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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 228812 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Agosto 30, 2010, 04:21:25 pm »

30/8/2010 (7:16)  - GOVERNO, IL NODO RIFORME

Alleati in pressing su Berlusconi "Ora basta liti"

La soluzione del conflitto nel Pdl passa da un accordo: stop alle epurazioni, ma voto compatto sul processo breve

UGO MAGRI
ROMA

Riavvolgere il film delle ultime settimane: chissà se Berlusconi, potendo, accetterebbe la raccomandazione che gli viene da amici di lunga data. Azzerare tutto. Rimangiarsi l’espulsione per decreto di Fini. Condannare le aggressioni dei suoi giornali alla famiglia Tulliani. Cucirsi la bocca nei confronti del Quirinale. Insomma, prendere atto una volta per tutte che le cariche a testa bassa non lo liberano dai guai. Semmai, peggiorano la condizione...

Sono tanti, nelle ultime ore, quelli che cercano di spingere il Cavaliere a più miti consigli. Non solo «pacifisti» alla Gianni Letta. Praticamente l’intero gruppo di vertice del Pdl, la vecchia guardia, è su questa lunghezza d’onda. Ma pure alleati ruvidi come Umberto Bossi. E addirittura «colombe» insospettabili come l’avvocato Ghedini, il quale sa perfettamente che solo in un clima di autentica pacificazione con Fini potrebbe strappare un «salvacondotto» giudiziario per il suo cliente, alle prese con processi (vedi Mills) vicini a concludersi con la condanna.

E’ un coro, ormai. Eccezion fatta per il gruppo di amazzoni (la Rossi, la Brambilla, la Ravetto, la Santanchè) da cui il premier ama farsi applaudire, nessuno s’illude più.

Contro Fini l’offensiva è fallita, si combatte nel fango, avanti di questo passo perderà pure la guerra nella vana attesa dell’«arma segreta» (qualche rivelazione choc sull’appartamento di Montecarlo) che forse non arriverà mai. Quindi occorre trattare adesso, quando ancora è possibile in condizioni onorevoli. Ascoltando che cosa vuole Fini, e se si tratta di proposte fondate sul buonsenso accettarle. Rinunciando nel frattempo a bombardare il presidente della Camera, a chiederne le dimissioni, a epurare i suoi uomini, a tentare di spaccargli il gruppo. In una parola, Berlusconi viene invitato ad attendere che cosa Gianfranco dirà domenica a Mirabello, quando si rivolgerà al Paese (come anticipano i finiani) «e lì fisserà i suoi paletti».

In che cosa consistano questi «paletti», nessuno sa dirlo. Ma agli ambasciatori leghisti (Cota e Calderoli) qualcosa Fini ha lasciato intuire. Il presidente della Camera metterà radici nel centrodestra, deludendo quanti vorrebbero spingerlo nel Terzo Polo casiniano. E dirà più o meno al Cavaliere: se desideri governare fino al 2013, non hai che due chances. O ti rimangi l’editto in cui mi dichiari «incompatibile» dal Pdl. Oppure garantisci un’alleanza elettorale al partito che, fuori dal Pdl, dovrei fondare. A te, caro Silvio, la scelta...

Se davvero Fini pronuncerà l’aut-aut, come scommettono queste fonti leghiste, nel campo berlusconiano si aprirà la bagarre. Qualcuno suggerirà al Cavaliere di rispondere «m....» proprio come il generale Cambronne a Walterloo. Altri (sulla scia di Giuliano Ferrara) suggeriranno di «resettare» le polemiche, restituendo a Fini la «compatibilità» e a Bocchino la carica di vice-capogruppo vicario. Altri ancora sosterranno, invece, che un via libera al partito finiano sarebbe in fondo il male minore (è la soluzione preferita da Bossi). Ma tutti, proprio tutti, inviteranno Silvio a tener duro sul processo breve. Come minimo Fini dovrà provare la sua lealtà sostenendo la legge che, nelle pieghe della disciplina transitoria, cancella i processi contro il premier.

Sintomatico ieri il capogruppo Pdl Cicchitto, che pure passa per un trattativista: «L’eccesso di furbizia su questo argomento può provocare disastri», ammonisce Bocchino & C, «servono impegni precisi».

Come al solito, gli schizzi della faida interna tendono a lambire il Colle più alto. Ed è curiosa la sincronia delle due sponde. Da una parte i finiani sostengono che il vero ostacolo al processo breve non sono loro, bensì Napolitano, dunque il Cavaliere se la prenda con lui. Dall’altra Berlusconi mostra di crederci. E non perde occasione, nei colloqui privati, per lamentarsi del Quirinale sempre poco compiacente. Si sfoga così spesso, in tono talmente acuto, da farsi udire ovunque e da rendere inutili le successive smentite del portavoce Bonaiuti: come raccogliere il mare con un cucchiaio.

Napolitano a sua volta non ama farsi tirare per la giacca. Si può comprendere, dunque, l’irritazione presidenziale. Ma il vero dramma è che le sue riserve al processo breve, ben note dalle parti di Palazzo Chigi, non hanno ancora prodotto alcuna rettifica. Fonti berlusconiane si sentono di escludere che Ghedini e il ministro Alfano stiano preparando emendamenti, o addirittura qualche nuova scappatoia giuridica per il premier: «Il testo è quello», dicono, «e tale resterà». Neppure frena Berlusconi la prospettiva che Napolitano, una volta approvata la legge, possa rinviarla alle Camere per un riesame. «Pazienza, in quel caso la riapproveremo tale e quale», alzano le spalle i pretoriani. L’enorme «rospo» di Fini si può ingoiare, aggiungono, ma a patto che Berlusconi venga sottratto una volta per tutte alle grinfie dei «giudici comunisti».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58053girata.asp
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« Risposta #91 inserito:: Agosto 30, 2010, 04:29:46 pm »

29/8/2010 (9:2)  - RETROSCENA

Cota il mediatore adesso spaventa i "berluscones"

Temono un'intesa che il Cavaliere non può accettare

UGO MAGRI
ROMA

Il mediatore della Lega di nome fa Roberto, ma in realtà sono due (Cota e Calderoli) in quanto curiosamente tutti i colonnelli di Bossi, compreso Maroni, si chiamano allo stesso modo. Hanno l’incarico di ricucire con Fini e, per quanto tengano le bocche chiuse come si conviene ai negoziatori, qualcosa filtra sulle loro mosse. Per esempio, si sa che entrambi hanno sentito al telefono il presidente della Camera, e ne è scaturito un calendario di massima. Questo calendario non brilla per l’ansia di concludere, e già la tempistica fa pensare che gli inviati di Bossi tutto abbiano in mente, tranne che di afferrare Fini per il bavero urlandogli (come certi berlusconiani vorrebbero) «brutto traditore, rispondi seduta stante». Con calma, invece, e per piacere.

Dunque, questa settimana verrà lasciata scorrere perché il presidente della Camera deve pronunciare un discorso importante domenica a Mirabello. Così, nell’attesa che Fini pianti i suoi paletti, si arriva al 5 settembre. Il Parlamento riapre l’8, a quel punto Gianfranco incontrerà la coppia di ambasciatori. Nemmeno quell’abboccamento però (se si dà retta ai finiani) sarà conclusivo, perché a metà mese prossimo si voterà la fiducia sulla famosa mozione dei 5 punti, e i «ribelli» non negheranno il sostegno al governo, salvo mantenere i loro «distinguo» sulla giustizia. Solo a quel punto la trattativa entrerà nel vivo. E tra i consiglieri del premier comincia a farsi strada il sospetto che non ci sarà da attendersi nulla di buono. Definirli preoccupati è poco. Qualcuno di loro addirittura maledice il giorno (mercoledì 25 agosto 2010) in cui Berlusconi ha dato il via libera alla mediazione leghista. Si domandano come ha fatto, un uomo di tale astuzia, a segnare un autogol del genere. In pratica, sostengono costernati questi personaggi, «Silvio ha messo in mano a Bossi un pistolone carico, che Umberto punterà addosso a noi».

Proviamo a immaginare lo scenario catastrofico (per il Cavaliere) che vedono a settembre. Tentativi di dividere i finiani andati a vuoto. Rivelazioni sulla casa di Montecarlo (l’«arma segreta» in cui Silvio confida) non pervenute. Dubbi crescenti del Quirinale sul «processo breve». Sentenza della Corte costituzionale in arrivo sul «legittimo impedimento», con probabile conseguente ripresa del processo Mills che potrebbe tradursi in primavera nella condanna del premier... Fini potrà dire ai due Roberto: faccio un mio partito e voglio l’impegno, nero su bianco, che stringerete alleanza elettorale con me. Oppure anche: voglio rientrare nel Pdl nelle condizioni di dignità che mi sono state negate. In cambio (è sempre la previsione dei «berluscones» più pessimisti) Fini concederà una tregua nei «distinguo» e un salvacondotto giudiziario per il premier. A quel punto i mediatori torneranno dal Cavaliere e gli chiederanno: quale delle due soluzioni preferisci?

