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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229196 volte)
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« Risposta #210 inserito:: Luglio 14, 2012, 03:49:11 pm »

Politica

14/07/2012 - centrodestra: nuove incognite

Berlusconi rinvia la ridiscesa in campo

L'ex premier Silvio Berlusconi non ha sciolto la riserva

Salta una convention all'Ergife, ma lunedì sarà al convegno degli euroscettici

UGO MAGRI
Roma

Nel mondo berlusconiano l’attenzione (con annessa preoccupazione) si sta spostando dalla ricandidatura del leader a ciò che lui potrà dire nelle sue prossime uscite pubbliche. In particolare rispetto all’euro e ai rischi di default. È vero che un filo di dubbio sulle reali intenzioni del Cavaliere continua a serpeggiare, perlomeno tra quanti l’altra sera avevano preso parte al vertice di Palazzo Grazioli, dove lui si era presentato con in tasca una bozza di smentita scritta da Gianni Letta, in pratica un dietrofront rispetto al ritorno in pista reso pubblico dal «Corsera». Tuttavia la possibile retromarcia era stata stroncata sul nascere dal gruppo dirigente; e comunque, la decisione finale scatterà in settembre, quando la gente tornerà dalle vacanze e sarà possibile valutare il reale impatto di Berlusconi nei sondaggi (secondo Ipr Marketing, questo impatto non solo sarebbe pari a zero, ma addirittura avrebbe l’effetto di rafforzare quella sinistra che da quasi vent’anni campa sull’anti-berlusconismo).

Dunque il grande interrogativo, nell’attesa, è: come si caratterizzerà, sul piano politico, la «ridiscesa in campo» di Silvio? Sarà di appoggio a Monti e al governo, specialmente ora che l’Italia si trova sotto l’attacco dei mercati e delle agenzie di rating, o scatterà l’urgenza di distinguersi per recuperare voti? Da candidato quale ora è, Berlusconi confermerà il suo «commitment», l’impegno a sostenere le politiche del rigore e dei sacrifici, o invece si lancerà a chiedere meno tasse, via l’Imu, basta euro, torniamo alla lira? A giudicare dai commenti del portavoce Bonaiuti su Moody’s e dintorni, sembra prevalere la linea della lealtà politica. Però ieri è mancata la possibilità di sentire questi concetti dalla viva voce del Cavaliere. Lo attendevano all’Hotel Ergife per il congresso dei Cristiano-riformisti di Mazzocchi, e l’accoglienza si annunciava calorosissima: addirittura erano stati «cammellati» gli ospiti di una casa di riposo, giunti con tre pullman e tutti muniti di ventaglio, alcuni per la verità inconsapevoli dell’evento politico cui erano chiamati ad assistere. All’ultimo momento, Berlusconi ha dato forfait. Invece del Candidato, in sala è giunto il Segretario, perché tale Alfano resta: «Sono stato eletto lo scorso anno e intendo continuare». Contrariamente a quanto rivela uno dei personaggi di casa ad Arcore, Volpe Pasini, Angelino non sembra affatto «in lacrime» per la mancata candidatura a premier; semmai appare come liberato da un peso, dopo tutto quello che i pasdaran berlusconiani gli hanno combinato nei mesi trascorsi.

Forse Berlusconi è stato avvertito in anticipo che il parterre dei Cristiano-sociali non era quello ideale; oppure, più probabilmente, ha preferito tenersi le cartucce per lunedì prossimo, quando a Villa Gernetto (Lesmo, Brianza) si terrà il convegno di economisti da lui patrocinato, con presenza di premi Nobel, per discutere di crisi finanziaria europea e mondiale. Animatore del dibattito sarà l’ex-ministro Martino, le cui posizioni euro-scettiche sono a tutti note. Cosicché la prima uscita del Cavaliere in veste di candidato corre il rischio di caratterizzarsi (che lui lo voglia o meno) in una chiave tale da mettere in fibrillazione lo spread e i mercati. Cicchitto ieri si è imbufalito quando gli hanno chiesto se la bocciatura di Moody’s era colpa di Berlusconi: «Qui si sfiora la stupidità!».

Eppure c’è tutto un giro di speculazione che non aspetta altro, una battuta fuori luogo di Silvio al meeting di Villa Gernetto sarebbe la ciliegina. «Vedrete che a Berlusconi non slitterà la frizione», assicurano i suoi. Ma di nascosto fanno gli scongiuri.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/462355/
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« Risposta #211 inserito:: Agosto 10, 2012, 09:09:51 am »

Politica

10/08/2012 - I PARTITI LA PROVA DELLE ALLEANZE

Alfano ci riprova, la Lega gli dice no

Bordata a Casini: “Si fa dettare la linea dalla Cgil” Il leader dell’Udc: ero moderato prima di lui

UGO MAGRI
Roma

In attesa che le previsioni vengano smentite, e che l’Italia sopravviva allo spread, i partiti si regolano «come se» la prossima campagna elettorale non fosse diversa da quelle passate. Per cui si impegnano a delimitare aree, a marcare territori, a gettare le fondamenta di edifici politici vecchi e nuovi. Alfano, per esempio, rimane convinto che sia possibile rimettere in piedi una casa comune con la Lega, nonostante tutto quello è successo dalla caduta di Berlusconi in poi, oltre a quanto potrà accadere in autunno. «Crediamo», scommette il segretario Pdl, «che ci siano le condizioni per un’alleanza» nel 2013. Il Carroccio non la pensa esattamente allo stesso modo; o perlomeno, la sua base non sembra particolarmente entusiasta (se si dà retta al segretario della Lega lombarda Salvini), di ritrovarsi per l’ennesima volta sotto l’egida di Berlusconi candidato. «Abbiamo già dato», è la risposta gelida che si riceve a ogni livello, dal più basso al più elevato. Difficile che se ne faccia qualcosa, «nove su dieci andremo per conto nostro», scuote la testa Salvini. Tra l’altro la legge elettorale in gestazione non sembra favorire la riconciliazione tra i vecchi soci politici. Per cui Alfano già lascia intravedere quale sarebbe il pungiglione polemico con cui punire la Lega, casomai rifiutasse di stare al gioco: «Guai se una divisione tra noi avesse l’effetto di consegnare il Nord alla sinistra», Maroni se ne assumerebbe intera la responsabilità.

