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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 228007 volte)
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« Risposta #405 inserito:: Aprile 25, 2018, 04:14:17 pm »

Premier politico e ministri tecnici, l’ultima carta del Colle per non tornare al voto
Al Quirinale perde quota l’ipotesi di un “governo-paracadute”. Cresce il rischio di nuove elezioni a settembre, se Fico fallisse

Pubblicato il 25/04/2018 - Ultima modifica il 25/04/2018 alle ore 07:11

UGO MAGRI
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Chi volesse attirarsi i fulmini del Quirinale, non dovrebbe fare altro che alimentare la chiacchiera sparsa da quanti, e non sono pochi, tentano di presentare il Capo dello Stato come se fosse lui il regista della trattativa M5S-Pd. Facile capire perché cercano di tirarlo per la giacca. I fautori dell’intesa non trovano di meglio che appellarsi all’autorità somma del Presidente («se è lui a domandarcelo, come potremmo rispondergli di no?»); agli avversari del patto grillo-dem, invece, fa comodo allontanare la colpa da se stessi e trascinare il Colle nella mischia. Peccato che Sergio Mattarella, in linea con il suo personaggio, se ne stia totalmente alla larga da questi giochi. I rari frequentatori del suo studio ne sintetizzano così l’atteggiamento: «Non commenta gli sviluppi, non formula giudizi, non manifesta sentimenti di ansia, di sollievo, di preoccupazione o di altro. Semplicemente ascolta. E osserva con attenzione». Tuttavia, proprio perché la visuale da lassù è parecchio migliore, certe novità non sono sfuggite.

Margini ristretti
Ad esempio, al Quirinale si è preso nota che Luigi Di Maio sgombera il terreno dai sospetti di doppio gioco. Dichiara solennemente che con Salvini ha chiuso. Comunque andrà l’esplorazione di Roberto Fico, il governo grillo-leghista non potrà essere riesumato. È defunto e stop. Altra svolta importante datata ieri: il capo politico dei Cinque stelle scarta con fermezza i governi «del Presidente, di garanzia, di scopo » (e avrebbe potuto aggiungere alla sua lista quelli di tregua, di transizione, balneari). La somma delle due novità fa sì che, se pure il tentativo con il Pd fallisse, Mattarella avrebbe serie difficoltà a mettere in campo soluzioni ulteriori. Compreso, appunto, un governo calato dall’alto come fece Giorgio Napolitano ai tempi di Mario Monti.

Torna il fantasma
Ecco come mai sta tornando a circolare il fantasma del voto bis. Non tra un anno, magari in concomitanza con le elezioni europee, e nemmeno a ottobre ma addirittura in settembre, con le liste dei candidati da presentare intorno a Ferragosto e le Camere sciolte ai primi di luglio: uno scenario da vero incubo per la nostra democrazia. Non sarebbe una scelta di Mattarella, la cui ostilità a nuove elezioni è stranota, ma la conseguenza del no leghista e grillino a un governo «del Presidente». Tradotto nel linguaggio di tutti i giorni, ciò significa che il tentativo messo in campo da Fico rappresenta davvero l’ultima spiaggia. Dopodiché non ci sarebbe più alcun paracadute, né potrebbe garantirlo il Capo dello Stato i cui margini di intervento si sono notevolmente ristretti.

Di nuovo al bivio
Chi, tra deputati e senatori, non vorrà tornare da dove è venuto, dovrà dunque incrociare le dita e sperare che tra M5S e Pd qualcosa maturi, magari nella formula che più sta prendendo piede in queste ore di confusione: un governo a guida politica, però con ministri «di area», in parte indicati dai «Dem» e i parte dai Cinque stelle. Lasciando fuori tutte quelle figure che potrebbero aggiungere motivi di discordia, come se non ce ne fossero già abbastanza.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/04/25/italia/premier-politico-ministri-tecnici-lultima-carta-per-non-rivotare-BXjLRyoAzQO7o2XWRnqexH/pagina.html
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« Risposta #406 inserito:: Aprile 25, 2018, 04:37:57 pm »


Gelo di Mattarella: niente incarico a Matteo. Pesano i tentativi falliti e l’anima sovranista
Da Casellati zero spiragli. Lunedì il mandato al presidente della Camera
Dopo due giorni di tentativi la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati è tornata dal presidente Sergio Mattarella per spiegare: non ci sono spiragli per un governo M5S-centrodestra in questa fase politica

Pubblicato il 21/04/2018 - Ultima modifica il 21/04/2018 alle ore 07:06

UGO MAGRI
ROMA

La prossima mossa dev’essere ancora annunciata, ma salvo colpi di scena non è difficile da indovinare: dopo Elisabetta Casellati, il Capo dello Stato metterà quasi certamente in campo Roberto Fico. Si affiderà al presidente (grillino) della Camera come «pendant» della presidente (berlusconiana) del Senato. Il percorso logico sarà lo stesso. All’esploratrice che ieri è tornata da lui per riferirgli, Sergio Mattarella aveva chiesto di verificare se esiste una possibile maggioranza tra centrodestra e M5S. La risposta è stata zero spiragli, al massimo qualche spunto di riflessione. Fico sembra destinato a ricevere lo stesso mandato della sua dirimpettaia a Palazzo Madama, però speculare: a lui verrà sollecitata un’esplorazione sulla sinistra. Dovrà tastare il polso al Pd e capire se i «Dem» resteranno in eterno sull’Aventino oppure con i Cinque stelle accetteranno perlomeno di sedersi a un tavolo programmatico. In pratica, come Indiana Jones davanti a un geroglifico, Fico dovrà decrittare il «codice Renzi» che, finora, è stato più enigmatico di una sfinge.

Non conta il perimetro 
Il nuovo mandato arriverà tra un paio di giorni, probabilmente lunedì. Ma nei partiti già si sta almanaccando sul suo «perimetro»: Fico dovrà davvero limitarsi a indagare sul secondo forno (il Pd) dopo che l’altro (il centrodestra) ha chiuso, oppure da Mattarella gli sarà consentito di lanciare un ultimo ponte tra Di Maio e Salvini? Sembra questione di lana caprina e, per certi versi, lo è dal momento che nessuno vieta ai protagonisti di approfondire questa ipotesi senza bisogno di Fico. Comunque sia, sul Colle il quesito non appassiona. Ogni tentativo di riportare in vita l’asse grillo-leghista viene considerato lassù con notevole freddezza, se non proprio gelo. E non solo per le posizioni filo-russe di Salvini che hanno messo in allarme tutte le cancellerie europee. Moniti come quelli piovuti dagli Stati Uniti durante la crisi siriana sarebbe difficili da ignorare. E se davvero Salvini farà un comizio a Nizza il primo maggio con Marine Le Pen, si può immaginare come la prenderebbe l’attuale inquilino dell’Eliseo. Chiunque abbia la testa sulle spalle non può non valutare l’impatto internazionale di un eventuale governo a trazione sovranista. E ci sarà certamente un motivo se, dalle parti del Quirinale, nessuno prende sul serio il pressing di Salvini, che a gran voce pretende di essere incaricato. Tra i consiglieri del Presidente, l’interrogativo è: a quale titolo Mattarella dovrebbe metterlo alla prova? Se il leader della Lega volesse dar vita a un governo centrodestra-M5S, sarebbe addirittura il quarto tentativo in un mese dopo ben tre fallimenti, dunque somiglierebbe tanto a una scusa per perdere altro tempo. Qualora invece Salvini rompesse definitivamente con Berlusconi, quella sì che sarebbe una novità importante. Secondo alcune fonti parlamentari, la trattativa per mettere su un governo Giallo-Verde sarebbe molto avanzata, e addirittura potrebbe maturare entro il weekend. Ma perfino in quel caso la Lega peserebbe per il suo 17 per cento, al massimo potrebbe trascinare con sé la Meloni. Dunque, a rigore, l’eventuale pre-incarico conseguente a un accordo tra Salvini e Di Maio andrebbe conferito non a Matteo, bensì a Luigi che, elettoralmente, pesa quasi il doppio. Per convincere Mattarella a cambiare metro di giudizio, il capo politico dei Cinque stelle dovrebbe compiere un clamoroso passo indietro che però, al momento, non pare alle viste. 

