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« Risposta #180 inserito:: Febbraio 29, 2012, 04:38:19 pm » |
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Politica 29/02/2012 - il punto politico Riforme, la vera rivoluzione di Monti Come potranno i partiti ricandidare mezze figure e riproporre i vecchi modelli conflittuali se partiranno liberalizzazioni, lotta all'evasione, modifiche della Costituzione? Ugo Magri Roma Dunque, anche le liberalizzazioni stanno imboccando la via che porterà il governo Monti a marcare un ulteriore successo: dopo la manovra anti-crisi varata a dicembre, che ha consentito di alleggerire lo spread, si allenta pure la stretta sull'economia di corporazioni e interessi coalizzati. L'aspetto politicamente di maggior rilievo è che pure questa riforma marcia ora più spedita con il voto dei tre maggiori partiti. Non sono mancate le tensioni, certi compromessi sono stati una vera sofferenza; tuttavia in qualche passaggio la regia congiunta dei partiti ha addirittura permesso di migliorare il testo governativo, cosicché il risultato finale sta comodamente nell'alveo del riformismo possibile. Aspettiamoci ora che qualcosa di molto simile possa accadere per la riforma del mercato del lavoro (dove si registrano i primi timidi segnali di convergenza), e ancora di più sulle modifiche alla seconda parte della Costituzione. Sempre con il concorso di forze politiche fino a quattro mesi fa alternative, costrette dalle circostanze alla ricerca di un minimo comune denominatore. Ciò deve fare riflettere in prospettiva. Se dovesse proseguire fino al 2013 una collaborazione, sia pure dettata dall'emergenza, capace di rimettere ordine nella finanza pubblica, nella lotta all'evasione fiscale e alla disoccupazione, di riscrivere la Carta repubblicana nei suoi passaggi chiave e nientepopodimeno che la nuova legge elettorale, se insomma tutto questo dovesse avverarsi, non sarebbe semplice per i partiti tornare a proporre come se nulla fosse modelli politici conflittuali, alleanze sbilanciate verso le estreme o comunque fondate sulla reciproca delegittimazione. Non è tutto: nella scelta del personale politico candidato a governarci, solo personalità dotate di competenza e spessore morale potranno scendere in campo per i partiti, non più mezze figure che risulterebbero, nel confronto con i «tecnici», del tutto inadeguate. La vera «rivoluzione», forse, sta proprio qui. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444502/
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« Risposta #181 inserito:: Marzo 02, 2012, 10:56:32 am » |
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Politica 01/03/2012 - il punto politico Riforme: arriva il Senato "federale" I quattro "saggi" che lavorano alle riforme costituzionali prevederebbero per le due Camere competenze diverse: a Palazzo Madama le Regioni a Montecitorio lo Stato centrale Ugo Magri Roma Niente comunicati ufficiali, zero conferenze stampa. Anzi, bocche cucite perché qualunque squillo di tromba manderebbe a monte il progetto. Che adesso è nero su bianco, sotto forma di articoli, pronto per essere consegnato forse già stasera ai leader della maggioranza. Si tratta della riforma costituzionale, cui stanno dando gli ultimi ritocchi (corrette formulazioni giuridiche) i quattro «saggi» incaricati dai rispettivi partiti: Violante per il PD, Quagliariello per il Pdl, Adornato per l'Udc, Bocchino per Fli. Forse per sviare l'attenzione, il «mantra» dei saggi è che non vi sono rivoluzioni rispetto a quanto della bozza già si sapeva. Dunque più poteri al presidente del Consiglio, meno deputati e senatori, basta sovrapposizioni tra Camera e Senato. In realtà, sottovoce un «saggio» confida che qualche novità ulteriore dobbiamo aspettarcela, anzi nemmeno da poco. Pare che questa novità riguardi il bicameralismo e rimetta ai segretari dei partiti la scelta finale. La proposta nota, tra virgolette, consisterebbe nel far vestire ai presidenti delle due Camere i panni di vigili del traffico legislativo. Si riunirebbero per decidere, ogni tot mesi, di che si occuperebbe Montecitorio e di che Palazzo Madama. A quel punto una legge approvata in un ramo del Parlamento potrebbe essere richiamata nell'altro ramo solo in casi straordinari. Col risultato di guadagnare tutti quanti un bel po' di tempo. L'alternativa di cui invece ancora non si sapeva è ben più raffinata. Consisterebbe nell'affidare al Senato la competenza prevalente sulle materie che coinvolgono le Regioni ex articolo 117 della Costituzione, e alla Camera la competenza prevalente sugli argomenti che riguardano lo Stato centrale. Cosicché verrebbe a crearsi una ripartizione dei ruoli più in sintonia con quel poco o tanto di federalismo introdotto in Italia negli anni recenti. Ci si potrebbe appellare in buona fede al modello tedesco (piuttosto simile). Verrebbe forse in parte accontentata la Lega, che finora si è tenuta polemicamente ai margini della trattativa sulle riforme, permettendole di rientrare nel gioco. Ma soprattutto non si darebbe agli italiani la (brutta) impressione di voler mantenere due Camere a prestarsi reciprocamente i piedi solo perché non si ha sufficiente coraggio per smantellarne una delle due. Che ne diranno, i segretari dei maggiori partiti? Metteranno il timbro per consentire alla riforma di iniziare in fretta il suo iter in Parlamento? Per il momento Alfano Bersani e Casini sono assorbiti dalla preparazione delle liste per le prossime Amministrative; in particolare li appassiona da morire il caso di Palermo. Ma prima o poi alzeranno la testa e si occuperanno pure dei temi, alti e nobili, che ci riguardano tutti. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444626/