Berlusconi vorrebbe rifiutarle entrambe. Però si è messo nelle mani di Bossi consegnandogli il pistolone, appunto, delle elezioni anticipate. Se lui si ribella, quello spara e si va al voto, altro che alleanza con l’Udc. Col Pdl che perde mentre la Lega raddoppia i seggi nel Nord. Se invece Silvio accetta una delle due soluzioni (questo temono, strappandosi le vesti, i «berluscones» del gruppo dirigente), ancora peggio: sarebbe il trionfo di Fini e di Bocchino. Il quale in queste ore confida, non a caso: «Siamo molto, molto interessati alla mediazione leghista».

Ma allora, si dispera a voce alta un colonnello ex-An, «per quale diavolo di motivo Berlusconi ha iniziato questa guerra? Perché ha tentato di cacciare Fini? Come mai ha forzato di suo pugno tutti i documenti? Che senso aveva alimentare le campagne aggressive?». Tenta una risposta pro-Cavaliere Osvaldo Napoli: «Un successo della mediazione avrebbe in Berlusconi il primo artefice. Un insuccesso, invece, resposabilizzerebbe Bossi e i finiani». Ma siamo già all’inventario dei danni.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58037girata.asp
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« Risposta #92 inserito:: Settembre 01, 2010, 03:02:14 pm »

31/8/2010 (7:36)  - GOVERNO, SETTIMANA DECISIVA

Giustizia, in campo Ghedini e Bongiorno

Mediazione difficile Berlusconi: non mi faranno fare la fine di Craxi

UGO MAGRI
ROMA

Non ne vuole nemmeno sentir parlare. Chi ci prova, va a sbattere contro un muro di gomma perché Silvio Berlusconi trattiene a stento il «disgusto» (così si esprime privatamente il premier) per questo tira-e-molla con i finiani.

Svanita l’illusione di disintegrare il rivale, ostenta personale disinteresse per i risvolti della trattativa con l’altro fronte che esiste, eccome, e viene mandata avanti lungo sentieri più o meno inesplorati.

Ne sono protagonisti in particolare Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno: avvocati entrambi, nonché parlamentari e super-consulenti in materia di Giustizia, il primo a tutela del premier, la seconda il nome e per conto del presidente della Camera. Oggetto di questi conversari sono, ovviamente, la posizione giudiziaria del Cavaliere e le norme capaci di sottrarlo alla probabile condanna sulla vicenda Mills, casomai la Corte Costituzionale a dicembre dovesse negargli lo scudo del «legittimo impedimento». In particolare sembra che i due legali stiano lambiccandosi alla ricerca di possibili soluzioni diverse dal «processo breve», che cancellerebbe i processi di Berlusconi ma pure parecchi altri, centinaia di migliaia secondo i magistrati, sollevando le riserve fortissime di Fini e dello stesso Quirinale.

L’alternativa in discussione consisterebbe nel diverso calcolo delle prescrizioni, vale a dire degli anni che occorrono perché un reato non venga più perseguito, da inserire nella riforma complessiva del processo penale. Modificando il calcolo, Berlusconi si troverebbe al riparo. E’ una strada più lunga e tortuosa del «processo breve», che fa storcere il naso ai fautori delle scorciatoie giuridiche. Né vi è certezza che i due legali riusciranno adintendersi, in quanto il negoziato «tecnico» si intreccia strettamente con quello politico, in vista della fiducia al governo che verrà votata intorno al 15 settembre nell’aula di Montecitorio.

E se la trattativa dovesse fallire? Sparge camomilla il portavoce, Bonaiuti: «Gli italiani sono tornati a lavorare e così pure il governo, gli incendi estivi sono quasi spenti...». Peccato che l’altra sera a Milano, con gli amici in un noto ristorante, il premier non fosse altrettanto tranquillo.

Alcuni commensali giurano che Berlusconi ha riproposto la sua vecchia idea di un discorso incendiario rivolto all’Italia, da pronunciare non in Parlamento ma tramite la tivù a reti unificate, per spiegare «la persecuzione di cui sono vittima». Addirittura Silvio accarezza l’idea (alla Farnesina se ne parla da mesi) della lettera indirizzata a tutti i ministri europei della giustizia, per denunciare «da cittadino» le colpe della magistratura italiana. Propositi da cui si evince l’animo più vero del premier: “Non mi faranno fare la fine di Craxi”.

Berlusconi oggi si trattiene nella Capitale, ma sbaglia chi immagina una girandola di incontri con i gerarchi, ancora ieri sera in attesa di convocazione a palazzo Grazioli. L’unica riunione di cui si ha notizia è quella convocata dai due capigruppo Pdl al Senato, Gasparri e Quagliariello: tutti i cervelli del partito invitati a confrontarsi da lunedì prossimo alla Summer school di Frascati sul tema «Pdl un anno dopo: ha ancora un senso?». La risposta non è affatto scontata.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58083girata.asp
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« Risposta #93 inserito:: Settembre 04, 2010, 09:36:09 am »

4/9/2010 (7:15)  - RETROSCENA

Silvio e il prezzo della pace

Risponde al richiamo del Colle ma occupa una poltrona che voleva tenersi libera

UGO MAGRI
ROMA

Una giornata intera spesa per far pace col Colle, o quantomeno provarci. Il lato positivo è che, tra note comunicati e dichiarazioni-fiume, Berlusconi è riuscito un po’ a distrarsi, ingannando l’attesa di quanto dirà domani sera Fini da Mirabello: nemmeno ha avuto il tempo di metterci la testa, giurano nell’entourage. Per cui niente di nuovo dal fronte interno al Pdl.

L’aspetto negativo, invece, è che per placare le ire quirinalizie Berlusconi si trova adesso a dover sciogliere in sette giorni il nodo (successione di Scajola) fin qui sempre rinviato. Rinviato da lui, non da Napolitano. Al quale invece i «ventriloqui» del Cavaliere rimproverano di aver messo i bastoni tra le ruote, fino al punto di respingere la candidatura di Romani a suo tempo avanzata dal premier. Questa tesi è stata esposta, papale papale, dal deputato Pdl Stracquadanio, con tanto di indice puntato nei confronti del Presidente. Il Quirinale ha preso cappello proprio come accadde due mesi fa per un oscuro parlamentare toscano, Bianconi, perché anzitutto dev’esserci rispetto, la forma diventa sostanza. Telefono rovente con Palazzo Chigi, e nota finale di Berlusconi: falso che Napolitano gli avesse messo un veto, mai era stato fatto il nome di Romani.

In realtà, nemmeno questa versione è esatta al cento per cento. Berlusconi il nome in questione l’aveva sussurrato all’orecchio del Presidente nell’ambito di una verifica riservata preliminare, come sempre si fa in casi del genere. E il Presidente della Repubblica gli aveva mosso certe obiezioni (legate, pare, a un conflitto d’interessi del candidato ministro) su cui il Cavaliere aveva promesso di fornire rapidi chiarimenti. Salvo dileguarsi senza più dare notizie di sé.

La ragione non è affatto un mistero: con la scusa di Napolitano contrario, Berlusconi voleva tenersi libera la poltrona, casomai Casini avesse deciso di tornarsene in maggioranza. Insieme col vitello grasso, per festeggiare il figliol prodigo, Silvio avrebbe sacrificato volentieri la pedina dello Sviluppo. Sennonché, passa un mese passa l’altro, l’intesa con i centristi non matura. Ci si mette di mezzo la Lega, Bossi pone il veto sull’Udc, e nel frattempo monta la pressione per colmare il «vuoto di governo». Basta. Il Cavaliere alza bandiera bianca. Ieri mattina annuncia finalmente la nomina, sperando di normalizzare i rapporti col Colle da lui stesso logorati attraverso battute e giudizi antipatici. Pronunciati tra quattro mura, però puntualmente rimbalzati all’esterno. Napolitano che «mi rema contro», che «non si capisce a che gioco sta giocando», anzi «si comprende benissimo: aiuta Fini». Superlavoro del portavoce Bonaiuti con smentite a raffica, «mai pronunciate né pensate cose del genere», ma inutilmente perché sul Colle hanno le loro antenne, insomma grande irritazione presidenziale per quei commenti del premier così poco istituzionali.

