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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 228920 volte)
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« Risposta #150 inserito:: Settembre 12, 2011, 04:01:06 pm »

Politica

12/09/2011 - RETROSCENA

Lo sfogo del Cavaliere "Sul viaggio in Europa tutte menzogne"

Il premier Berlusconi andrà prima a Bruxelles e poi a Strasburgo per spiegare ai vertici europei la nostra manovra, saltando così l'incontro previsto con i pm di Napoli che volevano interrogarlo sul caso Tarantini

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi è parecchio rammaricato (un eufemismo) per come i giornali in special modo, ma tutti i media in generale, presentano la sua trasferta di domani a Bruxelles e a Strasburgo. «Cose da non credere!», è lo sfogo accorato del premier, «io vado dai leader europei in un momento difficile a spiegare la manovra, a chiarire che abbiamo rispettato per filo e per segno tutte le richieste della Bce, a riparare i danni che un certo modo di fare opposizione ha causato all’immagine del nostro Paese, e cosa leggo invece? Che gli incontri con Van Rompuy e con Barroso sono tutta una messinscena per non farmi interrogare...». Il Cavaliere nega nella maniera più assoluta di essere in fuga dai magistrati: «L’incontro non sarà martedì, sarà un altro giorno di questa o della prossima settimana, non è che caschi il mondo se viene ritardato. Tra l’altro ho già chiarito che fisseremo un nuovo appuntamento, d’accordo con la Procura di Napoli».

Nello stesso tempo, però, il capo del governo non è convinto che sia giusto sedersi in veste di testimone, specie dinanzi a Woodcock. Anzi, con tono molto deciso ripete di continuo: «Non vedo affatto perché io debba rispondere alle domande». Agli occhi suoi e dell’avvocato Ghedini sussistono «seri dubbi sulla reale competenza territoriale della Procura partenopea»,visto che gli eventi in oggetto si sarebbero svolti ovunque tranne che all’ombra del Vesuvio. Poi non è detto che lui possa essere ascoltato quale persona informata dei fatti, nel momento in cui già deve difendersi da accuse in qualche modo connesse, per esempio per la vicenda di Ruby Rubacuori. Qualunque cosa dica ai magistrati napoletani potrebbe essere usata contro di lui nel processo di Milano.

Insomma, Berlusconi contesta in radice l’iniziativa della Procura. Argomenta:«Vogliono a tutti i costi ascoltarmi come vittima presunta di un’estorsione che io ho chiarito di non considerare tale». Ai suoi occhi, un memoriale sarebbe bastevole. Comunque sia, «in questo momento la crisi finanziaria deve avere la precedenza su tutto il resto», è questo che secondo Berlusconi l’Italia dovrebbe capire. Tra l’altro, «se invece di spiegare all’Europa gli sforzi che stiamo facendo io dedicassi la giornata di martedì all’incontro coi magistrati, subito mi accuserebbero: per colpa delle sue vicende giudiziarie, Berlusconi non può assolvere ai doveri internazionali di premier...».

Fin qui lo sfogo, accorato ma senza un filo di autocritica. E senza ammettere, per dirne una, l’errore di un viaggio alla chetichella, guai se i giornali lo fossero venuti a sapere, salvo che poi ne ha dato per caso notizia il ministro Romano, titolare dell’Agricoltura, perché niente si riesce a tenere segreto in un mondo di chiacchieroni. Di qui il pasticcio comunicativo che si aggiunge a tutti gli altri, anzi forse è il meno grave. Perché ce n’è uno, ben più serio, di cui si parla nei circoli politico-finanziari. Questo «pasticcio», stando al racconto di fonti troppo autorevoli per prendere abbagli, Silvio se l’è costruito con le sue stesse mani.

Tutto viene fatto risalire ai giorni dello scontro tra Berlusconi e Tremonti. Siamo alla vigilia di Ferragosto, lo spread schizza alle stelle. Invece di far pace col suo ministro, il Cavaliere lo scavalca. E forte del suo eccellente francese, chiama direttamente Trichet, presidente della Bce. Gli chiede indicazioni, suggerimenti. Così facendo attira la famosa lettera che viene redatta a Roma (Draghi) con tutti i sacrifici da fare. Quando Berlusconi la riceve, scopre che le richieste europee sono molto più dure di quanto lui si aspettasse; capisce di essere finito in trappola; per due settimane tenta di svicolare, viene inchiodato da Francoforte. Nel frattempo lo spread torna sopra i livelli di guardia, con la manovra già «bruciata» e senza garanzia che gli aiuti Bce saranno decisivi. Più delle telefonate a Tarantini, avvertono dunque figure chiave della politica economica, conviene tenere d’occhio la «curva dello spread, che solo tre mesi fa ci vedeva allineati a Francia e Germania».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419752/
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« Risposta #151 inserito:: Settembre 13, 2011, 10:37:13 am »

Politica

13/09/2011 - MANOVRA IL GOVERNO

Domani la fiducia, nel Pdl aumentano i dubbi: non basterà

Il premier oggi in Europa per rassicurare Bruxelles E manda a Napoli un memoriale sul caso Tarantini

UGO MAGRI
ROMA

La giornata
Domani sera la Camera metterà il timbro sulla manovra senza correggere nemmeno una virgola. C’è il voto di fiducia, e pure chi nella maggioranza ha crampi allo stomaco (vedi il «responsabile» Scilipoti) alla fine dirà sì per non far cadere il governo. L’urgenza è motivata con la pressione dei mercati. Vero che tutta l’Europa è sotto tiro, ma intanto la Borsa di Milano va a picco, e supera i livelli di guardia lo spread con i titoli di Stato tedeschi. Vuoi vedere che questa manovra ancora non è approvata e già non basta? Che ci verranno richiesti dall’Europa nuovi sacrifici? Il dubbio serpeggia nel Palazzo. Tremonti, forte del rapporto con Bossi che ha coltivato pure ieri, lavora a un pacchetto di misure sul lato della crescita: sente ministri, concorda iniziative anche con quelli a lui meno amici, organizza seminari per valorizzare il patrimonio pubblico, chiede ai banchieri generosità nel foraggiare le imprese. Però domina lo scetticismo. Perfino nelle file del governo qualcuno scuote la testa, «di questo passo servirà ben altro», cioè tutto quello che la maggioranza non è stata in grado di decidere. Un intervento sulle pensioni. Una bella patrimoniale...

«Ghe pensi mi»
Si è sparsa voce che Berlusconi acquisterebbe titoli pubblici di tasca sua per 100 milioni di euro. Non basterebbero ovviamente ad accorciare lo spread tra Bund e Btp che, prende atto il portavoce Bonaiuti, «risente purtroppo del rischio Grecia». Però il «beau geste» darebbe un segnale di fiducia, perché se Silvio rischia di suo significa che è un affare (guarda caso, i rendimenti sono al top). Il Cavaliere oggi sbarca a Bruxelles e poi a Strasburgo, ufficialmente per spiegare all’Europa quanto efficace sarà la manovra governativa. Ripeterà a Van Rompuy e a Barroso i concetti illustrati ieri mattina su Canale 5: «Per la prima volta in 135 anni manterremo i saldi in pareggio, qualunque altro governo ne sarebbe rimasto schiacciato». L’opposizione gli prepara un bel «comitato di accoglienza»: sono pronte per il premier contestazioni davanti al Consiglio europeo e nella sede del Parlamento di Strasburgo, il cui presidente Buzek concederà a Berlusconi «un paio di minuti». Verrà presentato come un uomo in fuga dai magistrati ai quali, invece di riceverli per fare chiarezza sul presunto ricatto di Tarantini, farà recapitare oggi dall’avvocato Ghedini un memoriale.

La versione di Silvio
«Non credo sia reato aiutare chi ha bisogno», nella fattispecie «una famiglia con figli piccoli, una madre a carico, passata dall’agiatezza alla miseria anche per colpa dei magistrati». Quindi zero timore (a parole) del faccia a faccia coi pm napoletani, la trasferta europea è caduta nello stesso giorno mica per malizia ma solo perché non era possibile organizzare diversamente l’agenda... Il suo entourage rimane con le antenne dritte, si attende che da un momento all’altro possano uscire dai cassetti le famose intercettazioni del premier al telefono con Tarantini. Compresa quella in cui, spera non sia vero Buttiglione, «il capo del governo italiano si esprime in modo sprezzante e volgare sulla Merkel». A proposito di centristi: il Cavaliere respinge al mittente la loro offerta, dimissioni in cambio di un salvacondotto giudiziario. «Ma quali garanzie possono darmi, figuriamoci» pare sia stata la sua risposta quando il fido Confalonieri è andato a riferirgli le avances di Casini. Il quale Casini non ha contattato solo lui e Gianni Letta, ma svariati altri personaggi del Pdl, generando così negli interlocutori l’impressione di una disponibilità troppo ostentata per essere vera.