Sul fronte centrista, invece, Alfano non ci prova nemmeno. Dà Casini ormai per perso alla causa Pdl e, pure in questo caso, offre un assaggio di quello che potrà essere il tono della campagna elettorale: «Avremmo voluto organizzare un’area moderata, ma Casini ha scelto di allearsi con Bersani e si fa dettare la linea dalla Cgil...». Piccata la risposta del leader Udc su Facebook: «Nell’area moderata io c’ero prima di Alfano e ci rimarrò dopo. Mi dispiace piuttosto», annota Pier con qualche perfidia, «che dopo tanti buoni propositi loro abbiano deciso di tornare a Berlusconi», ne sa personalmente qualcosa Angelino. Il quale in verità nutre dei dubbi sulle reali intenzioni del Capo, Silvio «non ha ancora sciolto la riserva». Né pare che Berlusconi sia stato più chiaro, circa le proprie mosse future, nella lunga intervista che dovrebbe uscire domani sul quotidiano della «gauche» francese, «Libération».

Che davvero i centristi scivolino a sinistra, anche questo è tutto in divenire. Per il momento c’è grande animazione intorno alla «Cosa Bianca», cioè al progetto salito in auge dopo un colloquio giorni fa tra Casini, Fini e l’ex ministro Pisanu. Non è la fotocopia del Terzo Polo recentemente abortito, ma di qualcosa che comunque un po’ gli somiglia, se non altro perché i promotori alla fine sono sempre gli stessi: Udc, Fli, eventuali transfughi dal Pdl. La differenza sta nel fatto che, stavolta, si tenderebbe ad allargare e di molto il «parterre», a coinvolgere di più la cosiddetta società civile, a trascinare dentro con maggiore convinzione personaggi di statura tale da rendere credibile il progetto: dalla Marcegaglia, già presidente di Confindustria, a Bonanni, attuale segretario generale Cisl, dal ministro Passera ai suoi colleghi di governo Severino, Riccardi, Ornaghi... Nomi in parte già contattati, alcuni destinati a sfilarsi, altri a garantire un sostegno morale ma nulla più, e comunque più avanti perché adesso si va sotto l’ombrellone. Il finiano Della Vedova considera «la rotta ormai tracciata» e immagina una «NewCo», una ditta nuova di zecca con Casini nel ruolo di federatore (ma Pier di sciogliere l’Udc non ci pensa nemmeno lontanamente). Profumo di nuovo ma anche di antico, se un cossighiano come Naccarato scorge in questo fermento un progetto di cui il vecchio Presidente sarebbe stato fiero.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/465229/
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« Risposta #212 inserito:: Agosto 18, 2012, 10:25:50 pm »

Politica

18/08/2012 - GOVERNO

Monti e la Svizzera: verso una maxi tassa sui capitali esportati

Il premier: stato di guerra contro l'evasione fiscale.

E accelera sulle intercettazioni: fermare gli abusi

UGO MAGRI
Roma

Casomai dovessimo chiedere salvagenti all'Europa, certo non ci aiuterebbe l'evasione fiscale che abbiamo in Italia. Perché altrove, specie in Germania, già ce lo stanno facendo pesare: prima di invocare aiuti, dovremo sforzarci di far pagare le tasse a chi se ne guarda bene... Monti ha chiara la difficoltà, sa che l'evasione «produce un grosso danno nella percezione del Paese all'estero», addirittura sostiene che contro questo malcostume «siamo in uno stato di guerra». E quando c'è un'emergenza bellica non si può andare troppo per il sottile. Per cui il Prof spiega al settimanale ciellino «Tempi» che «certi momenti di visibilità possono essere antipatici» (chiaro il riferimento ai blitz delle Fiamme Gialle), però «hanno un grande effetto preventivo» e rinunziarvi significherebbe alzare bandiera bianca. Bene, anzi benissimo se qualcuno se ne spaventa e torna sulla retta via. Per dimostrare che farà sul serio, ieri Monti ha colloquiato con la presidente della Confederazione elvetica, nonché ministro delle Finanze, Eveline Widmer-Schlumpf. Il nostro premier non ha avuto bisogno di volare in Svizzera, in quanto già vi si trova per le vacanze, precisamente a Silvaplana in Engadina. Lì ha avuto luogo l'incontro, il cui nocciolo riguarda proprio il recupero dell'evasione che si rifugia da quelle parti.

Con la Widmer-Schlumpf avevano fatto conoscenza il 12 giugno scorso, ieri si sono limitati a un punto sui lavori della commissione bilaterale (l'idea di massima consiste nell'esigere una tassa salata sui depositi anonimi in Svizzera dei cittadini italiani). L'agenda prevede che gli esperti consegnino le loro proposte in autunno, per poi firmare un accordo come quello già raggiunto tra Germania e Confederazione elvetica. Nelle settimane scorse un po' tutti i partiti avevano sollecitato Monti a procedere con decisione, nella speranza che lo Stato italiano possa incassare un pacco di miliardi. Il Professore raccoglie i suggerimenti di Bersani, Alfano, Casini; però sbaglia chi lo immagina posseduto dall'ansia di concludere. La fretta c'è, assicurano dalle sue parti, ma si accompagna alla preoccupazione di non commettere passi falsi. Per esempio, il premier vuole evitare che l'operazione si trasformi in un condono mascherato, per effetto del quale chi ha trasferito i soldi in Svizzera se la possa cavare con poco. L'altro rischio è che, alzando invece troppo il tiro, i capitali fuggano dalle banche elvetiche e vadano a rifugiarsi in qualche paradiso fiscale irraggiungibile: col risultato che l'Erario non incasserebbe un cent. Insomma, si cammina sul filo. Domani Monti sarà a Rimini per inaugurare il Meeting con un discorso sui giovani.

