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Autore Discussione: GIORDANO STABILE.  (Letto 25862 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Luglio 23, 2018, 01:46:20 pm »

Israele mette in salvo 800 “Caschi Bianchi” dalla Siria

Saranno accolti da Germania, Olanda e Canada

Pubblicato il 22/07/2018 - Ultima modifica il 22/07/2018 alle ore 09:26

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

Israele ha messo in salvo 800 “Caschi Bianchi”, i volontari della cosiddetta Difesa civile siriana. L’operazione è stata condotta al posto di frontiera fra Quneitra e le Alture del Golan. I volontari sono stati portati in territorio israeliano e poi in Giordania L’esercito israeliano ha confermato l’operazione di salvataggio. “Su richiesta degli Stati Uniti e di Paesi europei – ha precisato in un comunicato – le forze armate hanno portato a termine uno sforzo umanitario per mettere in salvo i membri della Difesa civile siriana”.

Anche la Giordania ha collaborato 
“I civili – continua il comunicato – sono stati evacuati da una zona di guerra del Sud della Siria a causa dell’immediato pericolo per le loro vite. Il trasferimento effettuato attraverso Israele è un eccezionale gesto umanitario ma Israele continua a mantenere la sua posizione di non-intervento riguardo il conflitto in Siria”. Anche la Giordania ha confermato di aver autorizzato il passaggio degli 800 siriani sul suo territorio per “il trasferimento in Paesi occidentali”.

Trasferiti in Occidente 
Secondo indiscrezioni di media americani e tedeschi, i “Caschi Bianchi” saranno trasferiti in Germania, Olanda, Gran Bretagna e Canada, dove otterranno lo status di rifugiati. I “Caschi Bianchi” sono il volto più mediatico, ma a volte controverso, dell’opposizione al regime di Bashar al-Assad. In questi anni hanno operato nelle aree controllate dai ribelli e soccorso migliaia di persone vittime dei raid.

Le accuse del regime 
I “Caschi Bianchi” hanno denunciato le violazione dei diritti umani e i crimini di guerra delle forze governative, in particolare l’uso di armi chimiche. L’ultima denuncia però, l’uso di cloro e gas nervini a Douma, nella Ghoutha orientale, non ha trovato riscontro nell’indagine condotta dall’agenzia Opac dell’Onu. Damasco accusa i “Caschi Bianchi” di essere al servizio dei gruppi ribelli, anche islamisti.

In trappola Quneitra 
Per questo gli 800 volontari sono fuggiti dalle zone man mano riconquistate dall’esercito nelle province di Daraa e Quneitra, finché si sono trovati intrappolati nella città di Quneitra. Ieri pomeriggio anche Quneitra si è arresa e nella notte è scatta l’operazione di salvataggio. I “Caschi Bianchi” rischiavano di essere arrestati e torturati dalle forze governative, in quanto considerati “terroristi”.

 

Trump taglia i fondi 
La cosiddetta Difesa civile siriana è stata finanziata in questi anni proprio da Stati Uniti, Gran Bretagna e altri Paesi europei, gli stessi che hanno deciso di accogliere i volontari. Donald Trump ha però tagliato quest’anno la maggior parte dei 200 milioni di dollari previsti. E gli Stati Uniti non accoglieranno rifugiati dalla Siria proprio per le leggi volute da Trump che limitano l’immigrazione da “Paesi a rischio”.

Intesa Francia-Russia 
I Caschi Bianchi sono ora presenti in un piccolo spicchio di Siria nel Nord Ovest, ma privi di gran parte dei mezzi finanziari. Con la resa di Daraa ai ribelli resta soltanto la provincia di Idlib, dove sono sotto tutela turca, non si sa fino a che punto protetti da un eventuale attacco del regime. E anche la Francia sembra essersi allineata all’intesa fra Trump e Vladimir Putin. Ieri è partito da Chatearoux un aereo da trasporto russo con 44 tonnellate di medicinate destinate alla Ghoutha orientale. La prima collaborazione di questo genere fra Parigi e Mosca.

Coordinamento Israele-Russia 
Anche l’operazione di salvataggio dei “Caschi Bianchi” ha visto la collaborazione della Russia. L’evacuazione è stata concordata in una telefonata fra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e Putin e poi fra il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman e il suo omologo russo Sergey Shoygu. Putin e Netanyahu si sono incontrati dodici volte in meno di due anni per coordinare le operazioni in Siria, dove l’aviazione israeliana colpisce obiettivi iraniani senza opposizione da parte delle forze aeree e missilistiche russe. Putin ha promesso una fascia al confine con Israele profonda 80 km “senza presenza iraniana”.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/07/22/esteri/israele-aiuta-il-passaggio-di-caschi-bianchi-siriani-dalla-siria-alla-giordania-Zrl4kCTXCAPeWdarq2FXGN/pagina.html
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« Risposta #31 inserito:: Agosto 25, 2018, 05:58:30 pm »