Primarie per legge
A discuterne si sono ritrovati nella sede del «Secolo d’Italia» Veltroni, Augello, Ferrara e Quagliariello. Nel Pdl l’argomento primarie sta diventando un modo educato per dire a Silvio: resta pure fino fino al 2013, ma poi basta così.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419952/
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« Risposta #152 inserito:: Settembre 17, 2011, 04:29:15 pm »

Politica

17/09/2011 - L'ESECUTIVO, GLI EQUILIBRI

Il patto Silvio-Maroni che inquieta

L'intesa tra i due risalirebbe al 30 maggio scorso

Berlusconi di buonumore: "A Umberto ci penso io"

UGO MAGRI
ROMA

Umberto Bossi e Angela Merkel non hanno nulla in comune. Eppure tanto il fondatore della Lega quanto la Cancelliera di Germania sono offesi a morte col Cavaliere. Il primo per un articolo su «Panorama» che racconta la moglie del Senatùr presentando lui come uno zimbello laddove lei, Manuela Marrone, fa e disfa le trame della politica.

Chi se ne intende conferma: molto, effettivamente, ruota in Padania attorno a questa donna energica.

Ma non è questo il punto. Bossi crede che a ordinare il ritrattino della moglie «matrona, patrona e un po’ terrona» sia stato l’editore del newsmagazine, tal Berlusconi Silvio. Il quale fa tanto l’amico e poi, sotto sotto, manda i sicari a colpirlo negli affetti più profondi... Anche qui, la verità è più semplice, «Panorama» ha fatto un’inchiesta senza chiedere il permesso, Berlusconi «non c’entra un fico» convergono tutte le fonti interne mondadoriane. Il premier ha perfino diffuso una nota costernata per scagionarsi agli occhi dell’alleato. Tutto inutile, però. Con il passare delle ore l’ira di Bossi cresce anziché sbollire, come si è ben colto dai discorsi esagitati di ieri. Qualcuno poi è corso a sussurrargli nell’orecchio che Berlusconi ha stretto un patto segreto con Maroni per farlo fuori, addirittura gli hanno fornito la data presunta in cui fu stipulato l’accordo, il 30 maggio scorso durante una visita di Stato a Bucarest. Il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno si chiusero in una stanza, vi restarono un’ora a quattr’occhi e da quel giorno Bobo iniziò ad alzare la cresta dentro il partito. Che strano.

Quanto alla Merkel, anche lei disgustata da Silvio: poteva non leggere ciò che strillano i giornali tedeschi? In una telefonata con Tarantini, Berlusconi avrebbe detto cose «irriferibili» sul suo conto. Fonti berlinesi assicurano che Angela nemmeno ha voluto indagare a fondo sulle frasi esatte attribuite al nostro premier (tra l’altro sarebbe arduo tradurle dalla lingua di Dante a quella di Goethe). Aggiungono nella capitale tedesca che la Cancelliera vuole «guardare oltre» la vicenda, mica intende ritirare l’ambasciatore da Roma come certi ambienti del Pdl ieri temevano. Però incontrando personaggi autorevoli del nostro Paese, la Merkel non ha trattenuto in privato il giudizio seguente: «L’Italia deve cominciare a essere molto più seria». Si riferiva al premier, all’economia o a entrambe le cose?

Berlusconi, interpellato più volte dal suo entourage, nega di essersi mai sbilanciato sulla Merkel, «non mi ricordo affatto» giura. La famosa intercettazione con Tarantini non è ancora uscita e, incrociano le dita a Palazzo Chigi, mai uscirà dalle carte baresi, resterà annegata nei cassetti per carità di patria. Cosicché il Cavaliere non dovrà porgere alla Cancelliera delle scuse che, magari, gli verrebbero rifiutate. La preoccupazione principale del premier, in questo momento, è sopravvivere allo tsunami di porno-politica. Voleva contrattaccare con una conferenza stampa, bordate a destra e a manca; la sua lettera a più mani che viene pubblicata stamane dal «Foglio» è l’imbuto entro cui l’hanno convinto (Letta, Bonaiuti, gli stessi avvocati) e convogliare la sua ira.

Aspettiamoci tuttavia numeri da circo lunedì quando, invece di volare a New York, Berlusconi andrà in Tribunale a Milano per il processo Mills. Dicono che abbia rinunciato alla sessione Onu sulla Libia perché l’avevano messo in fondo alla lista degli iscritti a parlare; in verità pare resti in Italia perché ha qualche conto da regolare coi magistrati. Cicchitto anticipa il tema: «Siamo in un regime di illegalità prodotto da un nucleo di magistrati». Berlusconi lo svolgerà come sa fare lui.

Sbaglia però chi lo immagina in preda all’angoscia. Anzi, si mostra di ottimo umore. Garantisce ai deputati Pdl: «State sereni e tranquilli, arriveremo al 2013, a Bossi ci penso io». L’altra sera è andato ospite alla festa del parlamentare ed editore Angelucci nella villa sontuosa che fu della Loren sui Castelli Romani. Nessuno è risultato più allegro e gigione. Barzellette, aneddoti, si è perfino inginocchiato per celia davanti al padrone di casa. La serata ha avuto il suo top con meravigliosi fuochi d’artificio, inframmezzati da musiche di Strauss e di Morricone. Sono così tanto piaciuti al premier, che ha subito contattato la ditta per uno spettacolino in Sardegna, quando riceverà qualche leader straniero.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420585/
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« Risposta #153 inserito:: Settembre 18, 2011, 04:22:22 pm »

Politica

18/09/2011 - RETROSCENA

Silvio stupito: “In fondo che ho fatto di male?”

La strategia del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: resistere ad ogni costo e soprattutto non pentirsi mai

Sabina Began «l'ape regina» indagata a Bari

A un’amica confida: sfido chiunque a non provarci con la Arcuri

UGO MAGRI

«Che ho fatto di male, in fondo?». Berlusconi in queste ore si mostra esterrefatto dello stupore collettivo. Confidenza del premier a un’amica: «Ci ho provato con la Arcuri, è vero, ma alzi la mano quell’italiano che al posto mio si sarebbe comportato diversamente».
L’unica vera distinzione, nell’ottica del Cavaliere, è tra chi può e chi non può permettersi certe cose.

Zero autocritica, insomma. Tanto che l’altro ieri, quando ha mandato la sua lunga lettera al «Foglio», si è molto indispettito.
La bozza scritta a più mani conteneva per la prima volta una sorta di ammissione, Silvio peccatore sì ma pentito, voglioso di farsi perdonare in futuro. E invece niente. Appena l’ha letta, con un colpo di penna Berlusconi ha cancellato tutto ciò che suonava come onesto «mea culpa». Della bozza originaria è rimasto soltanto l’attacco ai magistrati.

I capoccia del Pdl hanno capito l’antifona, cosicché neppure sotto la grandine delle porno-telefonate se la sentono di andargli a chiedere un passo indietro. Primo, perché tanto lui non lo farebbe; per quanto assurdo possa sembrare, il Cavaliere si sente lanciatissimo.
A un vecchio sodale diceva ieri: «Io vado avanti, tanto dall’altra parte non c’è nessuno... Sì, quello di Bari con l’orecchino, quell’altro di Piacenza, come si chiama? Ah, Bersani. Dai, non vanno da nessuna parte». E comunque, vai a trovare chi, dei tanti cooptati, avrebbe il coraggio di dirgli «dimettiti». Falsa la voce che Confalonieri e Letta si siano spinti così avanti. Semmai gli hanno riferito un’ambasceria di Casini della serie: se tu mandi avanti Alfano al posto tuo, potremmo tornare alleati... «Non se ne parla nemmeno», tagliò corto con Gianni e con Fidel il premier. Tornarci su sarebbe tempo perso.

Come pensano di regolarsi, dunque, ai piani alti del partito e del governo? E’ sensazione diffusa che le intercettazioni siano un pozzo senza fondo. A Bari ne restano quasi 100 mila non ancora trascritte, ma qualche avvocato (gli imputati sono Fico potrebbe frugare tra i brogliacci e passare ai giornali la merce più imbarazzante. Poi, calcolano in via dell’Umiltà, c’è tutto il filone Lavitola su cui la procura di Napoli non ha scoperto le carte. Infine a ottobre ecco il processo Ruby, con la sfilata di miss vogliose di raccontare... Sospira un gerarca: «Possiamo soltanto tentare di mettere tra parentesi Berlusconi, far vedere che nonostante lui il governo lavora e il Pdl si dà da fare». Tenerlo lì come la mummia di Tutankamon, nel frattempo preparare il futuro con Casini.

