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Autore Discussione: CONCETTO VECCHIO. Macaluso social: "I miei post sulla crisi della politica"  (Letto 9301 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Aprile 28, 2016, 06:12:30 pm »

Macaluso social: "I miei post sulla crisi della politica"
A 92 anni, non ha smarrito la passione.
In un libro le sue riflessioni quotidiane: "Ma dopo la morte di mio figlio volevo smettere di scrivere"


Di CONCETTO VECCHIO
27 aprile 2016

ROMA - Poi Macaluso parla di suo figlio Pompeo: “E' morto a giugno, a 65 anni, stroncato da un aneurisma. Aveva appena messo giù il telefono dopo aver parlato con me. Ci sentivamo ogni giorno. Era in salute, aveva concluso il suo impegno come professore di storia nei licei del Ticino. Per tre mesi ho smesso di scrivere. Ero convinto di non poterlo fare più. Ho sempre scritto, ogni giorno. Il primo articolo fu nel '42 sugli zolfatari di Caltanissetta per l'Unità clandestina”. L'ex direttore dell'Unità Emanuele Macaluso, 92 anni, una vita come un romanzo, un anno fa è sbarcato su Facebook, dove ha una pagina, Em.ma, in cui posta ogni mattina un pungente corsivo sul fatto del giorno. Negli ultimi giorni il suo impegno si è interrotto, per un problema di salute, ma a breve riprenderà. Questo suo diario pubblico è diventato un libro, La politica che non c'è, edito da Castelvecchi, in libreria da domani.
 
Perché scrive su internet?
“Togliatti un giorno mi disse: “Un politico che non scrive è un politico dimezzato”. Scrivere è anche un bisogno fisico, se non potessi più farlo la mia vita sarebbe finita. Leggo nove quotidiani, poi butto giù una ventina di righe. Scrivo rapidamente, a mano. Prima di mezzogiorno detto tutto a Peppe Provenzano e a Sergio Sergi, che pubblicano il pezzo materialmente sulla rete”.
 
Legge i commenti, ma non interagisce con gli amici. Come mai?
“Non mi viene spontaneo. Mia moglie però mi riferisce tutto. La rubrica è molto seguita. E’ stata la forza dei lettori a spingermi a riprendere a scrivere dopo la morte di Pompeo”.
 
Cosa intende dire con “La politica che non c'è?”
“Credo che la politica non sia mai stata così in crisi come adesso. Questo mi addolora. Tutto è precipitato con Berlusconi, che ha fatto passare l'idea che bastasse avere un leader. Quell'idea ha vinto”.
 
Ma i partiti non iniziano a morire con il crollo del Muro?
“Anche. Ma è con il capo di Forza Italia che la ideologia della de-ideologizzazione s'impone, contagiando anche la sinistra. Un partito era un luogo di aggregazione culturale, di elaborazione delle idee, e quelle idee poi muovevano il mondo. Oggi il Pd, l'unico partito rimasto in vita, è un grande comitato elettorale a servizio del suo leader”.
 
Renzi non le piace?
“Ha dinamizzato la vita politica, ma spesso affronta le grandi questioni con superficialità. Dopo due anni al governo non c'è stata una vera svolta”.
 
Molti a sinistra lo paragonano a Berlusconi. E' d'accordo?
“Per niente! Il Cavaliere scese in campo per difendere i suoi interessi, non dimentichiamolo mai”.
 
Nascerà il Partito della nazione?
“Ma Partito della Nazione non vuol dire niente. Il mio amico Reichlin, che per primo usò l'espressione, voleva dire “per la nazione”: un soggetto cioè portatore di un interesse nazionale. Così sembra invece che Renzi voglia rappresentare tutti; una simile pretesa non l'ebbe mai nemmeno la Dc. Intuisco che voglia dare al partito un volto più centrista, nella convinzione che la sinistra abbia esaurito il suo ciclo storico. Ma su quali basi culturali e d'identitarie non mi è chiaro. Bobbio diceva che il fine, per la sinistra, era di costruire “una società che tenda all'uguaglianza”
 
Non sono retaggi novecenteschi? Oggi gli italiani chiedono una via d'uscita dalla crisi: non è questo il compito principale della sinistra?
“Ma per fare questo i partiti devono essere presenti nella società, tra la gente. Il Pd è tra il popolo? Non mi pare. Prenda il vicesegretario Serracchiani: sta sempre in tv. Eppure è anche governatore del Friuli, un lavoro che di per sé richiederebbe un impegno totalizzante”.
 