Ricostruzione smentita 
Insomma, per quanto Salvini faccia la voce grossa, i suoi ultimatum non stanno facendo tremare i vetri del Quirinale. Vengono considerati parte del gioco politico. Altra cosa sono le bugie, le maldicenze, le «fake news» che abbondano in questa fase politica. Per esempio, il tentativo di addossare alla Casellati le colpe del fallito accordo tra centrodestra e Cinque stelle. Oppure certe altre voci fuori controllo. A questo proposito, dal Quirinale giunge una netta smentita alla ricostruzione, raccolta dalla Stampa in ambienti leghisti qualificati, del colloquio che ebbe luogo nel corso delle consultazioni tra il Presidente della Repubblica e la delegazione della Lega, guidata dal suo leader. Viene in particolare escluso che Mattarella abbia espresso opinioni circa la presenza o meno del Pd nel futuro governo. E chi conosce il riserbo del Presidente, non può nutrire dubbi a riguardo.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/04/21/italia/gelo-di-mattarella-niente-incarico-a-matteo-pesano-i-tentativi-falliti-e-lanima-sovranista-0E3kEvbpwcdtNW4dAtg04M/pagina.html
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« Risposta #407 inserito:: Maggio 01, 2018, 12:10:39 pm »

Berlusconi tentato dall'offerta ma insiste per Salvini premier

Pressing sul Quirinale per un incarico al leader leghista. Obiettivo: un esecutivo di minoranza sulle orme di Andreotti

Su Instagram Salvini ha pubblicato gli scatti che lo ritraggono mentre pesca in Puglia e con il frico, un prodotto tipico friulano

Pubblicato il 30/04/2018 - Ultima modifica il 30/04/2018 alle ore 07:24

UGO MAGRI
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Salvini si trova nella classica situazione «win-win», comunque vada ci guadagna. Salta tutto e torniamo a votare? È la volta che la Lega divora Forza Italia, Fratelli d’Italia e forse pure l’Italia. Nasce per il rotto della cuffia un governo grillo-dem? Matteo stappa spumante, perché va a guidare la ribellione del Nord. E se Di Maio restasse a cuocersi per altre settimane, ancora meglio. Ecco come mai, finora, Salvini non ha insistito per ottenere l’incarico: vuole che si logorino gli avversari. Forte è il sospetto che certe sparate filo-russe fossero finalizzate a dissuadere il Colle, casomai lassù venisse in mente di metterlo alla prova. Difatti, non ce n’è aria. Ma qualcosa potrebbe cambiare.

Berlusconi, per citare uno a caso, giudicherebbe inconcepibile che Sergio Mattarella si rassegnasse a sciogliere le Camere senza nemmeno un tentativo imperniato sul centrodestra. Vale a dire su Salvini per il quale, praticamente ogni giorno, sollecita un incarico. Non è ben chiaro se Silvio insista sull’alleato per «bruciarlo» o per timore che, continuando di questo passo, dopo l’estate si vada a elezioni-bis (dove lui rischierebbe l’umiliazione). Sia come sia, il Cav ha lanciato un pressing sul Quirinale, anche attraverso canali riservati, per superare le resistenze. Sa perfettamente che il Capo dello Stato. del quale canta privatamente le lodi, non può conferire incarichi «a perdere». Al momento, una maggioranza salviniana non esiste e se ne sta tentando un’altra M5S-Pd, Però quando questa fallirà, è l’argomento di Berlusconi, bisognerà battere strade un tantino spericolate. Di troppa prudenza (insistono ad Arcore) si può morire. Dunque, perché non tentare un governo di minoranza, che si regga in Parlamento sui voti del centrodestra e sulle astensioni altrui? Fino adesso si sono prese in esame soltanto maggioranze con tutti i crismi, ma senza risultato; è tempo di esaminare i possibili ripieghi.

Il ripiego numero uno sarebbe quello del governo istituzionale, finalizzato a un percorso di riforme della Costituzione e della legge elettorale (che non ha dato buona prova di sé). Ne ha lanciato la proposta ieri sera Renzi da Fazio, e idealmente Berlusconi l’avrebbe abbracciato dall’entusiasmo. Gianni Letta non ha mai smesso di tessere la tela del «governissimo», magari c’è di mezzo pure il suo zampino. «Il semi-presidenzialismo sarebbe l’unico modo per dare un senso a questa legislatura», dà voce al mood berlusconiano Andrea Cangini. Però, pubblicamente, l’ex premier dovrà frenarsi in quanto, se da subito si sbilanciasse a favore del governo per le riforme, un minuto dopo Salvini potrebbe accusarlo di tradimento, e approfittarne per accasarsi finalmente con Di Maio. Dunque meglio insistere per il momento sul governo di minoranza, cercando di convincere il Colle con un precedente illustre e un argomento costituzionale.

 

Il precedente è rappresentato dal terzo governo Andreotti, che nacque nel 1976 con la «non sfiducia» del Pci. Basti dire che le astensioni alla Camera (303) furono più numerose dei voti a favore (258). Senza la generosità di Enrico Berlinguer, la Repubblica sarebbe piombata nello stallo, esattamente dove rischia di affogare oggi. Anche un semplice pre-incarico permetterebbe a Salvini di contrattare un’astensione grillina o addirittura del Pd. E comunque (argomento su cui batte Gaetano Quagliariello) perfino un governo di minoranza sarebbe costituzionalmente più legittimo di quello in carica, che ebbe la fiducia dal passato Parlamento, un’era geologica fa. Tajani garantisce: l’Europa sarebbe d’accordo. Ma Salvini accetterebbe di farsi lanciare in pista? Non è detto che rifiuti, sussurrano ad Arcore. E se dicesse no a Mattarella, poi dovrebbe trovare la maniera di spiegarlo ai suoi elettori. Impresa complicata.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/04/30/italia/berlusconi-tentato-dallofferta-ma-insiste-per-salvini-premier-IeF9Mps9jaPMCYmvbPVppN/pagina.html
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« Risposta #408 inserito:: Maggio 01, 2018, 12:15:06 pm »

Sfuma il governo del Presidente, cresce il rischio di elezioni a luglio
Escluso l’incarico a Salvini nonostante il pressing del centrodestra.

Adesso Mattarella non ha più assi da giocare. Ma c’è il rebus delle date
Il capo dello Stato Sergio Mattarella tenterà di evitare un ritorno alle urne. Ma M5S e Lega hanno già detto no a un governo del Presidente

Pubblicato il 01/05/2018 - Ultima modifica il 01/05/2018 alle ore 11:17

UGO MAGRI
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Se Cinque stelle e Lega volessero tornare di corsa al voto, e dichiarassero che il tempo dei tentativi è scaduto, in quel caso il Capo dello Stato non avrebbe armi per impedire nuove elezioni, perfino se queste dovessero tenersi entro l’estate, addirittura a luglio se prima fosse impossibile. Non è ovviamente la soluzione che Sergio Mattarella desidera, anzi farà il possibile per evitarlo; tuttavia nessuno, dalle sue parti, sembra nutrire illusioni. Di Maio e Salvini, insieme, dispongono in Parlamento della maggioranza assoluta. Per una questione puramente aritmetica, il loro «no» sarebbe una sentenza definitiva, anzi tombale per la diciottesima legislatura appena nata. Che cosa potrebbe fare il Presidente per frenare quei due, sempre che vadano entrambi a dirgli «vogliamo per forza votare»? La risposta che si coglie tra i frequentatori del Quirinale è: nulla, purtroppo, tranne che prenderne atto con grandissimo dispiacere.

L’asso sparito 
A lungo si era favoleggiato di un asso che Sergio Mattarella nascondeva nella manica: il cosiddetto governo istituzionale, di tregua o di decantazione. Doveva essere calato sul tavolo alla fine dei giochi, accompagnato magari da un robusto appello al Paese per segnalare i rischi del voto-bis e da un estremo solenne appello ai partiti nel nome della responsabilità nazionale. Ma pure ammesso che sia mai esistito, del presunto asso adesso nessuno parla più, tantomeno i consiglieri del Presidente. E se ne comprende il motivo: i grillini non hanno la minima intenzione di sostenere un governo di tutti, l’hanno comunicato forte e chiaro. Idem la Lega, Salvini risulta contrario nonostante il fido Giorgetti avesse fatto balenare qualche apertura. Dunque per Mattarella sarebbe inutile provarci, ulteriore tempo perso. Un esecutivo calato dall’alto potrebbe vedere la luce e forse la vedrà, però al solo fine di portare l’Italia alle urne qualora si ritenesse che Gentiloni ha fatto il suo tempo, non rappresenta più nessuno. Ma è questione di cui al momento nessuno si sta occupando.

