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Autore Discussione: PARISI. -  (Letto 9359 volte)
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« inserito:: Novembre 04, 2007, 09:38:49 am »

Parisi: «Il Pd non sia la destra della sinistra»


Il Pd non può diventare «la destra della sinistra», la tutela della legalità deve essere accompagnata da un'altrettanto ferma attenzione alla solidarietà e così come è stato rapidamente individuato l'omicida di Giovanna Reggiani, è necessario trovare i responsabili del pestaggio avvenuto a Roma ai danni di un gruppo di romeni.

Lo ha detto il ministro della Difesa Arturo Parisi, parlando oggi ad una iniziativa in Sardegna. «Il Partito democratico che vogliamo non ha una linea il lunedì e un'altra il martedì, non è un giorno per la legalità e un altro per la solidarietà. È per questo motivo che non riesco ad arrendermi alla idea che il Pd, abbandonando l'ispirazione ulivista, si trasformi nella destra della sinistra, riservando a sè la rappresentanza della legalità, e lasciando alla sinistra quella della solidarietà. No! Noi siamo il partito che svolge il valore della solidarietà nel quadro della legalità, il lunedì come il martedì».

Spiega Parisi: «Mentre si fanno carico di governare con rigore e tempestività l'esplosione dei fenomeni criminali prodotti dalla disordinata immigrazione e chiedono il rispetto pronto e rigoroso della legge da parte dei nuovi arrivati, i Democratici non possono accettare che alcuni vigliacchi approfittino dell'allarme sociale per sfogare la propria vigliaccheria su persone innocenti. Nessuno può impartire lezioni che dimostra di non aver mai appreso». «Conosco Romano Prodi e Giuliano Amato - conclude il ministro della Difesa - e sono perciò sicuro che così come il responsabile dell'omicidio Reggiani è stato immediatamente individuato e arrestato, con la stessa celerità saranno individuati e arrestati i responsabili del pestaggio.

Da questo punto di vista - ha concluso Parisi tra gli applausi della assemblea - non possiamo che fare nostre le parole che pur nel momento più acuto del dolore ha pronunciato il capitano di Vascello Giovanni Gumiero quando ci ha detto che "sappiamo e dobbiamo distinguere le persone, un rom da un rom, un romeno da un romeno, un italiano da un altro italiano"».


Pubblicato il: 03.11.07
Modificato il: 03.11.07 alle ore 17.24   
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« Ultima modifica: Marzo 06, 2009, 02:53:01 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 26, 2007, 12:02:22 am »

Legge elettorale I poli

L’altolà di Parisi: «No al proporzionale»

«Da Veltroni e Berlusconi parole che non ci piacciono»

A Roma il raduno del fronte che sostiene il referendum


ROMA — «Siamo qui per dire no, per dire che non vogliamo arrenderci al ritorno dei giorni della Prima Repubblica»: questo pensa Arturo Parisi del ritorno al proporzionale proposto da Veltroni e Berlusconi. «Nessuno conosce se e quali fatti possano venir fuori dal processo messo in moto dalla gara che si è aperta tra Veltroni e Berlusconi. Sappiamo tuttavia le parole con le quali la gara è iniziata e continua a svolgersi. Sono parole che non ci piacciono. Sono parole sbagliate». L’attacco talebano in cui ha perso la vita un nostro soldato e altri ne ha feriti, ha imposto a Parisi, ministro della Difesa, prodiano doc, di non muoversi da via XX Settembre. Ma al raduno organizzato ieri nella capitale dal Comitato promotore del referendum sulla legge elettorale (presenti tra gli altri Mario Segni, il senatore dei Liberaldemocratici di Dini, Natale D’Amico, e Italo Bocchino di An), il suo messaggio arriva lo stesso: manda un sms significativo al presidente del Comitato, Giovanni Guzzetta: «Confermo la mia partecipazione in difesa dei cittadini contro chi vuole riportarci alla democrazia della delega».

Ma cosa avrebbe detto Parisi, se avesse potuto essere presente? L’intervento che il ministro aveva preparato e che avrebbe voluto pronunciare è molto netto. Tre le parole d’ordine che proprio non gli piacciono: «Torniamo al proporzionale »; «Facciamola finita col bipolarismo, quale che sia»; «Nessuna legge può costringere a dichiarare le alleanze prima delle elezioni: le alleanze si fanno in Parlamento ». Queste, secondo Parisi, sono «affermazioni sbagliate che sono state messe a fondamento di quella che vorrebbe essere una nuova stagione» e che invece «rischiano di riportarci a una stagione vecchissima, parole che annunciano l'alba di un giorno del quale conosciamo già la notte ».

Con la «reintroduzione delle teorie dei due forni dei quali ora Veltroni ora Berlusconi o tutti e due assieme si appresterebbero ad avvalersi » e maggioranze che si fanno e si sfanno alle spalle dei cittadini. Parisi paventa perciò lo spettro «di nuovi Ghini di Tacco (il brigante, pseudonimo di Craxi, ndr) senza i quali nessun governo sarebbe pensabile». «Nella prima repubblica i governi duravano 10 mesi», ricorda ancora il ministro della Difesa nel testo del suo intervento. Adesso, invece, se il governo Prodi «è riuscito finora a esercitare il suo diritto che è ancor prima dovere di governare anche solo con un voto in più, così come chiede la regola della democrazia, questo è accaduto perché bene o male i parlamentari sanno o almeno temono che la caduta del governo imporrebbe di tornare a sottoporsi al voto degli elettori ». Stessa linea quella di Franco Monaco, che non è d’accordo con l’intervista di D’Alema al Corriere: «Torna l’esplicita teoria di alleanze, governi e premier decisi dai vertici dei partiti solo dopo il voto, a urne chiuse, all’oscuro degli elettori. Un balzo indietro. Un ritorno alla delega in bianco ». Contro l’accordo Veltroni- Berlusconi e contro il proporzionale i radicali di Pannella da ieri raccolgono le firme. Intanto i tempi su referendum e riforme stringono. Mancano tre giorni al pronunciamento della Cassazione, poi la parola spetterà, entro il 20 gennaio, alla Consulta. Guzzetta propone di andare al voto al più presto e cioè il 20 aprile 2008, la prima domenica utile di calendario. Veltroni domani vedrà Fini e il 30 Berlusconi.

M. Antonietta Calabrò
25 novembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Maggio 04, 2008, 10:24:54 pm »

4/5/2008 (7:33) - LO SCONTRO

Dopo Calderoli attacco a Bossi: "E’ anti-italiano"
 
L’affondo di Parisi contro il Senatùr a poche ore dalle minacce del figlio del colonnello Gheddafi

UGO MAGRI


C’è una regia italiana dietro gli attacchi libici a Calderoli. O perlomeno, è quanto si sospetta nel giro stretto del Cavaliere, silente e dispiaciuto perché di Gheddafi lui si considera amico, andò perfino a visitarlo sotto la tenda. Pure la Lega è sulla stessa lunghezza d’onda. Intorno a Bossi parlano senza troppi preamboli di un «suggeritore» nostrano. Avrebbe messo in allarme il figlio del Colonnello, Saif El Islam, assiduo frequentatore del nostro paese, circa i propositi del futuro ministro per l’Attuazione del programma. E poiché di questi tempi in via Bellerio è invalsa la moda di dare la colpa a Letta per qualunque tegola colpisca il Carroccio, non manca lì il solito dietrologo che immagina una machiavellica «vendetta» del consigliere principe berlusconiano contro la Lega... Fantasie, indicative solo dei tanti veleni che circolano mentre il Cavaliere prepara la lista dei ministri. Chi conta dentro Forza Italia si fa una bella risata, «siamo alla follia pura».