Intanto il Movimento 5Stelle è stabilmente al 25 per cento. Come lo spiega?
“Non mi stupisce. Se un partito non sta nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, se manca una vera compartecipazione, allora prevale il populismo. Vincono i Gianluca Gemelli, gli arrampicatori per i quali la politica è un solo strumento per fare affari. Io penso che la gente voglia ancora partecipare, invece tutto si riduce a talk show. E' un circolo vizioso, che provoca un'erosione della cultura politica di massa. Fino a vent'anni fa il bracciante siciliano aveva una visione del mondo, un orizzonte, che oggi non ha nemmeno un laureato”.
 
Prova estraneità?
“Sì e no. Tempo fa mi ha telefonato De Maria della segreteria del Pd. Voleva che andassi a tenere una lezione ai giovani. Ho fatto resistenza, ribadendo le mie riserve sul partito, ma lui ha insistito molto, chiedendomi di tenere una lezione. Mi sono ritrovato in una sala strapiena di giovani, e lì ho parlato per un'ora del socialismo, del Pci. Mi ha colpito la loro accoglienza. Soprattutto mi hanno colpito le loro domande, erano tutte giuste. Sono uscito da lì col cuore pieno di speranza”.
 
Ho trovato strazianti le pagine che riserva alla morte di Pompeo.
“Con questo mio figlio il rapporto era stato a lungo accidentato. Da ragazzo militava in “Servire il popolo”, una delle tante formazioni extraparlamentari del ‘68: vedeva noi del Pci come fumo negli occhi. Non ci capivamo. Poi un giorno lo arrestarono per un comizio non autorizzato, si fece sei mesi di carcere all'Ucciardone per questa cosa; io andai a trovarlo sempre, gli portavo i libri con cui si laureò in cella con una tesi su Labriola. Era il 1972”.
 
Così ritrovò Pompeo?
“Sì, nacque un rapporto fortissimo, di continui scambi intellettuali. Pompeo era molto premuroso, protettivo, mi chiamava ogni giorno, e ora se ne è andato via prima di me” (Macaluso si commuove).
 
© Riproduzione riservata
27 aprile 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/04/27/news/intervista_a_macaluso-138580945/?ref=HREC1-16
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 25, 2017, 04:51:23 pm »

E' morto il giurista Stefano Rodotà, una vita nelle battaglie per i diritti
Se n'è andato all'età di 84 anni un protagonista della nostra vita pubblica e uno degli ultimi intellettuali di valore. Soprattutto, fino alla fine, un uomo libero che si è speso con la passione civile di un grande laico.
La camera ardente verrà allestita a Montecitorio e sarà aperta al pubblico domani (sabato) dalle 16 alle 20 e domenica dalle 10 alle 19

Di CONCETTO VECCHIO
23 giugno 2017

ROMA - "C'è un impoverimento culturale che si fa sentire, la cattiva politica è figlia della cattiva cultura", così Stefano Rodotà, morto oggi all'età di 84 anni, ammoniva già nel 2000. Una frase che sintetizza l'impegno di una vita di un protagonista della nostra vita pubblica che con passione inesausta ha sempre cercato di far valere un punto di vista laico nei grandi temi del nostro Paese. Difficile inquadrarlo con un'etichetta - giurista, politico, riserva della Repubblica - ma anche complicato incasellarlo dentro uno schieramento: è stato radicale, poi indipendente di sinistra, infine movimentista senza casacca. Comunque sempre a sinistra. E' stato un intellettuale di valore, uno degli ultimi in questo Paese sempre più avaro di idee. Soprattutto, fino alla fine, è stato un uomo libero.