Il Guinness delle date 
Di Maio vuole elezioni-bis entro giugno. Definire ardua l’impresa sarebbe poco. Nel testo unico elettorale, all’articolo 11, si parla di 45 giorni come minimo tra scioglimento e voto. Dunque, per tornare in cabina l’ultima domenica di giugno le Camere andrebbero sciolte da Mattarella entro il 9 maggio, vale a dire tra 8 giorni: tempi davvero ristretti, considerato che un passaggio parlamentare sarebbe difficilmente evitabile. I partiti dovrebbero fare le liste in 15 giorni, e pure questa sarebbe impresa da Guinness. Il record precedente fu battuto nel 1976, quando tra decreto di scioglimento e urne passarono appena 50 giorni. Ma a quell’epoca non esisteva il voto degli italiani all’estero, con annesse complicazioni. Il Dpr 104/2003 stabilisce che le liste dei nostri connazionali vadano comunicate dal ministero dell’Interno a quello degli Esteri almeno 60 giorni prima del voto. Cambiare il Dpr è sempre possibile: basta che il governo ne sforni un altro, salvo scatenare in seguito un caos di ricorsi. Più facile scivolare al 1° luglio, oppure all’8 successivo.

Sospetti renziani 
Se a luglio non si è mai votato, ci sarà pure un perché. Fa caldo, le scuole sono chiuse, milioni di italiani vanno in vacanza. Sarebbe il trionfo dell’astensionismo. Eppure la situazione è tale che, se Di Maio e Salvini si impuntassero, lì potremmo finire senza nemmeno attendere settembre. E, in fondo, qualche settimana prima o dopo sul Colle non farebbe questa gran differenza. I renziani sospettano che la minaccia delle urne sia una messinscena per spaventare il Pd e favorire il «golpe» interno di Franceschini dopodomani in direzione. Sempre i renziani pretenderebbero che Mattarella si immolasse annunciando «alle urne giammai!», in modo da rasserenare qualche senatore cuor di leone che, pur di difendere lo scranno, bacerebbe la pantofola di Di Maio. Però il Capo dello Stato, ammettono i suoi, non possiede la bacchetta magica. Non ancora, perlomeno.

L’incarico impossibile 
L’unica certezza è che un incarico a Salvini non sembra affatto alle viste. E non solo per le posizioni di politica estera che metterebbero in allarme Europa e America. Il centrodestra ha escluso qualunque contaminazione col Pd e si è dato il MoVimento come unico alleato possibile. Ma quella strada è stata esclusa nel corso delle due consultazioni prima, dall’esploratrice Casellati poi. Nonostante il pressing berlusconiano, e la minaccia leghista di organizzare una «passeggiata a Roma», per Mattarella è ormai acqua passata.
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Da - http://www.lastampa.it/2018/05/01/italia/sfuma-il-governo-del-presidente-cresce-il-rischio-di-elezioni-a-luglio-q5s2wXuwmpuuCHYrh5FoCJ/pagina.html
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« Risposta #409 inserito:: Maggio 03, 2018, 08:52:52 pm »

Mattarella lavora a un governo di tregua, probabili nuove consultazioni
Le ipotesi del Colle: esecutivo a un presidente delle Camere o Gentiloni fino a ottobre
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha scelto la giornata di venerdì per un importante annuncio sullo stallo politico.
Forse non è stata una scelta casuale: il 4 maggio saranno passati due mesi dal voto dello scorso 4 marzo

Pubblicato il 03/05/2018 - Ultima modifica il 03/05/2018 alle ore 08:07

UGO MAGRI
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Nel cimitero dei governi mai nati, accanto alla lapide del patto grillo-leghista, stasera ne verrà posata un’altra: quella dell’accordo tra Cinque Stelle e Pd. È defunto domenica sera, quando Matteo Renzi l’ha stroncato a «Che tempo che fa», ma pietosamente provvederà la Direzione Pd a celebrare le esequie. Chi si cimenterà adesso nell’impresa impossibile? Sul Colle sono ore di riflessione che preludono a una difficile scelta. Di sicuro, sotto i cipressi, non si aggiungerà il cippo del governo Salvini. Pare escluso, infatti, che Sergio Mattarella voglia conferirgli un incarico nonostante il centrodestra lo rivendichi a gran voce. Il «no» presidenziale ha una chiara spiegazione: dei 60 giorni trascorsi dal voto, quasi la metà sono stati sperperati proprio nel tira-e-molla tra M5S e Lega su Berlusconi dentro o fuori, e su chi dovrebbe guidare il triciclo. Per tornarci su servirebbe qualche fatto nuovo che però non si vede. Salvini fa di tutto per dissuadere Mattarella: rifiuta di mettersi a capo di una maggioranza raccogliticcia, nello stesso tempo però rifiuta di avere rapporti con il Pd, e con l’unico alleato possibile (Di Maio) se le cantano allegramente. Dunque non si capisce quale maggioranza Salvini potrebbe mettere in piedi (tra l’altro si scatenerebbe l’ira degli Usa e delle cancellerie europee).

Il Colle in campo 
Scartata pure l’ipotesi Giorgetti. Il numero due della Lega è persona ragionevole, con molti amici in tutti i partiti, perfino tra i renziani. I quali forse potrebbero astenersi, se fosse lui a guidare un governo. Ma nei contatti informali, i fan di Giorgetti si sono sentiti rispondere dal Colle con un mix di scetticismo e ironia: «Ah sì? Ottima idea, a patto però che il Pd si sbilanci ufficialmente». Cosa finora non avvenuta, e che forse non accadrà mai. Dunque, se nessuno cambia posizione, restando inchiodato alle proprie fisime, il Presidente non potrà far altro che mettere in gioco se stesso. Risulta che stia lavorando all’ipotesi tenuta in serbo per ultima, nella speranza di non doverla mai tirare fuori dal cassetto: il governo di tregua.

Orizzonte limitato 
Mattarella ne vorrà ragionare con i vari protagonisti. Si preannuncia un terzo giro di consultazioni, finalizzato a sondare l’accoglienza che riceverebbe in Parlamento un esecutivo guidato dal presidente del Senato, o della Camera, o da qualche altra figura semi-istituzionale (ne circolano una quantità, tutte improbabili), con un orizzonte temporale molto limitato: il governo di tregua durerebbe al massimo fino a dicembre, per poi tornare alle urne nella primavera 2019. Un tempo comunque sufficiente per non lasciare la sedia vuota al Consiglio europeo di fine giugno, dove l’ultima tegola per l’Italia è che si parla di tagliare del 5 per cento i nostri fondi agricoli e del 7 quelli «di coesione» per il Mezzogiorno. Un governo di qui a fine anno permetterebbe inoltre di varare la legge finanziaria, scongiurando l’aumento stratosferico dell’Iva al 25 per cento conseguente all’eventuale esercizio provvisorio 2019. Non è da escludere che possa essere affrontato il tema della nuova legge elettorale.

Riecco Gentiloni 
Se Mattarella troverà ascolto nei partiti, allora il governo di tregua verrà mandato in Parlamento a riscuotere la fiducia. Qualora invece Salvini e Di Maio alzassero le barricate, allora sul Colle verrebbe issata bandiera bianca e lo scioglimento delle Camere sarebbe ineluttabile. Per votare a luglio sembra ormai tardi, si riparla di ottobre. In quel caso, fino ad allora, Paolo Gentiloni resterebbe a Palazzo Chigi per gli affari correnti, cioè per disbrigare il nulla o quasi che si può fare, nel bene e nel male.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/05/03/italia/si-lavora-a-un-governo-di-tregua-probabili-nuove-consultazioni-MeYDUGULQ9aw4UFTlmiXwM/pagina.html
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« Risposta #410 inserito:: Maggio 06, 2018, 06:32:27 pm »

Mattarella farà un appello al Paese e per l’esecutivo cerca nomi “pop”
Le armi contro il voto bis: parlerà chiaro e sceglierà ministri innovativi
Il Presidente ha intenzione di rivolgersi direttamente agli italiani spiegando loro che chi spinge per un voto bis si assumerà anche la responsabilità di mettere in difficoltà le tasche degli italiani, per esempio a causa dell’Iva

Pubblicato il 05/05/2018 - Ultima modifica il 05/05/2018 alle ore 20:23

Ugo Magri
Roma

Tutto e tutti sembrano remare contro il governo di tregua, al punto che tra i nemici del Colle (ce ne sono un certo numero, perfino nell’ex-partito del Presidente) ieri fiorivano battutacce irriguardose tipo «colpito e affondato», insieme a discorsi fintamente preoccupati per la «brutta figura» che Sergio Mattarella farebbe qualora la sua proposta venisse bocciata dal Parlamento. Il rischio senz’altro esiste e sul Colle ne sono consapevoli. Tuttavia a sera non si percepiva lassù quel clima di resa che precede le grandi disfatte. Al contrario, circolava un’aria di cauto ottimismo, come se l’impresa di evitare elezioni-bis risultasse ancora fattibile. Inutile domandare su cosa si fondi tale speranza: il Quirinale non è mai stato il palazzo degli spifferi. La sensazione è che il terrore di tornare al voto stia provocando riflessioni a 360 gradi, e non soltanto tra i «peones», i quali già si sentono condannati a tornare nel nulla da cui sono venuti. Accordi impossibili oggi (tra M5S e Lega, oppure tra Centrodestra e parte del Pd) potrebbero diventarlo tra pochi mesi: perché gettare la spugna subito e non attendere quanto basta affinché le intese maturino?