Però i «berluscones» confermano a loro volta di nutrire dubbi su alcuni altri ambienti italiani «purtroppo», aggiungono sibillini, «non del tutto estranei alla nostra area». Un personaggio magari escluso dal governo per far posto alla Lega. Qualcuno, dunque, è stato «spottato» dall’intelligence berlusconiana. Impossibile saperne di più. Comunque sia, il caso è chiuso. Nessuno vuol gettare altra benzina sul fuoco. Non i libici (molto prudenti le loro fonti diplomatiche), non il mondo arabo, tantomeno la comunità islamica del nostro paese. La politica è unanime nel respingere le «ingerenze» (parola usata da Pd, Idv e Udc) senza toni sovraeccitati. Lo stesso governo in carica fa udire la propria voce attraverso D’Alema. In modo fermo e al tempo stesso amichevole verso Tripoli. «La formazione e composizione del nuovo governo è una questione interna, regolata da precise disposizioni internazionali», ricorda la nota diffusa dalla Farnesina. Dove si «auspica che vengano evitati in questa fase commenti e prese di posizione che non contribuiscono al rafforzamento dei rapporti positivi». Plaude dal centrodestra Rotondi. La Lega con Cota si mostra appagata, «è una storia morta ancor prima di nascere, non è il caso di alzare polveroni». L’unica voce fuori del coro risulta quella di Parisi, ministro della Difesa. Il quale si domanda come farà Bossi a giurare, da ministro, onore e fedeltà alla Repubblica se prima «non avrà pubblicamente ritrattato le dichiarazioni anti-italiane che ha appena rinnovato». Ma rispetto a Islam e Libia è tutta un’altra storia. Decisiva è la messa a punto di Ahmad Ben Helly, vicesegretario generale della Lega Araba. Smentendo certe dichiarazioni attribuite a un suo portavoce (una nomina di Calderoli «avrebbe conseguenze» nei rapporti con l’Italia), Ben Helly precisa che «prenderemo una posizione quando vedremo la politica del governo Berlusconi, per ora sono solo speculazioni». Prima di tagliare i ponti, occorre verificare.

Ne apprezza apertamente il buonsenso Cicchitto, che domani sarà incoronato presidente dei deputati Pdl: «Così il problema è correttamente impostato». E l’altro capogruppo in pectore al Senato, Gasparri, lancia un appello «a evitare toni truculenti». Tutte le sigle italiane del mondo islamico scelgono il basso profilo. Abdelaziz Khounati (Unione musulmani in Italia): «Il governo lavori tranquillamente». Mario Scialoja (sezione italiana della Lega musulmana mondiale): quella di Gheddafi jr. è «un’indebita intromissione negli affari italiani». Yahya Pallavicini (Comunità religiosa islamica): le persone, Calderoli compreso, «si giudicano dai fatti». Isseddin Elzir (Ucoii): «Sulle questioni interne, decide il paese».

da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 08, 2008, 10:27:02 am »

"Se c'è un deficit di democrazia. Il Pd e la piazza".


Ecco il testo integrale dal quale è stata estratta una parte come lettera al Corriere della Sera del 7 luglio 2008

di Arturo Parisi, 7 Luglio 2008   


Panebianco scrive oggi sul Corriere scrive che "la manifestazione dell'8
luglio avrà Berlusconi come nemico ufficiale e Veltroni come nemico vero".
Di certo una cosa esagerata, ma non del tutto infondata.

E' per questo che una settimana fa sentii il dovere di esprimere "il mio
dissenso dal tono aggressivo manifestato da Flores d'Arcais verso la
decisione di Veltroni  di non partecipare alla manifestazione promossa dalla
rivista da lui diretta".

E' per questo che difronte al rafforzarsi di una prospettiva che assumeva a
bersaglio Veltroni, mentre confermavo il mio sostegno verso gli obiettivi
ufficiali della manifestazione mi son sentito costretto a dissociarmi da
alcune forme e ad anticipare l'intenzione di cercare dei modi che mi
consentano di esprimere la mia vicinanza senza confondere la mia voce con
quelle populiste e qualunquiste che rischiano di segnare la manifestazione
anche oltre la volontà dei suoi promotori.

Chi mi segue sa che a partire dalle elezioni vado svolgendo assieme ad
alcuni amici una linea di nitida ed aperta opposizione alla segreteria e al
gruppo dei capicorrente che, con e contro Veltroni, dirige il partito. La
stessa opposizione che ha connotato la mia azione e quella degli ulivisti
fin da quando Veltroni un anno fa ha deciso di scendere in campo come
candidato premier dietro le apparenze di candidato segretario, con tutti i
corollari che da questo sono discesi.

Credo che il tempo ci stia dando ragione. Purtroppo. La sconfitta politica
della linea della separazione consensuale proposta e praticata da Veltroni e
Bertinotti ha infatti distrutto il centrosinistra, sconfitto il trio
Veltroni-Rutelli-Bettini alle elezioni di Roma, ridicolizzata in Sicilia la
pretesa della vocazione maggioritaria. Finalmente Veltroni va scoprendo,
anche se non riconoscendo, che chi ci abbandona ce l'ha proprio con noi.
Quella che era stata proposta come una mezza vittoria comincia ad essere
riconosciuta come una cocente sconfitta.Con l'aiuto di Bettini abbiamo
cominciato ieri a ripassarci la lezione di Roma. Prima o poi verrà il
momento di isolare tutti gli addendi con i quali abbiamo con determinazione
costruito l'ineguagliabile12,5 in Sicilia. Ma soprattutto assistiamo
quotidianamente al rovesciamento ad una ad una delle proposizioni che hanno
annunciato l'avvento di quella nuova era che avrebbe dovuto far dimenticare
i 15 anni passati. La scoperta che il partito ha più capicorrente che
correnti, più correnti che linee, e comunque troppe linee per un solo
partito, mentre non si riesce a capire quale sia la linea del Segretario,
sta pian piano rafforzando l'idea che l'unica via per uscire da questo caos
è un congresso che ci consenta di riiniziare da capo. Quel congresso che
Veltroni aveva proposto per finta e che vedo invece raccogliere ogni giorno
nuovi sostenitori.

Potremmo dire che non le abbiamo mandate a dire e continueremo ad attenerci
a questa regola anche per il futuro. E anche difronte alla manifestazione
dell'8, la freddezza e ostilità della segreteria del Pd, non ci ha impedito
di dire e ripetere più volte che della manifestazione riconosciamo
l'opportunità e la tempestività e soprattutto i suoi obiettivi di fondo.
Consentire ai cittadini di manifestare le propria opposizione al tentativo
di tornare all'antica confusione tra l'agenda personale di Berlusconi e
quella della Repubblica. Ottenere quindi che quello che per due mesi con
senso istituzionale si decise di chiamare "il principale esponente dello
schieramento a noi avverso" con egual senso istituzionale si comporti ora
come "il Presidente del Consiglio dei Ministri" della Repubblica Italiana, e
non dia invece ragione a quanti sospettavano e continuano a sospettare che
la persona a noi difronte non riesca a superare l'incapacità di essere altro
che un privato cittadino di nome Silvio Berlusconi, guidato innanzitutto dai
suoi privati interessi, e dalle le sue personali preoccupazioni ed
ossessioni.

E tuttavia, pur nel quadro di una opposizione generale alla linea della
segreteria del partito e muovendo da una divergenza di giudizio sulla
manifestazione dell'8, non possiamo dimenticare che il Pd è il nostro
partito e Veltroni resta il nostro Segretario ed anzi che conduciamo la
nostra opposizione proprio perchè consideriamo il Pd il nostro partito.

Per questo motivo non ho mai considerata la possibilità di essere tra i
promotori di una manifestazione che vede tra gli organizzatori  altri
partiti, e per di più aperta al rischio che abbia il mio partito come
bersaglio.

Ma detto questo, proprio il riconoscimento della fondatezza della avvertenza
di Panebianco, ci induce a  chiederci come mai tanti nostri elettori si
riconoscano nella manifestazione con l'intenzione o il rischio di fare di
essa una manifestazione contro il vertice del partito.

E le risposte sono a mio parere due.
La mancanza di luoghi alternativi dove far sentire in modo efficace la
propria voce. La mancanza di modi alternativi per manifestare e curare il
proprio disagio difronte alla girandola di posizioni del partito.