Trump: i palestinesi otterranno “qualcosa di molto buono”
Il presidente sul piano di pace: «Israele pagherà un prezzo alto per lo spostamento dell’ambasciata»
Pubblicato il 22/08/2018 - Ultima modifica il 22/08/2018 alle ore 13:05

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

Il presidente Donald Trump è tornato sul piano di pace per il Medio Oriente, “l’accordo del secolo” che aveva promesso all’inizio del suo mandato. Nella tarda serata di ieri ha precisato che i palestinesi otterranno «qualcosa di molto buono» e che «Israele pagherà un prezzo molto alto» in cambio dello spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, cioè dovrà fare più concessioni alla controparte.

Nessun dettaglio 
Ora «è il turno dei palestinesi», ha spiegato. Non ha però fornito dettagli. Al piano di pace lavorano l’inviato per il Medio Oriente Jason Greenblatt e il consigliere speciale della Casa Bianca Jared Kushner, assieme al principe saudita Mohammed bin Salman e all’Egitto. Il piano dovrebbe essere un’evoluzione della proposta saudita del 2002, con la nascita di uno Stato palestinese in parte dei Territori: Cisgiordania e Gaza.

Bolton in Israele 
Del piano hanno discusso anche il governo israeliano e il consigliere alla Sicurezza della Casa Bianca John Bolton, arrivato ieri in Israele. Bolton ha soltanto detto che ci sono «molti progressi nella regione» e non ha fornito una data per l’annuncio del piano di pace. La visita coincide anche con il 25esimo anniversario degli Accordi di Oslo, firmati nell’agosto del 1993, che sembravano aver spianato la strada verso un’intesa ma poi si sono arenati.

Il leader di Hamas 
Un no alle proposte americane è arrivato però subito dal leader di Hamas Ismail Haniyeh, che in un discorso per la festa del sacrificio, l’Aid al-Adha, ha detto che “l’accordo del secolo è clinicamente morto”. Il leader islamista ha però confermato che «il blocco di Gaza sta per finire» e quindi l’intesa per una tregua fra Hamas e Israele, raggiunta con la mediazione dell’Egitto ma senza la partecipazione dell’altra fazione palestinese, Al-Fatah, il partito del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, con sede a Ramallah in Cisgiordania, Abu Mazen.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/08/22/esteri/trump-i-palestinesi-otterranno-qualcosa-di-molto-buono-G5kNk0i6oug7Prp0u98VhN/pagina.html

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« Risposta #32 inserito:: Settembre 02, 2018, 11:07:55 pm »

Abu Mazen svela il piano di pace Usa: una confederazione fra palestinesi e Giordania

Il presidente palestinese a PeaceNow: ho risposto che vogliono l’unione anche con Israele

Pubblicato il 02/09/2018 - Ultima modifica il 02/09/2018 alle ore 16:49

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

Il presidente palestinese Abu Mazen ha rivelato in un incontro con attivisti di PeaceNow e deputati israeliani il punto centrale del piano di pace dell’Amministrazione Trump per il Medio Oriente. “Ho incontrato Jared Kushner e Jason Greenblatt e mi hanno proposto una confederazione con la Giordania – ha detto -. Ho risposto che volevo una confederazione con la Giordania ma anche con Israele”.

Il presidente Donald Trump aveva promesso la scorsa settimana che i palestinesi avrebbero ottenuto “qualcosa di molto buono”. 

La Casa Bianca sta lavorando “all’accordo del secolo” con il consigliere Kushner, genero del presidente, e l’inviato speciale Greenblatt. Alle trattative partecipano anche Egitto e Arabia Saudita. L’idea di una confederazione fra Cisgiordania e Giordania è sostenuta soprattutto dal partito del premier Benjamin Netanyahu, il Likud, ma non è mai stata accettata dai palestinesi. La controproposta di Abu Mazen troverà invece difficilmente consensi in Israele.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/09/02/esteri/abu-mazen-svela-il-piano-di-pace-usa-una-confederazione-fra-palestinesi-e-giordania-nvkqjGLfCcRBL9JIH0dCtO/pagina.html
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« Risposta #33 inserito:: Settembre 17, 2018, 11:51:14 am »

Attacco in Cisgiordania, ucciso noto attivista ebreo-americano

Pubblicato il 16/09/2018 - Ultima modifica il 16/09/2018 alle ore 17:28

Giordano Stabile
Inviato a Beirut

Un palestinese diciassettenne ha ucciso all’intersezione di Gush Etzion, in Cisgiordania, un noto attivista ebreo-americano, Ari Fuld, 45 anni. L’assalitore lo ha colpito con un coltello, e poi è stato catturato da alcuni abitanti di un vicino insediamento. I genitori del killer avevano avvertito l’Autorità palestinese che stava probabilmente per compiere un attentato, perché era sparito di casa all’improvviso, ma le forze di sicurezza non sono riuscite a intervenire in tempo. 

