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Autore Discussione: Riccardo NOCENTINI.  (Letto 4103 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Febbraio 27, 2016, 05:37:29 pm »

Vocazione maggioritaria non confligge con partito della Nazione (se bene inteso)
Pd   
Riccardo NOCENTINI

Cosa significa costruire l’egemonia oggi

La visione del PD è quella di un partito di governo a vocazione maggioritaria che dialoga con tutti, al proprio interno e con le altre forze sociali, ma poi decide sulla base di quelle che sono le priorità per il bene comune.

La vocazione maggioritaria è lo sforzo di parlare a tutto il paese, è il principio di un “partito della nazione” ben inteso, e non si riferisce soltanto al dato quantitativo dei voti presi, bensì soprattutto a un salto qualitativo che renda il PD una guida nella società, quella “direzione intellettuale e morale” che intendeva Gramsci, parlando del concetto di “egemonia”. Certo quando Gramsci parlava del partito come “moderno principe”, capace di formare una volontà collettiva nazional-popolare e una riforma culturale da concretizzare in un programma economico conseguente, intendeva qualcosa che per noi oggi non è accettabile: il partito che si sostituisce, nelle coscienze, non solo alla divinità, ma anche all’imperativo categorico kantiano, cioè al nostro dover essere, ai valori e alle finalità che precedono i nostri comportamenti.

Il partito oggi deve invece fungere da apertura delle nostre coscienze al mondo, non una diminuzione, ma un ampliamento che ci permetta di avere maggiori strumenti individuali non solo di interpretazione, ma di azione su una realtà che sempre più si configura come una “rete”.

Proprio a partire dalla conoscenza dei nodi interdipendenti della rete si può ricostruire una visione comune “egemone” nel senso di una progressiva capacità di costruzione e allargamento del consenso a partire dalle cose fatte e dalla rappresentanza degli interessi in campo, in particolare delle forze produttive e intellettuali di cambiamento.

La visione maggioritaria vive in una tensione continua tra efficacia delle politiche e qualità della rappresentanza. La funzione di governo, che si affianca a quella maggioritaria, in un sistema parlamentare che non prevede elezione diretta del premier (differentemente rispetto a quello che succede per i sindaci e per i presidenti di regione), richiede, per rafforzare il suo ruolo, la coincidenza di premiership e leadership politica. La visione politico culturale per la nazione e l’azione di governo si completano fino a coincidere per valorizzare rappresentanza e efficacia delle politiche.

Pur aspirando a un modello semplificato e bipolare sappiamo che la situazione italiana vede una frammentazione dei partiti che il Partito democratico non può ignorare ma deve essere affrontata secondo un principio imprescindibile: la ricerca delle alleanze con altre forze politiche di centro e di sinistra, è subordinata alla condivisione di scelte programmatiche chiare, sfidanti e riformatrici. Il programma viene prima delle alleanze. Questa è la conseguenza se vogliamo essere coerenti con la funzione nazionale e maggioritaria del PD; cosa diversa quando discutiamo di regole e di riforme costituzionali, nel qual caso vanno ricercate le massime convergenze possibili. Questo perché diverso è il principio sottostante: il governo è della maggioranza (che deve governare) le regole sono di tutti (e devono garantire pluralismo e rappresentanza).  
(Riccardo Nocentini)

DA - http://www.unita.tv/opinioni/vocazione-maggioritaria-non-confligge-con-partito-della-nazione-se-bene-inteso/
« Ultima modifica: Gennaio 17, 2017, 05:32:10 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 06, 2017, 03:06:08 pm »

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Riccardo Nocentini   -   @nocentinir
· 2 gennaio 2017

Le due visioni contrapposte di sinistra all’interno del Pd

Da una parte l’idea di un partito liberal socialista dall’altra un pensiero social democratico

Il documento di D’Alema su Italianieuropei uscito il 31 dicembre (fondamenti per un programma della sinistra in Europa) e di Bersani del 29 dicembre su ilcampodelleidee.it, rappresentano un possibile terreno di confronto.
Al di là delle etichette sull’azione politica degli ultimi 3 anni, Bersani parla di blairismo mal riuscito e di “populismo a bassa intensità”, D’Alema di “ideologia della governabilità”, si evidenzia una diversa direzione da intraprendere.