"Che bisogno c'è di gridare e di gridare nelle piazze per esprimere questa
opposizione?" Ha chiesto qualcuno. Non bastano le istituzioni dove già
gridano - e come gridano! - le persone abilitate a gridare, nei tempi, nei
modi previsti dai regolamenti? Ma i "non abilitati"? Dico io. Quelli che non
hanno avuto la possibilità di essere nominati tra i parlamentari
istituzionalmente abilitati ad esprimere  sentimenti e opinioni e a decidere
anche il quando. Se farlo ad esempio all'inizio di luglio o in autunno. Cosa
dovrebbero fare i non abilitati, detti altrimenti cittadini comuni. Quello
che potevano farlo lo hanno già fatto direbbe qualcuno. col loro voto di
aprile hanno dando delega ai parlamentari che i vertici del Partito
democratico hanno nominato di rappresentarli. Una gran parte pensava dai
banchi della maggioranza, o se all'opposizione, con ben altra compagnia.
Pazienza! Ma intanto? Che fare nel corso di cinque anni mentre attendono  il
2013 quando rivendicheranno quello che Bettini definisce "il diritto alla
rivincita"? Possono limitarsi a sfogarsi in famiglia o con colleghi e amici,
o scatenarsi sulla rete? Perchè questo è il problema. Come esprimere il
rifiuto della idea di una democrazia intermittente che consente ai cittadini
di esprimersi solo ogni cinque anni e per di più con una efficacia calante?
Anche considerato che vanno crescendo le occasioni di voti plebiscitari e
diminuendo quelli nei quali è possibile esercitare delle scelte nelle quali
sia possibile riconoscere il segno della propria scelta personale. E' per
offrire ai cittadini questa possibilità, non la possibilità di assistere ad
un altro talk show in una festa d'estate, non di partecipare ad un dibattito
accademico del quale qualcuno farà poi quel che vorrà, non per aggregarsi ad
altri solo per far più grossa una massa, che abbiamo dato vita al Partito
Democratico. Ma perchè il Partito possa servire come canale permanente tra i
cittadini e istituzioni, e non ancora una volta come strumento di
manipolazione e cinghia di trasmissione che consenta a chi sta su di
controllare meglio chi sta giù. Per costruire luoghi nei quali fosse
possibile dar luogo a confronti appassionati che attraverso  regole
democratiche potessero concludersi in decisioni efficaci capaci di
indirizzare le parole e i comportamenti di chi sta sopra.

E' quello che è successo? No. Dei 12.092.998 cittadini nostri elettori,
3.554.169 sono i cittadini che 9 mesi fa hanno risposto alla offerta di
partecipazione delle primarie. Il perchè non era chiaro, ma tanta era la
domanda di partecipazione che essi hanno risposto sì prima che qualcuno gli
spiegasse a "che cosa". E' anche per questo che il "che cosa" è stato
affidato ad una assemblea di 2858 eletti per la quale si sono candidati in
35.000. Sotto gli occhi di tutti i 2858 si sono
riuniti in Assemblea per tre volte: la prima in gran numero per acclamare il
segretario, la seconda in misura decisamente minore per applaudire al nuovo
statuto. Potrebbe meravigliarsi qualcuno se alla terza assemblea, che
avrebbe dovuto consentire per la prima volta di prendere la parola anche
perchè di finalmente di una durata prevista in due giorni, siano allora
venuti in una misura valutata tra 550 e 800 persone? Per evitare il rischio
che volessero venire in molti, che pensassero di parlare, e magari anche
votare, gli organizzatori li hanno convocati da tutta Italia a loro spese,
di giorno lavorativo, in un luogo da caccia al tesoro, avvisandoli
dell'ordine del giorno solo due giorni prima, e facendogli sapere che tutto
si sarebbe concluso nel pomeriggio come al solito con una acclamazione. E
per di più trasferendo i poteri dell'Assemblea ad una direzione nominata dai
capicorrente sulla base di modifiche determinanti allo Statuto approvate in
dispregio dello Statuto appena varato.

Se volessi infierire potrei continuare descrivendo i passi successivi del
processo di normalizzazione oligarchica così avviato.

Il riepilogo appena fatto è d'obbligo per spiegare come le cose siano,
semmai, esattamente all'opposto di quel che pensa Panebianco. Veltroni non è
infatti il vero bersaglio della manifestazione dell'8, ne è il suo
principale organizzatore. E' infatti il vuoto di democrazia che abbiamo
chiamato "partito" che è all'origine del pieno di partecipazione che
chiamiamo "piazza". A chi chiede "che bisogno c'è di manifestare nelle
piazze", la risposta è infatti: e allora dove? nelle assemblee di partito? E
a chi chiede perchè gridare? la risposta è: e allora come protestare?
aggiungendo una firma ai cinque milioni già preventivati?   

Ed ora un cenno solo un cenno alla nevrosi che affligge da mesi la base
democratica a causa della crescente girandola contradditoria nelle posizioni
del partito. Per stare in argomento credo che basti un nome: "Di Pietro".
Leggo che, al seguito di altri dirigenti che alla manifestazione dell'8 si
negano con un "mai in piazza con Di Pietro"  Veltroni avrebbe ieri invitato
i socialisti a non considerare Di Pietro un "nostro nemico assoluto". Quanta
strada in così poco tempo! Non son neppure tre mesi che ci presentammo agli
elettori con Di Pietro nelle vesti non di "non nemico assoluto" (manco fosse
Hitler!) ma addirittura di "amico assoluto", l'unico scelto ad incarnare
l'eccezione alla regola dell'andare da soli, l'unico compatibile col "prima
i programmi dopo le alleanze", l'unico al quale sottoporre un programma
coerente con la decisione di metter fine ai quindici anni di odio verso il
"principale esponente etc" fino al punto di proporgli un futuro comune in
quello stesso partito dal quale era stato tenuto fuori qualche mese prima
alle primarie. Una follia!

Tutto si può rimproverare a Di Pietro fuor che l'incoerenza. Una follia!

E' per questo che penso esagerate ma non del tutto infondate le affermazioni
di Panebianco di oggi.

E' per questo che martedì non sarò tra i promotori, non esporrò la mia voce
al rischio che venga confusa con quella di chi persegue scopi diversi da
quelli ufficiali, ma sarò tuttavia tra i cittadini e in particolare tra i
democratici per ascoltare la loro voce, parlare con loro, e condividere la
loro protesta e il loro disagio.

Il fatto è che il "maanchismo" nel quale qualche volta Veltroni ha avuto il
coraggio, lo dico senza ironia, di riconoscere uno dei tratti e delle
fatiche della cultura di governo, funziona se si vince, se non si è
esagerato nel rappresentare linee tra loro troppo divaricate, e se ci si
applica veramente alla loro sintesi. Se i fili accostati sono troppo
diversi, se non ci si è applicati ad una loro accurata tessitura e per di
più se non si dispone della forza che solo il governo può assicurare, tutti
i fili si trasformano in nodi e ogni nodo arriva prima o poi al pettine.
Nodi che il Partito Democratico deve ora riconoscere uno ad uno, sciogliere
i fili annodati, attraverso un dibattito aperto da svolgere in luoghi
democratici con le regole della democrazia.

Altrimenti si prepari a scegliere tra la protesta di piazza o lo sviluppo
del deflusso silenzioso dei suoi elettori verso l'astensionismo come è
avvenuto il 14 aprile in modo invisibile grazie all'afflusso dei voti di
sinistra, per esplodere poi a Roma e deflagrare infine in Sicilia.

Ma se la scelta fosse questa, sarebbe il nostro sistema politico a rischio.
Ecco perchè non ci è possibile arrenderci.

 
da www.ulivisti.it
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« Risposta #4 inserito:: Dicembre 13, 2008, 12:43:59 am »

11 Dicembre 2008


Dalla monarchia alla diarchia

Intervista ad Arturo Parisi, leader dei Democratici per la Democrazia nel Pd


di Nicola Maranesi - da La Discussione


Qual è se c'é il nesso tra ondata di indagini che riguardano i democratici e crisi interna al Pd?