Ari Fuld era un attivista conosciuto anche negli Stati Uniti, dove era nato prima di trasferirsi in un insediamento in Cisgiordania. Era un sostenitore degli insediamenti e sta per compiere un tour di conferenze in America, a novembre. Il giovane palestinese lo ha accoltellato dietro un centro commerciale a Etzion. Ora è agli arresti in Israele. L’attacco a Gush Etzion, già teatro di più gravi attentati con auto lanciate sui passanti, è l’ultimo della cosiddetta “Intifada dei coltelli”, che dall’ottobre del 2015 ha fatto oltre 40 vittime israeliane.

Un portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, lo ha definito una «risposta naturale ai crimini commessi da Israele nei confronti dei palestinesi». L’ambasciatore americano David Friedman ha espresso il dolore «dell’America per uno dei suoi cittadini brutalmente ucciso da un terrorista palestinese». Anche il presidente israeliano Reuven Rivlin si è unito alle condoglianze: «Nessuno ha lottato con così tanta forza contro il terrorismo come Ari, ha combattuto fino al suo ultimo istante».
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Da - http://www.lastampa.it/2018/09/16/esteri/attacco-in-cisgiordania-ucciso-noto-attivista-ebreoamericano-sn7MbB4SxIMiVOypPgxwAM/pagina.html
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« Risposta #34 inserito:: Settembre 23, 2018, 04:25:39 pm »

Haftar minaccia di nuovo Tripoli: “Pronti all'azione militare”
Intanto la tregua imposta dall’Onu continua a essere violata da scontri nella periferia meridionale della capitale libica
Pubblicato il 20/09/2018 - Ultima modifica il 20/09/2018 alle ore 10:06

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

Khalifa Haftar torna a minacciare un’azione militare contro Tripoli mentre la tregua imposta dall’Onu continua a essere violata da scontri nella periferia meridionale della capitale libica. Il portavoce dell’Esercito nazionale libico guidato da Haftar, Ahmed al Mesmari, ha annunciato che le forze armate della Cirenaica “non resteranno con le mani legate rispetto agli scontri a Tripoli” e “formeranno un fronte militare nella regione occidentale, dopo aver preso il controllo di alcuni punti importanti”.

Ultimatum dei miliziani anti-Serraj 
Domenica la Settima brigata, una milizia basata a Tarhouna, a 60 chilometri a Sud di Tripoli, aveva dato un ultimatum al governo di Tripoli guidato da Fayez al-Serraj perché disarmasse le altre milizie. La Settima Brigata si è scontrata nella scorse settimane con altre formazioni, fedeli ad Al-Serraj, per il controllo della strada che conduce all’aeroporto internazionale, chiuso dal 2014 e di altri quartieri meridionali e centrali. 

Salamé: sanzioni Onu a chi viola la tregua 
Le minacce arrivano dopo le dichiarazione dell’Inviato speciale dell’Onu Ghassam Salamé che ha detto che tutti i leader dei gruppi responsabili delle violazioni del cessate-il-fuoco saranno messi in una lista e “sottoposti a sanzioni”. Salamé ha confermato la sua partecipazione alla conferenza di Roma prevista per novembre, che dovrebbe tracciare una road map verso la pacificazione della Libia. La conferenza è osteggiata dalla Francia.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/09/20/esteri/haftar-minaccia-di-nuovo-tripoli-pronti-allazione-militare-uoZlwfKS5xPI9A16GDH25K/pagina.html
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« Risposta #35 inserito:: Settembre 28, 2018, 12:48:40 pm »

La Russia sfida Israele, missili più moderni ad Assad
L’annuncio del ministro della Difesa: entro due settimane forniremo gli S-300

Pubblicato il 24/09/2018 - Ultima modifica il 24/09/2018 alle ore 17:33

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha annunciato che la Russia fornirà alla Siria «entro due settimane» i moderni sistemi anti-aerei S-300, molto più avanzati rispetto agli attuali S-200. Una settimana fa un missile lanciato da una batteria siriana di S-200 ha colpito per sbaglio un Ilyushin, quadrimotore russo di ricognizione, durante un raid condotto da quattro F-16 israeliani. Ieri Mosca ha accusato Israele di essere responsabile dell’abbattimento, costato la vita a 15 avieri. Le forze aeree israeliane hanno ribattuto che la colpa era dei siriani che avevano risposto al fuoco alla cieca.