Già, perché tutti gli sguardi speranzosi si appuntano sull’Udc. E’ convinzione, tra gli strateghi orfani del premier, che alla fine Pier dovrà per forza allearsi con loro. Non subito, ma alle elezioni politiche, quando saranno. Osserva Quagliariello: «Bersani e Di Pietro ci hanno fatto due enormi favori. Il primo, prendendo impegni con Sel e Idv che renderebbero superfluo il Terzo Polo.
L’altro, definendo i centristi le escort della politica. Dobbiamo cogliere la palla al balzo per costruire il fronte dei moderati». Attendiamoci avances sulla riforma elettorale, sulla bioetica, sulla qualunque.

L’incognita è la Lega. L’ira di Bossi con Berlusconi non è svanita, dalle sue parti cresce la voglia di votare a marzoaprile 2012.
Così non si farebbe l’eventuale referendum elettorale, non verrebbero abolite le province e non sarebbero dimezzati gli onorevoli e i senatori... Il voto sull’arresto di Milanese, giovedì alla Camera, difficilmente farà cadere il governo. Tremonti sente odore di bruciato, ma nei colloqui privati è nettissimo: «Si illude chi pensa di farlo arrestare per ottenere le mie dimissioni.

Io non proprio ho nulla da temere». Quel voto, tuttavia, sarà la cartina al tornasole per capire che cosa si agita nella Lega. Un sì all’arresto di Milanese vorrebbe dire che una parte del Carroccio ha deciso, così non si va avanti, in primavera tutti quanti alle urne.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420674/
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« Risposta #154 inserito:: Settembre 19, 2011, 12:04:51 pm »

Politica

19/09/2011 - GOVERNO- L'AUTUNNO CALDO

"Gli italiani mi amano". Ma ora Berlusconi teme il referendum

La raccolta delle firme per il referendum ha registrato un'accelerazione che preoccupa il premier, secondo cui la Lega non vuole tornare al Mattarellum

Nel partito del Cavaliere si studia una riforma elettorale: proporzionale alla tedesca per compiacere Lega e Udc

UGO MAGRI
ROMA

«La gente mi ama», resta convinto Berlusconi, e siccome al cuor non si comanda «tornerebbe a votarmi» nonostante ormai risulti dalla sua inconfondibile voce (certe intercettazioni si possono ascoltare on-line) che tanto «eleganti» quelle feste di Arcore proprio non erano, e il bunga- bunga che vi si praticava è un po’ come tutti l’abbiamo sempre immaginato. «L’Italia continua a volermi bene e sarebbe pronta a difendermi», insiste incrollabile il premier con quanti riescono a parlargli, non troppi in verità: ieri black-out quasi totale.Nella villa sul lago dove ultimamente si rifugia, Berlusconi s’è studiato le carte del processo Mills, dove stamane potrebbe fare uno show, e non certo per annunciare le dimissioni.

Le uniche telefonate domenicali del premier hanno avuto per oggetto la Lega. Nemmeno lui ha ben chiaro dove voglia spingersi l’Umberto. Da quando Bossi è offeso per un articolo di «Panorama » sulla moglie, i due non si sono più parlati, né risulta che abbiano in programma di vedersi a breve. Di rimbalzo, il Cavaliere ha appreso due notizie, una buona (per lui) e l’altra decisamente meno. La prima, che la Lega per ora non fa cadere il governo, che ilmalessere padano prescinde dalle vicende giudiziarie passate e future del premier, che è una questione molto più di fondo; la seconda (quella cattiva) è che Bossi torna alle origini, il federalismo non gli basta più, siamo di nuovo all’apologia della secessione.Ciò costituisce, oggettivamente, un problema politico. Come si può fare alleanza con i centristi (senza di loro, dimostrano tutti i sondaggi, la partita elettorale sarebbe persa in partenza) e al tempo stesso restare a braccetto con un partito che vuole dividere l’Italia?

Chiaramente non è possibile. A complicare il puzzle ci si mette pure il referendum lanciato da Parisi, quello per tornare al Mattarellum, un sistema elettorale che sta alla Lega come la Kryptonite per Superman. Se la raccolta di firme avrà successo (ce ne sono già 450 mila, tra i sottoscrittori anche esponenti Pdl come Vizzini), può accadere che la Corte costituzionale dia disco verde, dunque si voti in primavera sul referendum. Pur di evitarlo, la Lega potrebbe giocare d’anticipo e mandare tutti alle urne, non sul sistema elettorale ma per le Politiche. Il verdetto della Consulta sulla ammissibilità dei quesiti arriva di regola ai primi di gennaio, con un timing perfetto.

Come impedire la catastrofe già scritta? Tra le teste pensanti del Pdl comincia a farsi largo una pazza idea:buttare a mare il «Porcellum». Cioè il sistema elettorale attuale che prevede un candidato premier e un premio di maggioranza. Per adottare al suo posto un altro sistema che solletichi Casini, piaccia alla Lega ma soprattutto sterilizzi gli effetti politici del referendum.Un testo scritto ancora non c’è, siamo a livello di sobrie enunciazioni come quelle di Alfano e di Cicchitto ieri a Cortina: nell’ambito delle riforme istituzionali bisognerà pensare a «qualche modifica» del sistema attuale. Però a microfoni spenti il tema viene declinato sotto forma di modello spagnolo o di sistema tedesco. In pratica, si immagina un ritorno al proporzionale della Prima Repubblica con certi correttivi tipo lo sbarramento o un meccanismo di assegnazione dei seggi che impediscano la frammentazione in mille partitini (di fatto resterebbero sulla scena 5-6 soggetti politici). Il bipolarismo andrebbe in soffitta, rimpiazzato da un sistema di coalizioni, dove per vincere non sarà più necessario affidarsi a «uomini della Provvidenza »... Il problema riguarda molto da vicino il partito del premier: alPdl conveniva il maggioritario quando aveva un Leader con la maiuscola, ma adesso chi garantisce che resterebbe un affare? Sarà interessante la reazione di Berlusconi, quando i suoi colonnelli prenderanno coraggio, e gliene andranno a parlare.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420803/
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« Risposta #155 inserito:: Settembre 24, 2011, 11:47:02 am »

Politica

24/09/2011 - RETROSCENA

Tremonti: non mi dimetterò mai

Il ministro dell'Economia, Giulio tremonti, e Berlusconi: i rapporti tra i due sono sempre altalenanti, ma nell'ultimo periodo sono diventati sempre più tesi

La tentazione del ministro sotto attacco è lasciare che il premier se la cavi da solo contro la crisi

UGO MAGRI
ROMA

La grande tentazione di Tremonti, in queste ore, è prendere sul serio Berlusconi. Cioè lasciare che in futuro il premier agisca di testa sua, senza mai più puntare i piedi, senza mettersi di traverso o minacciare le dimissioni come accadeva in passato, quando Silvio metteva becco nelle faccende economiche.

Il titolare dell’Economia si trova a Washington, immerso nel G20 sulla crisi. Apprende dalle rassegne stampa (gliele inoltra il nuovo portavoce Pippo Pepe) che Berlusconi lo metterebbe al muro tanto è arrabbiato con lui perché giovedì non era in aula a votare su Milanese. È rimasto senza parole, Tremonti, nel leggere che Berlusconi lo accusa di denigrarlo ogniqualvolta si reca all’estero. Mai accaduto, giura il ministro, «tra l’altro, se lo facessi indebolirei me stesso agli occhi degli interlocutori», specie quelli anglosassoni.

Ha letto pure di una telefonata tra lui e il premier («in realtà non ci siamo parlati, chi non ci crede controlli i registri delle chiamate»), nel corso della quale Berlusconi gli avrebbe ingiunto di partire per l’America dopo e non prima del voto alla Camera, prendendo l’Airbus governativo anziché il volo di linea. «Fantastico, così loro stessi mi avrebbero accusato di buttare 100 mila euro per salvare dal carcere il mio ex-collaboratore», è la replica privata del ministro. Il quale ha la certezza che si sarebbe trovato nel mirino comunque; se non fosse andato a Washington, per aver disertato il summit; se ci fosse andato dopo le votazioni, per avere sprecato cherosene di Stato; e avendo preso invece l’aereo di linea, per avere scaricato sugli altri onorevoli l’ingrato compito di difendere Milanese. Rispetto al quale Tremonti ammette una leggerezza: quella di avergli delegato tutte le seccature, cosicché Milanese col tempo è cresciuto secondo la nota legge di Peters fino al livello della propria incompetenza, esercitando un potere cui non era abituato, per esempio in materia di nomine negli enti che l’ex braccio destro «ormai trattava direttamente con Gianni Letta». Quanto ai famosi 4mila euro in nero per la casa in affitto, affiora nel ministro il dubbio di essere stato eccessivamente prodigo, sebbene i soldi non gli manchino e da tributarista ne avesse guadagnati un po’.