"Gli episodi a noi difronte sono tra loro molto diversi e come tali vanno considerati. Pur distinti dal punto di vista oggettivo, non soprende tuttavia che dal punto di vista  oggettivo di chi li osserva possano essere considerati e raccontati come espressione di un fenomeno unitario. Questo é appunto a causa della indiscutibile crisi che il Partito attraversa. In un partito che, come purtroppo capita oggi a tutti i partiti, si era illuso di poter affidare il suo funzionamento, la sua identitá, e prima ancora la sua legittimazione alla incoronazione di un leader, é inevitabile che la sconfitta elettorale producesse una crisi della leadership e quindi una crisi del partito. Da questo punto di vista, negare la sconfitta piú che una tentazione é una necessitá, una necessitá che accomuna piú o meno tutto il gruppo dirigente del partito. Da questo punto di vista la vicenda del Pd é un "memento" per tutti i partiti che si affidano alla personalizzazione della leadership. Oggi siamo di turno noi. Quello che capita a noi capiterebbe e capiterá tuttavia a qualsiasi altro partito che non disponga di regole condivise e, soprattutto, praticate che gli consentano di superare le sconfitte".
 
Qualcuno sta pensando di approfittare dell'ondata giustizialista per avviare un ricambio della classe dirigente?
"Non mi risulta. Ma considererei questa tentazione inevitabile. Quando salta il principio di solidarietá e non si dispone di regole per superare assieme le difficoltá ognuno cerca di trarre il proprio bene dal male comune. Battere il "mea culpa" sul petto del vicino e da sempre nei partiti una delle pratiche piú diffuse".
 
É un caso che tutto ciò avvenga alla vigilia del "chiarimento" interno al Pd?
"Se il chiarimento é quello che dovrebbe uscire dalla conta dalla Direzione del 19 dicembre alla quale Veltroni ha sfidato quelli che vengono definiti "i suoi anonimi oppositori", penso che non ci sará nessun chiarimento perché in quell'organo non ci potrebbe nessuna conta. Rispondendo a questa stessa domanda Rutelli l'ha detto molto bene nei giorni scorsi in una intervista alla Repubblica.
"Walter Veltroni é stato scelto da due milioni e mezzo di cittadini che lo hanno votato alle primarie solo un anno fa. Le pare possibile che lo possano mettere in minoranza duecento dirigenti di partito?" Il fatto é che Rutelli ha ragione perché quei dirigenti sono privi di ogni legittimitá perché nominati dallo stesso segretario. Peccato che "i duecento dirigenti di partito" sono appunto la Direzione del Partito. Poiché nessuna conta é possibile escludo che qualcuno faccia alcunché per paura di una cosa impossibile".
 
Quali sono i "nodi politici" sui quali secondo Veltroni-D'Alema ci sarebbe bisogno di un chiarimento?
"Forse é meglio chiederlo a loro. Sarebbe utile a tutti. Se il chiarimento fosse possibile, o, almeno, desiderato, i temi non mancherebbero. Gran parte di essi sono peraltro gli stessi che tutti, tutti i partiti, e non solo dentro il mio partito, ci portiamo appresso da troppo tempo irrisolti. La forma di Stato. la forma di Governo, la concezione della democrazia, il ruolo dei Partiti, la presenza dello Stato nella economia. Il mancato chiarimento al nostro interno impedisce invece ai cittadini di capire quali siano le differenze con la maggioranza e a noi di svolgere con forza e credibilitá la funzione di opposizione. É anche per questo che siamo finiti al paradosso. Con Tremonti che ogni giorno rovescia una delle sue posizioni di un tempo e forte solo dei suoi errori passati pretende di darci lezioni senza avere alcun titolo a farlo. Questo per non parlare delle lezioni di morale del Presidente Berlusconi".
 
A cosa servirà quindi questa Direzione?
"Purtroppo si annuncia come una occasione per sottoscrivere una ennesima tregua tra i principali contendenti, e comporre per un momento le divergenze e le recriminazioni interne al gruppo dirigente. Non credo che la sostituzione di una facciata monarchica con una diarchica, cambierá la natura oligarchica della attuale conduzione del partito. Il fatto é che si va aprendo nel Paese una stagione che puó farsi drammatica, una stagione che potrebbe chiedere alla politica una serietá e una veritá della quale sembra spesso sprovvista. Dove troveremo l'autoritá e la forza per confrontarci con la disperazione se non le cerchiamo nel consenso dei cittadini con le regole della democrazia? É a questo che servono i partiti: porte, ponti e canali tra la societá e le istituzioni. Non vorrei proprio che finissimo nelle mani di nuovi "uomini della provvidenza". Lei mi chiede sull'appuntamento che attende il mio partito e io le ho risposto per quel che riguarda il mio partito, con la severitá di chi chiede al suo partito quello che non chiede a partiti che non ha mai scelto come suoi. Mi consenta tuttavia di ricordare che se i nostri fatti sono spesso lontani dalle nostre parole, in altri partiti ad essere inadeguate, oltre che i fatti, sono le parole. Non vede, almeno in televisione, a che cosa sono ridotti tutti i partiti. Non é un caso che ho riconosciuto sconsolato agli altri che almeno non fanno nemmeno finta di essere una cosa che non sono piú. Non é proprio un complimento. No! Il momento chiede ad ognuno di fare la sua parte. Chi é al governo governi. Chi é alla opposizione faccia l'opposizione, una opposizione di governo, ma pur sempre opposizione. Due voci dicono meglio di una. Quattro occhi vedono meglio di due, soprattutto quando dietro di esse ci sono le voci e lo sguardo di milioni di cittadini attivi".
 
Veltroni presenterà un documento pregnante o fumoso?
"Io resto convinto della totale illegittimitá democratica della Direzione e della sua inadeguatezza alle urgenze del momento, e quindi confermo il mio severo giudizio sulle responsabilitá della Segreteria del mio partito. Non posso tuttavia non augurarmi che Veltroni corrisponda alle attese con una proposta nitida. Anche se, purtroppo, non mi é dato di discuterne nel partito e meno che mai partecipare a decidere secondo le regole della democrazia, anche quello di Veltroni puó essere un contributo utile e comunque importante. Nonostante al Segretario di un partito, piú che un discorso si chieda una coerente condotta di azione credo che tutti dovrebbero leggerlo con attenzione".

da www.arturoparisi.it
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« Risposta #5 inserito:: Febbraio 21, 2009, 05:50:35 pm »

«Serve una nuova partenza, necessariamente nel segno dell'Ulivo»

Parisi: via chi ci ha condotti nel pantano

Lo sfidante di Franceschini: «Abbiamo fallito ma dobbiamo ricominciare, non si torna indietro»


ROMA - Le dimissioni di Veltroni non hanno aperto una crisi del Pd, «la mia convinzione è esattamente quella opposta. Le sue dimissioni sono l'occasione per mettere alla crisi uno stop e ripartire». Così Arturo Parisi, l'altro candidato alla segreteria del Pd oltre a Dario Franceschini, è intervenuto davanti all'assemblea nazionale del partito per spiegare le ragioni della sua candidatura. Parisi ha spiegato di non aver voluto intervenire per dire «lo avevamo detto» ma «per dirvi che il fallimento di fronte al quale ci troviamo è il fallimento di tutti noi. Noi siamo qua per trovare il modo per uscire da questa situazione». E quindi ha ringraziato l'ex segretario Veltroni «per il gesto forte che lo ha caricato della responsabilità di dire in prima persona quello che noi sentiamo di dire al plurale "abbiamo fallito". Ma dobbiamo continuare. Abbiamo fallito, ma dobbiamo ricominciare. Non possiamo tornare indietro».

«UNA NUOVA PARTENZA» - Parisi ha poi sottolineato la necessità di «una nuova partenza» che «potrà avvenire solo sotto il segno dell'Ulivo», ha richiamato l'esperienza prodiana e ha ribadito che la necessità di dare risposte agli elettori non può passare da coloro che hanno condiviso la responsabilità di mandare avanti il partito in questi mesi. Veltroni, dunque, ma anche e soprattutto Franceschini che si appresta a prenderne il posto. «Non ritengo, ma lo dico con il massimo rispetto verso le persone, che possiamo ancora affidare i nostri destini politici collettivi a coloro che ci hanno condotto in questo pantano - ha commentato l'ex ministro della Difesa -, a coloro che ha torto o ha ragione appaiono incapaci di sollecitare quella fiducia e quella speranza nel futuro senza le quali non potremo uscire dalla crisi».