Gelo su Salvini 
Di certo, il Presidente non ingrana la retromarcia. Il suo programma resta invariato. Lunedì ascolterà i partiti per verificare se gli porteranno qualche novità oppure verranno a ripetergli le solite tiritere. Il colloquio con Salvini si annuncia particolarmente difficile perché il leader della Lega, che ieri sembrava disponibile a ragionare di tregua, alla fine chiederà un incarico per se stesso o, in subordine, per qualche personaggio di centrodestra che vada in Parlamento a raccattare i voti necessari. Mattarella gli chiederà in quali aree politiche immagina di trovare quei voti e Salvini risponderà (ne ha ragionato ieri a lungo con Berlusconi per evitare discussioni nel salotto presidenziale) che qualora rivelasse i nomi dei potenziali sostenitori, rischierebbe di far implodere il suo tentativo, dunque manterrà il riserbo. Per farla breve: lunedì si dimostrerà che, purtroppo, i partiti sono annegati nel classico bicchier d’acqua. Quella sera stessa, o l’indomani, il Capo dello Stato metterà in campo il «suo» governo. Lo farà giurare fedeltà alla Repubblica, cosicché Gentiloni uscirà di scena. E il nuovo premier andrà in Parlamento per chiedere la fiducia. Se verrà negata, gestirà le elezioni dopo l’estate. A occhio nudo sembra la prospettiva più probabile. Eppure, al Quirinale pensano di avere ancora un paio di buone cartucce. 

Le due cartucce 
Anzitutto, il discorso del Presidente. Mattarella parlerà al Paese facendo leva sulla propria immagine e cavalcando l’onda del malessere collettivo. Ognuno ha il proprio stile, per cui sarebbe incauto tirare in ballo Pertini o gli altri predecessori che si rivolsero direttamente al popolo. Sia come sia, l’attuale inquilino del Colle non le manderà a dire; additerà i fautori di elezioni anticipate quali colpevoli degli inevitabili rincari che colpiranno anzitutto la povera gente (per congelare l’aumento dell’Iva al 25 per cento servirebbe un governo che approvi entro l’anno la Finanziaria, in caso di nuove elezioni non si farebbe in tempo). Chi si opporrà al governo di tregua dovrà pagare un prezzo politico. E poi Mattarella, a quanto si dice, sceglierà una squadra di governo parecchio innovativa. Altro che ministri tecnici, funzionari semi-sconosciuti o grand commis dalla dubbia reputazione: sul Colle si sta lavorando, nelle intenzioni, a nomi super-partes che colpiscano l’immaginario, a soluzioni sorprendenti, perfino un po’ «pop», alle quali chi rappresenta il nuovo faticherà a rispondere no. O dovrà farlo a malincuore.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/05/05/italia/mattarella-far-appello-al-paese-per-il-governo-cerca-nomi-pop-winMjYPqnUtArXaQ99gyNP/pagina.html
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« Risposta #411 inserito:: Maggio 06, 2018, 06:39:55 pm »

L’ultimatum di Mattarella “Un’intesa entro lunedì altrimenti deciderò io”
L’ipotesi di un governo affidato a un esperto super partes

Pubblicato il 04/05/2018 - Ultima modifica il 04/05/2018 alle ore 08:53

UGO MAGRI
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Sergio Mattarella ha maturato la sua decisione. Se entro lunedì i partiti non si dimostreranno capaci di mettere in piedi un governo, e andranno a ripetergli le consuete favole, come estremo tentativo prima di tornare al voto ci proverà lui, in prima persona, mettendo in gioco la propria credibilità. Chiederà al Parlamento di dare fiducia a un esecutivo super-partes, dalla durata breve, finalizzato esclusivamente a proteggere gli italiani dalle tegole che ci stanno piovendo numerose in testa: l’aumento dell’Iva, i dazi americani, i tagli alle nostre quote di aiuti europei, le nuove regole Ue sui migranti. Spiegherà al paese che cosa si rischierebbe, nel caso in cui l’Italia rimanesse altri mesi senza guida. Sfiderà pubblicamente i leader a compiere un atto di generosità. E per mettere tutti quanti nella condizione di dare una mano, come ministri sceglierà figure senza casacca, a maggior ragione il premier.

Nessun permesso 
Per realizzare questo suo piano di emergenza, Mattarella non chiederà l’autorizzazione alle forze politiche. Sa già che, se domandasse in anticipo il permesso, Cinque stelle e Lega si metterebbero immediatamente di traverso. Dunque le consultazioni convocate in tutta fretta per lunedì avranno un diverso obiettivo. Serviranno (fa sapere il Quirinale) a «verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranza di governo». E a farle venire a galla, ammesso che esistano. Esempio: Salvini, che sta reclamando l’incarico per provarci lui, sarà invitato a indicare i gruppi disposti a votarlo. Se la risposta non sarà stata soddisfacente, avanti un altro. Esempio numero due: qualora Berlusconi sostenesse di avere in tasca non si sa quanti deputati e senatori grillini, Mattarella lo pregherà di farne i nomi seduta stante, non si accontenterà di fumisterie. Sessanta giorni di veti incrociati, fanno sapere lassù, sono stati anche troppi.

Basta scuse 
In sostanza, l’ulteriore giro di consultazioni servirà al Presidente per fare piazza pulita degli alibi, in modo che nessuno passa ragionevolmente sostenere un domani: «Io avevo la chiave di volta, ma l’inquilino del Colle non mi ha dato retta». Lunedì sarà l’ultima occasione per scoprire le carte, iniziando alle 10 dai Cinque Stelle. Ecco, appunto, perché l’ultimo round di consultazioni comincerà proprio da loro? Contrariamente al solito, Mattarella riceverà per primo il gruppo più numeroso e, a decrescere, tutti gli altri. Pare che dietro ci sia una esigenza pratica: esauriti entro l’ora di pranzo i gruppi maggiori, il Capo dello Stato avrà l’intero pomeriggio per preparare le mosse dell’indomani. I suoi collaboratori negano che Mattarella abbia in mente il nome del premier. Circola solo un identikit che ancora attende sembianze umane. Dovrà trattarsi di uomo o donna capace di destreggiarsi nei labirinti dell’economia, ma anche (e soprattutto) di farsi rispettare nelle sedi europee. Un frequentatore del Quirinale, spiritosamente, ieri sera informava che da quelle parti si attendono suggerimenti. Il nuovo premier presterà giuramento, i ministri idem, e si presenteranno alle Camere per la fiducia. Non è affatto certo che riusciranno a ottenerla. Dalle prime reazioni, sembra improbabile. Per invogliare le forze politiche, Mattarella spiegherà che a dicembre si tireranno le somme; aggiungerà che, nel frattempo, nulla vieterà di tentare gli accordi fin qui falliti. Casomai Salvini e Di Maio finalmente trovassero la famosa intesa, il loro governo prenderebbe subito il posto di quello presidenziale.

In caso di rifiuto 
E se il Parlamento, insensibile, negasse un via libera? Il governo del Presidente resterà in carica per accompagnarci alle urne. Negli ambienti di governo si ipotizza una data: il 30 settembre. Non ci sarà più tempo per approvare la Finanziaria, dunque piomberemo nell’esercizio provvisorio. Per colpa delle «clausole di salvaguardia», l’Iva balzerà al 25 per cento. Con la sedia dell’Italia vuota, a Bruxelles ci taglieranno i fondi per agricoltura e Sud, sugli immigrati ci metteranno spalle al muro. Mattarella resterà forse profeta inascoltato, ma perlomeno lui ci avrà messo la faccia. 

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Da - http://www.lastampa.it/2018/05/04/italia/lultimatum-di-mattarella-unintesa-entro-luned-altrimenti-decider-io-uTeRADP9QWerQF5WalCbML/pagina.html

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« Risposta #412 inserito:: Maggio 10, 2018, 09:06:29 pm »

I primi paletti di Mattarella: no a un governo a scatola chiusa

Il Colle vuole approfondire i termini dell’accordo M5S-Lega prima di dare l’incarico. Sui ministri non sarà solo un notaio: niente via libera se i nomi non lo convincono

Pubblicato il 10/05/2018 - Ultima modifica il 10/05/2018 alle ore 08:42

UGO MAGRI
ROMA

Il governo presidenziale è sempre lì, pronto nel cassetto. Ma la curiosità di sapere chi ne farebbe parte, incominciando dal premier, forse non verrà soddisfatta. Dipenderà dal negoziato in corso tra Cinque stelle e Lega, aperto a qualunque sbocco. Il Quirinale sarebbe lieto che i partiti trovassero da soli la quadra, senza bisogno di intervenire. Per questo motivo, Sergio Mattarella non ha avuto difficoltà a concedere le 24 ore di «time out» richieste ieri mattina tanto da Luigi Di Maio quanto da Matteo Salvini. La scadenza delle ore 17 è slittata a questo pomeriggio, e in teoria entro stasera qualcosa dovrà succedere, in un senso o nell’altro.