Fine di una tacita intesa 
L’incidente è dovuto però anche ai sistemi obsoleti in dotazione ai siriani, che erano sprovvisti del meccanismo di riconoscimento elettronico in grado di distinguere gli aerei nemici da quelli amici. Anche per questo Mosca ha deciso di consegnare subito gli S-300, che saranno integrati nei sistemi russi presenti in Siria. Il contratto, firmato all’inizio degli anni Duemila, prevedeva la consegna già nel 2013 ma la Russia l’aveva sospesa proprio su richiesta israeliana. L’aviazione di Israele ha condotto in questi ultimi cinque mesi centinaia di raid in Siria su obiettivi legati ai Pasdaran iraniani e alle milizie sciite alleate, a cominciare da Hezbollah, con il tacito assenso di Mosca. Ma l’abbattimento dell’Ilyushin ha cambiato la situazione.

Decisione di Putin in persona 
La decisione, ha precisato Shoigu, è stata presa in persona dal presidente Vladimir Putin, che aveva annunciato la scorsa settimana misure drastiche «per aumentare la sicurezza delle nostre truppe in Siria». I militari siriani delle difese anti-aeree «hanno già ricevuto l’addestramento» e questo significa che gli S-300 saranno operativi in tempi brevi. Rispetto agli S-200 sono dotati di un radar molto più potente, che individua obiettivi fino a 350 chilometri di distanza, e di missili più veloci e agili, in grado di mettere in seria difficoltà gli F-16 israeliani. La mossa, assieme alla chiusura dello spazio aereo siriano, è un segnale chiaro allo Stato ebraico: la risposta a eventuali nuovi raid sarà molto più decisa.

La risposta israeliana, gli F-35 
Israele però dispone di una dozzina di F-35, cacciabombardieri a bassa visibilità radar, che possono essere usati in missioni notturne senza essere individuati dai sistemi di difesa russa. Finora l’aviazione israeliana li ha usati soltanto una volta, come test operativo. Ora i jet “Stealth” potrebbero essere la risposta alle nuove difese siriane. Gli F-35 sono stati concepiti proprio per distruggere le difese aeree - come gli S-300 e gli ancora più avanzati S-400 - per poi permettere ai cacciabombardieri “tradizionali” di compiere i raid senza ostacoli.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/09/24/esteri/la-russia-sfida-israele-missili-pi-moderni-ad-assad-wzblNaGoUhpTNHHPmFGgQN/pagina.html
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« Risposta #36 inserito:: Ottobre 01, 2018, 08:52:03 pm »


Egitto, denuncia molestie sessuali su Facebook: condannata a due anni
È la moglie del consulente legale della famiglia Regeni
Pubblicato il 30/09/2018 - Ultima modifica il 30/09/2018 alle ore 09:34

Giordano Stabile
Inviato a Beirut

L’attivista Amal Fathy, moglie del consulente legale della famiglia Regeni, che aveva postato un video in cui aveva accusava le autorità egiziane di non fare nulla contro le molestie sessuali, è stata condannata a due anni di carcere per aver “diffuso fake news”. In Egitto si intende per “fake news” versioni dei fatti non in linea con quanto sostiene il governo o le autorità di polizia. Fathy, che si batte per i diritti civili e la parità fra uomini e donne in Egitto, è già da 141 giorni in carcere per accuse di “terrorismo” e dovrà pagare anche una multa di 1120 sterline egiziane, circa 50 euro. Per questo caso potrà essere rilasciata dietro pagamento di una cauzione di 20 mila sterline, circa 1000 euro. Ma le imputazioni più gravi sono quelle di “appartenenza a un gruppo terroristico” per avere “usato un sito Internet nel promuovere idee che spingono ad attacchi terroristici”, accuse che potrebbero costarle anni di carcere.

“Si stava meglio settant’anni fa” 
Nel video di dodici minuti, postato a maggio, Fathy spiegava che lei è stata molestata due volte nello stesso giorno e criticava il governo egiziano per la mancanza di progressi nel contrastare il fenomeno. Secondo l’Onu il 99,3 per cento delle egiziane ha subito almeno una molestia nella sua vita. Fathy, 33 anni, raccontava che in taxi un conducente “ha aggiustato lo specchietto per potermi guardare poi ha fatto commenti disgustosi”. In un altro caso un bancario ha cercato di ricattarla mentre cercava di risolvere un problema con un prestito. “Stavamo meglio settant’anni fa – è la conclusione del video – quando le donne andavano in giro in minigonna e se qualcuno le importunava bastava chiamare un agente per farlo finire in carcere”.
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Da - http://www.lastampa.it/2018/09/30/esteri/egitto-denuncia-molestie-sessuali-su-facebook-condannata-a-due-anni-YEAraGeNo2Iab5nlxZvVXO/pagina.html
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« Risposta #37 inserito:: Ottobre 17, 2018, 10:41:25 pm »

Caso giornalista Khashoggi, Riad: “Reagiremo a misure punitive”.
Intanto la borsa saudita crolla
Dopo la minaccia di una “punizione severa” da parte di Trump