Berlusconi invece pagherebbe di tasca propria per licenziare Tremonti. A Vespa, ricevuto nel suo salotto, il premier ieri confidava che purtroppo non ha il potere di cacciare i ministri, la Costituzione andrebbe rifatta. E Giulio non ha la minima intenzione di spianargli la strada («Berlusconi non può dimissionarmi, io non mi dimetto»). I due sono destinati a convivere. Come sempre, senza volersi bene. L’unica vera novità è che adesso il Cavaliere vuole mettersi al volante. E che l’altro a sorpresa da Washington gli dice «prego, fai pure». Si sente troppo debole per resistere, o magari non ne ha più voglia, o infine (è una supposizione) pensa che tanto la legislatura durerà ancora pochi mesi, si voterà in primavera, tanto vale laissez-faire, laissez passer.

Il capo del governo vuole esercitare finalmente il suo ruolo? Pretende di coordinare le annunciate misure per la crescita? Vuole avvalersi di consulenti prestigiosi per non dipendere in tutto e per tutto dal suo ministro? Tremonti stavolta gli risponde: prego si accomodi, ci mancherebbe altro, ma... Ci sono alcuni «ma». Per «fare la crescita», come spiegano molto molto in alto al Tesoro, ci sono due soli modi. Il primo consiste nell’abbattere le tasse, investire denari, insomma spendere e spandere. Purtroppo questa strada «ci è drammaticamente preclusa» dalle condizioni di bilancio, con l’obbligo del pareggio nel 2013 «che Berlusconi, non Tremonti, ha sottoscritto davanti all’Europa». Tra l’altro c’è da tagliare subito 6 miliardi di euro ai ministeri, andrà fatto con un Dpcm (decreto del presidente del Consiglio), dunque il Cavaliere ci metterà la firma. «Se ne vuole occupare personalmente? Vorrà dire che toccherà a lui una volta tanto la parte del cattivo, non avrà nessuno su cui scaricare la colpa».

Berlusconi immagina un grande piano di dismissioni patrimoniali che permetta di abbassare il debito pubblico dal 120 per cento del Pil giù giù fino a quota 90. Però «sbolognare i gioielli di Stato (Eni, Enel) con corsi azionari così sfavorevoli, sarebbe un regalo alla speculazione, lo capirebbe un bambino». Griderebbe la Corte dei conti, piomberebbero i caramba con le manette. L’altro modo per fare sviluppo, aggiungono le stesse fonti del Tesoro, sta nelle liberalizzazioni. Nel dire basta privilegi, basta corporazioni, basta lacci e laccioli. Questo tipo di riforme «non costa e funziona. O meglio, funzionerebbe se qualcuno avesse il coraggio di procedere per davvero». Nel decreto anti-crisi c’era un articolo che cancellava gli ordini professionali; Tremonti l’aveva infilato prevedendo le reazioni. «È venuto giù il mondo». E il primo a opporsi indovina chi fu? «Proprio Berlusconi...».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421786/
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« Risposta #156 inserito:: Settembre 26, 2011, 09:35:10 am »

Politica

25/09/2011 - RETROSCENA

Offerta al Pd: sfiduciate Tremonti

"Mozione dall'opposizione, noi pronti a sostenerla"

Berlusconi dubbioso

UGO MAGRI
ROMA

Pur di levarsi di torno Tremonti, un folto gruppo di deputati Pdl sarebbe pronto a tutto, perfino a commettere (politicamente, si capisce) suicidio. Corre voce, ad esempio, che nelle famose votazioni di giovedì alla Camera su Milanese i «franchi tiratori» della maggioranza non fossero solo quelli accertati col pallottoliere, ma parecchi di più, e tutti accecati dalla voglia di colpire trasversalmente Giulio.
Ne sono risultati soltanto cinque perché, spiega un’autorevole fonte Pdl, in soccorso di Milanese (e di Tremonti) sono giunti sottobanco almeno altrettanti voti dal centrosinistra, forse addirittura una decina, «tanto a scrutinio segreto chi li vede?». In questo modo «si è scongiurata una crisi che il Pd, nonostante le chiacchiere, non desidera affatto: altrimenti Bersani sarebbe obbligato a sostenere qualche governo tecnico che massacra le pensioni...».

Insomma, l’assalto a Tremonti è andato a vuoto. Però i suoi nemici, guidati dal sottosegretario Crosetto, non perdono la speranza. E tornano alla carica proprio coi vertici del Pd. Dove sono stati recapitati messaggi del tipo: «Se voi presentate alla Camera una mozione di sfiducia contro il ministro dell’Economia, parecchi di noi ve la firmano, e lo mandiamo a casa...». I destinatari dell’ambasciata sono rimasti a bocca aperta dinanzi a tanta disinvoltura. E può darsi che stavolta nel Pd ci facciano un pensierino, alla tentazione di far cadere il governo non si resiste in eterno.

Berlusconi è combattuto. Non sa bene se alzare il piede o pigiare il pedale dell’acceleratore. Come al solito manifesta umori diversi a seconda di chi parla al telefono. Correva voce ieri di comunicazioni molto perturbate tra Washington (dove si trova Tremonti) e Roma (prima che il Cavaliere partisse per la Sardegna), che se ne fossero detti di tutti i colori. Falso. In realtà i due non comunicano da giorni. L’unico tramite è Gianni Letta, parafulmine di tutti gli sfoghi. Con il ministro si è sentito venerdì notte, per via dei fusi orari, e di nuovo stamane all’alba, senza particolare gioia ma con toni sempre civili. Il filo non si è spezzato del tutto. Nessuno sa per quanto tempo ancora potrà reggere.

C’è nell’entourage chi sostiene che Berlusconi abbia una tecnica sopraffina per scaricare sugli altri la colpa di ciò che non va. Qualcosa di simile era già accaduto con altri capri espiatori, l’Udc prima, Fini poi. Colpa loro se non si sono fatte certe riforme. Corsi e ricorsi della storia: c’è la crisi? L’Italia ne soffre? Prendetevela con Tremonti che ha sbagliato, ma d’ora in avanti «ghé pensi mi»... Berlusconi mostrerà che si fa carico in prima persona delle scelte economiche, senza più deleghe in bianco al super-ministro. I suoi strateghi pensano che si limiterà a esautorarlo nei fatti, senza pretendere dimissioni che Giulio tra l’altro non darebbe, e senza profittare dell’eventuale mozione Pd che sollecitano i suoi «pasdaran».

In fondo a Berlusconi ciò che più preme è durare. E casomai tutto precipitasse, il Cavaliere punterebbe direttamente al voto, con la speranza di farcela una volta di più. Sbaglia chi pensa che Silvio abbia in mente chissà quale piano sofisticato per rimontare nei sondaggi, tipo patti di alleanza con i centristi. Basti dire che la riforma elettorale allo studio nel Pdl non è affatto una mano tesa al Terzo Polo. Il sistema alla spagnola che lo «chef» Verdini gli sta cucinando serve solo a evitare il referendum elettorale, cambiando le carte in tavola. Al posto del Porcellum arriverebbe un sistema ancora più bipolare, che spazzerebbe via i centristi. Casini ha mangiato la foglia, non a caso ha dato una rispostaccia al segretario berlusconiano Alfano, che voleva far credere il contrario.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421869/
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« Risposta #157 inserito:: Settembre 27, 2011, 10:43:16 am »

Politica

26/09/2011 - RETROSCENA

Ma il sogno proibito si chiama condono

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti sempre più sotto il fuoco a micodel Pdl. Non è piaciuta ai compagni di partito (e al premier in particolare) la sua assenza nel giorno del voto sull'arresto del suo ex braccio destro, Marco Milanese

Il Cavaliere anticipa il rientro a Roma e in serata sente Letta

UGO MAGRI
ROMA

Ieri sera Berlusconi è calato a Roma. Di solito dalla Sardegna, dove trascorre i weekend fino a quando regge il clima, si dirige su Milano per sbrigare certe sue faccende private. Se d’improvviso il Cavaliere ha cambiato programma, dev’esserci per forza una ragione di speciale importanza. Qualcuno dello staff la collega alle due telefonate di ieri, la prima a Cuneo e la seconda a Bisceglie, in cui Berlusconi ha sparso la sensazione di volersi tuffare nelle misure per lo sviluppo e per la crescita che «esamineremo» in settimana, ha detto. Pare abbia già incontrato Gianni Letta, suo braccio destro. E si prepara una mattina di fuoco, riunioni con i fedelissimi prima di tornare ad Arcore, perché c’è da decidere il «chi», il «come», ma soprattutto il «che fare».