21 febbraio 2009
da corriere.it
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« Risposta #6 inserito:: Agosto 10, 2011, 10:49:33 pm »

Care amiche, cari amici,

mi rivolgo a voi che in una stagione che si va allontanando avete condiviso con me il nome de "i Democratici". Vi scrivo guidato dalle stesse idee, le stesse passioni, le stesse preoccupazioni in nome delle quali allora ci incontrammo. Le stesse per le quali poi ci lasciammo per aprire un cammino che attraverso Democrazia é Liberta' consentisse la nascita del Partito Democratico dentro lo stesso solco aperto dall'Ulivo.

Fedeli al progetto che ci fece incontrare, lo stesso che ci chiese poi di separarci per scioglierci tra quelli ai quali chiedevamo come a noi di scioglierci per ritrovarci come singoli in una casa nuova, non poche volte ci siamo difesi in questi anni dalla tentazione di tornare sui nostri passi ricostituendoci in un partito autonomo o in componente organizzata interna ad un altro partito. Ma a questa tentazione non abbiamo mai ceduto. Nonostante il tradimento di tanti.

E tuttavia non ci siamo perduti di vista. So percio' che, nonostante le diverse scelte, la gran parte di noi non ha abbandonato la passione per una democrazia dei cittadini che chiedemmo di rappresentare ad un Asinello mite e tuttavia testardo assieme alla rabbia per il tradimento del progetto dell'Ulivo e alla speranza di ritrovare il cammino perduto.

Quella stessa rabbia e speranza, mi chiama a disturbare le vostre ferie in un passaggio della nostra storia che tutti sappiamo drammatico, per chiamarvi ad una impresa disperata. Ci sono infatti momenti di disperazione nei quali solo le imprese disperate possono aprire un varco alla speranza. Questo e' uno di quelli.

Tutti voi conoscete gli effetti dell’attuale legge elettorale. Mentre il governo ha perso ormai ogni autorevolezza costringendo il Paese ad essere commissariato dall'esterno col ricatto del rinnovo del credito e del fallimento, il Paese si trova privo di un Parlamento capace di dare forza alle decisioni che questo passaggio drammatico ci impone di prendere. Ridotto il Parlamento a Parlamento di nominati da capipartito e privo quindi della capacita' di rappresentanza e della pienezza della legittimazione che si richiede in democrazia alla massima espressione della rappresentanza popolare, i Parlamentari sono descritti e percepiti sempre piu' come una casta di privilegiati della cui funzione si e' perso il valore. La Porcata alla quale e' ricondotta la loro elezione sembra averli definitivamente sporcati.

E' evidente che non possiamo continuare cosi'. Meno che mai possiamo immaginare che per la terza volta possa uscire dalle prossime elezioni un Parlamento privo di forza e legittimazione democratica. Anche se le elezioni dovessero svolgersi nel 2013 alla scadenza ordinaria. Il conto alla rovescia e' ormai iniziato.

Nonostante le reiterate denunce contro la insopportabilita' della situazione attuale e' sempre piu' evidente che, senza una pressione determinata da parte dei cittadini, il "porcellum" non sara' modificato dall’attuale parlamento.

Peggio. Le denunce che le forze politiche vanno irresponsabilmente moltiplicando aumentano allo stesso tempo la delegittimazione della istituzione parlamentare mentre privano di ogni credibilita' gli esponenti che non danno seguito nei fatti alle loro parole. Si e' diffusa al riguardo l'impressione di assistere in un teatrino infinito alla finzione di opporsi, alla finzione di indignarsi, alla finzione di avanzare proposte di legge sostitutive avanzate pur nella consapevolezza che mai saranno approvate, alla finzione di governi immaginati solo per cambiare la legge elettorale che non potrebbero mai essere varati. Con l'augurio che il tempo passi, e passando decida per noi a favore del mantenimento dello statu quo.

Per questo motivo, non senza esitazioni per lo strumento e per il tempo, anche aderendo alle sollecitazioni di esponenti politici che si sono poi ritirati, abbiamo condiviso la scelta di tentare l’ultima strada a nostra disposizione: un referendum abrogativo della legge "porcata".

Insieme ad esponenti della societa' civile e ad alcuni costituzionalisti alcuni di noi hanno percio' depositato presso la Corte di Cassazione due quesiti abrogativi della legge attuale, che qualora approvati riporterebbero in vita la precedente legge Mattarella fondata sui collegi elettorali uninominali. Assieme a noi Democratici partecipano alla inziativa l'IDV, il PLI, la Rete dei Referendari di Mario Segni, SEL, e l'Unione Popolare.

La sfida è ardua, raggiungere 500 mila firme entro il 30 settembre 2011, e' difficilissimo ma non impossibile. In considerazione del poco tempo disponibile ci siamo organizzati per filiere che procederanno ognuna autonomamente anche se coordinate da un Comitato Nazionale con sede nei locali di Piazza SS.Apostoli 73, gli stessi che sono stati nel tempo sede de i Democratici e dell'Ulivo. Presidente del Comitato e' il Prof Andrea Morrone Costituzionalista nella Universita' di Bologna ed estensore dei quesiti depositati in Cassazione, Tesoriere Mario Barbi, Coordinatore Organizzativo Gabriele De Giorgi. A me e' stato chiesto di svolgere la funzione di Coordinatore Politico. I Democratici sono una delle 6 filiere.

Cosi' come le altre filiere aderenti anche noi ci impegneremo accanto al Referendum per una Proposta di legge di Iniziativa Popolare. La proposta e' costituita da due articoli. Il primo ripropone la proposta di legge presentata inutilmente anni fa per iniziativa di Ceccanti (al Senato) e di Parisi (alla Camera) e sottoscritta da piu' di 200 parlamentari di diversi gruppi, ma ignorata tuttavia dalle Presidenze dei Gruppi. Essa e' come il referendum contro il "porcellum", finalizzata ad abrogare l'attuale legge elettorale e a riportare in vigore la precedente legge uninominale. Il secondo articolo intende fare cio' che il referendum non puo': introdurre la possibilita' di votazioni primarie gestite e garantite pubblicamente esattamente come tutte le elezioni politiche e amministrative. In particolare si prevede di fronteggiare gli inevitabili costi delle elezioni primarie riducendo di un pari importo il fondo per il rimborso ai partiti delle spese elettorali.

Se riusciremo potremo votare questo referendum nel 2012 e riavere una nuova legge elettorale già nelle prossime elezioni.

Se non riusciremo resteremo alla merce' di quanti questa legge hanno voluto o di questa legge hanno goduto. Il prossimo Referendum si svolgerebbe dopo le nuove elezioni.

Per questo, in accordo con Antonio La Forgia, ultimo Presidente della Assemblea delle Regioni, e con Renato Cambursano al quale fu affidata assieme a me la custodia della delibera di sospensione della attivita' de "i Democratici" sono arrivato alla determinazione di investire in questa impresa le risorse simboliche e quelle materiali residue del Movimento in quella che riteniamo una battaglia estrema di difesa della idea di democrazia che ci accomuna.

Ti chiediamo di impegnarti, per come ti sarà possibile, per sostenere il referendum cominciando dalla campagna di raccolta di firme nel tuo territorio.

Una volta che ci avrai segnalato la tua volontà di agire provvederemo al più presto ad inviarti il materiale e le indicazioni necessarie per contribuire a questa impresa.