Pubblicato il 14/10/2018 - Ultima modifica il 14/10/2018 alle ore 18:16

GIORDANO STABILE

L’Arabia Saudita è pronta a rispondere con una “azione ancora più forte” a ogni possibile “punizione” da parte degli Stati Uniti per il caso del giornalista Jamal Khashoggi, sparito nel consolato di Istanbul il 2 ottobre e probabilmente ucciso. Dopo le parole di ieri del presidente Usa Donald Trump, che ha promesso una “punizione severa” nel caso le responsabilità saudite venissero accertate, il governo ha affidato la riposta a una dichiarazione anonima all’agenzia Spa. “Il Regno – si afferma – rigetta ogni minaccia o tentativo di indebolirlo, sia attraverso sanzioni economiche che pressioni politiche. Il Regno reagirà a ogni azione con una azione ancora più forte”. E, avverte, “l’economia saudita ha un ruolo vitale e influente a livello globale”.

Boicottata la “Davos del deserto” 
Il riferimento è al petrolio. L’Arabia Saudita è il terzo produttore al mondo, con 10,8 milioni di barili al giorno, e il primo esportatore con 7,5 milioni. Riad teme un boicottaggio della Future Investment Initiative Conference, la “Davos del deserto”, prevista a partire dal 27 ottobre. Il segretario al Tesoro Usa Steve Mnuchin sta ripensando la sua partecipazione. Lo stesso sta valutando il ministro per il Commercio estero britannico Liam Fox. Diplomatici americani ed europei stanno preparando un documento comune di condanna, se l’uccisione da parte dei sauditi venisse confermata. Il rifiuto di aprire il consolato alle ispezioni degli investigatori turchi è visto come una mezza confessione. Ankara ha minacciato di ricorrere alla Convenzione di Vienna per ottenere i permessi.

Le parole di Trump 
Ieri Trump si era detto pronto a “punire severamente” l’Arabia Saudita. Il presidente americano era stato finora prudente, ma i continui dettagli che emergono dalle indagini condotte dagli investigatori turchi l’hanno convinto, o costretto, a una presa di posizione netta. Trump si è detto “molto arrabbiato” e ha definito “terribile e vergognoso” che un reporter sia stato ucciso così: “Siamo decisi ad andare fino in fondo e ci sarà una punizione severa”. Il presidente americano ha però escluso sanzioni sulle forniture di armamenti, che vedono aziende americane impegnate a onorare contratti da 110 miliardi di dollari, “che portano posti di lavoro”. Commesse sui cui hanno già messo gli occhi “la Russia e la Cina”.

Ombre sul reporter scomparso 
Sempre ieri Riad ha respinto le accuse, definite dal ministro dell’Interno Abdulaziz bin Saud bin Nayef “bugie senza fondamento”. I media del Golfo cercano di gettare ombre sulla figura di Khashoggi, che in effetti negli Anni Ottanta era stato embedded con i combattenti arabi di Osama bin Laden in Afghanistan. Si sottolineano i suoi rapporti con il potentissimo uomo dei Servizi sauditi Turki Faisal Al-Saud, sostenitore di Al-Qaeda e dei Taleban ai tempi dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, poi caduto in disgrazia. E si sottolinea persino che il nome Khashoggi è di origine turca (significa “cucchiaio”, che in arabo si dice invece milaaqa).

Crolla la Borsa saudita 

Il comunicato arriva dopo che le azioni saudite hanno subito una flessione del 7 per cento poco dopo l’apertura delle contrattazioni. L’indice Tadawul All-Shares (TASI) ha perso rapidamente più di 400 punti nel primo giorno di negoziazione della settimana, cancellando tutti i guadagni che aveva incassato dall’inizio dell’anno.

L’indice era già sceso del 3 per cento giovedì, a seguito di una disfatta sui mercati azionari mondiali alimentata dalle preoccupazioni per i tassi di interesse più elevati e dagli attacchi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Federal Reserve.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/10/14/esteri/caso-giornalista-khashoggi-riad-reagiremo-a-misure-punitive-intanto-la-borsa-saudita-crolla-hhcERp1cis9cJvn0Syr6vN/pagina.html
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« Risposta #38 inserito:: Ottobre 17, 2018, 10:42:42 pm »

Khashoggi fatto a pezzi quando era ancora vivo

Nuovi dettagli degli inquirenti turchi sulla morte del giornalista e dissidente saudita

Pubblicato il 17/10/2018 - Ultima modifica il 17/10/2018 alle ore 11:29

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

Gli investigatori turchi hanno fatto trapelare nuovi dettagli dell’uccisione di Jamal Khashoggi alla stampa locale. Il giornalista e dissidente saudita sarebbe stato torturato e fatto a pezzi all’interno del consolato a Istanbul «mentre era ancora in vita». Il quotidiano filo-governativo turco Yeni Safak cita una registrazione audio di quei momenti da cui risulterebbe anche la presenza del console Mohammed al-Otaibi, ripartito ieri per Riad.