Domanda numero uno: che fare con Tremonti? Berlusconi non ha deciso se licenziarlo o invece no. Se dar retta a chi (la lista è lunghissima, ma sicuramente la guidano Galan e Crosetto) gli suggerisce di «cacciare Giulio addebitandogli la colpa delle decisioni sbagliate» e chi (vedi Fitto, ma pure anti-tremontiani come Cicchitto, per non dire di personaggi prudenti tipo Letta e di Bonaiuti) invitano il premier a considerare il momento, sarebbe da pazzi scatenare una guerra col titolare dell’Economia proprio adesso che lo «spread» con i bund tedeschi viaggia intorno ai 400 punti. Tra l’altro il Professore, che ieri è tornato a Pavia direttamente da Washington, non ha la minima intenzione di dimettersi. E casomai vi fosse costretto dalle circostanze, vale l’immagine colorita di un ministro economico: «Sarebbe come avere nel governo un kamikaze con il giubbotto pieno di esplosivo: Giulio salterebbe in aria, ma tutti noi con lui...».

Meglio evitare. Non per caso a sera Bossi, che nonostante la salute vede più lontano di molti, annotava: «Tremonti non è in pericolo». E dovendolo «sopportare» al Tesoro, meglio ottenere la sua collaborazione per fare in fretta questo decreto sullo sviluppo, di cui ancora nulla è nero su bianco, solo poche idee (avrebbe detto Flaiano) ma confuse. Il libro dei sogni berlusconiano punta a «quota 90», il rapporto tra debito pubblico e Pil che quasi per incanto crolla di 30 punti dall’attuale 120 per cento, riportandoci tra i paesi semi-virtuosi. La bacchetta magica si chiama «dismissioni», in pratica la vendita di asset pubblici, immobiliari e non. Guai però a toccare Eni ed Enel, avverte Osvaldo Napoli, in quanto fruttano soldi freschi all’Erario, venderli sarebbe un autogol. Ci sarebbe l’immenso patrimonio immobiliare. Verdini ha consegnato a Berlusconi un dossier ricco di numeri e di proposte. Lo stesso Tremonti ha convocato per giovedì un incontro sull’argomento, si chiamerà «seminario» in modo che nessuno immagini decisioni rapide, né tantomeno svendite dei gioielli di Stato. Se ne potrebbero ricavare centinaia di miliardi, però il demanio è passato agli enti territoriali, ci va di mezzo il federalismo, il groviglio legislativo è pressoché inestricabile.

Ma il vero pozzo di denari cui tutti pensano, perlomeno nel Pdl, si chiama condono. Fiscale o edilizio, parziale o tombale, non ha importanza, purché vi si attinga senza falsi pudori... L’armistizio con Tremonti dovrebbe consistere, secondo quanto va maturando in queste ore, in una sorta di compromesso: il partito cessa di attaccarlo, mette la sordina a Brunetta e agli altri critici del Professore; in cambio lui finge di dare ascolto ai colleghi di governo, e consente qualche operazione di finanza straordinaria fin qui negata. Per dirla con un personaggio ruvido ma sincero come Cicchitto, «per andare avanti servono grandi decisioni, bisogna prendere di petto il debito pubblico». Altrimenti, tutti a casa.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421973/
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« Risposta #158 inserito:: Settembre 27, 2011, 11:25:17 am »

Politica
27/09/2011 - RETROSCENA

Bagnasco, l'attacco dopo il mancato "mea culpa" del premier

Il capo dei vescovi avrebbe anche telefonato a Letta

UGO MAGRI
ROMA

C’ è sempre una goccia che fa tracimare il vaso, e nel giro berlusconiano credono di sapere precisamente quando lo sdegno del cardinal Bagnasco ha rotto gli ultimi argini. Pare sia stato una decina di giorni fa, dopo che il «Fatto quotidiano» se ne uscì raccontando il «porno-sacrilegio» (neologismo di Paolo Flores D’Arcais) commesso durante una festa di Arcore: spogliarello della Minetti vestita da suora, parodia a luci rosse del film «Sister Act», e benedizione goliardica di Silvio, col crocifisso di legno annegato poi tra i seni della consigliera regionale... Così perlomeno racconta una testimone, o sedicente tale, nel processo su Ruby che si aprirà il 3 ottobre a Milano, e tante altre ne sentiremo sulla falsariga o peggio. Cosicché nessuno si è mai dato pena di smentire il «Fatto». Narrano a Palazzo Grazioli di una telefonata non a Berlusconi personalmente ma a Letta, nella quale Bagnasco avrebbe manifestato tutto il suo sdegno.

Ieri la «mazzata pazzesca» del presidente Cei, come la definiscono nel Pdl. Dove se la sentivano piombare addosso e, se si dà ascolto a personaggi molto influenti della cerchia berlusconiana, avevano fatto di tutto per scongiurarla, o comunque per evitare che prendesse le sembianze di una condanna all’Inferno. Il Cavaliere come al solito ci ha messo del suo, rifiutando qualunque gesto di pentimento, perdendo perfino l’occasione di emendarsi che Ferrara gli aveva servito sul piatto d’argento con la famosa lettera al «Foglio»... «Non ho nulla da rimproverarmi»,è l’auto-difesa cocciuta berlusconiana. Anziché cospargersi il capo di cenere, Silvio sostiene che in fondo «qualunque italiano, con le mie possibilità economiche, in casa sua si comporterebbe allo stesso modo». Il ministro Rotondi coglie con vena ironica il paradosso quando definisce Berlusconi «santo puttaniere» che comunque, aggiunge, «passerà alla storia da grande statista».

I cattolici del Pdl si stracciano le vesti. Telefonate sul filo della disperazione al segretario Alfano. Sfoghi del tipo «la nostra sopportazione ha un limite», «scherza coi fanti ma lascia stare i santi», «verremo mangiati vivi da Casini», il quale negli ultimi sondaggi riservati è l’unico che guadagna voti. E ancora: «Dovrebbe chiedere scusa all’Italia come Strauss-Kahn, anzi dovrebbe annunciare il passo indietro come Zapatero». Bisogna vedere poi in concreto chi avrà il coraggio di dirglielo. Come nel congresso dei topi, tutti sono d’accordo che al gatto andrebbe messo un campanello al collo, salvo che nessuno glielo va a legare...

Insomma la sensazione, nonostante tutto, è che nulla si muoverà. E che in attesa degli eventi vincerà la tesi minimalista, secondo cui Bagnasco ha detto «quanto ci si poteva attendere», in fondo la Chiesa non combatte il peccato? E comunque si sa, «il presidente della Cei non ha mai amato il Nostro, si lascia tirare la tonaca da sinistra, forse addirittura assistiamo a una faida interna nella Chiesa, dove il bersaglio vero non è Silvio ma il moderatissimo cardinal Bertone, o forse è addirittura più in alto, molto più in alto...». Voci blasfeme ipotizzano che la Cei «con cinismo» abbia incassato l’esenzione dell’Ici per i beni immobili ecclesiastici anche di uso commerciale, «salvo darci il calcio dell’asino», bella riconoscenza. In questo gorgo di passioni, pochi strateghi berlusconiani sanno restare freddi. Quei pochi annotano che il cerchio si stringe. La scomunica Cei arriva dopo il pronunciamento di Confindustria. Manca solo l’America per fare en plein dei poteri forti. E guarda un po’, in certi colloqui privati l’ambasciatore Usa si domanda quanto potrà resistere Silvio all’assedio del mondo intero.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422204/
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« Risposta #159 inserito:: Settembre 29, 2011, 05:30:08 pm »

Politica

29/09/2011 - LO SCONTRO

Governo in stallo sulla nomina di Bankitalia

Berlusconi non sceglie tra Grilli e Saccomanni. Bossi appoggia Tremonti.

Draghi sale al Colle

UGO MAGRI
ROMA

La politica sfoga i più bassi umori alla Camera, dove il ministro Romano scampa alla mozione di sfiducia per 315 voti a 296 in un clima ben poco educativo per le scolaresche ammesse in tribuna. L’«alta» politica, invece, si cimenta su Bankitalia con qualche chance di causare danni irreparabili. L’ultimo lusso che ci possiamo permettere è una bella lite sul successore di Draghi: esattamente quello che si sta verificando. Non solo c’è discordia sul nome, ma ogni giorno la matassa si ingarbuglia sempre di più. Grande il nervosismo del Quirinale, perché la tregua concessa dai mercati (tra i nostri Btp e i Bund germanici lo «spread» è sceso intorno ai 360 punti) potrebbe rompersi da un momento all’altro. I nostri risparmi viaggiano sulle montagne russe.