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« Risposta #182 inserito:: Marzo 02, 2012, 11:29:31 pm » |
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Politica 02/03/2012 - IL PUNTO Berlusconi medita il grande ritorno Spunta il cartello "Tutti per l'Italia" L'ex premier scarica Alfano: "Bravo, ma gli manca un quid". Poi arriva la solita smentita UGO MAGRI Roma Gli occhi della politica oggi sono tutti puntati sul Pdl, dopo quello che ieri Berlusconi ha detto su Alfano. Descritto come un bravo figlio, al quale tuttavia mancherebbe «un quid». Battuta pronunciata a Bruxelles davanti ai giornalisti ma lontano dai microfoni, dunque destinata alla più ipocrita delle smentite. Puntuale è arrivato un comunicato di Palazzo Grazioli dove si sostiene che Silvio non ha mai neppure lontanamente pensato quanto i cronisti gli attribuiscono sul segretario del Pdl («Sosterrò Alfano alle primarie»). Precisazione inutile, perché tanto nessuno ci crede. Tutti hanno capito che le critiche ad Alfano servono per preparare il campo a un grande rientro. Il suo. È come se Berlusconi dicesse: «Siccome Angelino non mi sembra in grado, sono costretto a farmene nuovamente carico io». Se si dà retta a Ferrara e alla Santanchè, il Cavaliere avrebbe in mente l'ennesima «rifondazione», addio Pdl per lanciare in sua vece un cartello elettorale, «Tutti per l'Italia». Sono settimane che questa idea circola, tra indiscrezioni e smentite. Qualcosa di vero ci deve pur essere. Questioni interne del centrodestra? Mica tanto. Un ritorno in pista del Guastafeste metterebbe a rischio l'equilibrio politico e di governo. La sua ingombrante presenza è tale da rendere l'aria irrespirabile al Pd e allo stesso Terzo Polo. Con Alfano, Bersani e Casini possono stipulare intese: col Cavaliere non accetterebbero neppure di vedersi. Più Berlusconi abbraccia Monti, con l'intenzione dichiarata di allungargli la vita politica, e più gliela accorcia... Chi credeva di avere iniziato un capitolo nuovo, forse ha avuto troppa fretta di voltare pagina. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444761/
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« Risposta #183 inserito:: Marzo 05, 2012, 04:24:12 pm » |
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Politica 05/03/2012 - IL PUNTO Primarie con polemiche a Palermo Nel Pd Bersani finisce sotto accusa Sconfitta la linea del segretario che appoggiava Rita Borsellino UGO MAGRI Roma Per una settimana hanno tenuto banco le sventure del Pdl, partito in caduta libera nei sondaggi e perfino nella considerazione del suo Fondatore. Le primarie di Palermo accendono ora i riflettori sulle disgrazie del Pd, dopo la sconfitta della candidata «ufficiale» Rita Borsellino. Aspettiamoci giorni di polemiche a sinistra e di «tiro al Bersani», contro il quale certamente si sfogheranno parecchie frustrazioni interne. E a ben vedere, il principale partito riformista italiano non scoppia di salute. Il suo male oscuro è questa distanza, che si va trasformando in un baratro, tra le scelte centrali e la realtà dei territori. Una separatezza capace di fornire puntualmente le risposte sbagliate, di determinare costanti errori nella valutazione dei candidati, per cui quelli adottati dai vertici del Pd sono sempre destinati a sicura sconfitta. In questa chiave è lecito discutere il meccanismo delle primarie e domandarsi se in fondo non stiano trasformandosi, da strumento di democrazia, in un terreno di lotte intestine. Ci si può interrogare anche sul peso crescente dell'antipolitica, che premia senza dubbio i più «arrabbiati». Ma la verità sotto gli occhi di tutti è che dalla Puglia a Milano, da Napoli a Torino, da Genova a Palermo, il gruppo dirigente del Pd mette sempre il cappello sulla soluzione perdente. Mai che ci azzecchi, una volta. A salvare Bersani, la sera del 7 maggio prossimo, quando sui tigì compariranno i risultati delle Amministrative, sarà il conto delle bandierine. Su 28 Comuni capoluogo, il Pdl ne aveva 18 e stavolta gliene resteranno ben pochi. Cosicché il Pd potrà cantare vittoria. Ma non occorre la sfera di cristallo per prevedere che ben pochi dei sindaci eletti saranno diretta emanazione del partito, e che i voti di lista subiranno un'erosione a vantaggio delle liste civiche e dei diretti concorrenti, da Vendola a Di Pietro. Insomma, il gruppo dirigente avrà ben poco di cui rallegrarsi. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/445070/
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« Risposta #184 inserito:: Marzo 09, 2012, 11:39:16 am » |
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Politica 06/03/2012 - il punto politico Partiti sempre più in crisi E Monti procede sereno Si aggrava il quadro dopo il voto alle primarie per il Pd E nel Pdl regna ormai il caos Ugo Magri Roma I partiti non scoppiano di salute, e ciò si sapeva. Il quadretto di queste ore aggrava la diagnosi. Bersani è tornato nel tritacarne per il «caso Palermo», gli viene fatto carico di una candidatura alle primarie (Rita Borsellino) in contraddizione con l'alleanza regionale in Sicilia; ma soprattutto gli si rimprovera, dentro il Pd, una rotta incerta per quanto riguarda le alleanze future (con Di Pietro e con Vendola? con il Terzo Polo? con gli uni e con gli altri?). Da qualche settimana i sondaggi segnalano piccole smagliature, la marcia verso quota 30 per cento sembra temporaneamente