A Khashoggi sarebbero state prima tagliate le dita, poi sarebbe stato decapitato, fatto a pezzi e forse sciolto nell’acido.

Secondo altri media «Khashoggi è stato depezzato dall’esperto di autopsie Salah Al Tabiqi, in 7 minuti, mentre ascoltava musica, ci sono registrazioni».

Giornali americani sostengono invece che almeno quattro dei cinque uomini del commando finora identificati fanno parte dell’entourage del principe ereditario Mohammed bin Salman, uno in particolare lo avrebbe accompagnato anche negli Stati Uniti.

La tesi «difensiva» che il giornalista sarebbe morto «durante un interrogatorio» e che i «massimi vertici sauditi non fossero a corrente dell’operazione», regge sempre meno.

Il presidente americano Donald Trump però continua a difendere Riad. Questa notte, rispondendo ai giornalisti, ha detto che l’Arabia Saudita è «innocente fino a prova contraria»: «Dobbiamo capire prima che cosa è accaduto. Altrimenti, come si dice, “si è colpevoli finché non si prova la propria innocenza”, e a me questo non piace».

La missione di Mike Pompeo a Riad si è conclusa con sorrisi e abbracci con il principe ereditario Mohammed bin Salman. Questa mattina Pompeo è arrivato ad Ankara.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/10/17/esteri/khashoggi-fatto-a-pezzi-quando-era-ancora-vivo-NvsA4U2WyCpT3ftpgCxCvM/pagina.html
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« Risposta #39 inserito:: Novembre 04, 2018, 06:53:52 pm »


Israele, i laburisti conquistano le grandi città, sconfitta per Netanyahu

Pubblicato il 31/10/2018 - Ultima modifica il 31/10/2018 alle ore 10:29

Giordano Stabile
Inviato a Beirut

Le elezioni municipali in Israele segnano la riscossa dei laburisti e una battuta d’arresto per il Likud, il partito del premier Benjamin Netanyahu. I laburisti vincono nelle grandi città, come Tel Aviv e Haifa, mentre i conservatori rimangono esclusi dal ballottaggio a Gerusalemme. “Le elezioni - ha detto Avi Gabbay, segretario dei laburisti - indicano che gli israeliani vogliono un cambiamento”. L’anno prossimo è previsto il voto parlamentare. I sondaggi danno ancora per favorito il primo ministro ma Gabbay adesso spera in una rimonta.

A Tel Aviv il sindaco Ron Huldai, uno dei più popolari nel Paese, è stato rieletto dopo 20 anni consecutivi alla guida della città, che con i sobborghi è la più grande in Israele, oltre tre milioni di abitanti. Lo sfidante, l’ex vice sindaco Asaf Zamir ha ammesso la sconfitta al primo turno. Huldai ha ottenuto secondo in risultati preliminari il 46 per cento dei voti, ben oltre la soglia del 40 per cento che serviva a evitare il ballottaggio.

Ma i laburisti festeggiano soprattutto la vittoria della candidata ad Haifa, Einat Kalisch-Roten, che ha sconfitto il sindaco uscente, al potere da 15 anni, Yona Yahav. La Kalisch-Roten sarà la prima donna a governare una città di grosse dimensioni in Israele. Il rinnovamento imposto dal leader Gabbay, più giovani, più donne, comincia quindi a dare i primi frutti.

A Gerusalemme invece nessuno dei candidati ha raggiunto il 40 per cento dei voti. Escluso dal ballottaggio il ministro per gli «Affari di Gerusalemme» Ofer Berkovitch, un laico appoggiato da Netanyahu. Al secondo turno se la vedranno l’esponente della destra religiosa Moshe Leon, sostenuto dal ministro della Difesa Avigdor Lieberman, e Arye Dery. 

Il Consiglio municipale sarà dominato dagli ultra-ortodossi, con 17 seggi su 31, mentre alla destra laica del Likud e partiti minori andranno soltanto 5 seggi.

A Gerusalemme, a differenza che nelle altre città, hanno potuto partecipare anche cittadini non israeliani con permesso di residenza permanente, cioè gli arabi, che rappresentano circa il 40 per cento degli 800 mila abitanti. C’era un unico candidato sindaco palestinese, Ramadan Dabbash. L’Autorità nazionale palestinese ha però chiesto il boicottaggio del voto. L’affluenza è stata del 53 per cento, in leggero aumento.
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Da - https://www.lastampa.it/2018/10/31/esteri/israele-i-laburisti-conquistano-le-grandi-citt-sconfitta-per-netanyahu-eJZNh55o4rK9s9ikV6GfXN/pagina.html
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« Risposta #40 inserito:: Gennaio 08, 2019, 11:27:53 pm »

Erdogan non lo riceve, Bolton lascia la Turchia
Rottura sulla questione delle basi americane in Siria e l’appoggio ai curdi