Era nato a Cosenza il 30 maggio del 1933, negli anni del fascismo. Il padre, insegnante di matematica di origine albanese poi iscritto al Partito d'azione insegnava alle medie, dava ripetizioni a Giacomo Mancini, il futuro leader socialista; uno zio divenne segretario locale della Dc. La politica, insieme allo studio, è sin da subito una passione divorante. Nel 1953 approda a Roma per laurearsi in legge. Dice no a un'offerta di Adriano Olivetti, che lo vorrebbe con sé ad Ivrea, e che gli accrediterà comunque, come sostegno per i suoi studi, 300 mila lire sul conto corrente. Prima dei quarant'anni è già ordinario, insegna diritto civile alla Sapienza, ma l'impegno accademico è sempre intrecciato con quello politico; milita nei Radicali, scrive sul "Mondo" di Pannunzio - a 22 anni il primo articolo finisce in prima pagina - dopo che da ragazzo aspettava ogni settimana impaziente l'uscita del numero in edicola. E' Elena Croce, la figlia di Benedetto, nel cui salotto conosce Klaus Mann e Adorno, a introdurlo. "Non c'è un giorno nel quale non abbia preso un libro in mano", dirà. E' tra i primi professori a scrivere regolarmente sui giornali, sin dai primi anni Settanta, quando le tribune dei giornali erano scansate dagli accademici. Con la nascita di Repubblica inizia un'importante collaborazione con il nostro giornale.

E' morto il giurista Stefano Rodotà, una vita nelle battaglie per i diritti
Insegna a Oxford, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, viaggia incessantemente, l'altra sua passione è la buona cucina, da gourmet, "l'investimento per una buona cena non va considerato di serie B rispetto a un libro o a un disco", dirà.

Nel '79 entra in Parlamento, ma a sorpresa rifiuta l'offerta dei radicali ("l'unico partito al quale sono mai stato iscritto"), e si candida come indipendente di sinistra nelle liste del Pci. A Pannella, che quell'anno aveva convinto Sciascia a candidarsi, preferisce Berlinguer. Sono anni difficili, il terrorismo mette a dura prova la tenuta delle istituzioni. Quando il Pci voterà a favore delle leggi emergenziali di Cossiga, Rodotà si smarcherà. Vi rimarrà fino al 1993 quando si dimetterà, a sorpresa, dopo essere stato eletto vicepresidente della Camera. Scrive: "La mia non è una ritirata, né un rifiuto sull'aria "ingrata politica non avrai le mie ossa". I tempi sono così pieni di politica che nessuno può tirarsene fuori con un gesto o una parola". La Seconda Repubblica lo vede quindi fuori dal Palazzo, e con più forza, con meno vincoli. Nel 1997, durante il primo governo Prodi, diventa Garante della Privacy, "il signor Riservatezza", ruolo che regge con equilibrio fino al 2005, in un momento storico in cui, grazie all'esplosione della rete, ogni certezza sui dati personali sembra saltata. Riceve 80 ricorsi al giorno. Interviene, guida, spiega con mano ferma temi che aveva iniziato a studiare sin dai primi anni Settanta.

I temi di una vita sono i diritti, quelli individuali e sociali, perché "è da quelli che si misura la qualità di una società". E poi la laicità dello Stato, i valori della Costituzione, da far conoscere e da preservare, il rapporto tra Stato e Chiesa, quello tra democrazia e religione, la bioetica, la libertà di stampa. Su questi argomenti scrive incessantemente, per anni, con prosa scabra, puntuale, "perché il linguaggio è sempre rivelatore". Pungola la sinistra ogni volta che può, "sui diritti è debole, quasi che la chiesa cattolica abbia il monopolio delle questioni etiche". Il Paese oscilla tra grandi slanci riformatori e repentini ripiegamenti, Rodotà si ritrova spesso in minoranza. "Viviamo in uno stato di diritto, ma nessuno ci crede", commenterà un giorno, amaro.