L'intervista a «Tempi» sarebbe dovuta uscire in contemporanea, ma è stata anticipata alle agenzie. Il presidente del Consiglio vi ribadisce l'intenzione di vendere parti del patrimonio pubblico, promette al mondo cattolico un sostegno economico alle scuole private, «crede e spera» di poter lasciare Palazzo Chigi a un politico eletto dal popolo. Ma a far rumore è una battuta sulle intercettazioni. Definisce «gravi» quelle che riguardano il Presidente della Repubblica, aggiungendo: «E' peraltro evidente a tutti che nel fenomeno delle intercettazioni telefoniche si sono verificati e si verificano abusi. Di conseguenza è compito del governo prendere iniziative a riguardo». Insorge Di Pietro («inaccettabile») e la Federazione della stampa minaccia una «grande mobilitazione» contro qualunque legge-bavaglio.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/465842/
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« Risposta #213 inserito:: Agosto 25, 2012, 05:41:07 pm »

Politica

24/08/2012 -

Via alla fase 2, Monti non crede nel voto anticipato in autunno

Il premier ignora le tensioni nella maggioranza e prova a rilanciare la sua azione

UGO MAGRI
Roma

Le manovre nei partiti per votare a novembre lasciano Monti piuttosto freddo, nonostante l’afa. Freddo, e scettico. In casi del genere che farebbe un presidente del Consiglio di rientro a Roma, se fosse realmente preoccupato per la tenuta della sua compagine? Come prima cosa si attaccherebbe al telefono e si informerebbe con i leader della maggioranza; cercherebbe di capire che cosa c’è di vero nel mare di chiacchiere. Ebbene: non risulta che Monti abbia preso contatto con «A-B-C», né che intenda farlo. Bersani e Casini si stanno godendo gli ultimi scampoli di vacanza, il loro smartphone ieri è rimasto muto. Nel caso di Alfano, invece, una chiamata da Palazzo Chigi avrebbe raggiunto il segretario del Pdl in Sardegna, dove Angelino è ospite del Cavaliere. I due stanno decidendo le mosse future, dunque mai telefonata del premier sarebbe potuta arrivare più tempestiva. Magari Monti ne avrebbe potuto profittare anche per chiedere conto a Berlusconi dell’ultimo attacco sul «Giornale» di famiglia, che gli ha rimproverato di spendere ben 10mila euro di affitto a settimana per la casa in Engadina laddove sono 12 mila 500 spalmati in un arco di quattro mesi, precisa la presidenza del Consiglio... Niente chiarimento, silenzioso anche il centralino di Villa La Certosa.

La verità, raccontano personaggi vicini al Prof, è che ogni colloquio sarebbe superfluo. L’ultima volta che parlò coi tre segretari, alla vigilia delle vacanze, Monti ne ricevette suggerimenti fattivi su come rilanciare la crescita (in particolare da Bersani) e su come tagliare lo stock del debito pubblico (incontro con Alfano, presente il ministro dell’Economia Grilli). Il Consiglio dei ministri di stamattina si muoverà esattamente nel solco di quelle indicazioni. Sarà uno scambio di idee con i ministri per definire l’agenda di qui allo scadere della legislatura. Verranno dibattute misure a sostegno delle attività economiche perché questo reclamano i mercati, di rigore ce n’è già stato abbastanza. E nelle prossime settimane si concentrerà l’attenzione sulla vendita di cespiti patrimoniali... Ovviamente Monti è al corrente di quanto bolle in pentola, specie sulla riforma elettorale. Senza bisogno di inseguire i retroscena, gli è bastato metter piede domenica a Rimini, sede del Meeting ciellino e cassa di risonanza di tutte le trame agostane. Sa che forte resta in alcuni ambienti la tentazione di cambiare in fretta il «Porcellum» con l’obiettivo di chiudere la legislatura in autunno. Però Monti non ci vede necessariamente una trappola. Al suo entourage sfugge questo presunto automatismo per cui, una volta varata la nuova legge elettorale, l’Italia dovrebbe precipitarsi immediatamente alle urne. E perfino se così fosse, l’umore generale del Prof non sembra di chi vuole battersi per resistere a cavallo un paio di mesi in più; qualora i leader volessero congedare lui e i suoi «tecnici», non avrebbero che da dirlo. A maggior ragione se fosse il Presidente della Repubblica a giudicare conclusa la parabola del governo...

Monti, confermano dalle sue parti, pende letteralmente dalle labbra di Napolitano. Tuttavia anche in questo caso non risulta che il Capo dello Stato voglia precorrere i tempi. Perlomeno a Palazzo Chigi non ne hanno fin qui sentore, semmai l’esatto rovescio: le ultime dal Colle raccontano di una legislatura che si concluderà a marzo 2013, come da copione.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466288/
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« Risposta #214 inserito:: Agosto 26, 2012, 05:17:44 pm »

Politica

25/08/2012 - i partiti, le strategie

Nuova legge elettorale all'esame di Berlusconi

Verdini ad Arcore con testo e simulazioni per la decisione finale

Ugo Magri
Roma

Occhi puntati sul villone di Arcore, perché tra oggi e domani di lì passerà la bozza della nuova legge elettorale. E l’interrogativo che appassiona gli addetti ai lavori (per il momento soltanto loro) è: Berlusconi darà il via libera? Oppure succederà come sulla riforma della Costituzione, quando un accordo con il Pd praticamente fatto era stato stracciato in mille pezzetti? Lo scopriremo lunedì, non appena torneranno a incontrarsi i negoziatori dei partiti. Verdini porterà a Migliavacca (lo sherpa di Bersani) e a Cesa (che è il segretario Udc) la risposta del Cavaliere. Non che Silvio sia stato fin qui tenuto all’oscuro. Come è ovvio, l’hanno informato passo passo sui progressi della trattativa e sulle grandi linee del sistema che rimpiazzerà il «Porcellum». Però restano certi dettagli niente affatto secondari da mettere a fuoco. Cosicché entro domani alle 18, cioè prima che il Milan scenda in campo con la Sampdoria e prima che Berlusconi si tuffi nel match, Verdini si presenterà dal Capo con un malloppo di carte su cui in pochissimi nel Pdl hanno potuto gettare lo sguardo: sono i termini dell’accordo preliminare già raggiunto con il Pd, più una serie di simulazioni elettorali.

L’impianto della bozza è quello solito proporzionale, con una soglia del 5 per cento alla Camera e dell’8 al Senato. Il partito che risultasse vincitore, anche per un solo voto, sarebbe premiato con un «bonus» del 15 per cento, in pratica una novantina di seggi a Montecitorio. Un terzo degli onorevoli verrebbe individuato tramite piccole liste bloccate, chi piazzarci lo deciderebbero (come accade oggi) le segreterie dei partiti. Gli altri due terzi dei seggi verrebbero selezionati col meccanismo dei collegi uninominali. Per evitare che i leader subiscano l’onta di una bocciatura, pare che verrà concesso loro di candidarsi in più collegi: casomai andasse male da una parte ci sarebbe sempre il paracadute dall’altra... Dal giro berlusconiano i segnali sono tutti favorevoli, uno stop dell’intesa viene considerato molto improbabile. Di sicuro non se lo aspettano nel Pd dove anzi sono certi che la legge si farà in quanto, motteggiano dalle parti di Bersani, il Cavaliere «più di tutti ha interesse a sbarazzarsi del Porcellum, figurarsi se si farà del male da solo...».