Un caro saluto
 

Arturo Parisi

Roma, 10 Agosto 2011


Per ogni informazione:

www.democraticiperlulivo.it

www.referendumelettorale.org
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« Risposta #7 inserito:: Gennaio 18, 2013, 11:42:42 pm »

L'INTERVISTA

Parisi, la ditta Bersani e le primarie «Così vogliono renderle inutili»

«Non voterò il segretario. Il sindaco? Mancano ancora molte risposte»


Professor Parisi, qualche giorno fa su Europa lei ha concluso così il suo intervento: «Prima ancora di discutere "per chi" votare alle primarie è il caso di fermarsi a riflettere e chiarire "per che" votare?». Rivolgo a lei domanda: per cosa votare? «Prima che "per cosa" votare, viene per me, "perché" mai andare a votare, qual è il senso del voto. Non basta dire primarie, perché le primarie siano quello che promettono di essere. Quando come ulivisti nell’estate del 2004 strappammo ai capipartito la promessa di trasferire ai cittadini la scelta su chi dovesse essere il candidato alla guida del governo, locale e nazionale, per mettere in moto il cambiamento fu già da solo sufficiente il nome. Primarie voleva dire "facciamo come vediamo fare in America". Fino ad allora quello era un potere che i capipartito sentivano come la loro più importante prerogativa. Riconoscere questo potere direttamente ai cittadini? Una rivoluzione. In fondo erano passati solo nove anni da quando nel 1995 a Roma alla Sala Umberto, D’Alema aveva investito Prodi della candidatura a candidato a Premier per il centrosinistra. Ma nel frattempo l’idea di democrazia nata grazie ai referendum del biennio ’91-92 era cresciuta. Con l’elezione diretta dei sindaci e col maggioritario. Una democrazia come scelta diretta dei cittadini tra alternative di governo, e non più solo delega a fare e disfare governi a nome loro. Grazie alla primarie, il potere di determinare chi dovesse guidare il governo, conquistato nei comuni e allargato pian piano ai livelli superiori, veniva rafforzato con il riconoscimento di scegliere anche il candidato. Ma oggi tutto questo rischia di finire. Lo vediamo al tavolo di ABC sulla legge elettorale. Che senso ha parlare di primarie a candidato premier mentre nelle stesse ore si lavora perché dalle secondarie non esca alcun premier, e rinviando tutto a dopo il voto, i capipartito possano tronare a tessere e ritessere alleanze e governi come al bel tempo antico?».

Sempre su Europa, oggi (ieri, ndr)Franco Monaco le chiede: «Arturo, non voterai Renzi?». Lei cosa risponde? «È una domanda che segue una risposta già data. Certo non voterei Bersani. E di certo non perché mi sia antipatico o perché lo ritenga incapace di guidare il governo. Semplicemente perché non è per Bersani che Bersani chiede il mio voto. Ma per quella che col suo dire bonario ha chiamato una volta la "ditta". È a nome della "ditta" che lui scende in campo, è alla "ditta" che dobbiamo chiedere del programma, e alla "ditta" che chiederemmo il rendiconto. È la "ditta", non Bersani, che è in gara, che vince e che perde. Immagini lei la scena se in primarie rinviate fino alla vigilia delle elezioni finali la "ditta" dovesse perdere. Potrebbe mai un candidato del Pd concorrere contro la "ditta" se per "ditta" intendiamo il Pd? È evidente che molti sono i punti che restano da chiarire».

Colpisce, professore, la violenza verbale di questi primi giorni all’interno del Pd. Il rischio è che le primarie degenerino in una rissa. Pensa che fra tre mesi, quando ci sarà un vincitore, il Pd resterà lo stesso? «Si potrebbe rispondere "è la democrazia bellezza!" La verità è che quanto più sono vere, tanto più le primarie sono conflittuali. È per questo che gli americani dicono che debbono essere fatte ad una distanza temporale dalle secondarie che consenta di dimenticarle. Chiarendosi, ricomponendosi, e ritrovando l’unità stressata. Ma prima ancora chiedono che chiunque vinca sia sentito come una vittoria di tutti. Ma è mai possibile questo se le primarie son vissute come una gara tra il Partito e candidati ufficiali di altri partiti o, peggio, sentiti come nemici del Partito? Per evitare che finiscano in rissa magari con un vincitore sbagliato, molti preferiscono perciò ridurle a teatrino con un bel finale già scritto».

Veltroni su La Stampa lascia intendere che forse sarebbe meglio non farle proprio, le primarie, per occuparsi del Paese e delle sue tensioni sociali. Concorda? «Sarebbe come dire: con tutto quello che succede voi pensate alle elezioni? O almeno riconoscere che, a questo punto, le primarie sono poco più di una belluria della quale possiamo fare a meno. Il riconoscimento che non servono a decidere che fare e chi lo debba fare».

In questa fase si parla del coinvolgimento di Romano Prodi. Lei ritiene che Prodi appoggi o appoggerà qualcuno alle primarie? «Come tutti quelli che possono permettersi di non essere guidati da posizioni precostituite, penso che ascolterà prima attentamente chi ha qualcosa da dire. Mi sembra che sia quello che sta facendo».

Quando Veltroni era segretario il Pd era al 33 per cento. Adesso, sondaggi alla mano, è intorno al 26 per cento. Che difficoltà vede nel Pd di oggi? «Il peggio è che dietro quel 33 per cento dei voti validi stava più o meno il 25 elettori su 100. Se dovessimo stare ai sondaggi ora, a causa della protesta e disaffezione verso i politici, non verso la politica, di quei 25 ne son restati 14. Anche se la crisi del Pdl è di gran lunga maggiore, anche il Pd ha perso il contatto con troppi cittadini. La risposta alla crisi politica è la politica. Individuare delle alternative da sottoporre alla scelta dei cittadini e consentire loro di scegliere. Sembra invece che si preferisca la strada opposta. Dateci la vostra fiducia e la vostra delega. Vi faremo sapere».

Renzi è accusato dai suoi detrattori di essere troppo leggero sul programma. È uno che gioca con gli slogan ma non ha sostanza? «In effetti sono molte le domande che attendono ancora risposta. Ma non possiamo dimenticare che altri alle domande di risposte preferiscono darne due opposte tra loro. Come gli dissi alla Leopolda, Renzi la sua mano l’ha alzata. È arrivato per lui il momento di continuare il discorso. Per noi il dovere di difendere il suo diritto a dire la sua. Ma soprattutto quello dei cittadini di scegliere. Ne riparleremo dopo che capiremo se il nuovo Porcellum che sembrano volerci propinare ci ha lasciato qualcosa da scegliere».

David Allegranti
david.allegranti@rcs.it
Twitter: @davidallegranti
01 settembre 2012
© RIPRODUZIONE RISERVATA


http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/politica/2012/1-settembre-2012/parisi-ditta-bersani-primarie-cosi-vogliono-renderle-inutili-2111649118660.shtml
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« Risposta #8 inserito:: Luglio 24, 2013, 03:41:03 pm »

22 giugno 2013

UN’ALTRA SCISSIONE? NESSUNA PAURA. SI COMPETE ALL’INTERNO PER COMPETERE ALL’ESTERNO.

Alberto Ferrigolo, Reset
 
 
RESET: Renziani o Bersaniani? Nel Pd i due campi ormai appaiono questi. E l’eterna querelle tra i due poli rischia di mettere al centro ancora una volta piuttosto le divergenze facendo perdere di vista la necessità dell’allargamento del consenso. Però nella dicotomia dell’interrogativo quest’ultimo tema c’è tutto: andare oltre il proprio confine di appartenenza, conquistare anche parte del consenso che c’è nel campo avverso, oppure rimestare sempre nello stesso spazio, “a sinistra”, che più di tanto non dà?
 
PARISI: Credo che innanzitutto vada verificata la proposizione di partenza che individua come riferimenti della dialettica interna al Pd Bersani e Renzi, e subito dopo l’idea che i due “campi” rappresentino la riproposizione della stessa “eterna querelle”. Se Renzi deve ancora svolgere compiutamente la proposta che nelle ultime primarie ha appena abozzato, Bersani ha invece a mio parere portato a termine la sua parabola. Questo non significa che non abbia più nulla da dire. Ma che il suo futuro non può in alcun modo rappresentare una continuazione del suo recente passato. Bersani deve riuscire cioè a mettere un punto e andare a capo muovendo da una riflessione sulla grave sconfitta alla quale ha associato il suo nome. Quel punto che avrebbe dovuto mettere nei cinque minuti successivi alla presa d’atto dei risultati e che purtroppo per noi non ha messo.
Quanto al fatto che la dialettica Renzi – Bersani possa essere letta come una riproposizione di “quella di sempre”, andrebbe chiarito in che cosa questa consista: partito-movimento? democrazia competitiva-democrazia consociativa? destra-sinistra? persona-collettivo? novisti-continuisti? exdc-expci? coalizione ulivista-cartello di partiti?
Per quel che riguarda infine la conquista di nuovi consensi, mi sembra che la domanda supponga che l’allargamento esterno sia inversamente proporzionale alla manifestazione di divergenze interne. In una democrazia competitiva fondata sulla concorrenza bipolare, quale la nostra già è in parte e soprattutto è chiamata ad essere, la competizione esterna presuppone e si nutre invece, a mio parere, della competizione interna. Naturalmente è necessario che questo avvenga in un quadro unitario. Ma la possibilità di conquistare voti del campo avverso è tanto più probabile quanto più l’elettore del centrodestra vede già rappresentate almeno parte delle sue ragioni nella competizione interna all’interno del centrosinistra.
 