Ora il Cavaliere spera di averci messo, come si dice, una pietra sopra. Però è davanti a un bivio. Strategico. Se tornerà dal Presidente e insisterà sul nome di Romani (corredato dai chiarimenti richiesti), Napolitano alzerà le braccia. Sarà il segnale (sussurrano ai vertici del Pdl) che il premier non rinuncia a tenere l’uscio socchiuso per Casini. Romani è un fedelissimo, il giorno che Berlusconi gli chiedesse di rientrare nei ranghi per far posto a un centrista, risponderebbe di sicuro «obbedisco». E la via per allargare la maggioranza sarebbe più agevole.

L’alternativa di cui si parla a Palazzo Grazioli è Galan. Potrebbe essere «deportato» allo Sviluppo per rendere felice la Lega, che a quel punto tornerebbe in possesso dell’Agricoltura oggi affidata all’ex-governatore del Veneto. Inutile dire che Bossi vedrebbe invece con qualche sospetto la promozione di Romani, oggi vice-ministro. Se dunque il Cavaliere vuole coprirsi le spalle con Bossi qualunque cosa accada, non ha che da spostare Galan. Salvo doversi difendere nel partito, e non solo dai finiani: troppo potere alla Lega, gli verrebbe rimproverato, «di questo passo ci mangiano vivi».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58207girata.asp
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« Risposta #94 inserito:: Settembre 12, 2010, 08:59:17 am »

7/9/2010 (2:13)

La mossa di Berlusconi e Bossi: "Fini incompatibile, intervenga Napolitano"

Il premier e il Senatùr chiedono le dimissioni del presidente della Camera.

Il leader leghista: "Comunque si andrà alle urne".

Il Cavaliere prova a trattare con Futuro e Libertà ma il Carroccio spinge per le elezioni anticipate

UGO MAGRI

Nel drammatico vertice notturno, vince la tesi del Senatùr: con il presidente della Camera che rema contro, è impossibile fare le riforme, federalismo addio. Dunque delle due l’una. O Fini si toglie di torno, oppure tanto vale andare alle urne subito, anche a novembre... Siamo dunque a un passo dalla crisi istituzionale.

Il premier, spalleggiato da Bossi, dichiara «incompatibile» con il suo ruolo la terza carica dello Stato. E sollecita a Napolitano un incontro dove gli chiederà un gesto che esula dalle sue prerogative: cacciare il presidente della Camera. Pare che Bossi sia pronto a premere lui stesso il grilletto delle elezioni anticipate. La Lega si asterrebbe sul documento programmatico del governo, un auto-affondamento in piena regola per dichiarare chiusa la XVI legislatura repubblicana. Se questo esige il Carroccio, Berlusconi può solo alzare le braccia in segno di resa. Già, perché di resa si tratta.

Potendo, il Cavaliere eviterebbe le urne. I suoi sondaggi riservati sono tutt’altro che esaltanti. E comunque, le poche chances di ripetere il trionfo 2008 sarebbero castigate da un passo falso. Tipo: precipitare il Paese verso elezioni che la gente si spiegherebbe solo come effetto di una faida privata, frutto malato di scontri caratteriali, risultato inevitabile di mosse mal calcolate. «Non è che io abbia paura del voto», è l’argomento speso nella notte dal Cavaliere con Bossi, «ma la rottura definitiva dovrebbe avvenire su questioni che interessano la gente, capaci di coinvolgerla direttamente...».

In assenza di giustificazioni vere, più che una campagna elettorale sarebbe una corsa al massacro. Ecco perché ieri mattina, in gran segreto, due esponenti finiani erano stati ricevuti nella villa di Arcore: il presidente dei senatori Fli, Viespoli, e il coordinatore dei gruppi parlamentari, Moffa. Berlusconi li aveva accolti insieme col sottosegretario Augello («pontiere» tra il premier e i dissidenti). Voleva capire se il suo governo ha ancora uno spiraglio di futuro, oppure la maggioranza è già dissolta, come sostiene Bossi. «Con Fini io, personalmente, non parlerò neanche morto», era stata la premessa del Cavaliere, «provateci voi». Verificate, aveva aggiunto, in che cosa consisterebbero le richieste finiane per stipulare quel patto di legislatura evocato domenica dal presidente della Camera. Lasciando intendere che le avrebbe esaminate con cura, perché non siamo più al brusco «prendere o lasciare» di qualche giorno fa. Se le pretese fossero appena appena ragionevoli, aveva soggiunto, i cinque punti della mozione di fiducia potrebbero essere aggiustati, ritoccati... E’ sottinteso che Moffa e Viespoli si erano mossi da Roma non prima di avere informato Fini. E non c’è bisogno di aggiungere che, di ritorno da Arcore, avevano subito messo al corrente il loro leader. La premessa col Cavaliere era stata, del resto, molto esplicita: «Basta coi tentativi di spaccarci, di dividerci in buoni e cattivi, altrimenti non possiamo metterci nemmeno a sedere».

Insomma, poche ore prima che Bossi gettasse lo spadone sulla bilancia, si consumava l’ultimo disperato tentativo di pace. Che se fosse andato in porto sarebbe stato coronato, nella mente del Cavaliere, da un documento, un preambolo, un incipit (le idee non sono ancora chiarissime) concepito come «Patto di lealtà verso gli elettori». Dunque con l’impegno solenne dei parlamentari finiani a non pugnalare sui provvedimenti chiave il governo e la legislatura. Come mai Silvio, violentando il suo personaggio, aveva accettato di piegarsi a una trattativa sempre sdegnosamente rifiutata? Perché quando si sente stretto in un angolo, l’uomo sa essere realista. Nel pomeriggio erano andati a trovarlo il capogruppo Cicchitto e colui che ha monitorato la «campagna acquisti» tra i deputati, cioè Verdini. Purtroppo per Silvio, la caccia di onorevoli senza patria né bandiera ha fin qui prodotto risultati alquanto modesti. Nel voto di fiducia sui cinque punti, una maggioranza forse ci sarebbe pure senza i finiani. Però tra quanti hanno la testa sulle spalle nessuno osa mettere la mano sul fuoco. E comunque (vedi Prodi) non si fanno grandi riforme, anzi nemmeno si governa, con due-tre voti di scarto.

La Lega proprio questo sostiene. «Se Berlusconi dava retta a me», sospira Bossi al Tg2, allo scioglimento delle Camere si sarebbe già arrivati. Ora va da sé che, con la richiesta a Napolitano di dichiarare Fini incompatibile, si spezza anche l’esile filo del negoziato sottobanco. Il buonsenso è maturato tardi, quando il gong era già suonato. Ora non resta che allacciarsi le cinture.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58300girata.asp
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« Risposta #95 inserito:: Settembre 23, 2010, 05:48:01 pm »

23/9/2010 (7:13)  - RETROSCENA

Ora Berlusconi teme ritorsioni in aula e si prepara alle urne

Il premier ai suoi: «Alla prossima si va tutti a casa»

UGO MAGRI
ROMA
Un governo soccorso dai «franchi tiratori» finora non s’era mai visto. Né si ricorda a memoria d’uomo un’opposizione pugnalata nel segreto dell’urna. Il voto di ieri su Cosentino va ascritto dunque per intero alle anomalie del berlusconismo, su cui volgeranno l’occhio gli storici.

Nell’immediato il Cavaliere flette i muscoli; infligge ai finiani quella che il capogruppo alla Camera Cicchitto, senza mezzi termini, considera una «disfatta»; dà la sensazione di poter superare giovedì prossimo l’asticella fatidica dei 316 voti, maggioranza autosufficiente. Un bilancio che sarebbe al 100 per cento positivo, se Berlusconi non lasciasse dominare ogni sua mossa dall’ansia irrazionale (ricambiata) di distruggere Fini. A costo di sacrificare se stesso come il calabrone, che pur di pungere soccombe felice.

E’ un fatto che tre giorni fa il Cavaliere aveva pranzato con il gruppo di vertice del «Giornale» (mentre ieri a palazzo Grazioli ha ricevuto Antonio Angelucci, senatore del Pdl ed editore di «Libero»). Ed è un altro fatto che l’altra sera, adunati i suoi colonnelli, aveva dato l’annuncio: «Domani leggeremo il documento che incastra Fini». Ieri mattina (anticipato pure da Dagospia) ecco in edicola il famoso «scartafaccio» sulle società off-shore da tempo sul tavolo del Cavaliere, mostrato ai vari visitatori come il più ambito dei trofei. Senonché la reazione politica per ora risulta esattamente contraria a quella che l’alchimista Silvio intendeva ottenere: il presidente della Camera non si dimette affatto, in compenso si adira moltissimo. E fa annunciare ai suoi scudieri guerra totale, aperta, senza prigionieri. In pratica, Fini condanna a morte la legislatura a costo di uscire lui stesso di scena.