Tuttavia può accadere (di qui quel poco o tanto di suspense) che Berlusconi storca il naso su qualche dettaglio; e comunque non risulta che abbia tutta questa dannata fretta di concludere, semmai il contrario. Qui si entra nel regno della dietrologia, dove sempre labile è il confine tra il certo e l’incerto. Ma la sostanza è che, una volta pattuita la riforma, l’Italia si troverebbe virtualmente in campagna elettorale. Il Cavaliere non si sente ancora pronto per affrontarla, in quanto lui stesso deve prima rispondere alla madre di tutte le domande: «Mi candido oppure no?». Qualcuno dei suoi sostiene che è tutta scena, Berlusconi in cuor suo sa già che fare, sfoglia la margherita per tenere viva l’attenzione su di sé in attesa del grande annuncio. Altri, invece, ritengono che il dubbio sia autentico, frutto di un vero tormento anche personale, di qui il possibile traccheggiamento sulla riforma. Né pare che la visita di Alfano in Sardegna, due giorni ospite a Villa La Certosa, abbia contribuito a sciogliere il puzzle. La candidatura del Cavaliere al momento è più sì che no, diciamo 60 e 40, o forse anche 70 e 30; però il margine di incertezza persiste. Qualcuno sostiene addirittura che sia cresciuto.

L’unica prospettiva davvero esclusa, nei due giorni di colloquio tra il Fondatore e il Segretario, sembra quella del listone unico dove inglobare indistintamente tutti i nemici della sinistra, da Storace a Rotondi, da Sgarbi a Micciché, un caravanserraglio variopinto e cacofonico. «Non se ne parla nemmeno», assicurano dalle parti di un Alfano molto rinfrancato. Casomai alla fine Silvio dovesse gettare la spugna, tornerebbe in auge proprio Angelino che, agli occhi del padre-padrone, ha il merito impagabile di essersi dimostrato umile e leale al punto da inghiottire un’alleanza in Sicilia con l’odiato Lombardo. Tutto può ancora accadere, in Berlusconia...

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466396/
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« Risposta #215 inserito:: Agosto 29, 2012, 04:56:37 pm »

Politica

29/08/2012 - IL PUNTO

Perché Berlusconi medita di far cadere Monti

Il Cavaliere gradirebbe elezioni a novembre. Il Colle scarta l'idea

UGO MAGRI
Roma

La svolta è maturata nel pomeriggio di ieri, e la voce si è diffusa verso sera, quando Berlusconi era già ripartito da Roma: il Cavaliere gradirebbe elezioni anticipate a novembre. Motivo: teme che aspettando marzo o aprile (la naturale scadenza) gli arriverebbe tra capo e collo la sentenza del processo Ruby, dove la condanna viene considerata inevitabile. Con il risultato di doversi ritirare dall'agone politico, stavolta per sempre. Laddove anticipando il voto, forse la sentenza (attesa per ottobre) verrebbe rinviata di qualche mese... è un rovesciamento totale di strategia, dettato dalle preoccupazioni degli avvocati, Ghedini in testa.

Pare che faccia paura pure l'inchiesta di Palermo, da cui lo staff legale berlusconiano non si attende nulla di buono, a cominciare dalla testimonianza che Silvio dovrà rendere su Dell'Utri. Pur di accelerare i tempi, Berlusconi sarebbe pronto a dare il via libera immediato alla legge elettorale: così anticipa stamane correttamente «Repubblica». Tuttavia Schifani, presidente del Senato, risulta molto scettico circa la possibilità di varare la nuova legge in tempo per votare tra nemmeno tre mesi. Identiche preoccupazioni nutre il capogruppo Pdl al Senato Gasparri.

Inoltre le ultimissime dal Palazzo raccontano che sia Napolitano sia Monti avrebbero scartato l'idea di anticipare le urne (accarezzata un mese fa, con le Chevalier nella circostanza contrarissimo). L'unica possibilità che si voti a novembre sembra ormai legata a un improvviso scarto del Pdl, a un'impuntatura favorita dal Pd, a uno scontro provocato ad arte, che faccia cadere nei prossimi giorni il governo. Pure questo è uno scenario di cui si sta ragionando nel giro stretto berlusconiano. Da tenere d'occhio.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466769/
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« Risposta #216 inserito:: Settembre 06, 2012, 04:16:52 pm »

Politica

05/09/2012 - il punto della politica

Il giallo dell'accordo Pd- Pdl

Il patto sulla nuova legge elettorale in realtà regge

Ugo Magri
Roma


Insospettisce l'assenza di polemica. Non c'è stato alcuno scambio di accuse. L'accordo sulla legge elettorale era stato raggiunto e poi, se si dà retta alle ricostruzioni più in voga, il Pd se l'è rimangiato per effetto di certe reazioni interne assai negative, prima tra tutte quella di Romano Prodi. In questi casi di solito scoppia il finimondo. E invece stavolta (ecco la singolarità), silenzio. Dal Pdl non si è levata una sola voce per denunciare vere o presunte scorrettezze. In particolare tacciono i protagonisti della trattativa, a cominciare da quel Verdini che per settimane aveva dialogano fitto fitto con il braccio operativo di Bersani, Migliavacca. Chiunque, al posto di Verdini, avrebbe gridato al tradimento, alla doppiezza degli ex-comunisti eccetera. Il buon Denis stranamente tace, e viene da domandarsi il perché.
 