Consultazioni di Draghi
Il futuro presidente della Bce (entrerà in carica il 1° novembre) si è recato da Berlusconi: non alla residenza privata ma nella sede del governo, come è giusto. Poi è salito da Napolitano. Ha parlato ovviamente della sua successione alla Banca d’Italia, ed è a tutti noto che Draghi fa il tifo per la soluzione interna nella persona di Saccomanni. Però a Palazzo Chigi si è visto pure Tremonti, il quale sponsorizza invece Grilli, che del Tesoro è il direttore generale, dunque non sarebbe un governatore all’insegna della continuità e gradito all’establishment di Via Nazionale. Il braccio di ferro Tremonti-Draghi va avanti da mesi, ma ormai siamo al dunque perché la nomina deve scattare entro il 31 ottobre, possibilmente prima perché non ci si può ridurre proprio all’ultimo. Berlusconi è in stallo, non sa a chi dare ragione tra i due.

I poteri del premier
Si lamenta sempre, il Cavaliere, di averne troppo pochi. Ama descrivere se stesso come un profeta disarmato. Però in questo caso nessuno gli contesta il potere decisionale; anzi, tutti si aspettano che lo eserciti in fretta, tra l’altro la legge parla chiaro, è a lui che compete la designazione, mica a Tremonti. Con Draghi e con Napolitano si era sbilanciato per Saccomanni, a un certo punto sembrava fatta, specie quando Giulio pareva sopraffatto dalla vicenda Milanese. Sennonché il ministro sembra aver superato illeso il cerchio di fuoco, e ieri alla Camera l’hanno visto allegro come non mai, altro che piume basse. Bossi come al solito gli dà manforte, «io come governatore preferisco Grilli, non fosse altro perché è di Milano». Tutto il fronte anti-tremontiano viceversa istiga il premier a fare il rovescio di ciò che vorrebbe il Tesoro, insomma a scegliere Saccomanni. Il risultato è che Silvio tentenna. Gli tirano la giacca da tutte le parti. E dinanzi al suo sbandamento si compie il miracolo della nota congiunta Bersani-Casini, giunta dopo un colloquio tra i due con i quali pure si è consultato Draghi: «Nel mezzo di una tempesta finanziaria, invece di offrire certezze e stabilità, il governo continua a tenere pericolosamente in bilico il Paese».

La crescita può attendere
Nel senso che slitta il decreto con le relative misure: non verrà varato domani in consiglio dei ministri. Serve tempo per metterlo nero su bianco, almeno una settimana ancora. «Abbiamo messo su un gruppo di lavoro», annuncia Bossi dopo la cena dell’altra sera col premier. Ceffoni del Senatùr ai vescovi («dovrebbero dire più messe») e dito medio agli industriali («devono svegliarsi, mica possiamo prendere i soldi ai pensionati per darli a loro»). Il governo arriva al 2013? «Speriamo».

«Vado in tivù e...»
«...lì esplodo», minaccia il premier privatamente. Ce l’ha coi soliti magistrati «che mi danno la caccia». Il Cavaliere si accorge, per dirla con Cicchitto, che «il fronte giustizialista registra una battuta d’arresto», dopo che Milanese e Romano sono stati salvati (a sinistra i sei deputati radicali hanno rotto lo schema non partecipando al voto e sventolando il cartello «amnistia»). L’idea è andare da Vespa, ma alla fine sceglie di evitare Porta a Porta. Sconsigliato dai suoi stessi avvocati, da Letta e Bonaiuti, il premier sembra si sia convinto per non trovarsi in difficoltà dopo le pesanti dichiarazioni del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422549/
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« Risposta #160 inserito:: Ottobre 20, 2011, 05:58:29 pm »

Politica

20/10/2011 - VIA NAZIONALE, LO STALLO

Banca d'Italia, si va verso la nomina di Bini Smaghi

Il premier ne ha già parlato a Napolitano, presto l'annuncio

UGO MAGRI
ROMA

Il terrore di presentarsi domenica a Bruxelles senza aver ancora spostato Bini Smaghi dalla Bce, e di dare perciò la netta impressione alla Francia di avere raggirato «monsieur le Président» Sarkozy, spinge il nostro premier a rompere gli indugi. Berlusconi promette che entro oggi imbucherà la lettera al Consiglio superiore di Bankitalia con il nome del futuro Governatore. E pare che si tratti appunto di Bini Smaghi, disposto a lasciare Francoforte solo per la poltrona più prestigiosa di via Nazionale. In latinorum si direbbe: «promoveatur ut...».

Il Cavaliere non ha pronunciato pubblicamente il nome dell'economista fiorentino. «Sono tenuto al segreto», si è giustificato dopo un incontro con il Presidente della Repubblica durante il quale «non abbiamo certo parlato di calcio» (pur essendone appassionati entrambi). Fonti governative autorizzano a ritenere che Berlusconi abbia cercato la comprensione di Napolitano e forse anche un sostegno alla candidatura di Bini Smaghi. Le medesime autorevoli fonti aggiungono che il premier è intenzionato a procedere nonostante il fuoco di sbarramento. Talmente intenso che ieri sera la partita risultava ancora aperta, e la situazione parecchio confusa.

Il fronte del no
E' guidato dal tandem Bersani-Casini, autori di una dichiarazione congiunta per sostenere, neppure tanto tra le righe, la candidatura di Saccomanni (ben gradito all'establishment di Bankitalia): «Auspichiamo che il premier proceda rispettando l'autonomia dell'Istituto». Silvio ne è rimasto colpito, non tanto per l'auspicio quanto per la firma congiunta, segno che tra Pd e centristi sboccia qualcosa di serio. Ha mandato qualche fedelissimo a indagare meglio sui perché. Lui si è dedicato invece a Tremonti, la sua spina nel fianco. Il titolare dell'Economia ha sempre insistito per nominare Governatore Grilli, che è suo direttore generale al ministero. Osteggia viceversa Saccomanni, che piaceva molto a Draghi (verbo al passato, perché il neo-presidente della Bce pare abbia fatto sapere ieri al mondo politico che pure Bini Smaghi in fondo sarebbe okay).

Ambienti vicini a Tremonti assicurano che il Prof ha appreso senza alcun dramma l'orientamento del premier su Bankitalia; altri, invece, giurano che Giulio stia piantando una grana gigante con l'aiuto di Bossi incontrato nel pomeriggio. Idem sulle misure per lo sviluppo. Un vertice a Palazzo Grazioli per entrare nel merito sarebbe finito, secondo il tam-tam parlamentare, a pesci in faccia, con le proposte di Romani e Matteoli bocciate una per una da Tremonti. Comunque i tre si incontreranno di nuovo stamane, segno che nulla è accaduto di irreparabile.

Aspettando il decreto
«Se fosse così facile l'avrei fatto in quattro e quattr'otto», si giustifica Berlusconi.
Scatto di orgoglio rispetto a chi gli rinfaccia di non avere più leadership: «Non credo che l'imprenditore più capace degli ultimi decenni, da premier sia diventato improvvisamente incapace di decidere». Nemmeno gli altri leader europei se la stanno cavando meglio, insiste il Cavaliere, perché siamo di fronte a «un vero e proprio impazzimento dei mercati finanziari». Silvio spera di «annunciare qualcosa in settimana, ma se non c'è la possibilità di mettere in questo decreto fondi importanti, chiaro che ci sono dei problemi da risolvere...». Per esempio, potrebbero esserci pezzi di maggioranza che gli dicono ciao. Miccichè minaccia la crisi se si tolgono fondi al fotovoltaico, il trio Urso-Ronchi-Scalia dice no a un decreto «a costo zero». Sconsolato il berlusconiano Bondi: «La verità è che i soldi non ci sono...».

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/425652/
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« Risposta #161 inserito:: Ottobre 23, 2011, 11:18:46 am »

Politica

22/10/2011 - GOVERNO-GLI EQUILIBRI

I radicali tentano Berlusconi

Sulla legge elettorale apertura del premier per un «bipolarismo all’americana»

UGO MAGRI
ROMA

Qualcuno ha fuorviato Berlusconi (oppure ha capito male lui) dicendogli che il referendum elettorale riguarda le preferenze: il «Porcellum» le abolì, però alla gente piacciono, bisognerebbe resuscitarle. Cosicché il premier, profittando del congresso di Scilipoti, ha ritenuto di andare incontro al popolo. «Un milione 700 mila cittadini hanno dato indicazione per reintrodurre i candidati... Serve una variante della legge elettorale che consenta la scelta». Solo dopo ha capito l’equivoco: il referendum non è sulle preferenze, le firme sono state raccolte per tornare al sistema maggioritario, che diavolo c’entra la libertà di scelta? Senza indugio il Cavaliere ha autorizzato una rettifica di Quagliariello, mente giuridica del Pdl: le parole del premier non vanno intese come ritorno «alla vecchia pratica in cui veniva eletto chi spendeva di più». Incidente chiuso.