Pazienza «zen» 
Mettiamo dunque che in giornata Salvini e Di Maio facciano sapere per telefono al Colle di avere raggiunto un’intesa. In quel caso, Mattarella ne vorrebbe approfondire i termini, magari incontrando i partiti interessati all’accordo per ragionarci a voce e in maniera formale, perché non può essere che un Presidente si limiti a metterci su il timbro. Quando si potrebbero svolgere questi incontri chiarificatori non è ben chiaro, visto che l’agenda quirinalizia è colma di impegni: oggi a Firenze per una conferenza europea, domani a Palermo, sabato a Dogliani per le celebrazioni di Einaudi. Di sicuro, Mattarella chiederebbe lumi sulla composizione della maggioranza, sugli obiettivi cardine del programma, sulla struttura ministeriale e, dulcis in fundo, domanderebbe a chi si pensa quale possibile premier. La decisione di conferire o meno l’incarico discenderebbe dalla somma delle risposte. Bisogna vedere se i protagonisti saranno in grado di fornirle, in tutto o in parte. 

Circola insistente voce che oggi, quando si faranno vivi col Quirinale, Di Maio e Salvini difficilmente saranno in grado di annunciare «abbiamo sciolto ogni nodo», e dunque possano sollecitare altri giorni di proroga, magari una settimana o forse più. Impossibile prevedere se il Capo dello Stato accorderebbe o meno la dilazione, e in che misura. Di sicuro, pretenderebbe anzitutto di toccare con mano gli eventuali passi avanti, senza accontentarsi della dichiarazione serale di Berlusconi che compie il famoso passo «di lato». Oltretutto, fanno presente con una punta di disagio i frequentatori del Colle, Mattarella sta dimostrando una pazienza mai vista, quasi zen. In solo tre giorni si è visto cambiare altrettante volte le carte in tavola: prima Salvini pretendeva un incarico per sé, poi ha reclamato elezioni subito, e adesso si riparla di accordo coi Cinquestelle. È un balletto che non potrà trascinarsi all’infinito. Servono punti fermi.

Paletti europei 
In generale, l’impressione è che il Capo dello Stato confidi in una soluzione positiva, ma non intenda approvare nulla a scatola chiusa. Un’alleanza inedita come quella in cantiere presenta numerosi aspetti problematici, incominciando dal terreno internazionale. Già stamane Mattarella pianterà i primi paletti, parlando a Badia Fiesolana in occasione della conferenza sulla solidarietà in Europa. Ribadirà che l’Italia ha preso impegni con l’Ue e con la Nato cui resterà fedele. La Lega al governo non comporterebbe un rovesciamento filo-russo delle nostre alleanze internazionali. È ancora presto per pronosticare fino a che punto si spingerà la vigilanza del Colle su altri vincoli, tipo articolo 81 (pareggio di bilancio). Di certo il Presidente eserciterà le prerogative di nomina dei ministri che gli vengono dall’articolo 92: se non sarà convinto della scelta, niente cadrega. Parlando alle vittime del terrorismo, Mattarella ha ribadito che prima vengono gli interessi fondamentali del Paese: riguardano tutti e sono «in questo senso neutrali». Da arbitro, considera suo compito farli valere.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/05/10/italia/mattarella-pianta-i-primi-paletti-no-a-un-governo-a-scatola-chiusa-FdLFRv0s2FPOOPXjD7XnVI/pagina.html
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« Risposta #413 inserito:: Maggio 15, 2018, 05:40:48 pm »

Il Colle non dà alibi a chi cerca pretesti: “Altre 48 ore purché sia la volta buona”

Nonostante le dichiarazioni bellicose dei partiti, Mattarella registra nelle consultazioni una volontà costruttiva

Pubblicato il 15/05/2018

UGO MAGRI
ROMA

Quando Salvini è comparso davanti alle telecamere, con Giorgetti e Centinaio al fianco come i due evangelici ladroni, sembrava appena uscito da una discussione agitata. Quasi che col Presidente se le fossero dette sui migranti, sull’Europa e chissà su che altro. In realtà, nonostante i toni da comizio rivolti agli italiani, nello studio «alla Vetrata» Salvini è stato educatissimo, forbito, istituzionale. Non ha dato affatto l’impressione di un leader in difficoltà, pentito della trattativa avviata con i Cinque stelle, pronto a ritornare tra le braccia di Berlusconi. Seduto davanti a Sergio Mattarella, il leader della Lega ha svolto le stesse identiche tesi del suo quasi socio Di Maio: il negoziato procede bene, si stanno facendo passi avanti importanti sul programma e, quanto al nome per Palazzo Chigi, non è stato ancora individuato ma pure qui sono in corso serie riflessioni. Ufficialmente sul Colle non si è parlato del professor Giuseppe Conte, sponsorizzato dai grillini; di sicuro non è stato nemmeno evocato l’altro prof messo in campo dalla Lega, Giulio Sapelli, anche perché si era auto-affondato con una serie di esternazioni fuori controllo prima ancora di essere esaminato (e magari bocciato) dal Quirinale. 

Il «do ut des» 
Insomma, il Capo dello Stato non ha ricevuto, nelle consultazioni lampo di ieri, due partiti ansiosi di ritornare al voto. Tutt’altro. Semmai completamente immersi nel «do ut des» sul programma e, magari, anche sulle posizioni di potere che maggiormente fanno gola, dai ministeri alla Rai alla Cassa depositi e prestiti (ultimo forziere ancora intatto). Prova ne sia che Cinque stelle e Lega all’unisono hanno chiesto un po’ di giorni in più; faranno sapere loro se un paio saranno sufficienti a chiudere, stavolta per davvero. 

Se la trattativa fallisse, tornerebbe in campo il “governo di servizio” fino alla fine dell’anno 
Ma allora, come mai Salvini uscendo ha chiamato alle armi il suo popolo? Al Quirinale allargano le braccia, inutile cercare da quelle parti la risposta. Altrove, la tesi più gettonata è che un po’ di teatro facesse comodo per giustificare il ritardo. Motivarlo con la mancata intesa sul nome del premier sarebbe stato brutto, c’è un intero paese che attende «quota 100» per le pensioni, 780 euro al mese per chi non lavora e meno tasse per tutti. Meglio usare come schermo le divergenze sul programma.

Nuova terra e nuovo cielo 
C’è pure chi drammatizza lo scontro sulle cose da fare, dunque pronostica una possibile clamorosa rottura dei negoziati. Al Quirinale sono rimasti in pochi a crederlo. Comunque sia, Mattarella non ha la minima intenzione di passare per quel Presidente pignolo che, cronometro alla mano, dopo aver pazientato due mesi e mezzo nega altre 48 ore necessarie a fondare addirittura la Terza Repubblica (copyright grillino). Ovvio che le abbia concesse, anche per togliere un alibi a quanti eventualmente cercassero pretesti di rottura. Il Capo dello Stato, dicono i suoi, confida che si metta in piedi un governo politico capace di avviare finalmente la legislatura. Sta dando prova di tutta la disponibilità necessaria. Poi, naturalmente, se il tentativo dovesse fallire, nessuno potrebbe scaricarne la colpa sul Quirinale. E Mattarella avrebbe un argomento in più per tirare fuori dal cassetto il «suo» governo, quello neutro e di servizio che dovrebbe scongiurare l’aumento dell’Iva al 25 per cento e, fino a dicembre, far sentire la nostra voce nei prossimi summit europei. Lo stesso Di Maio riconosce che non sarebbe bello lasciare una sedia vuota a Bruxelles, quando si discuterà a fine giugno di migranti e di fondi comunitari all’Italia. Oltretutto, se domani stesso Mattarella sciogliesse le Camere si voterebbe non prima del 22 luglio. Il Generale agosto si avvicina, e anche i nostri eroi preferiscono le vacanze. 

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Da - http://www.lastampa.it/2018/05/15/italia/il-colle-non-d-alibi-a-chi-cerca-pretesti-altre-ore-purch-sia-la-volta-buona-HECYeQ5AKUjymFn9HM4GlJ/pagina.html

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« Risposta #414 inserito:: Giugno 10, 2018, 01:02:29 pm »

Voto in salita per il Pd. L’alleanza populista deciderà i ballottaggi

Leghisti e grillini pronti a convergere al secondo turno.