rinviata. A destra, di male in peggio. Da quando al Cavaliere è tornata la voglia di fare politica, nel Pdl regna il caos. Da segnalare una risposta molto dignitosa di Alfano, che nei giorni scorsi era finito nel mirino del Leader, a una domanda proprio su Berlusconi: «Ho chiaro che il compito delle persone serie e oneste sia di svolgere quello per cui sono state chiamate...». Della serie, io vado avanti per la mia strada. Però su di lui pende una puntata di Porta a porta, due ore domani sera di domande e risposte al Cavaliere, da cui può venir fuori la qualunque sul partito, sul governo, sull'Italia. A descrivere la condizione della Lega bastano (e avanzano) le parole fuori misura di Bossi sul presidente del Consiglio. La faida interna con Maroni è ancora lontana dall'epilogo. E in fatto di discordie intestine, guai a sottovalutare quelle del Terzo Polo. Per quanto ben mascherate all'esterno, le relazioni tra Rutelli, Fini e Casini (tre galli nello stesso pollaio) risultano tutt'altro che prive di tensioni. I leader dei partiti non sembrano neppure in grado di tenere la riunione conclusiva sulle riforme costituzionali, dove la bozza sarebbe pronta e solo da licenziare: se ne parla, se ne ragiona, ma nessun appuntamento risulta ancora fissato. Ci sono grane più urgenti, le liste per le amministrative, le mille beghe locali... Il risultato è che per il momento Monti non ha nulla da temere dalla sua strana maggioranza. E se continua così, a Palazzo Chigi metterà le radici. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/445249/
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« Risposta #185 inserito:: Marzo 16, 2012, 04:49:09 pm » |
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Politica 16/03/2012 - IL PUNTO POLITICO Ma la maggioranza c'è, eccome Monti si sta rivelando un politico sopraffino nel senso tradizionale C'è un accordo sostanziale su giustizia e articolo 18 Ugo Magri Roma Ricapitolando. In quattro mesi si sono messi d'accordo sulle misure anti-crisi, su quelle per lo sviluppo, sulle liberalizzazioni, sulle semplificazioni. Alla lista delle intese già raggiunte tra «A-B-C» ( Alfano, Bersani, Casini) stanotte se ne sono aggiunte altre due, che sono: il lavoro comprensivo di articolo 18 sui licenziamenti, e un'agenda di riforme impegnative sulla giustizia. Per il momento è rimasta fuori dai patti la Rai, dove si lotta per le poltrone agli amici e agli amici degli amici. Ma perfino su questo si annuncia prossimamente un vertice chez Monti, dove tutto lascia pensare che qualche arrangiamento verrà trovato. Resterà l'attuale «governance» della tivù pubblica, in compenso il premier bilancerà le nomine con mano sapiente in modo da non deludere nessuno. Il Professore si sta rivelando un politico sopraffino nel senso tradizionale del termine. Per cui viene da chiedersi come mai Alfano e Bersani (non Casini, almeno in questo più schietto) rifiutino di considerare «politica» una maggioranza dove la condivisione è praticamente su tutto, compresi quegli argomenti tabù che per anni erano stati terreno di battaglia. La risposta ha a molto che vedere con le scadenze elettorali delle Amministrative, tra neppure due mesi, e delle Politiche, tra 12 suppergiù. I partiti si sforzano nei limiti del possibile di tener vive le differenze agli occhi degli elettori e delle rispettive tifoseria, altrimenti verrebbero meno le ragioni per sostenerli. Attendiamoci dunque che l'accordo di stanotte sulla giustizia venga seguito oggi da puntualizzazioni, prese di distanze, distinguo. Idem sull'articolo 18. Ma la «road map» è tracciata. E a mano a mano che Monti farà strada, sarà sempre più difficile per i tre partiti negare la realtà di una consonanza sostanziale sul da farsi. Dal che possono derivare grandi e imprevedibili conseguenze sul piano politico. Prepariamoci tra un anno a uno scenario tutto cambiato. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/446669/
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« Risposta #186 inserito:: Marzo 19, 2012, 10:39:05 pm » |
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Politica 19/03/2012 - il punto politico Lavoro, la riforma giunta da lontano Ugo Magri Roma Due o tre circostanze possono aiutare a orientarsi nella convulsa fase finale della trattativa con le parti sociali (oggi gli ultimi contatti tra sindacati e governo in vista del match finale domani pomeriggio a Palazzo Chigi). Primo: la riforma Fornero non spunta dal nulla. è la traduzione in italiano di una direttiva che ci viene dall'Europa. Più precisamente, dalla Bce che sollecitò una maggiore flessibilità in uscita nel nostro mercato del lavoro già ai tempi del Cavalier Berlusconi. Il richiamo era contenuto nella famosa lettera nella quale aveva ottenuto consiglio da Draghi e da Trichet, sperando di ricavarne una ricetta alternativa a quella di Tremonti. Gli dissero chiaro e tondo di intervenire sulle pensioni (ha provveduto Monti) nonché, appunto, sul nodo dei licenziamenti. Secondo: fin dalle dichiarazioni programmatiche in Parlamento, il Professore non ha mai fatto mistero di voler applicare il diktat europeo. Ancora più esplicita è stata la ministra del Welfare, attraverso quelle che sulle prime potevano sembrare gaffe, e cosi sembrarono perfino in altissimo loco, in realtà corrispondevano alle vere intenzioni del presidente del Consiglio. Ribadite non più tardi di giovedì scorso durante il vertice con i segretari dei partiti. Terzo: dinanzi alla impuntatura del sindacato, quantomeno di Cgil e Uil, i leader della maggioranza e Bersani in particolare possono senz'altro chiedere a Monti di rendere meno drammatico lo scontro finale, evitando risposte punitive nel caso di mancato accordo. Lo stesso governo in fondo non ha interesse a scatenare un'ondata di protesta sociale tale da rendere inutili i benefici che una riforma dell'articolo 18 probabilmente avrebbe sull'andamento dello spread. Ma al netto di tutto ciò, i partiti non possono fare altro che caricarsi delle proprie responsabilità. Una volta spesa tutta l'influenza di cui sono capaci al fine di trovare un minimo comune denominatore, l'ultima disgrazia per la politica (già così depressa agli occhi degli italiani) sarebbe quella di mollare Monti al proprio destino. Anche solo per una questione di dignità, un esito così traumatico sembra al momento improbabile. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/446994/
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« Risposta #187 inserito:: Marzo 21, 2012, 04:59:22 pm » |
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Politica 21/03/2012 - IL PUNTO Ora la Rai diventa un campo di battaglia Cresce il malcontento nel Pd UGO MAGRI Roma L'accordo mancato provoca nel Pd un fortissimo maldipancia. È sensazione diffusa tanto ai vertici quanto alla base che le politiche di Monti, e specialmente il suo modo rigido di amministrarle, stiano facendo pagare al partito un prezzo politico troppo elevato. Prima lo «strappo» con Cgil sulle pensioni, motivato dall'emergenza finanziaria; adesso quello, altrettanto doloroso, sull'articolo 18 e sul tabù dei licenziamenti. Con due aggravanti. Tutto questo avviene a ridosso delle elezioni amministrative, dove il Pd non ne sarà certo avvantaggiato; il presidente del Consiglio nulla ha fatto per addolcire la pillola. Anzi. Anche sull'altra sponda hanno inghiottito dei rospi. Nella prima manovra, dovettero mandar giù il ritorno dell'Ici (ora si chiama Imu) che annullava una promessa solenne del Cavaliere; sulle liberalizzazioni il Pdl nulla ha potuto per impedire che tassisti, farmacisti e altre categorie amiche finissero nel mirino del Professore. Pure nella riforma del lavoro i «berluscones» subiscono un ruvido trattamento per le piccole e medie imprese, che del centrodestra rappresentano il serbatoio elettorale. Ma sul piano simbolico non c'è dubbio che il prezzo più elevato venga pagato a sinistra. Ciò non resterà privo di conseguenze politiche. Il Pd pretenderà qualche forma di risarcimento immediato. E comunque, non potrà tollerare altre sconfitte di immagine, o che tali possano apparire agli occhi della propria gente. Sulla riforma della giustizia, per esempio; a maggior ragione sulla Rai, dove Bersani ha buttato il cuore oltre l'ostacolo promettendo che il suo partito non si renderebbe complice di un rinnovo ai vertici di Viale Mazzini che non fosse preceduto dalla riforma della «governance». È del tutto escluso che, specie in questa sua battaglia, il segretario Pd possa riscuotere comprensione da parte di Alfano. Voleranno scintille. Chi è appassionato di lotta politica, si prepari a un crescendo di polemiche arroventate. Con il presidente del Consiglio che, dopo la rottura con la Camusso, non potrà più dire: «Me ne lavo le mani». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447259/
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« Risposta #188 inserito:: Marzo 22, 2012, 04:00:35 pm » |
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Politica 22/03/2012 - IL DIBATTITO Riforma del lavoro: niente decreto Il governo sceglie la linea morbida No del Pd, dubbi sull’estensione dell’art. 18 agli statali UGO MAGRI Roma I contraccolpi del mancato accordo sul lavoro stanno mettendo sotto duro stress il governo. Per la prima volta dal Pd arrivano esplicite prese di distanze, insieme con l’avvertimento che andare avanti così proprio non si può. Manco a dirlo, dall’altra parte si schierano con Monti e contro la Cgil. Cosicché il passaggio delle prossime ore si annuncia alquanto stretto. Il presidente del Consiglio ufficialmente non ha rinunciato a varare domani la sua riforma (sebbene il tam-tam politico-sindacale ipotizzi un rinvio a quando tornerà dal lungo viaggio in Estremo Oriente). Però un conto è se presenterà questa riforma alle Camere come un «prendere o lasciare», altra cosa se il Professore si farà umile e terrà conto del futuro dibattito in Parlamento. Dal Pd un po’ gli intimano un po’ lo scongiurano di imboccare questa seconda strada, in modo da apportare con calma le correzioni necessarie, specie sull’articolo 18. Diversi segnali lasciano intendere che alla fine sarà proprio questa la scelta di Monti. Dunque niente decreto legge, che verrebbe interpretato a sinistra come una inaccettabile forzatura (lo stesso Napolitano negherebbe la controfirma). E con ogni probabilità Monti non opterà nemmeno per un disegno di legge, dove comunque andrebbe subito inserito nero su bianco il pomo della discordia legato alla cosiddetta «flessibilità in uscita» (leggi: meno vincoli ai licenziamenti). Il presidente del Consiglio sembra al momento orientato verso una legge delega. In altre parole, il governo sottoporrà al Parlamento alcuni criteri di riforma molto generali, altamente condivisibili e politicamente inoffensivi, riservandosi di definire i dettagli concreti attraverso, appunto, i decreti delegati. Che potranno arrivare in un momento successivo, per esempio una volta scavallate le elezioni amministrative di maggio. Capiremo meglio stasera, dopo la riunione tra Monti, Fornero e parti sociali. Il Capo dello Stato fa intendere