito ha contestato la decisione di lasciare al suo posto il Prof fino al giorno delle elezioni. Soltanto la delegazione del Pdl ha storto un po’ il naso, ma nello studio alla Vetrata Cicchitto e Gasparri hanno espresso davvero il minimo sindacale. 

Ben diverso sarebbe stato l’approccio dei “berluscones” nel caso in cui Monti fosse stato sul punto di candidarsi personalmente, o di battezzare una lista con il suo nome. In quel caso sì che sul Colle stamane avremmo visto scintille; per lo stesso Presidente della Repubblica sarebbe stato rischioso e un filo imbarazzante trattenere Monti a Palazzo Chigi nella sua nuova veste di politico anziché di “tecnico” super partes. Il passo indietro del premier, insomma, ha facilitato assai il cammino verso le urne.

Resta ancora da capire, tuttavia, in che modo Monti intende interpretare nei prossimi mesi il proprio ruolo. Un presidente del Consiglio, sia pure dimissionario e in carica per il disbrigo dei soli affari correnti, avrebbe mille modi per influire sulla campagna elettorale. Pur senza candidarsi personalmente, ma lanciando con accortezza questo o quel tema della sua “agenda”, Monti in veste di premier potrà orientare il dibattito e far pendere il piatto della bilancia verso destra (se evocherà temi scomodi a sinistra) o viceversa. Per cui sarà interessante ascoltare le sue parole di domani, e soppesare i vari aspetti del suo programma anche (e soprattutto) se non scenderà in campo. 

da - http://lastampa.it/2012/12/22/esteri/monti-il-passo-indietro-facilita-il-cammino-verso-le-urne-AGaX3ArUdeZcIIT4xEc6zK/pagina.html
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