Cosicché l’urlo di vittoria si è strozzato in gola ai generali berlusconiani. Nella gara di auto-lesionismo, non immaginavano di subire il pareggio. Ora, tra i più consapevoli dei «berluscones», si guarda con ansia al dibattito sulla fiducia. Perché il timore è che nemmeno basti più raggiungere il minimo sindacale a «quota 316». Bonaiuti stima che il voti favorevoli saranno 320, Verdini (incaricato di tenere il pallottoliere) è calato a 319 dopo la defezione di Catone. Ma un conto è aggiungere il sostegno, per giunta gratuito, di Fli e autonomisti siciliani come sarebbe avvenuto senza i dossier. Altra cosa è trovarsi tutti scatenati contro.

La tanto agognata autosufficienza si trasformerà in incubo. Maggioranza alla mercè di frange incontrollabili. Cinque, forse sei commissioni a Montecitorio controllate dall’opposizione, con l’impossibilità di spingere avanti le iniziative del governo (ne sapremo di più il 7 ottobre, quando le presidenze verranno rinnovate in base ai nuovi equilibri). E l’arbitro dei lavori, con i suoi super-poteri di indirizzo parlamentare, che rema apertamente contro il governo, senza possibilità di cacciarlo via...

L’esito ineluttabile, fa intendere la Lega, si chiama «elezioni anticipate». Nella primavera prossima, perché a votare entro l’anno ormai non si farebbe più in tempo. Magari previo intermezzo di governo tecnico. Il Cavaliere ne è consapevole. Prima di tornare a Roma ha presieduto l’ennesima «sala crisi» del Pdl, il comitato informale di pasdaran come Mario Mantovani, Valducci e Rampelli, dove si gettano le basi della prossima campagna elettorale. Ha dato ordine di bruciare i tempi, perché al prossimo serio scivolone parlamentare «si va tutti a casa», e il partito sembra in coma. Certi sondaggi del premier lo danno in crollo verticale, 9 punti persi negli ultimi tre mesi.

Lui, Berlusconi, viene descritto in preda a umori contrastanti. Da una parte sprezzante del pericolo: «Salta la trattativa sul Lodo? Pazienza. Meglio tirare avanti senza scudo, piuttosto che cedere ai ricatti di quello...». Dall’altra, Napoleone pare rendersi conto della Beresina. E abbozza addirittura una marcia indietro: «Io ero e resto garantista», commenta gli ultimi sviluppi, «se Fini dimostrerà che con Montecarlo non c’entra, ne prenderò atto». Ma a tempo scaduto.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58785girata.asp
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« Risposta #96 inserito:: Settembre 27, 2010, 09:36:34 am »

27/9/2010 (7:25)  - GOVERNO. LA STRATEGIA DEL PDL

Ora il premier pensa di evitare la conta

Il voto sui 5 punti potrebbe non determinare le sorti dell'esecutivo

UGO MAGRI

C’era una volta la mozione di 4 punti, poi cresciuti a 5, su cui Berlusconi avrebbe chiesto la fiducia solenne del Parlamento, e in caso non l’avesse ottenuta saremmo andati di corsa alle urne perché è tempo di fare chiarezza. Adesso non se ne parla più perché lungo la strada un po’ di solennità si è persa, dalle parti di Palazzo Grazioli la mozione di fiducia viene giudicata eccessiva, al chiarimento basterà il discorso del premier seguito dal voto su una risoluzione dove sarà sintetizzato il programma da perseguire. Oppure su cinque risoluzioni distinte per ciascun capitolo (giustizia, Mezzogiorno, fisco, sicurezza e federalismo).

Ma aleggia un’ulteriore ipotesi, maturata dopo il videomessaggio in cui Fini ha smorzato i toni: quella che mercoledì alla Camera non si voti del tutto. In questo caso Berlusconi pronuncerebbe il discorso («volerà sopra le polemiche contingenti», rassicura tutti il portavoce Bonaiuti), dopodiché ogni gruppo direbbe la sua. E se i finiani garantissero un appoggio così convinto, talmente leale al governo da rendere superflua la conta, a quel punto tanto varrebbe soprassedere... Un finale a tarallucci e vino che lascerebbe l’Italia a bocca aperta, ma permetterebbe al Cavaliere di dire: «Ho vinto, mi reggo su una maggioranza autosufficiente, dunque tiriamo avanti». E nello stesso tempo consentirebbe ai finiani di sostenere l’esatto contrario, «abbiamo vinto noi, saremo decisivi per la sopravvivenza del governo», senza timore di essere smentiti dai numeri.

Quale sarebbe il vantaggio per entrambi? Rinviare la resa dei conti. Lasciare che gli animi si plachino un altro po’. E, nel caso, ricominciare a tessere la trama per salvare la legislatura. Inutile dire che le «colombe» caldeggiano il dibattito senza voto proprio per guadagnare tempo, laddove i «berluscones» duri e puri preferirebbero farla finita e contarsi. A decidere sarà il Capo, che studia la situazione da Arcore scettico e, a quanto dicono, piuttosto distaccato.

Nei confronti di Fini il risentimento del premier resta sopra i livelli di guardia (ricambiato peraltro). Sarà uno spettacolo studiare i volti dei due protagonisti dopodomani, quando il Cavaliere prenderà la parola in aula con il Nemico alle spalle: il presidente della Camera arbitra infatti i lavori dallo scranno che sta esattamente sopra quello del premier. L’incidente clamoroso è sempre in agguato. Ma resistere in sella fino al 2013 in fondo a Silvio non dispiacerebbe affatto, tantomeno disprezzerebbe uno scudo contro i processi: entrambi traguardi che richiedono qualche forma di condiscendenza da parte del rivale. Dunque per il momento Berlusconi dà corda ai suoi negoziatori, per vedere cosa portano a casa. Sono attesi per le prossime ore approfondimenti del capogruppo Pdl Cicchitto e ulteriori ambasciate del solito Gianni Letta, onde verificare fino a che punto l’appoggio finiano potrà essere forte e convinto, cominciando dai temi della giustizia dove il ministro Alfano e l’avvocato Ghedini alzano la posta: «Serve una riforma di rango costituzionale».

Un primo banco di prova si avrà stasera da Vespa. E’ in programma che nel salotto televisivo si accomodino Gasparri e Bocchino. Difficile che finisca in rissa poiché i due si conoscono troppo bene, vita morte e miracoli. Ma se il capogruppo finiano alla Camera rilancerà i «distinguo», insisterà con le critiche al Cavaliere, insomma darà spettacolo, è chiaro che vinceranno i «falchi», mercoledì si andrà alla conta e amen.

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« Risposta #97 inserito:: Settembre 29, 2010, 11:37:41 am »

29/9/2010 (7:12)  - LA GIORNATA

Sarà fiducia, i finiani verso il sì

Decisione di Berlusconi, ma per stare tranquillo in futuro deve superare quota 316 senza i "ribelli"

UGO MAGRI
ROMA

Il Cavaliere smonta la trappola che stava scavandosi con le sue mani, e chiede la fiducia del Parlamento. Sarà votata stasera alle 19 nell’aula di Montecitorio, domani replica a Palazzo Madama.

Il colpo di scena
Berlusconi s’è reso conto che, se non avesse messo sul piatto la sopravvivenza del governo, molti dei potenziali sostenitori ne avrebbero profittato per sfilarsi, per distinguersi, per eludere la scelta di campo. Dunque niente più voto su una risoluzione, che avrebbe permesso soprattutto ai finiani di pretendere la loro firma in calce al documento (o in alternativa di presentarne uno loro pressoché identico). In conclave coi maggiorenti Pdl, il Cavaliere ha capito l’errore e rovesciato la strategia. Quella nuova è semplice: o la va o la spacca. Più probabile la prima delle due.

Il voto finiano
Bocchino fa sapere che, se nel discorso Berlusconi non darà di matto, Futuro e libertà sarà disposto a sostenerlo pure senza la propria firma in calce alla mozione. Però l’appoggio non è garantito per sempre. Superata la fiducia, potrà mancare su questioni importanti. Per esempio, non appena si voterà la mozione Pd per cacciare Bossi dopo gli sproloqui sui «porci» romani.