Una spiegazione paradossale raccolta tra gli addetti ai lavori è che, in realtà, mai c'è stata rottura. Il Pdl non protesta per il patto stracciato in quanto (così giurano fonti degne di fede) nessuno l'ha fatto a pezzetti. Contro tutte le apparenze, l'accordo ancora regge; è stato accantonato semplicemente perché adesso non è sembrato il momento giusto per renderlo pubblico. Quel momento arriverà tra un po', bisogna avere fede... Ma allora, come mai  sussisteva tutta quella fretta di stipularlo? Perché Migliavacca e Verdini ci avevano speso su il mese di agosto, tenendo informati dei progressi i rispettivi leader? Qui la risposta che circola sottovoce riecheggia un retroscena estivo di cui molto si era favoleggiato: «La corsa contro il tempo era legata alla prospettiva di elezioni anticipate a novembre, nel qual caso la nuova legge elettorale sarebbe stata indispensabile entro la metà di questo mese», spiega chi è a conoscenza dei risvolti, «ma poi la prospettiva elettorale ha perso vapore, anche per ragioni di calendario». Ormai si voterà alla regolare scadenza del 2013. Dunque non sussiste più una fretta speciale di sostituire il «Porcellum». è venuto meno il motivo di procedere a tappe forzate. O di rintuzzare le voci critiche, a cominciare da quella autorevole di Prodi, che tuonano contro il premio attribuito al partito vittorioso anziché alla coalizione. Proceda pure il dibattito in Senato, lì ognuno dica la sua. Quando si arriverà al dunque, la misteriosa intesa Pd-Pdl verrà tirata fuori dal cassetto. Aspettare per credere...

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/467506/
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« Risposta #217 inserito:: Settembre 13, 2012, 03:32:42 pm »

Politica

13/09/2012 - il punto politico

Le buone notizie che allarmano Monti

Se c'è un’emergenza drammatica, la nostra classe dirigente reagisce bene. Ma quando la tensione si allenta, rispuntano i soliti vizi

Ugo Magri

Non tutti i mali vengono per nuocere, assicura il proverbio, ma c’è chi sostiene il contrario: non tutto è oro ciò che luccica. Nella politica italiana, sono vere entrambe le cose. Quando si tratta di reagire a un’emergenza drammatica, tipo la crisi esplosa un anno fa, la nostra classe dirigente è capace di reazioni impensabili, lasciando a bocca aperta chi già godeva nel vederci affogare nel Mediterraneo. Quando viceversa la tensione si allenta, ecco rispuntare i soliti vizi nazionali, esattamente quelli cui accennava ieri Monti confessando al Washington Post di essere preoccupato per il destino delle riforme. Senza il pungolo dei mercati, c’è il concreto rischio di tornare le cicale di sempre. Se Monti denuncia il pericolo è proprio perché, paradossalmente, le cose sembrano volgere per il meglio.

La prospettiva di un collasso dell’euro è al momento scongiurata grazie alle mosse di Draghi (la sua nomina alla Bce fu una delle rare operazioni veramente azzeccate del governo Berlusconi) e poi per effetto della sentenza di Karlsruhe, dove i giudici costituzionali tedeschi hanno dato via libera alla nascita del Fondo salvastati. L’ultima buona notizia arriva dall’Olanda, con la clamorosa sconfitta alle urne dei partiti euroscettici che abbaiavano contro l’Italia, la Spagna e i popoli latini in generale. Conseguentemente lo spread è calato di 100 punti in meno di due settimane, rendendo meno ardua la tenuta dei conti pubblici. Insomma: per quanto assorbiti dalle loro occupazioni solite, e per quanto provinciale sia la prospettiva di alcuni tra loro, i nostri capipartito hanno tutti compreso al volo che nei prossimi mesi non succederà nulla di veramente catastrofico. Nessun meteorite annichilirà la politica italiana. Per cui niente impedirà loro di mettere la campagna elettorale in cima alla lista delle priorità.

Purtroppo non si è mai vista, da che mondo è mondo, una corsa alle urne scevra di promesse più o meno con i piedi per terra. Chi può stupirsi se Vendola promuove con la sinistra radicale il referendum sulla riforma Fornero, uno dei capisaldi dell’”agenda Monti”? Solo un ingenuo si sarebbe atteso che Bersani prendesse le distanze, bacchettando pubblicamente il suo potenziale alleato. Tra l’altro domani ritorna in scena il Cavaliere, ritemprato dalle vacanze a Malindi, che della fabbrica di sogni possiede il copyright: di sicuro non deluderà i suoi fan. Più in generale: nei partiti sta passando l’idea che la missione di Monti sia felicemente conclusa, che la strana maggioranza governativa non serva più, e anzi sia consigliabile sbarazzarsene in tutta fretta perché fa perdere voti.

Così però l’autorevolezza del premier sbiadisce, al di là dei riconoscimenti con tanto di pacca sulle spalle; unita al crepuscolo di Napolitano, il cui settennato volge inesorabilmente al termine, si rischiano sei mesi di vuoto pneumatico, di nave senza nocchiero. Se i mercati se ne accorgono (speriamo di no, incrocia le dita Monti), basta un attimo per ritrovarci nel mirino…

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/468414/
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« Risposta #218 inserito:: Settembre 19, 2012, 04:58:59 pm »

Politica

19/09/2012 - IL PUNTO

Cresce il rischio di primarie senza premier

Ci si accapiglia sulle regole per scegliere il candidato, intanto si negozia su una legge elettorale che potrebbe rendere tutto vano

Ugo Magri
Roma

L'ultimo paradosso della politica domestica riguarda le primarie: quelle già annunciate (del Pd) e quelle altre (del Pdl) che potrebbero tenersi, casomai Berlusconi decidesse di non tornare in pista. In entrambi i casi, il rischio incombente è quello di una grande finzione, di una ipocrita messinscena. Perché le primarie verranno indette per chiedere al popolo di sinistra (e di destra) che si pronuncino sul candidato premier; laddove è quasi certo che la scelta di chi guiderà il governo alla fine non rispetterà le indicazioni della gente, ma ricadrà sui partiti e sui rispettivi leader.

Questo accadrà non per malafede di Alfano, di Bersani o di Casini, ma per effetto della legge elettorale che si va discutendo in Senato nella noia e nella distrazione generali. Tra tutte le ipotesi di riforma sul tappeto, nemmeno una al momento garantisce che la sera delle elezioni il mondo sappia da chi verrà governata l'Italia. L'obiettivo del centrodestra è, in questo momento, esattamente quello di impedire che ciò accada. Per dimezzare la probabile vittoria delle sinistre, il Pdl punta su un sistema proporzionale nemmeno troppo mascherato, con tanto di preferenze come nella Prima Repubblica. Se passa, ritorniamo alle vecchie pratiche dei governi di coalizione. Ma non è che le attuali proposte del Pd lascino prevedere un esito molto diverso: il premio del 15 per cento, così come lo gradisce Bersani, garantirebbe una maggioranza in Parlamento solo nel caso in cui la coalizione vincente superasse il 35 per cento dei suffragi popolari. Questione di semplice aritmetica. La circostanza è possibile, però alla luce dei sondaggi non sembra così scontata.