E' morto il giurista Stefano Rodotà, una vita nelle battaglie per i diritti
Con la sinistra dei partiti il suo rapporto è complesso. Nell'89, dopo la Svolta di Occhetto, aderisce al Pds. Ne diventa presidente, ma senza sentirsi mai pienamente a casa. E' un irregolare. Sono gli anni di Tangentopoli, la sinistra sconta le sue debolezze, avanza il berlusconismo, il paesaggio del Novecento, con le sue certezze, frana di colpo. Il conflitto d'interessi di Berlusconi diventa così il nuovo campo di battaglia dove misurare la forza della democrazia repubblicana. Rodotà è in prima fila. Ne denuncia le storture su questo giornale, ripetutamente. "Siamo alla rottura dei fondamenti di un moderno Stato democratico", dirà dopo che Berlusconi avrà incassato la sua prima fiducia, nell'aprile del 1994, intervistato da Rina Gagliardi.

Rodotà in qualche modo è sempre stato moderno. A 80 anni si scopre star del web. Parla ai giovani. Nel 2013 i Cinquestelle lo candidano alla successione di Napolitano. Il tifo per lui "Ro-do-tà -Ro-do-tà", risuona a Montecitorio, lo votano anche Sel e alcuni del Pd; poi Grillo, con un atto volgare dei suoi, lo definirà "un ottuagenario miracolato della rete". Viene rieletto Napolitano. Sposato da più di mezzo secolo con Carla, collaboratrice di Repubblica, due figli, Carlo e Maria Laura, una delle firme del giornalismo italiano, ha quindi attraversato questo nostro tempo con una profonda curiosità e spirito civile. "Il mio narcisismo l'ho consumato in tutte le cose che ho fatto. Ora mi sento pacificato", disse tempo fa ad Antonio Gnoli. La sua voce, mai accomodante, mancherà.

La camera ardente per Stefano Rodotà verrà allestita a Montecitorio e sarà aperta al pubblico domani dalle 16 alle 20 e domenica dalle 10 alle 19.

© Riproduzione riservata 23 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/23/news/e_morto_il_giurista_stefano_rodota_-168926894/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P5-S1.8-T1
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 17, 2018, 12:00:57 pm »

Renzi, Minniti e Gentiloni: "Impediamo la sottomissione del Pd al M5s"
Mossa dell'ex ministro mentre la battaglia per il congresso si fa sempre più accesa.

Di CONCETTO VECCHIO
16 settembre 2018

S'infittiscono i movimenti dentro il Pd in vista del congresso. Dopo la proposta di Matteo Orfini di "sciogliere il Pd", una mossa che Nicola Zingaretti legge come un modo per rinviare il congresso che dovrà nominare il nuovo segretario, dato che i renziani non dispongono di un candidato su cui puntare, e con il governatore che invece tiene il punto per eleggere il nuovo leader prima delle Europee, ora esce allo scoperto l'ex ministro Carlo Calenda, che raccogliendo un invito di Giuliano da Empoli, invita a cena a Renzi, Minniti e Gentiloni.

Scrive Da Empoli, uno dei consiglieri di Renzi, su Twitter: "La Storia non sarà clemente con i quattro leader del Pd, Renzi, Gentiloni, Calenda, Minniti che condividono la stessa linea politica se per ragioni egoistiche non riusciranno a sedersi intorno a un tavolo per impedire la deriva del PD verso l’irrilevanza e la sottomissione al M5S". Risposta di Calenda, in un tweet fissato: "Hai ragione Giuliano. Questo è un invito formale. Vediamoci @PaoloGentiloni @matteorenzi #minniti. Per essere operativi e per limiti miei di movimento: martedì da me a cena. Invito pubblico per renderlo più incisivo ma risposta privata va benissimo".

