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Autore Discussione: Giuseppe Cucchi. La Turchia dal presidente al sultano  (Letto 2447 volte)
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« inserito:: Giugno 03, 2016, 12:08:40 pm »

La Turchia dal presidente al sultano

01/06/2016
Giuseppe Cucchi

Tre anni fa, allorché ad Istanbul iniziarono le dimostrazioni di piazza Taksim contro la trasformazione in complesso commerciale dell’area di Gezi Park, la traiettoria politica di Erdogan sembrava destinata a continuare senza ostacoli la propria crescita, apparentemente irresistibile. 

In patria la contrapposizione fra l’impostazione confessionale del Partito della Giustizia e Libertà e la laicità della costituzione di Atatürk, di cui le forze armate erano state per circa ottanta anni gelose custodi, appariva definitivamente superata grazie anche ad alcuni processi che avevano stroncato, con inflessibile decisione, l’opposizione dei militari più anziani. 

Continuava nel frattempo, malgrado la generale sfavorevole congiuntura mondiale, il «miracolo economico» turco.
Il Paese era arrivato a fruire per anni di tassi di sviluppo estremamente elevati: un ciclo che soltanto ora appare definitivamente concluso. 
Il modello anatolico veniva così percepito pressoché ovunque come un modello ideale di islamismo moderato, capace di coniugare armoniosamente religiosità, tolleranza e sviluppo.

Come tale esso veniva indicato quale un esempio a tutti i paesi islamici percorsi da fermenti di cambiamento e di progresso, primi fra tutti quelli che, usciti dalle «primavere arabe», esitavano fra differenti destini. Il maggiore problema di sicurezza interno della Turchia, consistente nella gestione della minoranza curda, sembrava in via di superamento attraverso la costituzione di un partito politico intenzionato a entrare nella competizione elettorale ed a cercare di superare la soglia del dieci per cento dei consensi necessaria ad inviare propri rappresentanti in Parlamento.

In politica estera poi, anche se la speranza di poter un giorno accedere all’Unione Europea si era rivelata per la Turchia del tutto illusoria, il paese manteneva intatto il suo sistema di amicizie e di alleanze, continuando a rimaner fedele alla massima del ministro degli Esteri e massimo ideologo turco, Davutoglu, che proclamava l’indispensabilità di non avere «alcun nemico ai confini».

La brutale repressione di piazza Taksim, ove la polizia ha proceduto contro i dimostranti con durezza del tutto sproporzionata uccidendone nove, ferendone più di ottomila e mandandone circa novecento sotto processo alla conclusione di un lungo periodo di scontri, ha segnato però un tornante, una chiara virata del regime in senso maggiormente autoritario.

Da quel momento in un certo senso Erdogan ha gettato la maschera, procedendo senza alcuna esitazione a personalizzare quanto sino ad allora era stato contrabbandato solo come aspirazione politica e di partito e cercando di concentrare nelle proprie mani il controllo assoluto del Paese.

Un tentativo che per fortuna ha trovato almeno per il momento un ostacolo nella Costituzione di Atatürk e nella impossibilità di Erdogan di modificarla in senso maggiormente presidenziale senza disporre di una maggioranza assoluta in Parlamento. Essenziale in questo processo è risultato il ruolo del Partito Curdo, anche se una recente iniziativa di legge presidenziale tenta ora di rimuovere l’ostacolo togliendo ai deputati curdi l’immunità parlamentare ed in tal modo invalidando l’elezione di decine di essi.

La continua crescita del controllo di Erdogan sulla Turchia si sta inoltre evidenziando anche in altre forme, prima fra tutte l’eliminazione dalla scena politica di chiunque si ostini a pensare con la propria testa e non accetti l’idea di dover fornire al Presidente «una obbedienza cieca, rispettosa ed assoluta», come si diceva un tempo.

La prima vittima di questa epurazione interna è stato non a caso Davutoglu, divenuto nel frattempo primo ministro e colpevole, fra l’altro, di godere di una considerazione tale da potergli consentire un giorno di essere considerato come una possibile ragionevole alternativa ad Erdogan.

Nel frattempo anche in ambito internazionale la politica di Erdogan si è fatta più azzardata, alienandogli le simpatie di Washington, che lo accusa di eccessiva disinvoltura nel creare incidenti con i russi operanti in Siria, nonché quelle di una Unione Europea che ha pagato il ricatto per frenare l’invasione dei migranti lungo la rotta balcanica ma non ha certo gradito il modo in cui la Turchia ha strumentalizzato e monetizzato le sue paure.