Pubblicato il 08/01/2019 - Ultima modifica il 08/01/2019 alle ore 13:02

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

E’ finita in anticipo la visita del consigliere alla Sicurezza alla Casa Bianca John Bolton in Turchia. Il presidente turco Recep tayyip Erdogan si è rifiutato di riceverlo e Bolton ha lasciato Ankara in anticipo. La sua missione in Medio Oriente si chiude così con una rottura clamorosa. La frattura nasce da una precisa richiesta di Erdogan, e cioè che gli americani nel corso del loro ritiro consegnino alle forze armate turche, o in subordine distruggano, le “venti basi militari costruite nel Nord-Est della Siria”. Bolton si sarebbe rifiutato di accettare questa richiesta, anche perché il ritiro annunciato alla vigilia di Natale dal presidente americano Donald Trump è stato di fatto rinviato se non cancellato.

“Operazione in Siria imminente”
Erdogan è rimasto però fermo all’accordo raggiunto a dicembre nel corso di una lunga telefonata con Trump. Il ritiro delle truppe statunitensi sembrava imminente e il leader turco si era offerto di sostituirsi a loro nella lotta all’Isis. Concetto che ha ribadito anche oggi. Ankara sarebbe pronta a una “operazione”, simile a quella condotta nel cantone di Afrin, con il duplice scopo di distruggere i guerriglieri curdi dello Ypg, finora protetti dagli Stati Uniti a Est dell’Eufrate, e i jihadisti dello Stato islamico. Gli Usa però temono che lo scopo principale sia una resa dei conti con i curdi. Bolton, nella sua tappa in Israele, ha detto di volere garanzie da parte della Turchia sul fatto che non saranno “massacrati” dopo il ritiro americano. Erdogan ha risposto indignato e detto che non accetta lezioni, tanto più se provengono da Israele.

Controffensiva dell’Isis
Bolton poi ha precisato che il ritiro sarà completato dopo la totale “distruzione dell’Isis”. La battaglia è ancora in corso e vede i curdi, inquadrati nelle Forze democratiche siriane (Sdf) sostenute dagli Usa, in prima linea. L’Isis ha lanciato nella notte un contrattacco 32 combattenti curdi sono stati uccisi vicino alla cittadina di Abukamal. Lo notizia è stata data dall’Osservatorio per i diritti umani, una ong con base a Londra ma dispone di una rete di informatori su tutto il territorio siriano. Le Sdf stanno cercando da circa un anno, dopo la liberazione di Raqqa, di riconquistare una stretta striscia di territorio sulla sponda orientale dell’Eufrate, dove si sono asserragliate alcune migliaia di jihadisti, circa un terzo stranieri.

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Da - https://www.lastampa.it/2019/01/08/esteri/erdogan-non-lo-riceve-bolton-lascia-la-turchia-6XYRmpg4vT7kC0ZR90JasO/pagina.html
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« Risposta #41 inserito:: Marzo 27, 2019, 05:58:50 pm »

Siria, i curdi annunciano la vittoria finale contro l’Isis
Il portavoce delle Forze democratiche siriane ha annunciato la fine della battaglia di Baghuz

Pubblicato il 23/03/2019 - Ultima modifica il 23/03/2019 alle ore 09:52

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

Il portavoce delle Forze democratiche siriane ha annunciato la fine della battaglia di Baghuz, l’ultimo villaggio ancora controllato dall’Isis in Siria.
Mustafa Bali ha dedicato la vittoria alle “migliaia di martiri” e a tutti quelli che in questi anni hanno lottato assieme ai curdi siriani contro gli jihadisti dello Stato islamico. Fra loro ci sono stati anche decine di italiani, compreso Lorenzo Orsetti, caduto proprio sul fronte di Baghuz.

Civili scudi umani
La battaglia nell’ultima sacca dell’Isis, lungo la sponda orientale dell’Eufrate, al confine dell’Iraq, è durata quasi quattro mesi, dall’inizio di dicembre. I jihadisti avevano ammassato in pochi villaggi e nella cittadina di Hajin migliaia di combattenti e decine di migliaia di civili. La lotta è stata prolungata perché i curdi hanno tentato di evacuare il maggior numero di civili, in totale 46 mila. Migliaia di combattenti si sono arresti e sono prigionieri nei campi, compresi centinaia di stranieri.

Tende e cunicoli
Gli irriducibili hanno resistito oltre l’inverosimile, facendosi scudo persino dei loro bambini, in un campo di tende fra il villaggio di Baghuz e la collina sovrastante. Le tende in realtà nascondevano gli ingressi di una rete di tunnel e cunicoli che hanno permesso ai jihadisti di tendere agguati e respingere gli assalti dei curdi per settimane. Ma alla fine i raid della coalizione internazionale li hanno costretti a ritirarsi sulla collina e sulla riva del fiume dove sono stati annientati.