Calenda sostiene da tempo la necessità di comporre "un fronte repubblicano", in difesa dell'Europa e della democrazia liberale. Un fronte che si contrapponga culturalmente al M5s. C'è nel riferimento alla possibile "sottomissione al M5S" una critica a Zingaretti, che ha detto di voler parlare agli elettori Cinquestelle, poiché molti di loro sono stati elettori del centrosinistra. "Ma", dice a Repubblica, "il mio non è invito a fare proseliti per il mio fronte. E' un modo per tornare a parlarsi. Siamo al paradosso che in pubblico Gentiloni non parla con Renzi, Renzi parla con Minniti e poco con me, allora, forse in privato, seduti attorno a un tavolo, riusciamo a capire cosa vogliamo fare, dove vogliamo andare. Soprattutto dobbiamo tornare a parlarci, perché sulle grandi questioni abbiamo le stesse idee. Il congresso è una tappa importante, ma che reputo intermedia".

© Riproduzione riservata
16 settembre 2018

Da - https://www.repubblica.it/politica/2018/09/16/news/calenda_e_l_invito_a_cena_a_renzi_minniti_e_gentiloni_-206589205/?ch_id=sfbk&src_id=8001&g_id=0&atier_id=00&ktgt=sfbk8001000&ref=fbbr
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« Risposta #3 inserito:: Ottobre 01, 2018, 09:00:21 pm »


Pd, 70mila alla manifestazione a Roma. I militanti: "Vogliamo unità".

Martina: "A noi piacciono le piazze non i balconi"
Pd, 70mila alla manifestazione a Roma.

I militanti: "Vogliamo unità". Martina: "A noi piacciono le piazze non i balconi"
Abbracci Renzi-Gentiloni e Martina-Renzi. Il segretario a 5Stelle e Lega: "Non si governa con l'odio". Agli elettori: "Abbiamo capito la lezione, adesso aiutateci".
Zingaretti: "Ora ricostruire la dignità della sinistra".
Renzi: "Arriva il Venezuela, cosa contano le nostre correnti?"

Di CONCETTO VECCHIO
30 settembre 2018

"Unità! unità!". Davanti a circa 70 mila militanti - secondo gli organizzatori - il Pd prova a ripartire. Lo fa con la manifestazione contro il governo in piazza del Popolo a Roma, dove oltre alle bandiere di partito sventolano anche i vessilli dell'Unione europea. Mentre a Milano scende in piazza un'altra fetta dell'opposizione.
"Serve un nuovo Pd per una nuova sinistra", ha spiegato il segretario Maurizio Martina, che in un discorso appassionato dal palco ha citato Corbyn e Bauman. Dalla piazza si è levato più volte il coro: "Unità! unità!"
"A qualcuno piacciono i balconi, a noi piace la piazza aperta e di tutti", ha continuato Martina, dal palco. "Ma ditemi se un paese come l'Italia può essere governato dal balcone di Palazzo Chigi con la claque dei 5 stelle sotto. Una scena tristissima da Repubblica delle banane".
La base quindi chiede la fine delle liti tra le varie correnti. "Non pronuncerò una parola sull'unità - ha aggiunto il leader tra gli applausi -, perché quando sei dirigente ci sono cose che non devi dire agli altri ma devi praticarle. A noi serve una svolta, perché contro questa destra non basta quello che siamo stati finora". Da registrare l'abbraccio tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, dopo la freddezza degli ultimi mesi e l'abbraccio tra il segretario Martina e Renzi e tra Martina e Gentiloni.
Martina ha fatto anche autocritica. "Da questa piazza io voglio dire a tanti elettori del centrosinistra che il 4 marzo non ci hanno votato: abbiamo capito. Adesso, però, ci date una mano perchè l'Italia non può andare a sbattere per colpa di questi che governano in modo folle. Abbiamo capito la lezione, voltiamo pagina, guardiamo avanti. L'antidoto a tutto questo siete voi. Questa è la piazza del risveglio democratico, è la piazza della speranza, del cambiamento, della fiducia, dell'orgoglio, del futuro", ha aggiunto, felice per avere scongiurato il flop pronosticato da Salvini, che ieri sera a Latina aveva parlato di "una manifestazione di quattro gatti". Così non è stato: la piazza era piena, appassionata, con gente accorsa da tutta Italia (e più tardi stizzito Salvini ha commentato "il Pd non esiste").
Pd, abbracci tra i big in piazza. I militanti chiedono unità. Gli organizzatori: "Siamo 70mila".
Martina a Lega: "Non si governa con l'odio"