Pd e Sel in questo momento viaggiano 3-4 punti sotto la soglia necessaria, per garantirsi il premio dovrebbero bussare da Di Pietro, oppure da Casini... Più facile che vi provvedano, eventualmente, dopo il voto. Ma allora, fa notare Arturo Parisi, ex ministro del governo Prodi e referendario intransigente, che senso ha accapigliarsi sulle regole delle primarie, su chi deve prendervi parte, su chi può votare, se nel contempo si negozia su una legge elettorale destinata a renderle vane? È una domanda che in molti, ai vertici del Pd, si stanno ponendo.

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/469251/
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« Risposta #219 inserito:: Ottobre 04, 2012, 03:57:33 pm »

Politica

04/10/2012 - il punto

Monti non è più un ostacolo sulla via di Bersani

Ma Renzi rappresenta uno scoglio

Ugo Magri
Roma

Lungo la strada che può portare Bersani al governo, Renzi continua a rappresentare uno scoglio; e la riforma elettorale rimane una palude insidiosa dove qualunque codicillo è potenzialmente in grado di negare al centrosinistra la vittoria agognata (occhio dunque a quello che può combinare Calderoli). In compenso, il segretario Pd non deve più temere sgambetti da colui che nei giorni scorsi gli era stato contrapposto come un potenziale rivale, cioè Monti. Tutto quel gran parlare di un «bis», di un governo tecnico destinato a tirare avanti anche nella prossima legislatura, aveva messo in allarme Bersani che ieri si è recato a chiarire la faccenda con il diretto interessato. 

L’esito del colloquio, stando a quanto filtra, prospetta una sorta di intesa che solo volgarmente si potrebbe considerare un «do ut des».
Da una parte Bersani fa intendere che per Monti potrebbe esservi una collocazione ben più nobile di quella al palazzo dei principi Chigi, ad esempio sul colle del Quirinale (che dal 15 maggio 2013 resterà senza inquilino). Dall’altra il Professore non solo nega di voler mettere radici sulla poltrona di primo ministro, ma garantisce un atteggiamento collaborativo rispetto ai prossimi complicati passaggi politici.

Guai a sottovalutare, infatti, il ruolo che Monti può svolgere durante la campagna elettorale. Il premier ha in mano il pallino della legge anticorruzione e, potenzialmente, anche della riforma elettorale casomai in Senato continuasse il muro contro muro. Ma soprattutto, spetterà al presidente del Consiglio definire i contenuti della legge di stabilità (un tempo si chiamava Finanziaria) da approvare entro l’anno. 

Proviamo a immaginare le ambasce di Bersani, nonché il vantaggio per il suo rivale Renzi, se per caso il governo avesse in animo di rafforzare le misure di austerità e di moltiplicare i sacrifici per gli italiani... Senza contare l’impatto, politicamente incalcolabile, di una richiesta eventuale di aiuti all’Europa, sottoposta alle dure condizioni della signora Merkel. La marcia trionfale di Bersani si trasformerebbe in una via crucis. Niente di tutto questo. Monti, ieri nel faccia-a-faccia, si è mostrato collaborativo. Non sarà lui a immolarsi come un Pietro Micca per negare la vittoria all’alleanza delle sinistre. Chi (specie tra i centristi) aveva coltivato una simile illusione, ora dovrà architettare un altro piano.

da - http://lastampa.it/2012/10/04/italia/politica/monti-non-e-piu-un-ostacolo-sulla-via-di-bersani-NGDo005NCOJnrqtpbdgnBI/index.html
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« Risposta #220 inserito:: Ottobre 10, 2012, 07:24:16 pm »

politica

10/10/2012 - 09/10/2012

Pd e Pdl spaccati sulle preferenze Ancora uno stop per la legge elettorale

Dopo il no di Bersani si ricomincia

Attesa per il voto in Commissione

Ugo Magri
Roma

Alle 11 di ieri mattina, l’accordo sulla legge elettorale era fatto, letto e sottoscritto. Alle quattro del pomeriggio, è saltato sopra una mina. Questa mina si chiama preferenze. Il Pd non vuole riportarle in auge, le giudica un passo indietro pericoloso. Ha dato uno stop, proverà a puntare i piedi in Commissione affari costituzionali del Senato, dove in teoria oggi dovrebbe approdare il testo (ieri sera il presidente Vizzini però ancora non l’aveva tra le mani). 

 

Entro domattina, forse già stasera, si voterà sul nodo in questione. Il centrodestra sembra in vantaggio. Verrà dunque approvato, salvo colpi di scena, un testo-base comprensivo di preferenze. Come vuole il Pdl, come non vuole il Pd. A quel punto capiremo fino a che punto Bersani vorrà spingere la sua resistenza. Riproporrà l’opposizione del suo partito durante le votazioni in Aula? Boicotterà la riforma quando arriverà alla Camera? Domande per ora senza risposta. La difficoltà del segretario sta nel fatto che, bloccando l’iter della legge, presterebbe il fianco all’accusa di volersi tenere il «Porcellum», sistema da tutti aborrito e in modo particolare dal Presidente della Repubblica, il quale dal Colle vigila sempre meno paziente. Guarda caso, Bersani sente il dovere di precisare: «Non stiamo rinviando niente, voglio una legge elettorale che non porti alla frantumazione, alla balcanizzazione... Il meccanismo proporzionale va corretto in nome della governabilità, preferiamo i collegi alle preferenze». Non è esattamente il tono di chi si appresta ad alzare le barricate.

 

E in effetti, appunto, ieri di buon ora l’intesa sembrava davvero raggiunta. Nella bozza elaborata in armonia da Zanda (Pd) e da Quagliariello (Pdl), si registrava lo scambio deciso ai vertici dei rispettivi partiti. Quello di Bersani portava finalmente a casa un discreto premio per la coalizione vincente, pari al 12,5 per cento dei seggi. Non ancora abbastanza da garantire la vittoria matematica alla coalizione con Vendola, ma un passo avanti rispetto al «premietto» che il centrodestra avrebbe voluto concedere. In contropartita, sempre nella bozza circolata ieri mattina, il Pdl incassava le preferenze per eleggere i due terzi di deputati e senatori (al netto del premio); l’altro terzo degli onorevoli sarebbe stato calato dall’alto tramite le solite liste bloccate, proprio come accade oggi... 