Dunque occhio stasera al tabellone luminoso: per avere qualche chance di tirare avanti il premier dovrà superare quota 316 (la maggioranza più uno dei deputati) al netto dei «ribelli», e magari pure degli autonomisti siciliani di Lombardo. Ce la farà?

La «compravendita»
Mentre nei giorni scorsi tenevano banco i Tulliani, svelti emissari del premier sfruttavano la distrazione collettiva per lavorare indisturbati. Così adesso l’«autosufficienza» del governo sembra davvero a un passo. «Abbiamo fatto bene i conti», assicura Frattini. Lasciano ufficialmente l’Udc i 5 del gruppo Mannino. Fonderanno il Pid (Popolari per l’Italia di domani) e contano di aggregare ulteriori misteriosi peones. Casini è convinto di sopravvivere anche meglio, perché si libera di certi personaggi chiacchierati assai. L’Api di Rutelli perde a sua volta due pezzi, il campano Cesario e l’imprenditore veneto Calearo, già fiore all’occhiello della lista veltroniana nel 2008. Più Pdl, più Lega, più partitini vari, il centrodestra può arrivare a 313 voti.

Si asterranno i tre altoatesini della Svp che nel 2008 avevano votato contro: non vogliono fare da stampella al premier, dicono, però una mano gliela stanno dando. Spargono la voce i finiani che Berlusconi chiede la fiducia perché il «calciomercato» ha fatto flop. Bersani, più realista, teme il successo di un’«operazione che prelude al governo Berlusconi-Bossi-Cuffaro», e invoca l’intervento della magistratura con questo argomento niente affatto trascurabile: «Se si promette la rinomina o uno stipendio questa è corruzione».
Stasera comunque sapremo se il Cavaliere è «autosufficiente» o no.

La bozza del discorso
Da chi l’ha letta viene definita «corposa», cioè densa di promesse all’Italia. E «zuccherosa», in quanto priva di asprezze. Animata dallo «spirito alto e nobile di Onna» (riferimento al tono ecumenico che il Cavaliere sfoderò il 25 aprile 2009). Nel testo redatto da Bonaiuti, Fini non viene mai citato, né in bene né in male. Però chissà quanti ritocchi subirà la bozza entro le 11 di stamane, quando Berlusconi prenderà la parola in Aula. Letta preme per un atto di generosità politica e istituzionale. Sicuramente verrà incensato Napolitano, per non dire del Papa. Un approfondimento in extremis è stato chiesto a Maroni perché il capitolo sicurezza pareva smilzo.

Sulla giustizia per ora è previsto un fugace cenno all’importanza di stringere i tempi, senza espressi riferimenti al «processo breve».
Non si parla di Lodo, che cammina sulle sue gambe. Oggi in Senato Vizzini presenta un testo che fa scudo solo al Capo dello Stato e al premier, proprio come desiderano i finiani.

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« Risposta #98 inserito:: Ottobre 09, 2010, 09:17:12 am »

9/10/2010 (7:41)  - GOVERNO. IL BRACCIO DI FERRO

Ora Alfano frena sulle intercettazioni

Il ministro: prima discutiamo la riforma costituzionale complessiva della giustizia

UGO MAGRI
ROMA
Un ministro della Repubblica, il finiano Ronchi, comunica il benservito al premier. Non subito: nel 2013, quando la guida del governo toccherà al presidente della Camera, «unico candidato naturale del centrodestra» secondo Ronchi, essendo le ipotesi alternative «soltanto il frutto di scemenza mentale».

Berlusconi da Putin
Pare sia localizzato in una dacia tra Mosca e San Pietroburgo: impossibile sapere come l’abbia presa. Forse lo capiremo oggi, quando il presidente del Consiglio si farà vivo per telefono con il convegno democristiano di Rotondi a Saint-Vincent. Difficile che i tre anni concessi dal suo ministro costituiscano per lui motivo di sollievo. Però il nodo esiste, prima o poi verrà al pettine. I finiani tranquillamente ammettono: lo slalom per evitare elezioni anticipate potrà durare un anno, un anno e mezzo al massimo; poi, per quanti esercizi di equilibrismo si possano fare, la legislatura andrà a sbattere non appena si comincerà a porre l’interrogativo: chi sarà il prossimo candidato premier? Fini è più pessimista dei suoi. Mette in conto che Berlusconi, o la Lega, tenteranno di uccidere in culla Futuro e libertà, dunque le urne sono dietro l’angolo. «Per il Paese sarebbe il momento meno adatto, ma nel caso valuteremo», risulta abbia detto in una riunione a porte chiuse di militanti, a Palermo.

Fini contro Tremonti
L’altra sera era andato da Santoro, gesto in sé blasfemo agli occhi del Cavaliere. Ieri, prima telefonata di solidarietà alla Marcegaglia (sottinteso: entrambi siamo vittime dello squadrismo mediatico), poi colloquio col governatore siciliano Lombardo, artefice di una giunta che lascia il Pdl solo soletto all’opposizione. La terza carica dello Stato fa impallidire il predecessore Bertinotti (che con stile lo rimarca) quanto a dinamismo politico. Tiene alta l’attesa per una nuova legge elettorale rivendicando «ai cittadini la scelta dei propri parlamentari». Concorda con Lombardo un forcing parlamentare per buttare all’aria la Finanziaria di Tremonti, nel mirino soprattutto certi tagli specie nel comparto scuola. Fa sognare gli autonomisti siciliani quando avverte che il percorso dei nuovi decreti attuativi sul federalismo fiscale «è appena cominciato»: vuoi vedere, si chiedono allarmati nel Carroccio, che lungo la via Fini si prepara a mettere qualche bastone tra le ruote?

La riforma della Giustizia
Diversamente da quanto il Cavaliere aveva minacciato due sere fa, il ministro Alfano precisa: di intercettazioni e di processo breve si discuterà dopo, con calma. Prima andrà in scena la riforma costituzionale della Giustizia: dalla separazione delle carriere per i magistrati, al nuovo Csm. Questioni impegnative assai, su cui è le toghe alzeranno barricate. «Ma sono temi presenti nel programma di governo votato dagli elettori, lo sanno tutti», sottolinea Bonaiuti, portavoce del premier. Non si prevedono vertici di maggioranza per discutere le grandi linee in quanto, stavolta è Quagliariello a parlare, «nel governo ci sono esponenti di Futuro e libertà», per l’appunto Ronchi, «ed avranno modo di pronunciarsi nella sede propria, il Consiglio dei ministri». La mossa del Guardasigilli è, da punto di vista finiano, alquanto subdola. Se quelli di Futuro e libertà ci stanno, faticheranno a presentarsi poi quali paladini della magistratura aggredita dal Cav («Questione morale e legalità» sono, insieme col Sud, le bandiere sventolate da Fini a Palermo). Se invece rompono sulla riforma costituzionale, rischiano di venire additati dalla propaganda berluscoiana come i traditori del patto elettorale.

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« Risposta #99 inserito:: Ottobre 14, 2010, 12:06:42 pm »

14/10/2010 (7:38)  - ANALISI

La parabola di Brunetta, il ministro tuttofare che ha perso lo slancio

Ha dato il meglio di sé nel primo anno, adesso ha poca esposizione mediatica

UGO MAGRI

Nessuno più di Renato Brunetta incarna la parabola del governo Berlusconi. Scattato con passo da centometrista, lungamente primo in testa al plotone ministeriale per visibilità e popolarità che ne consegue, primo anche nel varo di riforme (sulla carta) destinate a restare scolpite nel marmo, come quella «anti-fannulloni» datata 2009. Poi però, una volta tagliato il traguardo del primo anno, è come se il titolare della Pubblica Amministrazione avesse dato il meglio di sé. Dire che da allora ha fatto perdere le tracce sarebbe falso. Ogni giorno inonda le redazioni di comunicati e conferenze stampa. Inoltre Brunetta rimane, perfino a detta degli avversari, un personaggio tra i più intelligenti della politica, una colonna del governo, una risorsa del centrodestra. Eppure...