Di Maio: governo dalla parte dei sindaci M5S. Poi frena

Pubblicato il 10/06/2018

UGO MAGRI
ROMA

Per la sinistra e i suoi elettori sarà una triste nottata. A più emotivi addirittura si sconsiglia di vegliare oltre le ore 23, quando arriveranno i primi dati delle amministrative: assisterebbero, più che a uno spoglio, a un massacro. Su 20 Comuni capoluogo, è già tanto se il Pd arriverà a 4-5 ballottaggi, e potrebbe perfino capitare che alla fine non elegga nemmeno un sindaco (alle scorse elezioni erano stati ben 15). 

Sinistra desaparecida 
Le migliori speranze di sfuggire all’annientamento, i Dem se le giocheranno nelle solite zone un tempo considerate «rosse»: dunque a Siena, a Pisa, a Massa, forse ad Ancona. Li fa sperare l’inerzia di 70 anni, che ha creato un sistema di potere, unita a una tradizione di amministratori in gamba. Ma pesa come un macigno l’estinzione del partito sul territorio (ne parla affranto l’ex ministro Andrea Orlando). E a peggiorare l’isolamento della sinistra si aggiunge adesso pure il flirt giallo-verde, un patto di governo nazionale che in teoria non dovrebbe valere nelle elezioni locali. Difatti Cinque stelle e Lega si presentano ovunque come rivali, Salvini di regola alleato con Berlusconi. Tuttavia, nei rari casi in cui il Pd raggiungerà il ballottaggio, già si può immaginare come si regoleranno tra due settimane gli elettori «populisti»: quelli di destra sosterranno i candidati-sindaco grillini, e viceversa. In un paio di città (Vicenza e Siena), il M5S non ha nemmeno presentato una lista, alimentando il sospetto di una desistenza che mira a favorire l’alleato di governo in tutto il Centro Nord.

Il vento del Sud 
Del resto, il 4 marzo scorso l’Italia ha cambiato verso e, se si dà retta ai sondaggi, specie nel Sud non ci sarà partita. I grillini, che cinque anni fa avevano conquistato un solo Comune capoluogo (Ragusa), stavolta sono in condizione di portarne a casa una decina. Sarebbe una vera sorpresa, ad esempio, se il M5s si facesse sfuggire Siracusa dove tre mesi fa aveva raggiunto il 55 per cento, oppure Trapani (53 per cento) o Brindisi (52). Sulla carta, i suoi candidati potrebbero farcela già stasera. Dovrebbero aspettare i ballottaggi del 24 giugno a Barletta (49 per cento nelle ultime elezioni politiche), a Catania (47,5 per cento), a Ragusa (47) a Messina (45), ad Avellino (40). Grillini in pole position pure ad Ancona e a Teramo. Cosicché circa metà dei 20 Comuni capoluogo, e dei 109 sopra i 15mila abitanti che vanno alle urne, sembrano destinati a tingersi di giallo.

Voto di scambio 
È vero che non sempre i risultati delle Politiche si trasferiscono in fotocopia. Per esempio un mese fa, alle elezioni regionali molisane, i pronostici erano stati ribaltati. Ma adesso Di Maio ha una carta in più da giocare: quella del potere, che gli permette di promettere una mano ai Comuni pentastellati. «Avranno dalla loro parte il governo e potranno parlare con i ministri per risolvere problemi complessi come le crisi aziendali»: attenzione e favori in cambio dei voti. Poi Di Maio si è reso conto che così non funziona, e ha promesso ecumenico: il governo aiuterà tutti, avversari compresi. 

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Da - http://www.lastampa.it/2018/06/10/italia/voto-in-salita-per-il-pd-lalleanza-populista-decider-i-ballottaggi-l4VABKNL9pjkoZa8SNXDLO/pagina.html
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« Risposta #415 inserito:: Luglio 14, 2018, 07:38:55 am »

Si apre una frattura istituzionale. E il M5S si smarca dalla Lega
Braccio di ferro nel governo. L’anomalia di una nave militare italiana bloccata in un porto nazionale. Dopo l’intervento del capo dello Stato il premier telefona al leader leghista: “Facciamoli scendere “
Pubblicato il 13/07/2018

FEDERICO CAPURSO E UGO MAGRI
ROMA

«Facciamo almeno scendere a terra le donne e i bambini». È ormai sera quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte telefona al suo ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per ottenere il via libera nei confronti delle tre donne e dei sei bambini presenti sulla Diciotti, la nave della guardia costiera bloccata dallo stesso Salvini al porto di Trapani da ieri mattina, con 67 migranti a bordo.

Il passo avanti è simbolico, ma decisivo per diverse ragioni. Prima fra tutte, per la difficile cura degli equilibri interni a Palazzo Chigi. Si è infatti alzata a livelli di guardia l’irritazione di alcuni ministri del M5S per l’atteggiamento con cui il leader della Lega, Matteo Salvini continua a trascinare l’intero governo (e l’attenzione mediatica) sul solco del suo aratro, «senza un coordinamento, né alcun rispetto per le competenze degli altri dicasteri». Tanto da far sbottare, in mattinata, il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, che avrebbe dato ordine alla Diciotti di attraccare, comunicando solo a operazione conclusa a Salvini che le responsabilità sarebbero passate interamente al ministero dell’Interno. Ma una volta nel porto, la nave non ha avuto il consenso allo sbarco dei migranti da parte del Viminale.

L’intervento del Quirinale 
Da qui lo stallo che ha spinto il Presidente della Repubblica a intervenire personalmente. E Mattarella lo ha fatto nella maniera più diretta, con una telefonata al presidente del Consiglio di cui il Colle, per carità di patria, non ha reso noto i contenuti; ma se ne possono intuire i presupposti: una nave militare italiana bloccata in un porto nazionale, le tensioni paralizzanti tra poteri dello stato, la totale contraddittorietà di direttive. Per farla breve, una confusione tale da mettere in allarme la massima carica della Repubblica che ne ha chiesto spiegazioni al presidente del Consiglio e, soprattutto, gli ha sollecitato uno sblocco immediato della situazione.

La reazione di Salvini 
Salvini, messo alle strette dalle richieste del Colle e del premier, cede e annuncia: «Spero che in nottata ci sia lo sbarco» degli altri 58 migranti. Ai suoi confida, «non ho sentito addosso le pressioni», ma dal Viminale trapela «lo stupore per l’intervento del Quirinale e il rammarico per la decisione della Procura di Trapani di non arrestare nessuno». 

Al centro delle rimostranze di Salvini c’è infatti il mancato arresto dei due migranti, il sudanese Ibrahim Bushara e del ghanese Hamid Ibrahim, indagati per concorso in violenza privata aggravata nei confronti del personale della nave Vos Thalassa, che li aveva salvati al largo delle coste libiche. È a causa di quelle minacce che si è reso necessario l’intervento della guardia costiera italiana e la conseguente presa in carico dei migranti sulla nave militare fino all’attracco nel porto di Trapani. Nel pensiero di Salvini resta lo scontento per il mancato arresto dei due «pur essendoci prove schiaccianti contro di loro». Per questo, di fronte alla prospettiva di una sconfitta politica, il leader della Lega è deluso: «L’unica cosa che provo in questo momento è amarezza e stupore».

Il sollievo dei Cinque stelle 

Il passo indietro di Salvini, più dell’imminente sblocco della situazione per i 67 migranti, fa tirare un sospiro di sollievo a Conte e agli uomini del Movimento. L’agitazione interna al gruppo parlamentare iniziava ad essere qualcosa di più di un fremito sottopelle. Quando proprio nel giorno dei loro festeggiamenti organizzati in piazza per l’approvazione del ricalcolo dei vitalizi, l’attenzione continuava ad essere catalizzata dall’alleato leghista e da quella che viene considerata, da una nutrita truppa di parlamentari, niente di più di una «politica migratoria rozza». 

Proprio in questo caso, infatti, il blocco dello sbarco dei migranti nel porto di Trapani sarebbe arrivato, come ammesso dallo stesso Salvini, senza che venisse firmato alcun provvedimento. «Ma fino a prova contraria siamo in uno stato di diritto e un comportamento del genere non è immaginabile», sottolinea Gregorio De Falco, senatore del M5S ed ex comandante della guardia costiera. E poi, ragiona il deputato Davide Tripiedi, c’è una questione politica: «Tra la copia e l’originale, l’elettore sceglie sempre l’originale. E noi, anche se per una buona causa, stiamo correndo dietro alla Lega».