che, tra tutte le soluzioni sul tavolo, lui preferisce la più dialogante. L’assedio nei confronti del premier è tale che perfino il ministro Barca (Coesione territoriale) esprime dubbi sulla nuova formulazione dell’articolo 18. Dal Pd è in atto un vero e proprio martellamento. Di prima mattina sono scesi in campo i capigruppo Finocchiaro e Franceschini per sbarrare la strada all’eventuale decreto. Più tardi ha fatto rumore uno sfogo a voce alta, in modo che i giornalisti lo udissero, del segretario Bersani con l’ex-ministro Damiano: «Se devo concludere la vita dando il via libera alla monetizzazione del lavoro, non lo faccio... Per me sarebbe inconcepibile». Più tardi il segretario è andato da Vespa a spiegare che ci sarebbero ancora margini di intesa con Cgil, qualora per i licenziamenti dettati da ragioni economiche si usasse lo stesso metro di quelli disciplinari (intervento del giudice). Ma il vero colpo di avvertimento l’ha sparato a sera Rosy Bindi, presidente del partito: «Il governo e il presidente del Consiglio vanno avanti se rispettano la dignità di tutte le forze politiche» (altrimenti di strada se ne fa poca, è il sottinteso). E il Pdl? Con Alfano difende la riforma, «si è trovato un buon punto di equilibrio dal quale non si dovrà arretrare in Parlamento». Tuttavia nessuno pretende un decreto, al massimo viene auspicato. E quasi tutti al vertice Pdl sono ormai rassegnati alla legge delega che, sotto sotto, evita pericolose radicalizzazioni. Tra l’altro pure l’alleato leghista promette lotta dura contro la riforma. Di Pietro annuncia il ricorso alla piazza e addirittura un «Vietnam parlamentare». Intanto scoppia un caso-statali. Secondo il Dipartimento della Funzione pubblica, infatti, le nuove regole sui licenziamenti senza giusta causa saranno applicate anche ai lavoratori pubblici «poichè a loro si applica lo Statuto dei lavoratori». Quindi, in teoria anche un impiegato di un ministero, un dipendente di un Comune, di una Asl, di una Provincia o di una Cominità montana potrebbe essere licenziato, magari per motivi economici. Questa soluzione però non piace a Cgil, Cisl e Uil che ieri hanno subito alzato le barricate. Il ministero della Funzione pubblica, in um primo momento non si sbilancia e mostra cautela («valuteremo gli effetti sugli statali una volta definiti i testi») ipotizzando poi l’adozione di norme specifiche per questo comparto senza escludere esplicitamente la possibilità di licenziare più liberamente anche nel pubblico. L’ultima parola è quella del ministro Patroni Griffi che cerca di chiudere la vicenda: «Le modifiche all’articolo 18 non riguarderanno gli statali». Fine delle polemiche? da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447336/
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« Risposta #189 inserito:: Marzo 23, 2012, 11:09:43 pm » |
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Politica 22/03/2012 - IL PUNTO Governo, l'incantesimo si è spezzato Il Pd scontento di Monti per le trattative sul lavoro UGO MAGRI Roma L'incantesimo si è spezzato, incollare i cocci sarà impresa ardua (per non dire impossibile). Sulla riforma del lavoro, il Pd ha reagito con toni di autentica insofferenza. Rosy Bindi sostiene chiaro e tondo che così non si può andare avanti. Ma neppure Bersani ieri sera da Vespa è stato particolarmente tenero. Per la prima volta da quando il governo è nato, entra in crisi il rapporto di fiducia non con questo o quel ministro, ma con Monti personalmente. Il principale partito della sinistra, partner essenziale della maggioranza, è molto scontento di come il Prof ha condotto la trattativa. Super-rigido, poco flessibile. È la brusca fine di un idillio, che genera inevitabile la domanda: quali conseguenze politiche avrà l'incidente sull'articolo 18? Già prima che scoppiasse, il Pd non sembrava granché persuaso dagli argomenti di Casini, il quale va sostenendo che l'esperienza del governo Monti è troppo utile al Paese per interromperla nel 2013. Dopo le elezioni si torni alla normale dialettica, diceva da giorni Bersani, sottintendendo che del Prof non ci sarà più bisogno. A maggior ragione lo penserà adesso, sull'onda del disincanto. Per certi aspetti, sussurrano esponenti Pd di altissimo profilo, Monti è perfino più a «destra» di Berlusconi, è un vero liberale conservatore. Tra 12 mesi sarà indispensabile, aggiungono, dirgli «arrivederci e grazie». L'ala veltroniana dovrà mettersi il cuore in pace. Capitolo chiuso. Da rivedere anche gli altri scenari di fanta-politica, tipo quelli che già scommettevano su Monti prossimo inquilino del Quirinale. Perfino condurre in porto la legislatura diventa adesso più difficile. Come contraccolpo anche psicologico dell'articolo 18, il Pd sarà portato a pretendere compensazioni su altri terreni, ogni questione in sospeso diventerà un campo di battaglia. Fino al 7 maggio la politica verrà pesantemente condizionata (in peggio) dalla campagna per le amministrative; e dopo l'estate, da quella per le politiche. Nessuno, nella strana maggioranza di governo, sarà più disposto a cedere di un millimetro. Occhio allo spread: se all'estero se ne accorgono, tornerà a salire. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447383/
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« Risposta #190 inserito:: Marzo 24, 2012, 02:58:00 pm » |