Martina ha fatto un discorso di sinistra, indicando così una chiara rotta per il futuro. Pesanti i giudizi sul governo.  "Di Maio, Salvini non tiene un paese se viene governato dall'odio, da ministri che passano il loro tempo a insultare. A proposito di assassini politici, vergognatevi. In un paese che ha vissuto il dramma di riformisti uccisi. Andate a rileggervi la storia. Se avete a cuore la sicurezza e la democrazia dimostrate di voler combattere la xenofobia e il razzismo. Altro che andare a cena con qualche organizzazione che andrebbe chiusa. Noi siamo figli della Resistenza e non ce lo dimentichiamo", ha detto Martina riferendosi alla fotografia circolata nei giorni scorsi che ritraeva Matteo Salvini a tavola con esponenti di CasaPound (come rivelato da Paolo Berizzi). "A proposito di giustizia: Salvini, restituisci i 49 milioni sottratti ai cittadini". Un appello a cui la piazza ha risposto intonando il grido "onestà-onestà".  E ancora: "M5s ha assecondato l'inciucio sulla Rai tra Berlusconi e Salvini.  Di Maio ha fatto il cameriere ad Arcore. Ha sigillato il nuovo contratto tra Berlusconi e Salvini".

La kermesse si era aperta con l'inno di Mameli. L'ultima canzone prima del via ufficiale all'evento era stata Bella Ciao. Sul palco esponenti della società civile, operai, disoccupati, sindaci che protestano contro il taglio dei fondi destinati alle periferie. In apertura, il presidente del municipio val Polcevera di Genova, Federico Romeo.

E poi tutti i big, almeno in un'occasione uniti. "È giusto stare in piazza contro questo governo. Questi incompetenti mettono a rischio l'economia, ha detto Matteo Renzi: "Quello che mi sembra logico è dire che chiunque sarà segretario o segretaria deve avere il consenso e il supporto di tutti gli altri", ha detto l'ex premier. "Evitiamo il fuoco amico anche perché mettersi a litigare quando gli altri fanno le cose che fanno, è francamente incomprensibile. La linea del governo ci porta dritti in Venezuela". Più tardi, tornando sulla previsione di un flop fatta da Salvini, ha detto: "L'opposizione ha 7 vite". La replica del ministro dell'Interno: "Ancora parla?".

Anche il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, l'unico candidato alla segreteria del Pd è in piazza. "Noi abbiamo perso, inutile girarci intorno, ma non perché abbiamo comunicato male, ma perché il paese ha percepito la distanza siderale dalla loro condizione di vita". Questo "non vuol dire arrendersi e scioglierci, ma aprire un processo di ricostruzione della dignità della sinistra. E questo è l'obiettivo primario del congresso", ha detto Zingaretti.

"Verso Piazza del popolo a circa 25 anni dall'ultima partecipazione a una manifestazione", scrive su Twitter Carlo Calenda. E poi: "È stata finalmente una gran giornata! Ripartiamo da qui uniti". E Paolo Gentiloni: "Giornata di sole dopo la triste serata del balcone. Dalla piazza del popolo pd una bella sfida al populismo". La piazza dem si becca per ora l'invettiva di Beppe Grillo: "I soliti treni e autobus pagati non si sa da chi hanno riunito i discretostanti del paese a 'protestare per contarsi' contro questo governo, che gli risulta incomprensibile", ha detto il cofondatore dei 5Stelle.

Le prossime settimane diranno se la tregua nel Pd durerà e se il partito sarà all'altezza della sfida.

Da - https://www.repubblica.it/politica/2018/09/30/news/pd_in_piazza_-207764219/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P7-S1.8-T1
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