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Da - http://www.lastampa.it/2018/07/13/italia/si-apre-una-frattura-istituzionale-e-il-ms-si-smarca-dalla-lega-syvaoz7LlTlzquZvSD57LL/pagina.html
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« Risposta #416 inserito:: Luglio 16, 2018, 10:38:31 am »

Il richiamo di Mattarella al premier: “Adesso basta conflitti fra poteri”

La vera storia della telefonata fra il Capo dello Stato e il presidente del Consiglio dopo il primo stop alla nave Diciotti: Salvini aveva già deciso di concedere l’attracco, ma al Viminale hanno preferito che la responsabilità ricadesse sul Colle

Pubblicato il 14/07/2018

AMEDEO LA MATTINA E UGO MAGRI
ROMA

Il governo ha fretta di voltare pagina. Pur di chiudere il «caso Diciotti», Di Maio e Salvini sono pronti a riconoscere che l’intervento di Mattarella è stato di aiuto, ha consentito di sbloccare una situazione da cui gli stessi protagonisti non sapevano come uscire. La versione che 24 ore dopo si raccoglie dalle parti del Viminale è quasi spiazzante. Pare infatti che il ministro dell’Interno, nelle stesse ore in cui Mattarella chiamava il premier per sollecitare una soluzione, avesse già deciso di dare il via libera allo sbarco dei 67 migranti. Si era reso conto di combattere da solo contro i mulini a vento rappresentati, ai propri occhi, dai colleghi della Difesa e delle Infrastrutture, per non parlare dei pm di Trapani. Se nessuno fosse sceso dalla nave con le manette ai polsi, l’effetto propaganda sarebbe stato pari a zero, anzi mediaticamente un boomerang. Per fortuna, dicono nel giro leghista, il Quirinale ha imposto la sua visione umanitaria, togliendo Salvini dall’imbarazzo di una retromarcia. Addirittura il ministro si è consentito il lusso di criticare Mattarella («stupore» per il suo intervento), salvo poi ridimensionare tutto in attesa del prossimo barcone.

Rispetto dei ruoli 
Di questi giochi tattici sul Colle nessuno si scandalizza. Lassù hanno imparato a convivere con la doppia natura del vice-premier. In privato, Jekyll-Salvini è gentile, amichevole, confidenziale al punto che nell’ultimo pranzo di governo al Quirinale (racconta con il sorriso sulle labbra un ministro di peso) Matteo ha passato tutto il tempo a chattare sul telefonino, incurante della conversazione, un po’ come usava un altro Matteo prima di lui. Salvo trasformarsi pubblicamente in un Mr.Hyde che tenta di far indossare al Presidente la maglietta rossa dell’accoglienza ai migranti, presentandolo come un capofila. Nella realtà, tiene a sottolineare chi lo conosce, Mattarella ha posto una questione istituzionale che va molto oltre l’accoglienza delle donne e dei bambini trattenuti a bordo. Nella telefonata al premier, intorno alle 18 di mercoledì, il Presidente ha chiesto come fosse possibile che a una nave militare italiana venisse impedito di attraccare in un porto nazionale, in base a quali norme e su disposizione di chi. Senza chiamare in causa Salvini, Mattarella ha preteso rispetto per la Procura di Trapani e, in futuro, per tutte le Procure cui spetterà di decidere su eventuali arresti. Ha sollecitato un po’ d’ordine tra i poteri coinvolti nella vicenda, in quanto ognuno deve stare al proprio posto senza invasioni di campo. E soprattutto, Mattarella ha esortato Conte a esercitare senza indugio la leadership connaturata al ruolo, lasciando all’interlocutore la sensazione che, in caso contrario, il Colle avrebbe pubblicamente manifestato un vivo disappunto.

Fuga di notizie 
Un’ora più tardi, stando ad autorevoli ricostruzioni, Conte si è rifatto vivo per assicurare che i migranti sarebbero sbarcati di lì a poco, la controversia si era risolta con sua personale soddisfazione mista a sollievo. Lo scambio di telefonate doveva restare segreto perché rientra nella cosiddetta «moral suasion» presidenziale, che tanto più risulta efficace quanto meno filtra all’esterno. Tuttavia qualcuno ha ritenuto che convenisse scaricare sul Colle la responsabilità dello sbarco, in modo da creare un alibi ai campioni della fermezza. Cosicché il segreto è durato al massimo un paio d’ore. Su chi possa essere la «talpa», sul Colle si sono fatti un’idea. Però non lo diranno mai.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/07/14/italia/il-richiamo-di-mattarella-al-premier-adesso-basta-conflitti-fra-poteri-oOwx7bQL1ngfXarpseVYtK/pagina.html
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« Risposta #417 inserito:: Settembre 17, 2018, 11:47:42 am »

Cena con Salvini, Berlusconi sdogana Foa Ma è deluso: Matteo sempre più legato ai 5S

Il leader padano rassicura Silvio sulle aziende, ma lo gela sui grillini: “Gente seria e persone ragionevoli”

Pubblicato il 17/09/2018

Ugo Magri
Roma
La cena di Arcore non passerà agli annali della Repubblica. E’ stata poco più che una rimpatriata, in attesa di un nuovo incontro conviviale la prossima settimana pure con Giorgia Meloni. Dunque ci vorrà ancora un po’ di tira-e-molla prima che venga sdoganata la candidatura di Marcello Foa per la presidenza Rai (da cui discenderanno a cascata una quantità di altre nomine), e siano gettate le basi delle alleanze di centrodestra per le Regioni dove si vota. Ma ci sono pochi dubbi che finirà così e tutto verrà formalizzato nero su bianco: il clima della serata, per quanto da zero a zero, è stato definito «cordiale». Al Cav premeva ristabilire un metodo di decisioni condivise e farsi garantire che la sua «roba» non verrà toccata, la Lega farà scudo alle minacce grilline di colpire Mediaset. Scontato che Salvini gli desse soddisfazione. Ma se da Matteo si aspettava un filo di rammarico per averlo tradito, e magari la promessa di tornare presto insieme, il Cav dev’essere rimasto deluso. 

Pochi spiragli di futuro
Già prima di accomodarsi a cena, infatti, il vice-premier aveva messo pubblicamente in chiaro che intende governare insieme a Di Maio per tutti i prossimi cinque anni, che i Cinquestelle sono «gente seria e persone ragionevoli», dunque non è per nulla pentito di averci fatto l’accordo, anzi «lo rifarei domattina». Intervistato da Barbara D’Urso a «Domenica Live», il vice-premier aveva pure aggiunto (sorridendo) che con Silvio avrebbero guardato Cagliari-Milan; e si sarebbe recato ad Arcore, in quanto «lui ha la televisione più grossa della mia». È andata proprio così. Mentre loro guardavano il calcio, il numero due della Lega Giorgetti era nella stanza accanto a seguire l’Italvolley.

Evviva l’esperienza
Poi, chiaramente, Salvini con l’ex-premier ci sa fare. Sempre nel corso della trasmissione di Canale 5, cioè nel regno di Sua Emittenza, si era sforzato di addolcire la pillola. «I rapporti con Berlusconi sono sempre stati buoni», aveva sviolinato, «ne ho enorme stima perché è stato un grande nella politica, nel calcio, nell’editoria, nella televisione», tutto rigorosamente al passato. Certo, «gli ho detto che alcune cose, non sue ma dei parlamentari di Forza Italia, non le ho proprio capite. Per anni ci siamo impegnati sul taglio dei vitalizi, questo governo li ha fatti in due mesi, e loro hanno votato contro insieme al Pd. Comunque stasera», aveva tagliato corto, «parleremo di futuro». E per futuro Salvini intende ciò che vorrebbe fare lui: cancellare la legge Fornero, abbassare le tasse. Si aspetta da Forza Italia un aiuto fattivo.