Non sembra più quel fenomeno che si tirava dietro le telecamere. In Italia ci si abitua in fretta. Gli stessi colleghi ministri quasi rimpiangono con nostalgia certi scontri epici con il grande antagonista Tremonti, del quale Brunetta mai si è sentito da meno, forte della cattedra di Economia e di un concetto di sé inversamente proporzionale alla statura («Avrei vinto il Nobel qualora non mi fossi dato alla politica», rivelò un giorno). Tremonti, se è autentica la testimonianza, durante un summit governativo minacciò addirittura di prenderlo a pedate. Acqua passata, comunque. Così come sembrano reperti archeologici quei video su YouTube dove Brunetta si azzuffa con la Bignardi, mostra i denti a Mentana, litiga con Cazzullo e querela in diretta il conterraneo Stella: era la stagione d’oro in cui tutti i giorni Renato guadagnava la prima pagina, un fuoco pirotecnico di trovate e provocazioni intellettuali, di salve polemiche contro «gli insegnanti assenteisti e i supplenti incapaci», contro «i perditempo difesi dai sindacati», contro «Calabria e Campania senza cui l’Italia sarebbe prima in Europa», contro i «bamboccioni» da cacciare di casa per legge a 18 anni e poi più su, sempre più su, fino a bombardare i salotti buoni del potere, l’«élite di merda che ha la puzza sotto il naso e pensa solo a far cadere il governo, vadano a morire ammazzati». Reazioni con la bava alla bocca, perfino Calderoli una volta ebbe a dire: «Renato l’ha fatta fuori dal vaso».

Apri adesso il Blog di Brunetta e trovi le ragnatele. C’è l’attacco a Tremonti, ma chi clicca il link scopre che è lì da un anno, quando a Giulio rinfacciò «un potere di veto cieco, cupo, conservatore, indistinto», e Berlusconi dovette intervenire tramite Bonaiuti da Gedda per calmare le acque. Nei sondaggi il suo indice di gradimento permane elevato, solo Maroni gli dà una pista; però l’esposizione mediatica in calo (con l’eccezione di Crespi) deprime gli indici. Brunetta non potrebbe di nuovo vantarsi «sono come la Cuccarini, il più amato dagli italiani». Due le spiegazioni tra gli addetti ai lavori.

La prima psicologica: questo personaggio laborioso, competente, capace, per troppi anni è stato tenuto tra i rincalzi berlusconiani. Quando finalmente il Cavaliere gli ha dato la chance di cimentarsi nella sua «mission impossible» (ammodernare la burocrazia, emblema di tutti i nostri mali), lui ha scaricato un’energia contratta, quasi repressa che espandendosi in un Big Bang l’ha ingigantito politicamente e non solo (mitica la caricatura del comico Crozza, nelle vesti di Brunetta su una poltrona smisurata). Fino al giorno della primavera scorsa in cui egli ha coltivato l’ambizione di clonarsi, ministro e pure candidato sindaco nella sua città, Venezia. Stracciato al primo turno da un carneade lagunare, Orsoni. Una botta tremenda al suo «ego», capace addirittura di indire un concorso a premi per la vignetta più feroce. Dicono le malelingue che non si sia ancora ripreso.

L’altra spiegazione è tutta politica. Brunetta, figlio di un venditore ambulante, esprime l’indole popolare del berlusconismo, forse più ancora del Cavaliere medesimo. Ma soprattutto ne interpreta l’anima «rivoluzionaria», liberale e meritocratica, di cui Brunetta è stato nella prima fase il ta-tze-bao vivente. Sennonché questa stagione pare al tramonto per mancanza di soldi, di coesione, forse di idee. Non sempre, del resto, le rivoluzioni sono all’altezza delle aspettative che suscitano tra la gente. Se l’interpretazione è esatta, si applica dunque a Brunetta la stessa sfida che vale per il premier: saprà ritrovare lo slancio delle origini? L’unica certezza è che il tran-tran non fa per lui.I sondaggi qui sopra rappresentati si riferiscono a rilevazioni effettuate ogni settimana da Istituto Piepoli mediante interviste telefoniche con metodologia CATI su un campione di 500 casi rappresentativo della popolazione italiana maschi e femmine dai 18 anni in su, segmentato per sesso, età, Grandi Ripartizioni Geografiche e Ampiezza Centri proporzionalmente all’universo della popolazione italiana maggiorenne.

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« Risposta #100 inserito:: Ottobre 18, 2010, 12:16:30 am »

17/10/2010 (8:13)  - RETROSCENA

La partita si gioca su Cota: se salta lui, cade il governo

Il Carroccio pronto a denunciare il golpe e a "staccare la spina"

UGO MAGRI
ROMA
Altro che tentativo di metter pace tra i due litiganti... Dice in pratica Calderoli: la situazione è fuori controllo, al volante non c’è nessuno. La rappresentazione plastica si è avuta giovedì: un Consiglio dei ministri per decidere l’austerità, con il premier assente per malattia. E Tremonti assistito da Brunetta davanti alle telecamere, come se Berlusconi fosse il passato e in sua vece ci fosse un governo tecnico... Così non si va avanti, lancia l’allarme la Lega, l’incidente è dietro l’angolo. Già c’eravamo vicini giorni fa, quando il Senato stava bocciando il documento cardine della politica economica, e solo una sterzata dei finiani in extremis aveva evitato il burrone.

Quella sarebbe stata la classica goccia, il popolo padano non avrebbe esitato un attimo, per bocca dei suoi rappresentanti, a chiedere nuove elezioni subito. Ma ogni momento ce n’è una, l’ultima è questa manifestazione Fiom che per la Lega significa scontro sociale durissimo. La prossima mina saranno i giudici. E quando il Carroccio se la piglia coi magistrati, non ha in mente le «toghe rosse», le inchieste su Berlusconi oppure le altre che puntano a incastrare Letta... No: guarda a Torino, al Tar del Piemonte, al riconteggio delle schede regionali su cui la Bresso nutre così forti speranze. Perché lo sanno tutti, Cota è il «figlioccio» di Bossi. Se venisse detronizzato dal giudice in base a qualche cavillo, l’Umberto ci metterebbe un attimo a denunciare il «colpo di mano», a proclamare morta la democrazia in Italia, perché «se un organo amministrativo può invalidare la volontà del popolo allora qui non regge più nulla, la legislatura è in coma, meglio staccare la spina» (il Presidente della Repubblica pare che ne sia bene al corrente, e tenga perciò un occhio allarmato sul caso Piemonte). Perché «basta con la finzione di un governo impotente, che non sa farsi prendere sul serio», dicono in via Bellerio a Milano.

Della decomposizione in atto la Lega vede due colpevoli, Silvio e Gianfranco: «O si incontrano e stringono un nuovo patto», insiste Calderoli, «oppure meglio chiuderla qui». Non è una proposta di pace. Semmai un ultimatum, forse addirittura un «de profundis» della legislatura, in quanto nessuno meglio del ministro in cravatta verde sa che un faccia-a-faccia tra Berlusconi e Fini sarebbe quanto di più improbabile. Calderoli è andato personalmente a trovare entrambi, illuso lunedì scorso dalla loro stretta di mano davanti alle bare dei quattro alpini caduti. Salvo trovarsi davanti a un muro. Se prima si odiavano, adesso di più. Il presidente della Camera (nonostante i tentativi di dialogo Ghedini-Bongiorno) pare non abbia la minima voglia di offrire riparo al premier contro i pm: solo norme costituzionali, che entrerebbero in vigore col Cavaliere già condannato... Se quelli insistono, la Lega rompe. Con tutti e due.

Per correre alle elezioni da sola, e sfruttare a fondo la crisi del Pdl, mai così nera. Mercoledì è convocato un ufficio di presidenza a Palazzo Grazioli. Grande battage mediatico per presentarlo come una svolta, diventerà un partito democratico promette Bondi. Il piano è studiato da Verdini, prevede che coordinatori regionali e vice saranno sempre nominati dal Cavaliere. Tuttavia, nel caso di designazioni pressoché unanimi (servirà il 75 per cento), d’ora in avanti Berlusconi si limiterà a mettere il timbro. Partirà il tesseramento, come in tutti i partiti degni del nome. Disco verde ai congressi comunali e provinciali, dove (lì davvero) sarà lecito scannarsi per le poltrone. E grandi speranze verranno riposte nei «team della libertà», da reclutare in base a un indirizzario che conta 1 milione e mezzo di nomi. Berlusconi, in tutto questo, si ritempra. Chi l’ha sentito ieri giura che quando tornerà sulla scena lo troveremo «in forma e più giovane». Ci manca solo che abbia fatto un lifting...

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« Risposta #101 inserito:: Ottobre 19, 2010, 11:58:50 am »

19/10/2010 (7:41)  - GOVERNO. LA MAGGIORANZA

Alfano prova a convincere Fini

Oggi il ministro illustra ai presidenti delle Camere la riforma della giustizia

UGO MAGRI
ROMA

Fino a domattina Berlusconi se ne starà ad Arcore, e raccontano che sia tutto preso dalla preparazione dei prossimi appuntamenti internazionali (vertice Nato a Lisbona, G20 a Seul). La figlia Barbara lo attendeva a un party con molti invitati vip, ma lui non si è concesso. Gli umori berlusconiani sono un mistero agli intimi, figurarsi per gli americani. Corre voce di ambienti d’Oltreoceano che, cautamente, vanno in giro chiedendo notizie, informandosi con alcuni nostri opinion leader sui possibili sbocchi del duello con Fini... Da Villa San Martino al momento filtra solo un grosso fastidio del premier per i riflettori accesi sulle sue ville, e dubbi tardivi circa l’intervento a gamba tesa di Ghedini per fermare «Report».