Però l’aneddoto è indice di confusione. Berlusconi (il quale sbadiglia vistosamente ogni qual volta si toccano queste materie) ha una sola chiara preferenza: per il sistema elettorale che può farlo vincere. Se Casini fosse disposto ad allearsi con lui, allora Silvio non si opporrebbe alla legge semiproporzionale che piace ai centristi. Però siccome gli ex-dc non ne vogliono sapere di fare comunella, il Cavaliere propende per un sistema che li costringa a scegliere, o di qua col centro-destra, o di là con i «comunisti ortodossi» (come li ha definiti da Scilipoti). Se i fautori del dialogo con l’Udc non gli suggerissero cautela, Berlusconi avrebbe già optato per un sistema alla spagnola, dove non c’è spazio per terzi poli. Sintomatico un passaggio del discorso di ieri: «Gli Usa ci indicano la strada, e cioè il bipolarismo, perché una democrazia funziona bene se ci sono due forze in campo». Dove si coglie l’eco di quanto gli aveva detto due sere fa Pannella.

E’ una volgarità pensare che i Radicali siano andati da lui a vendersi. Continueranno a votare come sempre contro il governo, mette in chiaro Rita Bernardini. Però, dal momento che le loro battaglie non riscuotono la minima attenzione nel Pd, è giusto sentire che cosa ne pensa il premier: così funziona sul mercato della politica. La «delegazia» radicale ha trovato un Berlusconi tanto interessato quanto indeciso. Tipo «vorrei ma non posso». Sull’amnistia «bisogna fare qualcosa», ha riconosciuto, «ma è difficile trovare in Parlamento la maggioranza richiesta dei due terzi». E quando Pannella gli ha magnificato il presidenzialismo all’americana, grande sospiro del Cavaliere: «Se proponessi la Repubblica presidenziale, mi accuserebbero di voler fare il dittatore, quando in realtà non ho poteri, io non conto niente», solita lamentela con una variante: di Napolitano ora il Cavaliere parla pubblicamente bene, «è un Capo dello Stato intelligente e puntuale, i suoi interventi sono sempre precisi». Pannella, congedandosi, gli ha dato una dritta: «Il Pd aveva inserito nel programma la legge elettorale maggioritaria, non importa se a uno o due turni. Silvio, approfittane! Rilanciala tu e loro non potranno dirti di no, essendone i proponenti...». Il Cavaliere sarebbe tentato, ma nel partito convivono idee diverse, lui non sa decidersi. Alza le spalle il centrista Rao: «Tanto sono divisi, che nemmeno riescono a fare una proposta».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/426003/
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« Risposta #162 inserito:: Ottobre 28, 2011, 05:41:56 pm »

Politica

28/10/2011 - LA CRISI GOVERNO ALLE STRETTE

Berlusconi s’aggrappa all’Ue

Il Cavaliere prova a rilanciarsi. Ma è giallo su una lettera dei frondisti vicini a Pisanu

UGO MAGRI
ROMA

Prodi, che in politica vede lontano, non scorge più con certezza elezioni a Primavera. «Ogni giorno qui cambia lo scenario», bofonchia il Prof. E ha ragione: le decisioni prese in Europa cambiano tutte le carte in tavola. Certi calcoli sono da rifare. E’ stata approvata l’altra notte a Bruxelles una lettera d’intenti che Berlusconi sta cercando in queste ore di sfruttare in un crescendo propagandistico per rilanciarsi (dopo «Porta a Porta» e «Tg1», stamane sarà pure a Canale 5).

L’offensiva del premier
Berlusconi vorrebbe accreditare la tesi che l’Ue ha dato l’okay non a una lista di cose urgentissime, bensì «a un programma di governo da 18 mesi», guarda caso proprio quanti gliene mancano per arrivare alle elezioni del 2013. Il timbro di Bruxelles fornisce al Cavaliere una scusa per tirare avanti, e un’arma per difendersi da chi vorrebbe sloggiarlo: chiunque dovesse mai andare al suo posto, osservano a Palazzo Chigi, dovrebbe farsi carico degli stessi impegni presi nel summit europeo. Non è che un altro premier potrebbe ricontrattare tutto daccapo. Di qui la domanda: ma il Pd, la sinistra, le forze sindacali, realizzerebbero quelle politiche, una volta rispedito ad Arcore il Cavaliere? Oppure al momento di formare un governo tecnico tenterebbero di sfilarsi? «Per le opposizioni è l’ora della verità», fotografa il problema Casini, reduce da un nuovo interlocutorio colloquio con Bersani. Guarda caso, i capigruppo del Pdl Cicchitto e Gasparri accolgono con entusiasmo la richiesta da sinistra di un bel dibattito in Parlamento, magari con diretta televisiva, sulla lettera alla Ue: occasione ideale per suonare un altro po’ di grancassa filo-governativa e mettere a nudo le incertezze dell’opposizione.

Il patto col diavolo
Pur di tirare avanti, però, Silvio ne ha sottoscritto uno. Tra gli impegni assunti con l’Europa c’è quello che potrebbe decretare la fine del suo governo. Si tratta dei «licenziamenti facili» e della mobilità coatta nel pubblico impiego: lui stesso avrebbe evitato di ficcarli nel programma, se la Lega non gliel’avesse imposto in cambio della finta novità sulle pensioni (a 67 anni nel 2026 ci si andrà comunque in base alle leggi che già esistono). C’è il rischio di uno scontro sociale terrificante, e il premier prova a metterci una toppa: «Non abbiamo tagliato i dipendenti pubblici come in Grecia, vogliamo solo un mercato del lavoro più efficiente e moderno». Però non si fatica a capire come mai Tremonti sia stato così «defilato» (espressione di Bossi) durante la stesura della lettera all’Europa.

Un «caso Tremonti»?
Il suo entourage nega che vi sia. Il ministro, spiegano in via XX Settembre, ha collaborato dall’inizio alla fine, sua è l’ispirazione specie sul Mezzogiorno, nella cena decisiva di martedì ha dato il via libera con qualche correzione subito applicata. Il risultato finale lo lascia «abbastanza soddisfatto», sebbene non abbia sgomitato per metterci la firma e il ministro Galan vada dicendo: «Finalmente Giulio conta di meno». La novità entusiasma l’ala anti-tremontiana del Pdl, e magari ci sarà del vero. Ma di sicuro, quando il clima in piazza si farà rovente, nessuno potrà rinfacciargli dentro il partito di avere promosso la «macelleria sociale». E comunque, con un gruppo di banche a rischio fallimento e con altri 15 miliardi da reperire in fretta, Tremonti non faticherà a riconquistare il centro della scena.

La fronda si agita
Un gruppo di senatori Pdl (difficile calcolare se si tratti solo di Saro e Pisanu o molti di più) pare abbia messo nero su bianco la famosa attesa lettera al premier dove lo si invita a farsi da parte. Alfano rifiuta di prendere in considerazione «fantomatiche» dissidenze, almeno fino a che non verranno allo scoperto. La vera novità, però, pare sia un’altra: dai malpancisti si sta staccando il gruppo di Scajola. Dopo un lungo tira-emolla, risulta che un accordo sia dietro l’angolo, con tanto di riconoscimento visibile al ruolo dell’ex ministro.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/426912/
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« Risposta #163 inserito:: Novembre 01, 2011, 11:45:12 am »

Politica

01/11/2011 - LA CRISI PALAZZO CHIGI

Berlusconi cerca "un colpo d’ala" da portare al G20

Pdl all’assalto di Tremonti: Bini Smaghi al suo posto

E Bossi attacca: «Dubito che l’Italia possa durare»

UGO MAGRI
ROMA

La giornata
Mancano quarantott’ore ore al G20 (una specie di super-governo mondiale) che si occuperà di noi. Il vertice può rappresentare l’ultima spiaggia, perché ieri lo spread coi titoli tedeschi viaggiava oltre i 400 punti. Si aggiunga il tonfo della Borsa, la disoccupazione al galoppo, la ripresa dell’inflazione... Secondo Bossi siamo alla frutta, il «fallimento» incombe, «così il Paese non può durare». Si vorrebbe dunque immaginare il nostro premier e i suoi ministri impegnati in riunioni febbrili, tecnici che sfornano proposte, contatti al massimo livello. E invece? Niente di tutto ciò. Un tragico destino fa coincidere la vigilia del G20 con il Ponte dei Morti. La politica, direbbe Pansa, piange i suoi «cari estinti».