Di Maio indifferente
Anziché preoccuparsi, guarda caso, Luigi Di Maio ha liquidato il summit con nonchalance: «Affari loro». Del resto Antonio Tajani, che era lì pure lui per la prima volta nella sua veste di vice-Silvio, non si era fatto illusioni. Pure lui, al pari di Salvini, aveva piantato in un’intervista televisiva certi paletti. I maligni (dentro Forza Italia sempre numerosi) sostengono che l’avesse fatto per stoppare sul nascere eventuali debolezze del suo capo. Sia come sia, Tajani aveva smentito qualunque ipotesi di partito unico con la Lega, in quanto «siamo troppo diversi anche se crediamo in un minimo comune denominatore». Esiste la concreta possibilità che Forza Italia presenti in futuro liste comuni con l’Udc di Lorenzo Cesa. L’intesa sembra già fatta. Ma la vera incognita «azzurra» è proprio Berlusconi. Non ha ancora deciso se correre alle prossime elezioni europee. La prospettiva di farsi surclassare da Salvini molto poco lo alletta. Tajani spera che il Cav si presenti perlomeno al Sud, dove il match sarebbe più in bilico.
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Da - http://www.lastampa.it/2018/09/17/italia/cena-con-salvini-berlusconi-sdogana-foa-ma-deluso-matteo-sempre-pi-legato-ai-s-qIuJv4blP8wdGhG2IYMY0H/pagina.html
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« Risposta #418 inserito:: Ottobre 06, 2018, 12:39:51 pm »

Draghi a Mattarella: “Attenti alla manovra. Non sottovalutate lo spread e le Borse”

Mercoledì mattina a Roma l’incontro riservato tra il presidente della Bce e il Capo dello Stato

Pubblicato il 05/10/2018

UGO MAGRI
ROMA
Non era la prima volta, ma certo non accade spesso. Mercoledì mattina Mario Draghi è salito al Colle per un incontro riservato con Sergio Mattarella. I due si consultano il più delle volte al telefono, ma con lo spread alle stelle e il governo sotto pressione hanno preferito vedersi a quattr’occhi. L’incontro non è stato reso noto, e la ragione è di prudenza: con un comunicato ufficiale si sarebbe data eccessiva enfasi a un momento già molto delicato di suo. Il presidente della Banca centrale europea ha voluto rappresentare di persona i rischi cui andrebbe incontro l’Italia, nel caso in cui i mercati iniziassero ad accanirsi contro i titoli pubblici, provocando un ulteriore aumento degli spread e dei tassi di interesse fino a livelli insostenibili. Draghi ritiene (e di sicuro al presidente ne avrà parlato) che nel governo italiano ci sia una forte sottovalutazione del contesto in cui si sta scrivendo la manovra.

Cartucce quasi esaurite 
Negli ultimi due anni e mezzo il «Quantitative Easing» della Bce ha contribuito a tenere basso il rischio Paese e il costo del debito. Dal primo di ottobre, però, il piano di Francoforte è entrato nell’ultima fase che terminerà il 31 dicembre. Partita da un totale di 80 miliardi al mese, la Banca centrale europea ora è autorizzata ad acquistare titoli per soli 15 miliardi. Il programma continuerà a calmierare i prezzi grazie al reinvestimento dei titoli già acquistati, ma si tratterà di effetti trascurabili rispetto ad una possibile ondata di vendite. Insomma, ormai gli strumenti a disposizione di Draghi sono terminati: dal primo gennaio l’Italia sarà senza rete. In caso di difficoltà avrebbe come unico salvagente il ricorso al cosiddetto «Omt», lo strumento di sostegno finanziario che costringerebbe Roma ad un programma concordato con la Commissione europea e il Fondo salva-Stati. Di fatto il commissariamento del Paese. 

Garanzie dal vice-premier 
Nel pomeriggio di mercoledì pure Matteo Salvini si è recato riservatamente da Mattarella, e l’oggetto del colloquio non si è limitato al decreto immigrazione. I ben informati sostengono che le preoccupazioni di Draghi sarebbero in qualche misura riecheggiate nella conversazione con il vicepremier. Sempre secondo fonti parlamentari, il leader della Lega avrebbe negato qualunque intenzione di causare fuoriuscite dall’euro, attribuendo semmai ad altri l’intenzione di alimentare la spesa facile. In che misura questi due incontri abbiano contribuito ad alzare il livello della consapevolezza politica, è impossibile dirlo. Fatto sta che nelle stesse ore si è consolidata a livello di governo la scelta di riportare il deficit su una parabola discendente. Non più un 2,4-2,4-2,4 nel triennio (che avrebbe contrastato con l’obiettivo di medio termine del pareggio, fissato nella legge 243, sollevando insuperabili problemi costituzionali), ma un più blando 2,4-2,1-1,8 che perlomeno evita un frontale con l’articolo 97 della Carta. L’Italia resterà fuori delle regole europee, la bocciatura di Bruxelles ci sarà comunque, ma per ora si sono evitate le conseguenze peggiori sui mercati.

Due tacche dal baratro 
La scommessa dell’ala più radicale della maggioranza sbaglia bersaglio: più che l’atteggiamento delle istituzioni Ue, l’Italia deve temere il declassamento da parte delle agenzie di rating. Tempo un mese, ce ne sono due che potrebbero prendere una decisione simile: Moody’s e Standard and Poor’s. L’Italia è ancora due «tacche» sopra il livello spazzatura e, per nostra fortuna, finché il giudizio dell’ultima delle quattro grandi agenzie - la canadese Dbrs - sarà «investement» il Paese non corre il rischio di essere tagliata fuori da tutto il sistema di finanziamento di Francoforte, fondamentale per l’operatività delle banche. Ma il singolo downgrading delle due agenzie più grandi sarebbe, già da solo, in grado di provocare danni incalcolabili, moltiplicando la sfiducia sui mercati. Per cui la prudenza del governo è d’obbligo.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/10/05/italia/draghi-a-mattarella-attenti-alla-manovra-non-sottovalutate-lo-spread-e-le-borse-48SUnozEMfuNExyhMYuaoL/pagina.html
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« Risposta #419 inserito:: Novembre 02, 2018, 12:18:34 pm »

Il monito di Mattarella: niente risse con l’Europa.
Conte: dialogo proficuo
I timori sulla manovra in una lettera del Capo dello Stato al premier.
Palazzo Chigi: lavoriamo per la stabilità dei conti e la tutela dei risparmi

Pubblicato il 02/11/2018

UGO MAGRI
ROMA

Sergio Mattarella mette nero su bianco le preoccupazioni che non sono solo sue, ma del governatore Ignazio Visco, del super-governatore Mario Draghi e soprattutto di tanti italiani in allarme per i propri risparmi. Ne ha scritto una lettera al premier, resa nota ieri dal Quirinale a rettifica di alcune imprecisioni giornalistiche però inviata già mercoledì sera, cioè un attimo dopo la firma con cui il presidente aveva autorizzato il governo a presentare in Parlamento la Manovra del Popolo. La missiva, nella sostanza, sconsiglia di cercare la rissa con Bruxelles, con la Bce e con tutte le altre istituzioni europee. Dopo averla letta, Giuseppe Conte fa sapere che non chiede di meglio: anche lui sta lavorando per rasserenare gli animi. E con la Commissione Ue non è come sembra, Palazzo Chigi ci vede un dialogo «proficuo e costante».

Il “comune intento” 
Dal garbo della lettera presidenziale, e dall’uso misurato delle parole, si capisce chiaramente che Mattarella non desidera avvelenare i rapporti con l’esecutivo. A Conte, il presidente riconosce se non altro la buona fede, cioè il «comune intento di tutelare gli interessi fondamentali dell’Italia, con l’obiettivo di una legge di Bilancio che difenda il risparmio degli italiani, rafforzi la fiducia delle famiglie, delle imprese, degli operatori economici e ponga l’Italia al riparo dall’instabilità finanziaria». Inoltre, tra le righe, Mattarella fa intendere che questo suo invito a dialogare con l’Europa è davvero il minimo, alla luce della Costituzione (articoli 81, 97 e 117), delle valutazioni molto critiche sulla manovra espresse dall’Ufficio parlamentare di Bilancio e infine della bocciatura a tempo di record piovuta da Bruxelles: «È mio dovere sollecitare il governo a sviluppare, anche nel corso dell’esame parlamentare, il confronto e il dialogo costruttivo con le istituzioni europee». Concetti che Mattarella va ripetendo ormai quasi quotidianamente.

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Replica “zen” dal governo 
Del resto, sul Colle ammettono senza problemi che questa lettera a Conte non avrà gli effetti di un’atomica. Sconsigliano di interpretarla in chiave di bacchettata, rimbrotto, altolà, memento o monito al governo. Rientra, assicurano lassù, nell’ordinaria e collaborativa dialettica tra poteri dello Stato che insieme lavorano per il bene dell’Italia. In questo spirito è stata scritta e anche recepita, visto il tono «zen» della risposta governativa. 


Palazzo Chigi rassicura Mattarella sul «comune intento di lavorare alla stabilità dei conti pubblici e alla tutela del risparmio». Spiega come «in un periodo caratterizzato da un ciclo economico avverso», il governo intenda «rilanciare la crescita e l’occupazione, contrastando povertà e diseguaglianze». La replica al Colle assume i contorni di un vero e proprio spot, quando assicura che l’obiettivo è «pervenire a un’Italia deburocratizzata e digitalizzata, attenta ai bisogni dei cittadini, in un quadro di stabilità finanziaria e di sviluppo sociale ed economico». Che poi a Bruxelles si lascino sedurre da questo libro dei sogni, è tutta un’altra faccenda.

LEGGI ANCHE - Mattarella teme i contraccolpi della manovra (Magri) 

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Da - https://www.lastampa.it/2018/11/02/italia/il-monito-di-mattarella-niente-risse-con-leuropa-conte-dialogo-proficuo-qlIXVRLiJ4KaHijiK7hLYM/pagina.html
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