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Politica 24/03/2012 - il caso Delusi sia il Pdl che il Pd Tempi lunghi, esito incerto I berlusconiani volevano il decreto, i democratici un testo più morbido UGO MAGRI Roma Sul lavoro Monti ha trovato l'equilibrio perfetto, deludendo tanto gli uni quanto gli altri. Il Pd resta furente sulla sostanza (licenziamenti più facili); il Pdl perde le staffe sul metodo (disegno di legge senza urgenza). Il risultato è un destino incerto: anzitutto per la riforma. A credere che in Parlamento verrà approvata, non sono così tanti. Le Commissioni diventeranno un bazar, l'Aula un «Vietnam» (promette Di Pietro). Se per avventura il ddl arriverà in porto, ciò accadrà tra molti mesi, più facilmente dopo l'estate. E c'è dell'altro. Il cammino della riforma promessa ai mercati incrocerà tutte le varie questioni (alcune nobili altre no) su cui i partiti si stanno azzuffando, dalla Rai alla giustizia. A Monti verranno chiesti capolavori di tenacia e anche di astuzia. Da Grande Decisore, il Prof rischia di trasformarsi nel Grande Mediatore. Oggi parlerà a Cernobbio, e capiremo se la futura veste gli andrà comoda o stretta. Di sicuro, Monti non ha retto l'urto di Bersani. Il segretario è riuscito a esternare la rabbia del suo partito con una «vis» di cui certi detrattori interni non lo ritenevano in grado. Un crescendo di sarcasmi sui tecnici («molta gente può essere arrivata lì non essendo pratica della materia»), di battute corrosive («il Parlamento lo chiudiamo, così i mercati si rassicurano...»), di chiari avvertimenti («sosteniamo Monti per generosità, poi torni la politica») che poi D'Alema ha ripreso con la sua solita vena di simpatia («Monti starà qui un po', dopodiché verranno altri governi»). Bersani temeva di trovarsi davanti a un «prendere o lasciare». Vale a dire un decreto del governo seguito dal voto di fiducia in Parlamento, la procedura standard di questi primi quattro mesi; il suo fuoco di sbarramento è stato tutto volto a ottenere un disegno di legge, tenero e malleabile per sua natura. Nella disperata battaglia, accompagnata epicamente dai giovani del Pd con il coro di «Bella ciao», il segretario ha trovato supporto in Fini, che a tu per tu con Monti l'altro ieri aveva consigliato di non insistere col decreto, laddove invece Schifani ha sostenuto pubblicamente il contrario, seconda e terza carica dello Stato su opposti fronti. Rutelli, in sintonia con Fini, ha bastonato l'ipotesi di decreto; però sotto sotto Casini, che del Terzo polo è il leader, sarebbe stato abbastanza a favore del provvedimento d'urgenza, in modo da calare in fretta il sipario e guardare oltre; Bocchino, d'accordo con Pier ma una volta tanto in dissenso da Gianfranco, ha suggerito a Monti la linea dura. Insomma, confusione totale. Fino a quando Napolitano ha chiuso i giochi. E' parere unanime che l'ultima parola sia stata del Presidente; forse anche la prima, giacché Napolitano ha sempre perorato in pubblico e privatamente le ragioni del dialogo coi sindacati, Cgil compresa. Ieri mattina non ha fatto che ribadirle quando con una mano ha sostenuto Monti («è una riforma da fare»), con l'altra lo ha quasi sospinto lungo la strada del ddl («in Parlamento si confronteranno preoccupazioni e proposte»). Forse era proprio ciò che il Professore desiderava. In partenza a sera per Milano, veniva descritto dai suoi come «stanco ma soddisfatto». A riprova di quanto cangiante sia la politica, l'alta tensione si è spostata da sinistra a destra. Fino a metà pomeriggio i «berluscones» non stavano nella pelle dal godimento, che spettacolo ai loro occhi la rivolta del Pd contro i «tecnici»... Quando invece da Palazzo Chigi è arrivata notizia del «cedimento», cioè non sarà decreto ma ddl, tutta l'ala capitanata da La Russa, quella che preferisce perdere le elezioni subito anziché languire un anno nel limbo, si è lanciata all'assalto con furore. Non si è associato però, si badi bene, il segretario Alfano. In questi giorni mai, dalla sua bocca, era uscita la parola «decreto». Solo un paio di polemiche da caffè, proprio il minimo sindacale. Angelino sa che l'articolo 18 non è il terreno ideale su cui dare battaglia. Metà degli elettori Pdl è terrorizzata dai licenziamenti facili; la Lega scatenata contro. Per dare retta ai suoi «falchi», il segretario dovrebbe farsi insultare da Bossi sulle piazze del Nord. Quanto a Berlusconi, la parola «licenziamenti» non gli è mai piaciuta. E comunque, sussurrano dalle sue parti, da una trattativa serrata può venir fuori qualcosa di buono per lui, sulla giustizia o sulle tivù, buttalo via... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447628/
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« Risposta #191 inserito:: Marzo 28, 2012, 03:08:11 pm » |
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Politica 28/03/2012 - IL PUNTO Il vertice A-B-C salva le apparenze Via libera a un'intesa al ribasso ma il voto a ottobre è più lontano UGO MAGRI Roma È presto per dire se davvero si porteranno a termine le riforme, della Costituzione e della legge elettorale. Né si può scommettere che, dopo il summit di ieri a Montecitorio, le tensioni sull'articolo 18 verranno presto smaltite. Possiamo tuttavia ragionare con certezza al contrario. Immaginando che cosa sarebbe successo se i segretari della maggioranza avessero rifiutato di incontrarsi e di dare il via libera a un'intesa praticamente già scritta, tra l'altro niente affatto ambiziosa e semmai troppo modesta, minimo comune denominatore di quanto tutti i maggiori partiti sostengono ormai da anni (riduzione del numero dei parlamentari, più poteri al presidente del Consiglio, eccetera). In quel caso sì che ne avremmo ricavato pessimi auspici per l'ultimo scorcio di legislatura. La