AAA, idee cercansi
Il Cavaliere sta rintanato ad Arcore, da dove filtra la sua irritazione contro «Report» per la puntata dell’altra sera che non è piaciuta affatto al proprietario della Mondadori. Il presidente del Consiglio, giurano nell’entourage, lavora sodo alla preparazione del vertice. Gli piacerebbe presentarsi a Cannes con un’alzata d’ingegno, una «mandrakata» la definirebbero a Roma, così da tranquillizzare un Paese dove cresce la paura e nessuno mobilita le coscienze. Per cui Silvio chiede suggerimenti qua e là, interpellando «personaggi di livello», finanzieri, banchieri. Certi ministri che gli danno una mano sono sparsi purtroppo all’estero, Romani in India, Brunetta a Shanghai, Fitto a Londra... L’unico su piazza, e pure parecchio attivo, si chiama Tremonti. Il titolare dell’Economia ha tenuto ieri contatti all’altezza del dramma in corso, consultandosi col Quirinale, con referenti europei, con Berlusconi medesimo. Anche lui è alla ricerca di colpi d’ala, e magari pure dei soldi che servirebbero per smorzare l’impatto della delega fiscale in arrivo (qualche esperto di via XX Settembre si spinge a ipotizzare un ulteriore aumento dell’Iva). Ma il suo contributo viene messo in discussione da quello che personaggi equilibrati del governo considerano un «turbine di follia».

«Dàgli a Giulio»
Se si dà retta al tam-tam del Pdl, le ore di Tremonti ministro sono contate. Domani si terrà un ufficio di presidenza dove cercheranno qualche misura già pronta da inserire nella legge di stabilità (è all’esame del Senato) in modo da dare all’estero una buona impressione; ma soprattutto, la riunione servirà a processare il ministro. I più gentili tra i «berluscones» (vedi Cicchitto per il quale «non sono i mercati a fare i governi») gli chiederanno di allinearsi, altri meno oxfordiani di defilarsi, altri ancora di levarsi di torno. Vera o falsa, torna in circolo la voce della mozione individuale di sfiducia, supportata dai deputati anti-tremontiani più scalmanati. Chi al posto del prof? Berlusconi avrebbe pronta la soluzione Bini Smaghi, prendendo due piccioni con la stessa fava perché si sbarazzerebbe di Tremonti e libererebbe alla Francia il posto nella Bce.

La ricetta di Montezemolo
È un governo di salute pubblica, più presto che si può. In una lettera a «Repubblica» l’ex presidente degli industriali suggerisce un programma d’emergenza: tagliare i costi della politica, più flessibilità nel lavoro, tassa sulle grandi fortune, via le pensioni d’anzianità, mercati più aperti. Plaudono i centristi, che viceversa bocciano l’idea consegnata da Di Pietro alla «Stampa»: una contro-lettera delle opposizioni all’Europa, con ricette diverse. «Aumenterebbe la confusione», taglia corto Casini. «La confusione c’è già», condivide Bonaiuti a nome del premier. «L’Italia è in pericolo, Berlusconi se ne deve andare», non ha mancato di ripetere pure ieri Bersani. Che chiama sabato la gente in piazza a sventolare Tricolore e Costituzione.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/427551/
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« Risposta #164 inserito:: Novembre 08, 2011, 10:03:10 am »

Politica

08/11/2011 - LA GIORNATA

Governo alla conta, Berlusconi resiste

Oggi il Rendicondo dello Stato passerà con le astensioni "Voglio vedere chi mi tradisce"

UGO MAGRI
ROMA

Stasera il Rendiconto dello Stato avrà il timbro del Parlamento. L’opposizione intera si asterrà, dunque per assurdo ad approvarlo basterebbe un singolo voto. Berlusconi salvo? Niente affatto. Anzi, nonostante la sua ostinata resistenza, non si vede come possa tirare avanti. Il governo ha un febbrone da cavallo, e le votazioni di oggi saranno il termometro. Se sul Rendiconto la maggioranza non darà prova di essere tale, può accadere addirittura che Berlusconi debba salire sul Colle a dimettersi già questo pomeriggio. Glielo chiede l’intero Pdl con una rimarchevole eccezione (lui). E da ieri pure la Lega vorrebbe che Berlusconi in quel caso gettasse la spugna. Se il Cavaliere facesse finta di niente, e provasse a tirare avanti lo stesso, l’opposizione gli lancerebbe contro un’apposita mozione di sfiducia da discutere subito in Parlamento, prima ancora che la Camera si pronunci sulla manovra per l’Europa (in gergo si chiama «maxi-emendamento alla legge di stabilità»). La decisione, sceglie la prudenza Bersani, verrà presa stasera in base alle votazioni.

Il passo indietro
Ferrara ieri mattina lo dava per imminente. E siccome molti credono che lui sia il «consigliori» del premier, ecco spargersi l’eccitazione: «Se ne va, se ne va!». Calo immediato dello spread, giubilo della Borsa. Successiva doccia fredda dal direttore del «Foglio», Berlusconi mollerà l’osso un attimo dopo aver chiesto e ottenuto la fiducia al maxi-emendamento. Nemmeno a quello però pensa in realtà il Cavaliere. Da lui raffiche di smentite fino a tarda sera: «Non capisco come siano circolate queste voci, noi andiamo avanti, non sono attaccato alla cadrega ma voglio vedere in faccia chi prova a tradirmi, se si arrivasse a un ribaltone non sarebbe una democrazia». Neppure Calderoli, spedito come messaggero da Bossi alla villa di Arcore, è riuscito a fargli cambiare idea. Gli suggeriscono dalla Lega di salire dal Presidente della Repubblica e di contrattare, in cambio delle dimissioni, l’incarico di fare un nuovo governo al segretario Pdl Alfano. Ipotesi invero complicata perché, una volta aperta la crisi, il Capo dello Stato fa come vuole, incarica chi meglio crede dopo le consultazioni di rito.

Grande pressing
Berlusconi verrà convinto (forse) a dimettersi solo ed esclusivamente se i «sì» al Rendiconto dello Stato saranno talmente scarsi da togliergli anche l’ultimo barlume di speranza. Altrimenti come al solito dirà che è andata benissimo, e impiegherà i prossimi giorni cercando di riacchiappare qualche deputato del Pdl fuggito dal recinto. Già ieri, denuncia il centrista Rao, colui che dovrebbe reggere le sorti del Paese telefonava ai transfughi Pdl con ogni sorta di lusinga. L’uomo è un combattente nato. Impossibile dunque fare previsioni fino al momento in cui nell’Aula di Montecitorio si accenderà il tabellone luminoso: la discussione sul Rendiconto inizia alle 15,30 e ci vorrà un’oretta almeno. Della Vedova, capogruppo Fli, fissa un’asticella: «Sotto i 316 voti sarebbe acclarato che il governo non ha più nemmeno la maggioranza numerica, ci aspetteremmo che Berlusconi e i suoi ne prendessero atto».

Il pallottoliere
A bocce ferme il Cavaliere può contare su 312 voti. Ci si arriva così: 316 erano quelli ottenuti all’ultima fiducia. Salgono a 317 perché, essendo morto Franzoso che mancava da diverse sedute, gli è subentrato D’Alessandro, capo ufficio stampa del Pdl. Però i «berluscones» scendono a 314 in quanto sono passati armi e bagagli all’Udc Bonciani, la D’Ippolito e Gabriella Carlucci. Antonione ha reso pubblico che si asterrà, proprio come l’opposizione; Nucara (Pri) vorrebbe tanto esserci per sostenere ancora il governo, ma ragioni personali glielo impediscono. Ecco dunque perché 312. Alza le spalle Cicchitto, presidente dei deputati Pdl: «Non vedo questo clima da rompete le righe o si salvi chi può». Smentisce di avere la valigia in mano Pianetta, idem Cazzola e l’ex olimpionica Manuela Di Centa. Negano di converso un ritorno all’ovile Bonfiglio e Sardelli. Pecorella, già avvocato di Previti, non anticipa come voterà ma considera Berlusconi a Palazzo Chigi «un danno per il Paese». La Bertolini vedrà stamane il premier insieme con Stracquadanio, mentre Stagno subordina il suo voto favorevole a stanziamenti per Giampilieri, colpita dalla disastrosa alluvione del 2009 e, come spesso accade in quest’Italia, subito dimenticata. In sintesi: 312 voti sarebbero già un disastro, ma a Berlusconi potrebbe andare perfino peggio...

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/428711/
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