A fattor comune per tutto l’Occidente giocano poi anche il ruolo ambiguo di Erdogan e della sua famiglia nei riguardi dell’Isis, nonché quello che i turchi rivestono nella lotta per il predominio in atto, senza esclusione di colpi, nel mondo sunnita.

Un complesso di fattori che in altri tempi avrebbe già portato a una presa di posizione in senso anti presidenziale, spontanea o indotta, da parte di quei militari turchi che invece ora continuano ad obbedire tacendo.

Ma sino a quando?

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DA - http://www.lastampa.it/2016/06/01/cultura/opinioni/editoriali/la-turchia-dal-presidente-al-sultano-GaAigMzZ4vCNTa4OL1KIeO/pagina.html
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 03, 2016, 12:14:15 pm »

Berlino riconosce il genocidio armeno. È crisi con la Turchia
Richiamato l’ambasciatore dopo il voto del Bundestag. La minaccia di Erdogan: ci saranno serie ripercussioni

03/06/2016
Alessandro Alviani
Berlino

Non è servita a molto la premessa con cui ieri mattina il presidente del Bundestag, Norbert Lammert, ha aperto il dibattito sulla risoluzione con cui i deputati tedeschi hanno definito «genocidio» lo sterminio degli armeni nell’Impero ottomano avvenuto un secolo fa. L’attuale governo turco non è responsabile degli eventi di allora, ma «è corresponsabile del modo in cui verranno affrontati in futuro», ha esordito Lammert. «Un parlamento non è una commissione di storici, né di sicuro un tribunale, tuttavia il Bundestag non può e non vuole evitare domande e risposte scomode», specie quando, come in questo caso, l’Impero tedesco ebbe una complicità, ha aggiunto. 

Precisazioni riprese anche da altri deputati, impegnati a ribadire che la risoluzione non rappresenta un atto d’accusa contro Ankara. Tant’è: subito dopo l’approvazione del testo, passato quasi all’unanimità (un solo no e un’astensione), la Turchia, che si rifiuta di parlare di «genocidio» e già alla vigilia aveva protestato e minacciato ripercussioni, ha richiamato il proprio ambasciatore. 

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha spiegato che la decisione del Bundestag avrà «serie conseguenze» sui rapporti bilaterali e ha annunciato che verranno discusse ulteriori misure. Il ministro degli Esteri Mevlüt Cavusoglu ha parlato di un passo «irresponsabile e infondato». Per il vicepremier Numan Kurtulmus si tratta di un «errore storico» e di una decisione «nulla». Ancora più pesante il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag: «prima bruci gli ebrei nei forni, poi ti alzi e accusi il popolo turco con calunnie di genocidio. Preoccupati della tua Storia». 

Dal canto suo Angela Merkel si è affrettata a ricordare che «Germania e Turchia sono unite da molte cose e, anche se ci sono divergenze di vedute su una determinata questione, la portata delle nostre relazioni e dei nostri rapporti strategici e di amicizia è molto grande». Vogliamo contribuire a promuovere il dialogo tra Armenia e Turchia, ha aggiunto la cancelliera, che non era presente al Bundestag per ragioni di agenda (martedì si era schierata a favore della risoluzione in una votazione di prova interna al suo partito). Assenti sui banchi del governo anche il ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier e il vice cancelliere Sigmar Gabriel. La vigilia del voto è stata segnata anche da mail di minacce e insulti inviate a diversi deputati, specie quelli di origini turche.

Nella risoluzione, avanzata dalla maggioranza (Cdu/Csu e Spd) e dai Verdi, la parola «genocidio» compare quattro volte, a partire dal titolo: «Ricordo e commemorazione del genocidio degli armeni e di altre minoranze cristiane negli anni 1915 e 1916». Il destino degli armeni «è esemplare della storia degli stermini di massa, delle pulizie etniche, delle deportazioni e dei genocidi che hanno segnato in modo così terribile il Ventesimo secolo», si legge nel documento, che condanna anche la complicità e il «ruolo inglorioso» del Reich tedesco, allora principale alleato militare dell’Impero ottomano: pur avendo ricevuto precise informazioni sullo sterminio «non provò a fermare questi crimini contro l’umanità».

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Da - http://www.lastampa.it/2016/06/03/esteri/berlino-riconosce-il-genocidio-armeno-crisi-con-la-turchia-8el6mj31PFktm39wlmy2mK/pagina.html
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