prospettiva di elezioni prima della scadenza sarebbe diventata parecchio concreta per la soddisfazione di quanti a sinistra e a destra sperano nella rapida consunzione del governo tecnico. Viceversa A-B-C si sono visti e la prossima settimana, nelle loro intenzioni, concederanno il bis per studiare al microscopio il testo delle riforme. Giacché ci sono, magari forse ne profitteranno per ragionare più a fondo di articolo 18 e dintorni. Tradotto in concreto, cosa significa? Che scompare definitivamente dai radar la possibilità di elezioni anticipate prima dell'estate: a questo punto, anche volendo, ne mancherebbero i tempi tecnici. E per votare in autunno dovrebbe accadere l'apocalisse tra fine luglio e inizio di agosto: evento possibile ma non più probabile. Tra l'altro, il vertice di ieri ci segnala che i partiti hanno interesse a salvare quanto meno le apparenze. Vogliono offrire l'illusione ottica della concordia. Nello scontro sulla riforma del lavoro, l'autorevolezza del governo è uscita alquanto ammaccata, ma nessuno dei segretari si sente ancora abbastanza forte per scrollare il ramo e raccogliere i frutti. Potrebbe cadere l'albero, e travolgere l'incauto sotto il peso delle conseguenze. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448150/
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« Risposta #192 inserito:: Marzo 31, 2012, 10:07:53 pm » |
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Politica 31/03/2012 - retroscena Il rito dei vertici a tre Ma il vero rebus resta la riforma del lavoro Alfano-Bersani-Casini, ancora fumata nera sull’articolo 18 UGO MAGRI Roma Sette giorni fa erano tutti e tre a Cernobbio, dai commercianti; stamane eccoli di nuovo insieme, Alfano Bersani e Casini, dagli agricoltori a Taormina. Altro pubblico dibattito condotto con la solita civiltà dei toni, ciascuno conoscendo già a memoria gli argomenti e le battute degli altri due, come in ogni compagnia di giro che si rispetti. Poi, prima di ripartire, si infileranno in una stanza per quello che un tempo sarebbe stato definito pomposamente dai media «vertice di maggioranza», ma ormai è quasi affettuosa routine (di Pierluigi e di Angelino ieri Pier Ferdinando confidava cose stupende, «ho il grande privilegio di collaborare con queste due personalità importanti che dimostrano quotidianamente di tenere la barra dritta, nonostante sia nel Pdl sia nel Pd c'è chi vorrebbe tornare all’antico...»). Nemmeno è sicuro che il loro colloquio si protrarrà a lungo, tra l'altro avendo tutti i cronisti dietro la porta. Eppure, politicamente, sarà un passaggio da non perdere. C'è da riannodare il filo spezzato prima dallo scontro sull'articolo 18, poi per il grande scandalo suscitato dal giudizio di Monti sui partiti. Nessuna agenda precisa, ma i temi sono quelli lì: legge elettorale, giustizia, lavoro. Tutto si tiene per un gioco di equilibri dove nessuno può rimetterci la faccia (tra un mese si vota in 27 Comuni capoluogo). E allora, come procedere? Da dove ricominciare? Sulla riforma del «Porcellum» non sembra difficile. L'impianto è deciso, restano in sospeso un paio di questioni molto da addetti ai lavori (recupero dei resti e assegnazione dei premi) su cui non è detto che i segretari sappiano o vogliano cimentarsi. In compenso potranno decidere se rivedersi a stretto giro per chiudere l'accordo, magari a cavallo di Pasqua. Escluso che i tre litighino sulla giustizia. O perlomeno, non oggi. La miccia che prima o poi darà fuoco alle polveri è stata allungata e di tanto dal ministro Severino, la quale procederà d'ora in avanti col metodo dei colloqui separati, come usa con arabi e israeliani; dunque «confesserà» i partiti a uno a uno prima di tirare le sue conclusioni. Così è stato deciso ieri nell'incontro coi capogruppo, da cui sono uscite voci le più allarmistiche, segnali di grande tensione, come se là dentro fosse successo chissà che. Niente di tutto questo, se si dà retta al capogruppo Fli Della Vedova, persona attendibile. «E' stata una discussione molto seria e senza fronzoli, mi sembra che nessuno avesse intenzione di far saltare il banco». Il vero nodo che i leader non possono eludere si chiama lavoro. Qui la situazione è parecchio seria. Non sul piano «tecnico» dove un papocchio sempre si troverebbe, e chi se ne intende conferma che basterebbe poca scienza per venirne a capo. La difficoltà è tutta politica, per l'esattezza di immagine. Perché da una parte Bersani non può apparire come colui che cede sui diritti dei lavoratori laddove, ha denunciato ieri il segretario Pd, nemmeno si riesce a scalfire una legge come quella Gasparri sull'emittenza tivù. Dall'altra parte Monti non può uscirne, nella considerazione dei mercati e degli investitori stranieri, come un presidente del Consiglio a sovranità limitata, dal prestigio calante. Con grande sollievo è stata accolta nei Palazzi la lettera di Monti al «Corsera», garbata retromarcia nelle critiche ai partiti. Molto ci tenevano sul Colle più alto, perché al rientro del Professore lunedì dall'Asia quantomeno si potrà discutere al netto degli equivoci e, forse, senza strascichi nei rapporti personali. Ma la sostanza resta un macigno, e Monti l'ha ribadita: urge fare in fretta, senza passi del gambero. L'ipotesi di una fiducia, fin qui smentita, resta nell'aria. Cosicché le esigenze confliggono. Se vince il Prof perde Bersani, e viceversa. La stampa anglosassone (vedi il «Financial Times») già sente l'odore del sangue. La speculazione è in agguato. Come salvare capra e cavoli? La soluzione, ammette un segretario della maggioranza, ancora non è stata trovata, «per cui a Taormina bisogna che ne parliamo». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448496/