 

Non appena la notizia si è sparsa per i corridoi di Palazzo Madama, nel Pd è scoppiata una mezza rivolta. Particolarmente vibrate le proteste di Ceccanti e di Morando, due «liberal» che simpatizzano per Renzi. Segnala Ceccanti che, oltretutto, le circoscrizioni saranno parecchio grosse, dunque le spese della campagna elettorali parecchio ingenti, un’autostrada spalancata alla corruzione e anche una forma di autolesionismo, dal momento che la magistratura non resterà con le mani in mano, grande attivismo della Guardia di finanza durante le campagne elettorali... Sul fronte referendario Parisi ha fatto notare come i nominati dall’alto saranno percentualmente il 42 per cento del totale, ancora troppi. Per cui dietrofront, l’intesa col Pdl è stata rapidamente rinnegata dai bersaniani. Ritorsione del Pdl: allora niente premio. Si voterà in Commissione, e non è affatto detto che vinca il migliore.

da - http://lastampa.it/2012/10/10/italia/politica/pd-e-pdl-spaccati-sulle-preferenze-ancora-uno-stop-per-la-legge-elettorale-vAel8yxu0yRK5s3CagFF2H/pagina.html
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« Risposta #221 inserito:: Ottobre 10, 2012, 07:25:56 pm »

politica
09/10/2012 - 09/10/2012

Cavaliere, è l’ora del “game over”

La candidatura sarebbe un flop

Nel gesto di Berlusconi c’è un calcolo molto realistico
 
I sondaggi non lasciano dubbi: tanto vale puntare su altri candidati

Ugo Magri
Roma

Il Cavaliere conferma pubblicamente quanto aveva già anticipato giorni fa ai vertici del suo partito. Presenta questa sua disponibilità a ritirarsi come un gesto estremo di generosità: pur di favorire l’intesa tra i moderati lui è disposto a farsi da parte. Al limite (sebbene non l’abbia detto, l’ipotesi sussiste) rinunciando addirittura a candidarsi. Tanto lo scranno in Parlamento ormai gli serve a poco, avendo superato i 75 anni in galera non andrebbe comunque pure in caso di condanna su Ruby & C.

 

A pensarci bene, di generosità politica ce n’è meno di quanto possa apparire. Semmai, l’offerta è figlia di un calcolo molto realistico. Prima di formalizzare l’eventuale rinuncia, Berlusconi ha atteso quattro mesi per vedere come evolvevano i sondaggi. A settembre il Pdl cresceva; di poco, comunque stava recuperando qualche punticino. Poi è scoppiato lo scandalo laziale con conseguente crollo delle percentuali, e l’uomo di Arcore si è reso conto che il match non avrebbe più storia. Se si candidasse, in base alle stime più attendibili rischierebbe un tonfo catastrofico. Un conto è venire sconfitti alle elezioni (Berlusconi le ha già perse due volte in passato), altra cosa è farsi letteralmente spazzare via. Presidiare il Parlamento con un centinaio di deputati sarebbe poco utile perfino alla tutela degli interessi aziendali, un nonsense. Insomma, «game over».

 

Tanto vale, è la logica conclusione dell’ex premier, «monetizzare» il passo indietro. Della serie: io non sono in grado di sbarrare la strada a Bersani, vediamo se qualcun altro è disposto a provarci… Casini (primo destinatario della profferta) ha già risposto che non vuole farsi prendere in giro, conosce Berlusconi e sa che Silvio cercherà di esercitare la propria influenza pure in futuro. Il sottinteso è che diverso sarebbe se la ritirata del Cavaliere fosse totale, però Pier Furby non la ritiene probabile e forse nemmeno possibile. Tra l’altro, perfino nel caso in cui davvero Berlusconi uscisse davvero di scena, a presidiare quell’area politica resterebbe il Pdl, con cui fare i conti. Per rendere credibile il passo indietro, l’offerta dovrebbe accompagnarsi a uno smantellamento totale del partito, insomma a una specie di resa senza condizioni, a una cessione completa dei diritti sull’area moderata… Siamo all’inizio di una trattativa molto complessa, aspettiamoci grandi sorprese.

da - http://lastampa.it/2012/10/09/italia/politica/cavaliere-e-l-ora-del-game-over-la-candidatura-sarebbe-un-flop-oXtqZipbtLllypVDV6DKVI/pagina.html
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« Risposta #222 inserito:: Ottobre 17, 2012, 10:12:17 pm »

politica
17/10/2012 - 16/10/2012

Diminuisce lo spread, torna la politica

Oggi il differenziale tra i Btp decennali e i Bund tedeschi si attesta a quota 300, 200 punti in meno di 100 giorni fa
 
Curata la febbre dei mercati, destra e sinistra riaprono dialettiche interne

Ugo Magri
Roma

Sotto la minaccia dello spread, quasi un anno fa è nato il governo Monti. Per timore dello spread, non più tardi di fine luglio, sul Colle più alto della Repubblica venivano presi in esame scenari di emergenza, comprensivi di eventuali elezioni anticipate casomai in agosto i mercati ci avessero messi alle corde. E sempre con l’occhio rivolto allo spread, che rappresenta il termometro della crisi finanziaria, si è immaginato che l’Italia (al pari della Spagna) possa inginocchiarsi davanti all’Europa per implorare soccorso.

Da settimane, tuttavia, questo spauracchio incute meno timore. Oggi il differenziale tra i nostri Btp decennali e i germanici Bund si attesta intorno a quota 330, vale a dire duecento punti in meno rispetto a cento giorni fa. E molte autorevoli previsioni scommettono che di questo passo entro l’anno finirà per assestarsi su livelli ante-crisi, o comunque meno insostenibili per le nostre povere finanze. Risultato delle politiche rigorose adottate dal governo Monti, senza ombra di dubbio; ma anche, e forse di più, quale effetto delle mosse di Draghi, il quale ha offerto all’euro lo scudo poderoso della Bce (Dio solo sa perché non ci avevano pensato prima).