Alfano «esploratore»
Nell’attesa che Berlusconi torni a occupare la scena, sarà lui il protagonista. Difatti stasera il ministro presenterà a Fini la «grande, grande, grande riforma della Giustizia» (definizione del Cavaliere), perlomeno nelle sue linee-guida. Dall’accoglienza che il Guardasigilli riceverà a Montecitorio capiremo meglio la sorte della XVI legislatura. Da parte «futurista» per il momento non affiorano veti, anche perché Alfano presenterà la sua riforma a Fini (ma pure a Schifani) come un cantiere aperto, anzi apertissimo. E dunque non si impiccherà su «dettagli» tipo: con quale maggioranza la Consulta potrà bocciare le leggi incostituzionali? Invece si può scommettere che, quando Berlusconi gli chiederà com’è andata, per prima cosa Alfano parlerà del Lodo, e riferirà l’atteggiamento di Fini, sullo scudo processuale.

Big bang nel Pdl
Sostengono gli ottimisti che domani sera, all’Ufficio di presidenza, nascerà il nuovo partito, quanto meno scoccherà la scintilla che dovrebbe portare prima o poi a rivoluzioni tipo elezione democratica dei dirigenti e addirittura del coordinatore unico, l’Erede Designato. Si assiste a un vortice di incontri conviviali, ma soprattutto è in atto una scomposizione delle vecchie alleanze interne che rimodella la mappa del mondo berlusconiano. Prevale la spinta centripeta, la tendenza a cercare compromessi. Addirittura qualcuno vede prendere corpo in queste ore un nuovo grande «correntone» centrale, all’ombra del Cavaliere si capisce, con la benedizione di due personaggi esterni, Letta e Confalonieri. Ne farebbero parte praticamente tutti i berlusconiani di buona volontà: dagli ex-An Gasparri e La Russa fino ai «picciotti» siciliani di Alfano, passando per i pretoriani di LiberaMente. «Macchè correntone», sorridono altri più scettici, «al massimo qui c’è solo il grande attivismo della Gelmini che organizza incontri a tutto spiano... La verità», aggiungono, «è che al Capo di tutta questa agitazione non importa un fico».

Bossi e Casini
Il primo abbassa i toni, il secondo li alza. Al Consiglio federale della Lega prevale la prudenza, tanto che il presidente dei deputati Reguzzoni ora sostiene: se il Tar del Piemonte boccerà Cota, non ci saranno contraccolpi sul governo (esponenti autorevoli del Carroccio sostengono il rovescio). Forse la Lega aspetta il verdetto del Consiglio di Stato, che si pronuncerà stasera. Casini invece sente odore di bruciato, le urne sono sempre dietro l’angolo, e rafforza il profilo centrista dell’Udc: mai, dice, con una sinistra che insegue la piazza.

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« Risposta #102 inserito:: Novembre 01, 2010, 12:06:13 pm »

1/11/2010 (7:49)  - GOVERNO, A UN PASSO DALLA CRISI

Ora Berlusconi tende la mano all'Udc di Casini

Raccomanda ai suoi: non sparate su Pierferdinando. Obiettivo: non lasciare spazi a un esecutivo tecnico

UGO MAGRI
ROMA

Sarà un caso, oppure è tutto fiuto giornalistico: chi può dirlo? Sta di fatto che proprio ieri Vespa ha anticipato certe pagine del suo prossimo libro-strenna con le dichiarazioni che il Cavaliere gli ha reso dieci giorni fa. E sono tutta una tirata contro l’ipotesi di governo tecnico che Berlusconi sente nell’aria mai come in questo momento, con Fini sul punto di staccargli la spina.

Berlusconi paragona il mondo senza di lui senza di lui a «un rovesciamento della democrazia», e con formula retorica esclude che Napolitano «potrebbe mai consentire un ribaltamento del risultato elettorale», con quanti hanno vinto le elezioni sospinti all’opposizione. E in effetti, tutti gli indizi portano a escludere complotti del Quirinale per far fuori il premier, anzi: il Capo dello Stato pare sia piuttosto freddo con chi immagina maggioranze senza Pdl e Lega. Più che le trame da Prima Repubblica, Berlusconi deve temere il collasso della propria immagine, il ridicolo che la vicenda Ruby gli sta rovesciando addosso, addirittura i contraccolpi sul piano giudiziario della famosa telefonata in Questura. Ieri l’avvocato Ghedini ha messo sottosopra il Palazzo con quel riferimento a «ipotesi di reato» che qualcuno starebbe studiando per dare a Silvio il colpo di grazia. Possiamo immaginare cosa accadrebbe se la pm Ilda Boccassini, per fare un esempio, dovesse inquadrare il premier nel suo mirino. Sarebbe l’equivalente del celebre «avviso di garanzia» che colpì Berlusconi nel lontano ‘94. Né è scongiurato il rischio, per il Cavaliere, che dall’alto del loro magistero i vescovi gli mettano un quattro in condotta, già l’avevano avvertito di non dare scandalo. Perfino un amico fedele anche di nome, come Confalonieri, gliel’ha detto pubblicamente: se lui continuerà ad avvitarsi su se stesso, una crisi verrà vissuta come liberatoria anzitutto dal suo partito. E ci siamo vicini assai...

Pare che Berlusconi stia cercando occasioni per mettere in mostra una gran voglia di «fare». Sui rifiuti della Campania «e non solo», anticipa il portavoce Bonaiuti. Il «passo indietro» chiesto da Fini, inutile dire, non sfiora nemmeno lontanamente il pensiero del premier. Che nei suoi sfoghi domenicali ha confermato quanto di peggio sul presidente della Camera (così perlomeno giurano i suoi interlocutori), incentivando gli attacchi frontali tipo quello portato da Osvaldo Napoli contro Fini («L’imbarazzo? Un sentimento che gli è sconosciuto...»). Nello stesso tempo Silvio raccomanda di non sparare contro Casini in quanto, sostiene, «lui potrebbe darci una mano». E dal momento che l’Udc chiede a gran voce le sue dimissioni, viene da chiedersi se il Cavaliere non abbia perso per caso un po’ di lucidità.

Chi sta addentro alle strategie berlusconiane giura che no, Berlusconi non è affatto impazzito. L’aiuto che si attende dai centristi (in cambio, pare, di qualche patto declinato al futuro) consisterebbe nella garanzia del loro a ipotesi «tecniche», appunto. Perché senza l’apporto di Casini nessun «ribaltone» avrebbe successo e si andrebbe di corsa alle elezioni anticipate. Insomma, pare ci siano contatti con l’Udc (non è ben chiaro a quale livello) con l’obiettivo di dissuadere anzitutto Fini. Della serie: «Caro Gianfranco, se tu domenica davanti al tuo partito premerai il grilletto, sappi che si andrà al voto e tu ti dovrai acconciare al ruolo di numero due del terzo polo».

Mentre Berlusconi coltiva questi disegni, i suoi seguaci molto concretamente ammucchiano sacchi di sabbia nelle trincee della Camera e, soprattutto, di Palazzo Madama. Perché in caso di crisi la partita si deciderà lì, per un pugno di voti. Sotto stretta osservazione 4-5 senatori contattati dal Pd per votare un’eventuale mozione di sfiducia al premier.