Nel Pd sono in campo due idee che si possono confrontare in maniera dialettica, oppure escludere a vicenda. Da una parte l’idea di un partito liberal socialista che pone il cambiamento e la lotta alle rendite di posizione come principio di partenza, dall’altra un pensiero social democratico che riporta al centro non il cambiamento ma, per usare il termine di Bersani, la “protezione” in termini di lavoro e welfare. In entrambe le direzioni vengono comunque considerati strategici gli investimenti per far ripartire la crescita economica.

Allora, su questo aspetto, ci dobbiamo intendere. Al di là cosa si preferisca, parlare il linguaggio del pessimismo cosmico oppure quello dell’ottimismo ad ogni costo, entrambi hanno dei limiti. Il pessimismo crea rassegnazione, l’ottimismo, se non supportato da fatti concreti anche di breve termine, rischia di venire percepito come illusorio e quindi, allo stesso modo, deludente. Pessimismo e ottimismo sono due facce della stessa medaglia, se mal utilizzati, possono essere invece complementari, come nella nota citazione di Gramsci “pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà”, se hanno un medesimo faro: la fiducia.

L’economia si basa sulla fiducia reciproca, tra imprese e mercato, tra imprese e stato, tra stato e mercato, e tra i cittadini e tutti gli attori economici e istituzionali. Come creare fiducia per far ripartire l’economia del paese? Questa è la domanda alla quale dobbiamo dare risposta per elaborare una nuova linea politico programmatica in campo economico.

Non dobbiamo essere ossessionati dall’economia, ma dobbiamo capirla meglio. Certi numeri che rientrano tra i parametri europei, come il rapporto del 3% tra deficit e prodotto interno lordo, rischiano di essere dei feticci perché non dicono nulla su quello che sta dietro, sulle ragioni profonde che stanno alla base. Il problema dell’Italia è che, nonostante i miglioramenti in atto a partire dal 2015, dietro ai numeri della nostra economia per tantissimi anni è mancata una strategia.

Se non c’è una crescita significativa il deficit aumenta in maniera automatica per il costo della cassa integrazione, per la riduzione degli introiti fiscali oltre che per gli interessi sul debito accumulato negli anni. Quindi quello su cui ci dobbiamo concentrare è la crescita.

Le condizioni della crescita dipendono in buona parte, da una burocrazia snella, da un mercato del lavoro con maggiori opportunità, da una minore corruzione, ma anche dalla qualità degli investimenti pubblici e privati volti all’incremento di una produttività di lungo periodo. La questione di oggi non è il costo del lavoro, ma come renderlo più produttivo, quindi anche più efficiente attraverso una formazione all’avanguardia, tecnologie avanzate e un rapporto cooperativo tra impresa e lavoro.

Insomma l’aspetto fondamentale riguarda gli “investimenti strategici” e per farli è necessario prima di tutto un orientamento culturale che faccia da sfondo, sul quale costruire una visione del futuro con una solida e creativa progettualità. Questa è la vera sfida e le variabili di lungo periodo che permettono di crescere sono il capitale umano (conoscenza, innovazione, istruzione, formazione) e il capitale sociale (senso di comunità e dello stato).

Su questo sfondo il PD deve ripensare le policies, quindi una politica che parta dai contenuti delle politiche, per allargare i consensi e definire una nuova linea politico culturale e programmatica, che non sia solo una somma di policies, ma, un punto di vista sulla storia della nazione, contemporaneo e plurale. E dovrà scegliere se essere una sinistra di cambiamento o di “protezione”, oppure la sintesi dialettica dell’una e dell’altra

Da - http://www.unita.tv/opinioni/le-due-visioni-contrapposte-di-sinistra-allinterno-del-pd/
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 08, 2017, 11:20:35 pm »