A questo punto viene da chiedersi quali potranno essere i contraccolpi, benefici o negativi, sulla politica italiana. E il pensiero subito corre alle larghe intese: se lo spread cala, per una legge della fisica quelle si restringono. A mano a mano che svapora il clima di emergenza finanziaria internazionale, viene parimenti meno la ragione prima (e forse unica) da cui prese origine il governo dei «tecnici». Con la febbre dei mercati che viene curata, la «strana maggioranza» di Monti finisce per apparire come ancora più strana. Salvo nuove imprevedibili impennate dei tassi, il ritorno alla normale dialettica della democrazia appare ineluttabile. Non a caso, fervono a sinistra i preparativi delle primarie, a destra si tormentano sul da farsi, sotto i riflettori tornano le candidature e i partiti, e addirittura sulla legge di stabilità si annuncia quello che qualche pessimista già definisce «assalto alla diligenza». Passata è la tempesta, si ricomincia.

da - http://lastampa.it/2012/10/17/italia/politica/diminuisce-lo-spread-torna-la-politica-BwWBXpfrseXzO7B1HABA0N/pagina.html
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« Risposta #223 inserito:: Ottobre 19, 2012, 05:06:25 pm »

politica
18/10/2012 - 18/10/2012

Il centrodestra in attesa del Big Bang

Per spiegare il silenzio del Pdl torna utile la teoria dei buchi neri di Stephen Hawking


Ugo Magri
Roma

Grande fermento di primarie e «rottamazioni» a sinistra. Sull’altro fronte, al contrario, nulla si muove. Visto che nel centrodestra le cose vanno maluccio, da quella parte avrebbero parecchi motivi per impegnarsi, e invece nulla sembra accadere. Come mai? Per spiegare lo strano fenomeno, è d’aiuto ricorrere all’astrofisica, in particolare agli studi del grande scienziato britannico Stephen Hawking, il teorico dei «buchi neri». Non sorprenda l’accostamento: al pari delle altre scienze, anche la politica risponde a vere e proprie «leggi». E dietro l’apparente folklore, neppure la politica italiana si sottrae a queste regole intrinseche.

 

Il dato di origine, dunque, è che la stella berlusconiana si va spegnendo nei consensi della gente (il tasso di popolarità del Cavaliere non è mai stato così scarso). Logico che di pari passo venga meno la sua capacità di attrazione politica. Intorno a Silvio-Sirio dieci anni fa ruotavano tre pianeti: Bossi, Fini e Casini. Oggi nella sua orbita non ne è rimasto nessuno. E i tentativi in corso di riagganciarne uno, o due, o addirittura tutti e tre sembrano a dir poco problematici. Quando una stella muore, perfino gli asteroidi potendo girano alla larga. Inoltre Berlusconi emette segnali contrastanti. In certi momenti sembra volersi ritirare negli abissi dell’universo, in altri vorrebbe trasformarsi in una cometa o lista-civica con un codazzo di imprenditori (continua a circolare, nonostante le deboli smentite, il nome di Briatore). Nell’attesa, il Pdl ha cessato di esprimere posizioni politiche. Tace su tutto, è afono, contribuendo così al senso di declino.

 

E qui tornano utili le teorie di Hawking. Perché di questo passo, tra poco, al posto della stella morente avremo un immenso buco nero, l’intero spazio politico del centrodestra (che tre anni fa era maggioritario, e tuttora lo è nel Parlamento) privato improvvisamente della sua rappresentanza. Gli elettori moderati o conservatori non è che si sono estinti, semplicemente rifiutano di votare un partito dal quale si sentono profondamente delusi. E come tutti i vuoti dell’universo, anche i buchi neri della politica hanno una loro forza attrattiva, veri e propri inghiottitoi cosmici. Se ci sei accanto, ne vieni trascinato dentro. Per cui certamente qualcuno sarà portato, volente o nolente, a riempire quello spazio, con risultati impossibili da prevedere. Proviamo ad immaginare, per esempio, quale effetto di vertigine potrebbe provocare a Casini la vista di questo immenso spazio libero a sua disposizione sulla destra. Siamo sicuri che dopo il voto l’astuto Pier si getterebbe nelle braccia di Bersani, accontentandosi in cambio di qualche poltroncina? Viene da dubitare. E chissà quanti altri, senza dirlo, ci staranno facendo un pensiero… Una certezza viene dalla fisica: se la stella Berlusconi nelle prossime settimane si spegnerà, assisteremo a un nuovo Big Bang della politica nazionale.

da - http://lastampa.it/2012/10/18/italia/politica/il-centrodestra-in-attesa-del-big-bang-laaCbxFgi8GgsToVsTsv9L/pagina.html
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« Risposta #224 inserito:: Ottobre 27, 2012, 05:06:56 pm »

politica

26/10/2012 - l’analisi

Questo è davvero un addio
 
Che Berlusconi abbia saputo qualcosa in anticipo? Che per questo abbia pensato a una fuga in avanti?

Ogni supposizione è legittima


Ugo Magri
Roma

Adesso è un po’ tutto più chiaro. L’addio precipitoso alla candidatura, la convocazione delle primarie, il videmessaggio per dare solennità a passo indietro... Visto col senno di poi, cioè alla luce della condanna odierna, l’abdicazione di Re Silvio assume le caratteristiche di un 8 settembre, di una fuga precipitosa, di un si salvi chi può. 

I giudici erano da giorni chiusi in camera di consiglio, guarda che combinazione la svolta politica del centrodestra è maturata proprio in quel mentre. Che Berlusconi sia venuto a sapere in anticipo? Che a quel punto si sia affrettato a regolare la successione, sapendo di non poter attendere un minuto di più? Ogni supposizione è legittima. Come è lecito immaginare cosa sarebbe accaduto se lui non avesse provveduto a lanciare per tempo le primarie: il Pdl, alla luce della condanna, gli sarebbe sfuggito definitivamente di mano. Così, almeno, può sostenere di avere indicato la strada lui. L’unica vera certezza è che Berlusconi non tornerà sui suoi passi. Anche nel caso in cui gli venisse voglia di ripensarci, come qualche irriducibile tra i suoi insiste a credere, a questo punto sarebbe impossibile. Dopo Mediaset arriverà la sentenza di Mediatrade e poi quella su Ruby: un carico giudiziario eccessivo perfino per un combattente come lui. Sommato a tutto il resto (crollo nei sondaggi, discredito all’estero, crisi delle sue aziende), davvero giustifica un vero addio.

da - http://lastampa.it/2012/10/26/italia/politica/questo-e-davvero-un-addio-2AzHrLUmsbeRpfvF0IyByH/pagina.html
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