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« Risposta #103 inserito:: Novembre 02, 2010, 06:31:48 pm »

2/11/2010 (7:38)  - RETROSCENA

Il Cavaliere barcollante teme che arrivi il peggio

E tra i suoi torna la paura della “bomba” sulle stragi di mafia

UGO MAGRI

In giornata Berlusconi dovrebbe vedere Bossi a tu per tu, e questo loro colloquio non si annuncia giocoso come le vecchie cene di Arcore, tra canti e barzellette, peraltro esaurite da un pezzo. Stavolta ci sarà poco da ridere. Il Cavaliere è stretto nell’angolo, al «caso Ruby» si aggiunge adesso il filone palermitano, destinato a saldarsi con quello milanese magari nella persona di un pm che non fa sconti, Ilda Boccassini. Il portavoce Bonaiuti l’ha messo al corrente poco dopo la siesta pomeridiana, non appena sui siti web è filtrata qualche primizia. Escluso che l’umore del Capo ne abbia tratto giovamento. Consultazioni immediate con il team legale e con il ministro Brunetta, tirato in pista suo malgrado. Ma c’è di ben peggio in arrivo, a quanto pare. Ambienti berlusconiani sempre attendibili sono certi che i magistrati siciliani stiano per lanciare «ad horas» contro Palazzo Chigi l’«atomica» di nuove rivelazioni (vere o presunte) sulle stragi mafiose, da Falcone a Borsellino... Un assalto giudiziario mai visto, «siamo al regolamento di conti finale», è il commento che si raccoglie ai vertici Pdl, dove preparano una resistenza disperata. Dunque, il faccia-a-faccia con Bossi. Mai Berlusconi vi era arrivato così barcollante. Una spintarella del Senatùr, una sua mezza frase bofonchiata ai giornali, sarebbero sufficienti per stenderlo al tappeto. Basterebbe in particolare che la Lega prendesse in considerazione l’ipotesi di governi diversi, e tanti saluti a casa.
Non pare che l’amico Umberto stia per giocargli un tiro del genere.

Qualche sospetto, in verità, era circolato a Roma, ma poi Maroni e ieri Calderoli con fin troppa veemenza hanno ribadito: se cade il governo, tutti alle urne, non esistono soluzioni «tecniche», anzi si tratterebbe di un vero e proprio golpe contro cui la Padania scenderebbe in piazza. A scanso di equivoci, per Berlusconi resta vitale farsi ribadire l’appoggio personalmente da Bossi, magari guardandosi reciprocamente negli occhi per capire ciascuno fino a quale limite può spingersi la lealtà dell’altro. La buona notizia di ieri, per Silvio si capisce, è che Fini non staccherà la spina al governo domenica da Perugia, nel discorso di lancio del suo nuovo partito. Siamo al solito gioco del cerino; il presidente della Camera non vuole essere quello che si scotta causando la crisi e, magari, le elezioni anticipate. L’altro ieri aveva lanciato il sasso facendo sapere che, casomai Berlusconi avesse fatto pressioni per Ruby sulla Questura, si sarebbe dovuto dimettere. Ieri Fini ha nascosto la mano; o meglio, ha fatto dire al super-fedele Bocchino che Futuro e libertà non intende abbattere il governo, semmai pungolarlo. Nel mezzo c’è stata un’astuta mossa del Pdl, una nota a firma di Cicchitto e Quagliariello dove si dice in sostanza: caro Gianfranco, Silvio non si dimetterà mai sua sponte; se proprio vuoi che cada, devi votargli tu contro con una mozione di sfiducia... Fini se ne guarda bene. «L’equilibrio politico per ora regge», è il commento soddisfatto di Quagliariello. Su tutto però incombe il macigno del «bunga-bunga» presidenziale. Berlusconi è inciampato a Napoli sul «caso Noemi», a Bari sulla D’Addario, a Milano su Ruby, e in attesa che da altre località si facciano avanti, saltano fuori dalla Sicilia altre sedicenti ospiti a Palazzo Grazioli o a Villa La Certosa di festini privati che a questo punto tanto privati non sono, poiché sollevano scandalo politico in Italia e all’estero, addirittura configurano un filone giudiziario dove si indaga per sfruttamento della prostituzione.

Col Cavaliere ancora nei panni dell’«utilizzatore finale» (celebre espressione dell’avvocato Ghedini). Ma la somma delle vicende tende a delineare, lo si ammette perfino nell’entourage berlusconiano, un problema di ordine pubbblico. Le feste del Cavaliere configurano ormai un caso serio di ordine pubblico. Il «ventriloquo» berlusconiano più pugnace, Osvaldo Napoli, già mitraglia l’«asse tra Milano e Palermo», sinonimo di complotto giudiziario. Ma per quanto ancora può andare avanti così?

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60066girata.asp
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« Risposta #104 inserito:: Novembre 03, 2010, 10:04:37 pm »

3/11/2010 (7:43)  - GOVERNO - GIORNI DECISIVI

Bossi: "Basta, rovesciamo il tavolo"

Il leader leghista spinge Berlusconi: se Fini decide di uscire dal governo, è il momento giusto.

Oggi il premier, che continua a non volere la crisi, riunisce la direzione del Popolo della libertà

UGO MAGRI
ROMA

Siamo piombati in un tale abisso di assuefazione che personaggi parecchio in vista, del Parlamento e del governo, reagiscono con annoiata indifferenza alle ultime da Palermo: «Ah sì? Pure questa Nadia mette a verbale di essere stata alle feste del Presidente? E dov’è mai la notizia...». Una escort di più, una di meno, a questo punto fa poca differenza. E chissà quante altre si faranno avanti nelle prossime settimane, è la scommessa rassegnata dell’entourage berlusconiano. Anche perché si è innescato un meccanismo mediatico infernale: colei che «confessa» ai magistrati, poi ha la chance di diventare una celebrità (vedi Ruby) con interviste ai giornali, comparsate televisive e magari, un domani, la particina in qualche cine-panettone. Pelose preoccupazioni per il «povero Lele» e per il «povero Emilio», vale a dire Mora e Fede, che si ritrovano una muta di pubblici ministeri alle calcagna.

E molti interrogativi su come potrà reagire Brunetta, ministro particolarmente esposto nelle trattative sindacali, al tentativo di coinvolgerlo nei festini... Ma se le disgrazie fossero tutte qui, il clan berlusconiano vivrebbe queste giornate con ben altro spirito perché, appunto, c’è un’Italia che non riesce più a indignarsi, anzi addirittura si diverte alle gag del Cavaliere sui gay. Circolano a Palazzo Chigi sondaggi da cui risulta che una chiara maggioranza degli elettori è indifferente, distratta, propensa al non voto casomai fosse chiamata alle urne; interessata soltanto a misure economiche di cui non si vede traccia (e lì Berlusconi sa di rischiare parecchio, molto più che per le Procure). Ciò che tiene davvero col fiato sospeso, ai vertici del governo, è la regia finiana della crisi politica, un thriller che si dipana con arte sadica nei confronti del Cavaliere, una doccia scozzese continua: l’altro giorno pareva che il presidente della Camera gli desse qualche speranza, ieri invece è cresciuta l’ipotesi di un «appoggio esterno».

Futuro e libertà farebbe dimettere dal governo i suoi rappresentanti e si limiterebbe a votare volta a volta, secondo gli estri del momento... Può essere che l’annuncio venga dato da Fini domenica, alla convention di Perugia; secondo alcuni futuristi è quasi certo, altri come al solito gettano acqua sul fuoco. In casa berlusconiana sono scattate tutte le sirene perché sarebbe un altro metro di miccia consumato, e la deflagrazione del governo sarebbe devastante. Il detonatore si chiama Bossi. Ha ripetuto chiaro ieri al Cavaliere quando si sono visti a Grazioli (presente il figlio Renzo detto il Trota): «Se Fini decide l’appoggio esterno, questa è l’occasione buona per buttare all’aria il tavolo, andare alle elezioni e scaricare su di lui la colpa». Com’è noto, dalle urne la Lega avrebbe tutto da guadagnare, Berlusconi tutto da perdere. Finora il Cavaliere era riuscito a prendere tempo; ma se Gianfranco domenica servirà a Bossi l’occasione di aprire la crisi, figurarsi se l’Umberto se la farà scappare...

Dunque nel Pdl si respira l’aria delle grandi e decisive vigilie. Stamane ne discuterà il premier con il giro stretto dei fedelissimi perché domani c’è Direzione nazionale del partito, Berlusconi dovrà presentarsi al suo parlamentino con un’idea, un piano, una linea che non sia la consueta sparata propagandistica (tale la considerano ormai perfino dalle sue parti) contro i giornali e contro le «toghe rosse». I suoi consiglieri sono divisi. Qualcuno lo esorta a sparare, dal pulpito della Direzione, un colpo d’avvertimento; ad avvisare Fini che un appoggio esterno sarebbe insopportabile, dunque ci pensi bene prima dell’irreparabile, e magari torni sui suoi passi (di qui a domenica c’è ancora tempo). Altri suggeritori del premier, invece, insistono per trattare a oltranza, e magari far finta di niente. In fondo, argomentano, si dimetterebbe Ronchi dalle Politiche comunitarie: mica sarà quel dramma... E Berlusconi? Lui la pensa come i trattativisti. Vorrebbe tirare avanti, si giudica inostituibile. Ma con Bossi ha stretto un patto del diavolo. E gli toccherà onorarlo fino in fondo

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