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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 03, 2008, 12:17:52 am » |
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Il Coraggio del Presidente
Vincenzo Vasile
Nel secondo messaggio di fine anno a reti unificate Giorgio Napolitano ha smentito l’immagine un po’ algida che ha accompagnato i primi passi del suo difficile settennato, dedicando gran parte del suo discorso ai temi più scottanti del malessere della società italiana: ai bassi salari, al caro vita insostenibile e alla mancata tutela della sicurezza del lavoro, al riscatto dell’imprenditoria dalla schiavitù del «pizzo» mafioso, alle minacce alla libertà di culto degli immigrati, e in genere alle «paure che non fanno ragionare» gli italiani.
Forse era da tempo che una analisi così efficace non veniva sottoposta al pubblico televisivo nell’ultimo giorno dell’anno da un presidente della Repubblica.
Forse non accadeva così dai tempi di Sandro Pertini. Ed è significativo che la ritualità ripetitiva dell’appuntamento annuale dell’Inquilino del Colle con la platea televisiva venga rotta dall’irrompere della vita della gente, delle questioni sociali più calde, a distanza di tanti anni per opera di due presidenti che provengono dalle file della sinistra, pur avendo bagagli culturali, generazionali e di temperamento, i più diversi.
L’analisi di Giorgio Napolitano è piuttosto complessa, e superficialmente ci si potrebbe anche stupire che essa possa portare a conclusioni positive ed esortative, se non proprio ottimistiche: l’Italia può farcela, non è in declino, ma molto - anzi tutto - dipende da noi stessi, dice Napolitano. Solo qualche settimana fa la prima pagina del New York Times lo salutava, appena arrivato negli Usa, con un’impietosa raffigurazione del Paese in crisi, senescente, e disperato. Liberi di prendere a modello «un noto comico italiano...», il capo dello Stato aveva risposto senza nascondere l’irritazione: ma la realtà italiana è molto differente. Lunedì sera in diretta tv il capo dello Stato ha cercato di indicare, seppur sommariamente, gli elementi di dinamismo e di innovazione - la «creatività» italiana - presenti nella struttura economica e i fattori di solidarietà e coesione del nostro Paese, che contraddicono lo specchio deformante dei blog di Beppe Grillo e dei suoi imitatori.
Un’intervista all’ex consigliere di Blair, Peter Mandelson, è stato lo spunto per controbattere con le parole di un osservatore straniero «attento e non malevolo»; e andando a rileggere quell’analisi, che è stata citata en passant dal presidente nel discorso di fine anno, si può scoprire come Napolitano ne abbia omesso per diplomazia la parte più urticante: il consigliere della Ue per il commercio internazionale vi definisce, infatti, tout court le parole del New York Times niente altro che una «caricatura» dell’Italia. Che ha - secondo Mandelson, e secondo il capo dello Stato - invece un patrimonio di cultura di innovazione di inventività a cui semmai non sa pienamente attingere.
Le parole di fiducia e di incoraggiamento che Napolitano ha rivolto agli italiani non si basano, dunque, solo su guizzi polemici o artifici retorici. Ma su risorse morali e civili e grandi energie a cui fare appello per affrontare le sfide. Se Napolitano si fosse limitato a una perorazione avrebbe avuto un’audience più limitata. E invece da queste premesse concrete deriva una ben maggiore efficacia della sua denuncia delle priorità sociali da affrontare per evitare il rischio del declino: i salari, per l’appunto, e la lotta al carovita, e la sicurezza del lavoro. «Il problema - spiega Napolitano - sta nel come valorizzare e incoraggiare» il dinamismo dei centri di eccellenza e delle realtà più avanzate; «nel come trasmettere questi impulsi all’intero sistema-Italia», puntando su «innovazione e merito». E «privilegiando fortemente l’istruzione, così da giungere via via a una crescita più sostenuta e generale, in cui sia pienamente coinvolto il Mezzogiorno».
E questo radicamento nelle migliori spinte dell’Italia profonda è anche la strada per sconfiggere le «paure» irrazionali per la criminalità, l’insicurezza, l’immigrazione. Da affrontare senza concedere nulla all’intolleranza, come invece è accaduto con le minacce alla libertà di culto dei musulmani a opera dei sindaci leghisti, per le quali fino all’intervento di Napolitano erano tardate, in verità, proteste e reazioni adeguate. E questa è la via per combattere l’«assillo» del capo dello Stato per la mancanza di lavoro e per le morti in fabbrica, e il drammatico «malessere» sociale per retribuzioni e redditi insufficienti, per le famiglie che non riescono a giungere alla fine del mese, per i rincari del costo della vita. Paure e «particolarismi», invece, possono provocare solo un black out sociale pericoloso, che è simboleggiato in queste ore nei cumuli di rifiuti che si accatastano ai bordi delle strade della Campania.
Si dirà che apparentemente nel discorso di Napolitano c’è, dunque, poca politica. Lo stesso presidente ha risposto preventivamente che non vuol farsi trascinare nel dibattito politico infuocato di questi giorni, in quanto esso mette in questione la stessa stabilità del governo. Affida alla centralità del Parlamento le sorti dell’esecutivo. E, insieme, le risposte che ritiene più urgenti e «indispensabili»: quelle riforme - in particolare la legge elettorale - per le quali si è appena dischiuso uno «spiraglio», un varco. Non si sa ancora per quanto tempo aperto, e quanto agibile. E non si sa con quali effetti sulla stessa continuità del governo. Il fatto è che il crocevia che introduce a quel varco sarà ancora una volta, a partire dai prossimi giorni, proprio il Quirinale.
Pubblicato il: 02.01.08 Modificato il: 02.01.08 alle ore 8.16 © l'Unità.
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