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« Risposta #193 inserito:: Aprile 03, 2012, 05:24:57 pm » |
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Politica 02/04/2012 - il punto politico Legge elettorale a rischio "premietto" Il pericolo è quello di tenersi il "Porcellum", con i partiti che oggi hanno interessi divaricati Ugo Magri Roma L'ultimo miglio, anche nelle riforme, è sempre il più difficile. Quando si tratta di chiarire certi dettagli, ecco che la trattativa imbocca puntualmente il binario morto, e lì rimane... Sulla nuova legge elettorale il rischio c'è. Perché domenica mattina su «l'Unità» è apparsa un'intervista a Violante dove si formula un'ipotesi legata appunto ai dettagli ancora da definire. L'ipotesi riguarda il «premietto» in termini di seggi che, sulla base degli accordi già raggiunti a livello di segretari, dovrebbe essere attribuito al partito più votato. Se vince il Pdl, il premietto lo prende il Pdl, se vince il Pd lo prende il Pd e avanti così. Violante tuttavia ipotizza che questo modesto gruzzolo di seggi (ancora da definire) possa essere spartito tra il vincitore e i suoi alleati sommati insieme. O più precisamente, tra quanti hanno sottoscritto lo stesso programma nonché indicato lo stesso candidato premier. In altre parole, sarebbe sufficiente che Di Pietro accettasse di designare ad esempio Bersani quale capo del governo, accettandone il relativo programma, per sommare ai fini del conteggio i voti del Pd e quelli dell'Idv. Lo stesso potrebbe fare Vendola. Col risultato che a sinistra le chance di conquistare il premio sarebbero molto elevate. Già, perché il Pdl da quattro mesi ha rotto con la Lega; né è riuscito nel frattempo (forse mai ci riuscirà) a costruire un'alleanza con il Terzo Polo. Correndo in totale solitudine, nessuno scommetterebbe un cent sulla sua capacità di battere l'intero fronte delle sinistre coalizzato insieme; l'assegnazione del premietto non avrebbe storia. E guarda caso, letta l'intervista di Violante, il capogruppo del Pdl Cicchitto è insorto chiarendo che allora non se ne parla nemmeno, il premio deve essere conteso dai singoli partiti lasciando perdere le alleanze. Aggiungendo minaccioso: «Tutto ciò vuol dire che il confronto sul merito della legge elettorale è tuttora aperto». Sembra una questione da poco, ma non lo è affatto. In questo sottintende una diversa filosofia politica, oltre che interessi elettorali divaricati. I futuri governi della Repubblica dovranno continuare a far perno su alleanze definite in anticipo? Se la risposta è sì, vince la tesi Violante; se la risposta è no, prevale la linea Cicchitto; se la risposta al punto interrogativo è «non so», va a finire che ci teniamo il Porcellum... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448724/
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« Risposta #194 inserito:: Aprile 03, 2012, 05:28:50 pm » |
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Politica 03/04/2012 - il punto Sul lavoro Monti si ritrova accerchiato Bersani, Casini e Alfano uniti nella battaglia sull'articolo 18 Ugo Magri Rientrato ieri dall'Asia, il nostro presidente del Consiglio trova un clima diverso da come lo aveva lasciato. Per certi aspetti migliore, per altri no. Bersani si è dato parecchio da fare sulla riforma del lavoro, cosicché c'è adesso sul tavolo una sua proposta di mediazione che prevede la possibilità di reintegro per chi verrà licenziato dall'azienda in difficoltà (la Fornero resta contraria). A decidere tra risarcimento e reintegro sarebbe il giudice (altra circostanza che non piace al Prof). Casini risulta favorevole, e perfino Alfano sembra d'accordo per effetto dell'astuta mossa del segretario Pd, il quale cederebbe in cambio qualcosa sulla cosiddetta flessibilità in entrata, cui tiene in special modo il Pdl. Insomma: tornando in Patria, Monti si è trovato un piattino già pronto che, nelle intenzioni di «A-B- C», lui dovrebbe semplicemente gustare, magari asserendo che gli piace assai. Nelle prossime ore scopriremo se le cose hanno preso davvero la piega del quieto vivere. Ma sembra difficile che Monti possa rompere l'accerchiamento. Anche perché, se il capo del governo volesse impuntarsi rifiutando il reintegro e il «Lodo Bersani», nella sua maggioranza si scatenerebbe una reazione a catena. Il mancato accordo sul lavoro farebbe saltare pure le potenziali intese su Rai e Giustizia. Ne risulterebbe una maionese politicamente impazzita che non ci aiuterebbe agli occhi dei mercati. Senza parlare dei contraccolpi in termini di scioperi e di tensioni sociali. È lo strano paradosso di queste ore: pur di ottenere un articolo 18 più gradito agli investitori internazionali, Monti dovrebbe esercitare una forzatura politica che li metterebbe in fuga... Sembra improbabile che voglia spingersi a tanto. Anche perché il Professore, impuntandosi, entrerebbe in rotta di collisione non solo con i suoi clienti politici, ma soprattutto con colui che l'ha così fortemente voluto a Palazzo Chigi, nominandolo oltretutto senatore a vita: Giorgio Napolitano. Il Presidente della Repubblica non fa mistero di gradire un'intesa sul lavoro che segni un'epoca, e che nasca in un clima «costituente», sottoscritta perfino da Cgil. Potrebbe Monti negargli questo traguardo? da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448898/
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