RESET: Le ultime elezioni hanno dimostrato che elettoralmente non c’è domanda e mercato di “più sinistra”. Da Ingroia a Vendola, il successo non c’è stato. Però ogni volta che qualcuno si pone l’obiettivo di allargare il consenso non necessariamente “a sinistra” il Pd entra in fibrillazione. Allora la domanda è: un Pd capace di conquistare lo spazio politico vincente, di andare oltre se stesso, uscire dai propri confini, è comunque destinato a spaccarsi, a non tenere più insieme le sue anime e componenti?
Come si può ovviare a questo continuo rischio di scissione, che finisce di diventare la classica spada di Damocle che paralizza il partito, la sua dialettica interna e delle idee, la sua azione politica e programmatica?

PARISI: Fibrillazione è la parola giusta, se la usiamo per quello che significa nel linguaggio comune: “agitazione”, “nervosismo”. Starei invece attento a leggerla come annuncio di “spaccature”. Se la dialettica tra le diverse posizioni è all’esterno sopravvalutata, oltre che per il comprensibile interesse della stampa per la patologia, è per la sopravvivenza nella cultura politica di una idea dei partiti derivata dalla stagione della legge proporzionale, nella quale la quantità inevitabilmente parziale di ogni porzione, era associata alla aspirazione ad una riconoscibile qualità, cioè ad una distinta identità partitica percepibile in contrapposizione alle altre e fondata su una omogeneità interna. La competizione bipolare chiede invece ad ognuno dei due soggetti di rivolgersi all’esterno a tutti – questo significa appunto catch-all party – e quindi aprirsi a tutti all’interno. La maggiore quantità di voti necessari per la vittoria è pagata dalla disponibilità a sopportare una minore qualità interna. Prima si compirà il processo di cambiamento verso la democrazia competitiva e maggioritaria e prima la fibrillazione sarà compresa per quello che è: agitazione fisiologica in vista della gara. Fino a quando sopravviveranno invece logiche e regole proporzionali, ogni tensione e divergenza continuerà ad essere un “oh! dio mio, un’altra scissione!”.

da - http://www.arturoparisi.it/interventi/unaltra-scissione-nessuna-paura-si-compete-allinterno-per-competere-allesterno-alberto-ferrigolo-reset/
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« Risposta #9 inserito:: Luglio 24, 2013, 03:42:11 pm »

26 giugno 2013

F35: PARISI, NESSUNO SI ILLUDA. L’ESAME E’ RINVIATO NON SUPERATO.
Ansa


“La mozione sostenuta dal Governo alla Camera sugli F35 ha evitato una spaccatura nella maggioranza e nel Pd.Ma, se non la si affronta con chiarezza e a viso aperto la domanda posta da Sel e da M5S continuerà a girare tra i cittadini indebolendo il consenso verso scelte cruciali per il Paese.” Questo il commento di Arturo Parisi, ex Ministro della Difesa difronte al voto di oggi sulla proposta di cancellazione della partecipazione italiana dal programma per la realizzazione del F35. “E’ bene non farsi illusioni. – continua Parisi – La formula oggi adottata non è un esame superato, ma solo rinviato. Per rispetto di tutti, e soprattutto dei cittadini, va riconosciuto che la domanda posta da Sel e M5S, la stessa rappresentata da molti parlamentari Pd, è una domanda di carattere nitidamente pacifista che chiede soprattutto a chi, come me, non la condivide una risposta seria. Anche se variamente argomentata la domanda che è stata oggi accantonata contesta in sè la legittimità della difesa armata. Più precisamente contesta che l’Italia sia dotata di una propria difesa aerea che in modo autonomo o in alleanza con altri protegga nei cieli e dai cieli la sicurezza del Paese. Si condivide questa posizione? ” Conclude Parisi “O, si ritiene che quello che per il Paese è male diventa bene solo se attribuito a decisioni lontane e intestato a un comune strumento europeo? E, in attesa della auspicata difesa comune europea, è forse meglio che l’Italia si faccia proteggere da altri?” E aggiunge “Anche il rinvio di oggi può essere utile. Purchè lo si utilizzi per aprire finalmente nel Paese un dibattito fondato su parole di verità. Solo chi è capace di dire un chiaro sì o un chiaro no, non chi balbetta, può sperare di passare l’esame, e ha quindi titolo a guidare il Paese.”

da - http://www.arturoparisi.it/interventi/f35-parisi-nessuno-si-illuda-lesame-e-rinviato-non-superato-ansa/
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« Risposta #10 inserito:: Marzo 19, 2016, 04:57:55 pm »

L'intervista

Parisi: sto con Renzi, D'Alema ha soffocato l'Ulivo
Arturo Celletti

15 marzo 2016

Sfidiamo Arturo Parisi con una domanda secca: ha ragione Matteo Renzi quando dice che D’Alema ha distrutto l’Ulivo? Per qualche secondo l’ex ministro ci guarda in silenzio. Poi ripete due parole: «Povero D’Alema». Una pausa leggera precede la spiegazione che già prende forma dietro quelle due prime parole venate di amara ironia: «Povero D’Alema costretto a tentare di rovesciare su Renzi quella che resta la sua principale indimenticabile responsabilità. Aver soffocato lo spirito dell’Ulivo». Parisi pesca nella memoria e l’atto accusa contro l’ex premier diessino prende forma parola dopo parola: «Diciotto anni non bastano a dimenticare che fu D’Alema a dire 'si sciolga l’Ulivo'...». Ancora una pausa leggera come se il professore volesse imprimere nuova forza alle sue parole: «... Era il 1998 e la morte dell’Ulivo era la precondizione che D’Alema condivise con Cossiga per poter varare il suo governo con la comune illusione di tornare prima dal centrosinistra al centro trattino sinistra e poi alla ricostruzione della tradizionale divisione tra la vecchia sinistra e il vecchio centro». Sfidiamo ancora l’ex ministro della Difesa che dell’Ulivo fu inventore e regista: allora non si meraviglia della dura reazione di Renzi? «No, nessuna meraviglia. D’Alema se l’è proprio cercata».

Professore perché questo scontro sull’Ulivo?
Perché nell’immaginario collettivo l’Ulivo resta un’esperienza positiva da rivendicare e da contendersi.

E anche da riproporre? Anche da attualizzare?
Renzi è figlio dell’Ulivo. La generazione che guida, quella dei nati dopo il 1975, è figlia dell’Ulivo. È la democrazia maggioritaria e bipolare la cultura politica nella quale sono nati. È il movimento per le riforme dei primi anni ’90 il clima nel quale sono cresciuti. Fu per l’Ulivo il primo voto che nel ’96 i più si trovarono ad esprimere. Ecco, questi sono i figli che abbiamo messo al mondo.

Renzi è anche figlio delle primarie...
Esatto, anche questo mi pare fuori discussione. Basta ripassarsi la storia di Renzi e considerare il ricambio della rappresentanza politica per avere un quadro chiaro: senza primarie la nuova generazione avrebbe segnato il passo davanti alla porta dei notabili e avrebbe subìto le decisioni dei capibastone.

Eppure dentro il Pd Renzi sembra circondato più da seguaci che da gente capace di contendergli la leadership...
È vero. Ma voglio fare una previsione: nel partito sono destinati a crescere quelli che, nonostante tutto, alzeranno la mano senza chiedere il permesso. Proprio facendo propria la 'lezione' di Renzi.

