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Autore Discussione: «Fermate il mondo!»: come reagire alla rivolta contro l’integrazione globale  (Letto 1788 volte)
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« inserito:: Aprile 14, 2016, 05:18:22 pm »

«Fermate il mondo!»: come reagire alla rivolta contro l’integrazione globale

Di Lawrence Summers
11 aprile 2016

Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, uno dei pilastri dell’ordine internazionale è il consenso generale in favore dell'integrazione economica globale, vista come forza di pace e prosperità. Dagli accordi commerciali mondiali al progetto europeo, dalle istituzioni di Bretton Woods alla rimozione degli onnipresenti controlli di capitale, dall'espansione degli investimenti esteri diretti all'incremento dei flussi transnazionali di persone, la direzione generale è chiara: sotto la spinta dei progressi delle economie nazionali, di tecnologie come le navi portacontainer e la telematica, che favoriscono l'integrazione, e di cambiamenti legislativi nelle singole nazioni e fra una nazione e l'altra, il mondo è diventato più piccolo e interconnesso.

I risultati sono stati superiori a quanto fosse lecito attendersi: non c'è stata nessuna guerra fra le potenze principali, il tenore di vita a livello mondiale è cresciuto più rapidamente che in qualsiasi altro momento storico e il progresso materiale ha coinciso con un progresso ancora più rapido della lotta alla fame, l'emancipazione delle donne, la diffusione dell’alfabetizzazione e il prolungamento della vita media. Un mondo che nel giro di pochi anni avrà più smartphone che individui adulti è un mondo dove mai così tante persone hanno avuto così tante opportunità.

Eppure, in Occidente, stiamo assistendo a una rivolta contro l'integrazione globale. I quattro principali candidati alla Casa Bianca – Hillary Clinton, Bernie Sanders, Donald Trump e Ted Cruz – sono tutti contrari alla più importante iniziativa del momento in favore del libero scambio, il Partenariato transpacifico. Le proposte di Trump (attualmente in testa nelle primarie repubblicane) di erigere un muro al confine con il Messico, abrogare gli accordi commerciali e perseguitare i musulmani sono molto più popolari di Trump stesso. Il movimento per l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea raccoglie un notevole consenso. Sotto la pressione dell'afflusso di rifugiati, l'impegno dell'Europa per mantenere aperti i confini sembra sgretolarsi. La crescita delle istituzioni finanziarie internazionali, a causa soprattutto dei vincoli politici, non riesce a tenere il passo con la crescita dell'economia mondiale.

Uno dei fattori principali dietro questa resistenza al libero scambio è indubbiamente un difetto di informazione. Nessuno ringrazia i commerci internazionali del fatto che riusciamo ad acquistare, con la stessa busta paga, il doppio di vestiti, giocattoli e altre merci che avremmo potuto acquistare altrimenti. Chi ha successo come esportatore tende a pensare che il merito sia della propria abilità personale invece che degli accordi internazionali. Insomma, argomenti per istruire le persone sui benefici dell'integrazione globale i nostri leader politici e imprenditoriali li avrebbero. Ma adesso, con le tendenze che puntano nel senso sbagliato, è difficile nutrire ottimismo sul buon esito di questi sforzi.

Il nucleo centrale della rivolta contro l'integrazione globale, tuttavia, non ha nulla a che fare con l'ignoranza: è una percezione, non del tutto ingiustificata, che questa espansione dei commerci globali sia un progetto portato avanti dalle élite in favore delle élite stesse, con scarsa considerazione per la sorte della gente comune, che vede la globalizzazione come una manovra delle grandi aziende per mettere un Paese contro l'altro. La gente legge le rivelazioni contenute nei Panama Papers e giunge alla conclusione che la globalizzazione offre a pochi fortunati opportunità per sfuggire a tasse e regolamenti che a tutti gli altri sono precluse. E vede la disintegrazione che accompagna l'integrazione globale, con comunità che entrano in crisi ogni volta che una grossa azienda viene smantellata dalla concorrenza estera.

Che cosa succederà adesso (e che cosa sarebbe bene che succedesse)? Le élite possono continuare a perseguire e difendere l'integrazione, sperando di conquistare un consenso sufficiente: ma la campagna presidenziale americana e il dibattito sulla Brexit segnalano chiaramente che questa strategia verosimilmente ha fatto il suo tempo. Assisteremo quindi, con ogni probabilità, a un arresto dell'integrazione economica e a sforzi per preservare quella che già esiste, facendo affidamento sulla tecnologia e la crescita dei Paesi in via di sviluppo come elementi trainanti di un'ulteriore integrazione.

I precedenti, in particolare il periodo fra le due guerre, non inducono all'ottimismo sulle possibilità di successo di una globalizzazione spontanea, senza qualcuno che sorregga materialmente il sistema e senza istituzioni globali forti.

C'è un'altra idea, molto più promettente: trasformare l'integrazione globale in un progetto promosso dal basso invece che dall'alto, spostando l'accendo dalla promozione dell'integrazione alla gestione delle sue conseguenze.

Significherebbe concentrarsi, invece che sugli accordi commerciali internazionali, su accordi di armonizzazione internazionali, dove tematiche come i diritti dei lavoratori e la difesa dell'ambiente avrebbero la precedenza sulle misure tese a dare più potere ai produttori esteri. Significherebbe anche riservare a quelle migliaia di miliardi di dollari che sfuggono alle tasse o evadono le normative sfruttando i flussi di capitale transfrontalieri lo stesso capitale politico che oggi viene riservato agli accordi commerciali. E significherebbe concentrarsi sui problemi dei genitori di classe media di ogni parte del mondo, che dubitano, ma continuano a sperare disperatamente, che i loro figli possano avere una vita migliore di quella che hanno avuto loro.

Lawrence Summers è titolare della cattedra Charles W. Eliot all'Università di Harvard, della quale è stato rettore. Dal 1999 al 2001 è stato segretario al Tesoro con il presidente Clinton e dal 2009 al 2010 consulente economico del presidente Obama. E' il teorico della “stagnazione secolare” http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2016-02-18/la-tesi-stagnazione-secolare-trova-sempre-piu-conferme-160439.shtml?uuid=ACavDRXC&fromSearch

(Traduzione di Fabio Galimberti)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2016-04-11/fermate-mondo-come-reagire-rivolta-contro-l-integrazione-globale-165010.shtml?uuid=ACcZXO5C&p=2
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