Da Kobane a Raqqa
La battaglia dei curdi contro l’Isis è cominciata alla fine del 2014, quando i jihadisti hanno lanciato l’assalto alla più importante città a stragrande maggioranza curda in Siria, Kobane. I raid americani e la resistenza dei guerriglieri delle Ypg, Unità di protezione del popolo, hanno salvato Kobane e di lì e cominciata una lunga controffensiva che ha portato alla conquista di Raqqa il 17 ottobre del 2017. Ora i curdi, inquadrati nelle Forze democratiche siriane e appoggiati da Stati Uniti ed Europa, controllano un quarto della Siria, tutto il Nord-Est.

Nuovi pericoli
Il successo dei curdi ha però allarmato la Turchia, che considera le Ypg il braccio siriano del Pkk, la formazione curda che rivendica l’autonomia nei territori curdi della Turchia e ha condotto decenni di guerriglia contro le forze di sicurezza di Ankara. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha minacciato di intervenire in Siria, come ha già fatto ad Afrin, per “distruggere i terroristi”. Dopo la sconfitta dell’Isis il presidente americano Donald Trump ha annunciato una drastica riduzione delle forze americane presenti a sostegno dei curdi, circa duemila uomini, e questo potrebbe esporli a rappresaglie turche.

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Da - https://www.lastampa.it/2019/03/23/esteri/siria-i-curdi-annunciano-la-vittoria-finale-contro-lisis-7oliXr4dIWmNl1f3eUp1EK/pagina.html
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« Risposta #42 inserito:: Aprile 28, 2019, 12:17:11 pm »

Libia, entrano in azione gli elicotteri di Haftar
Attacchi nei sobborghi meridionali di Tripoli

Pubblicato il 26/04/2019 - Ultima modifica il 26/04/2019 alle ore 10:36

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

Gli elicotteri d’assalto del cosiddetto Esercito nazionale libico (Lna), guidato dal maresciallo Khalifa Haftar, hanno bombardato nella notte alcune zone di Tripoli. L’intervento dell’aviazione dell’uomo forte della Cirenaica arriva a tre settimane dall’inizio dell’offensiva per conquistare la capitale libica. Negli scontri, dal 4 aprile in poi, sono morte quasi 300 persone, e 1500 sono rimaste ferite. Haftar dispone di alcuni elicotteri di fabbricazione russa Mi-24, risalenti agli anni Ottanta ma ancora efficienti. Sono in grado di lanciare missili aria-terra con una certa precisione e sono già stati impiegati nelle battaglie di Bengasi e Derna, fra il 2014 e il 2018. Ma le forze dell’Lna allineano anche alcuni Mig-21, Mig-23 e Mirage F-1, già utilizzati senza grossi risultati.

Lo scontro con Al-Serraj
Il maresciallo ha avviato nel maggio del 2014 l’Operazione Karama, cioè dignità, per conquistare tutta la Libia e cacciare formazioni e partiti politici di ispirazione islamista. Nel dicembre del 2015 gli accordi di Skhirat hanno portato alla formazione di un governo di unità nazionale, conosciuto con la sigla Gna e guidato da Fayez al-Serraj, ma i due leader, nonostante le mediazioni francesi e italiana, non si sono mai messi d’accordo e il 4 aprile Haftar si è lanciato alla conquista di Tripoli. A livello regionale gode del sostegno esplicito di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti. A livello mondiale Russia e Francia lo appoggiano ma non apertamente. Ma è stata la telefonata di Donald Trump, il 15 aprile, a dargli il via libera definitivo per quello che dal punto di vista del diritto internazionale è l’assalto a un governo legittimo, l’unico riconosciuto dall’Onu.

Il ruolo degli Emirati arabi e dei sauditi
La chiamata del presidente Usa ha sdoganato il maresciallo come campione “nella lotta al terrorismo”. Ma prima c’è stata un’altra telefonata decisiva per le sorti della Libia, quella fra il presidente Usa e il principe ereditario emiratino Mohammed bin Zayef. Sarebbe stato Mbz a convincere il leader americano che Haftar era l’uomo giusto per rimettere le cose a posto nel Paese nordafricano. Poi sono arrivati finanziamenti sauditi per 30 milioni e l’invio di nuovi droni d’attacco che hanno permesso l’avvio dell’offensiva. I piani del maresciallo si sono però scontrati con una forte resistenza con le milizie di Tripoli e Misurata che difendono Al-Serraj. La scorsa settima le forze del Gna hanno riconquistato Azizia e del Wadi al-Rabie, la valle a Sud di Tripoli, fino a 50 chilometri dalla capitale. Con l’uso degli elicotteri Haftar spera ora di sbloccare la situazione.
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Da - https://www.lastampa.it/2019/04/26/esteri/libia-nuovi-raid-di-haftar-a-sud-di-tripoli-hHCUPgR4iUykqnj39v05cN/pagina.html
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