Torniamo a D’Alema... Lei lo racconta privato del suo progetto futuro e schiacciato sulle sue azioni passate
È così. Lo vedo costretto ad assistere alla realizzazione, grazie a mani a lui ostili e lontane, di quello che era stato il suo disegno politico: una sinistra che dilaga verso il centro rovesciando le sue politiche tradizionali e allargando le alleanze politiche con in pugno quella bandiera del socialismo europeo della quale credeva di essersi impadronito personalmente in esclusiva. Dall’altra inchiodato allo storico fallimento della sua pretesa di affidare la guida di questo processo non a quell’idea più grande e più nuova che fu chiamata Ulivo, ma ad un soggetto come il suo Pci-Pds-Ds, troppo vecchio per potersi intestare il futuro e troppo piccolo per poter contenere nelle sue mura non dico tutto il centrosinistra ma neanche la sola Sinistra.

Perché Bersani e la minoranza si sono schierati al fianco dell’ex premier?
Perché al suo fianco si sentono oggettivamente schierati. Ma come negare che mentre attorno a Renzi si è costituita una maggioranza nella quale diverse storie si sono mescolate in modo nuovo lo stesso non è accaduto per la minoranza a lui opposta? E come non riconoscere nella comune storia partitica dell’area guidata da Bersani e Speranza una delle cause principali che impediscono alla loro proposta di rivolgersi a tutto il partito, e quindi alla minoranza di aspirare a diventare maggioranza, e alla opposizione di farsi alternativa? È questo un ritardo del quale paga le conseguenze tutto il partito.

Ma che cosa può succedere ora nel Pd?
La frammentazione è sotto gli occhi di tutti. Frammentazione tra quelli che restano e quelli che escono. Frammentazione tra le diverse destinazioni di quelli già usciti. Ma dopo l’approvazione dell’Italicum che premia la lista vincente non vedo altra strada che aprire una competizione credibile dentro il partito. Fuori non c’è spazio che per la testimonianza e la nostalgia.

Ma a chi tocca la prima mossa?
Il cambiamento è più nelle mani della opposizione che di Renzi. Invece di chiedere a Renzi un congresso ridotto ad una semplice conta con l’esito scontato, credo che sia il momento di aprire un Congresso vero a partire da un confronto e da una sfida. Il 2017 è dietro l’angolo. Se qualcuno ha una proposta alternativa per l’Italia e non solo per il Pd, per tutto il Pd e non solo per una piccola area residuale, è il momento di alzare la mano e di cominciare a girare l’Italia per illustrarla. È la democrazia. A chi mi dice che la leadership di Renzi non è contendibile rispondo che chi dice così mi vuol solo dire che non intende contenderla. Guai se Renzi fosse lasciato da solo.

Era questo che voleva dire quando paventava il rischio di una disgregazione definitiva delle opposizioni?
Esattamente questo. Il rischio del rafforzamento della solitudine di Renzi in un partito diviso tra troppi che non hanno altra alternativa che dire sì e pochi ridotti a poter dire solo no.

Renzi vincerà il referendum e poi si andrà al voto anticipato? Prima c’è un lungo cammino da fare e dopo pure. Ho sentito Speranza rinviare la scelta sul referendum condizionando il sì della minoranza al tipo di legge elettorale che sarà approvata per quel che riguarda l’elezione del Senato. Forse ho capito male. Perché davvero non vorrei che la scelta sul referendum fosse presa dopo il varo definitivo della riforma affidato al Referendum.

Le immagini di Napoli quanto hanno danneggiato il Pd? E ora che cosa deve fare Bassolino?
Anche a stare solo alle immagini, alle dichiarazioni, e alle decisioni già prese, il danno al partito è stato enorme. Come se ne esce? Annullando i seggi infangati e soprattutto punendo severamente quelli che li hanno infangati. Quanto a Bassolino penso che da questo momento potrebbe solo perdere. Dentro il Pd la sua battaglia l’ha già vinta. Grazie al confronto in campo aperto da lui imposto con le primarie a Napoli è tornato protagonista.

Ma le primarie hanno un futuro?
Mi dicano prima con che cosa nel caso pensano di riuscire a sostituirle. Sono proprio curioso. Questo è un cammino che una volta aperto può essere svuotato, ma difficilmente azzerato.

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Da - http://www.avvenire.it/Politica/Pagine/Sto-con-Renzi-DAlema-ha-soffocato-lUlivo-.aspx
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« Risposta #11 inserito:: Agosto 16, 2016, 05:49:08 pm »

Parisi: se non avesse fatto le primarie Matteo sarebbe ancora a Firenze
L’ex ministro: se ne faccia una ragione, sono la nostra ragione sociale

Professor Arturo Parisi, lei è considerato il padre delle primarie italiane: Renzi sta riflettendo se sia il caso di continuare a farle, secondo lei se ne può fare a meno? 
«Se è per quello si può fare a meno anche delle elezioni ufficiali, le “secondarie”, e quindi della democrazia: quasi tutte le obiezioni avanzate contro le semifinali possono essere usate anche contro le elezioni finali. Ma la democrazia è “la peggiore forma di governo”, diceva Churchill, “ad eccezione delle altre sperimentate finora”».

Prima obiezione: si rischia che vincano candidati incapaci poi di vincere le elezioni... 
«Sensato: in effetti le primarie non assicurano la scelta del candidato ottimale, né la vittoria alle elezioni. Ma scusi, quando a decidere erano pochi sconosciuti chiusi in una stanza, i candidati poi vincevano sempre? O erano i migliori?».

 Seconda obiezione: troppo spesso sono state inquinate. 
«Vero, esattamente come possono essere inquinate le elezioni finali: e allora non votiamo più? Nel caso, vanno corrette le regole e perseguiti gli inquinatori».

 Correggere le regole in che modo? 
«Iniziamo a far votare alle primarie solo chi ha titolo a votare alle “secondarie”».

 Cioè, no alle file di stranieri in coda ai seggi? 
«Una inclusione decisa soltanto per aumentare l’effetto propaganda. Acceleriamo semmai la loro integrazione come cittadini, e quindi il loro inserimento nelle liste elettorali».

 Morale, quale consiglio darebbe al segretario Renzi? 
«Di farsene una ragione: le primarie sono entrate nell’immaginario della nostra democrazia. A tornare indietro si fa e ci si fa del male».

 Quindi vanno fatte per trovare il candidato sindaco di Roma... 

«Sì, e fatte presto. Nel tempo giusto per farle e per dimenticarle: se sono primarie vere, il vincitore deve avere il tempo di coinvolgere i vinti. A Roma come negli altri Comuni che vanno al voto in primavera è giunta l’ora di allungare il passo: l’ideale sarebbe farle entro l’anno. Anche se ho annusato l’idea che, almeno per l’anno prossimo, e almeno a Roma, le elezioni potrebbero essere rinviate: sarebbe scorretto istituzionalmente e rischioso politicamente».

 Le primarie andrebbero regolate per legge? 
«Sarebbe l’ideale, anche se fossero solo facoltative. Ma con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo: non vorrei che questa proposta servisse più a rinviare la partenza che ad accelerare l’arrivo».

 Se il Pd smettesse di farle, perderebbe un pezzo della sua identità? 
«Senza dubbio. Non starebbe solo abbandonando un istituto che per primo ha adottato in Italia, ma, con l’indebolimento della “D” di Pd, perderebbe la sua ragione sociale».
 
Strano che pensi di abolirle Renzi, l’uomo delle primarie: senza, secondo lei, sarebbe arrivato dov’è? 
«Sicuramente no. Secondo il vecchio modello, lo aspettava un lungo cammino, quello che gli consigliava D’Alema: prima l’esperienza locale, poi magari un passaggio in Europa, infine una candidatura per cariche nazionali».

 Magari sarebbe arrivato comunque a Palazzo Chigi, solo un po’ più vecchio. 
«Ma, sa, il tempo talvolta aiuta, ma più spesso logora: soprattutto chi il potere non ce l’ha ancora...».

Francesca Schianchi

da - http://www.lastampa.it/2015/10/11/italia/politica/parisi-se-il-pd-cancellasse-le-primarie-perderebbe-la-sua-ragione-sociale-LbkNJSLzHFLSSZXsy6NIrI/premium.html
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