Storie da superare: un compito per Renzi e gli altri
Pd   
L’operazione di fusione nel Pd non è ancora completata, ma è fondamentale per riuscire a leggere e risolvere i problemi di oggi

Nell’Assemblea del Partito Democratico del 18 dicembre Gianni Cuperlo ha posto un problema di fondo quando, citando Norberto Bobbio, ha sostenuto che il destino del Pd dipende dalla natura del Pd. E io credo che dare risposta a questo problema sia essenziale per tutti noi che ci riconosciamo nel Partito democratico come partito nuovo che deve assolvere alla funzione nazionale di aprire una fase più avanzata della democrazia italiana e della costruzione europea. Per fare questo dobbiamo innanzitutto riflettere sulle differenti storie che ognuno di noi ha portato nel Pd e sull’esigenza di superarle: non di rinnegarle ma di superarle radicalmente sì.

Il fatto è che nel Partito democratico sono confluiti i quattro grandi filoni della storia della democrazia italiana, che in parte sono andati ad alimentare anche altre formazioni politiche sia di centrodestra che di sinistra, ma che indubbiamente caratterizzano in modo forte con la loro confluenza proprio il Pd. Sto parlando dell’esperienza del cattolicesimo democratico, di quella peculiare del comunismo italiano, di quella del movimento socialista e infine del filone liberale.

Quattro filoni che in passato si sono spesso scontrati duramente ma che non a caso hanno contribuito, ognuno per la propria parte, alla costruzione delle istituzioni democratiche e alle conquiste sociali della storia repubblicana. Vorrei allora sintetizzare, dal mio punto di vista e senza pretesa alcuna di completezza, i valori principali che ognuno di quei filoni ha portato con sé nel Partito democratico e lo farò procedendo da quello più lontano a quello più vicino alla mia storia personale.

Il ruolo del mercato, non solo come meccanismo promotore di efficienza ma anche come luogo di espressione di libertà, è sicuramente l’apporto peculiare che ci viene dalla tradizione liberale, in particolare nelle sue espressioni che attribuiscono alle istituzioni pubbliche il compito di definire e garantire le regole di corretto funzionamento dei mercati. Continuo subito però con l’altrettanto forte consapevolezza, che ci viene dalla tradizione del cattolicesimo democratico, del valore – spesso mortificato dall’operare spontaneo del mercato – dell’importanza per la vita democratica delle capacità di iniziativa spontaneamente solidale che nel vivo del tessuto sociale si esprimono attraverso l’agire diversificato e vitale di un insieme di associazioni e di comunità. Agire spontaneo che non basta però a correggere i “fallimenti del mercato” che possono comprimere e vanificare la stessa espressione di libertà di scelta individuale e che richiedono l’intervento del sistema di welfare (sicurezza sociale, previdenza, sanità, servizi alla persona), che costituisce realizzazione alta dell’esperienza socialdemocratica europea. E infine, ma non da meno, la consapevolezza, che segna l’esperienza del comunismo italiano, che c’è bisogno di un intervento pubblico che non solo costruisca e garantisca le regole e corregga i “fallimenti del mercato” ma che traduca scelte collettive consapevoli in allocazione delle risorse a fini di interesse generale e affermi quindi il ruolo che la politica democratica deve svolgere sulla direzione da imprimere al processo economico.

Ora, il Partito democratico deve essere il crogiuolo nel quale queste quattro tradizioni sono chiamate a fondersi e così facendo a dar vita a una cultura democratica nuova che sappia dare risposta ai problemi che vivono gli italiani e gli europei di oggi: un’epoca traversata da nuove inquietudini, paure, situazioni di sofferenza sociale, e al tempo stesso – grazie alle conquiste di settanta anni di democrazia – aperta a nuove possibilità di realizzazione individuale e sociale; un’epoca che non può essere capita e governata con le categorie del passato. Ma proprio nella fusione di quelle esperienze democratiche confluite nel Pd c’è la chiave di volta per abbandonare le scorie che ognuna di esse si porta dietro e arrivare a una più comprensiva visione dei problemi di oggi.

Il riconoscimento del ruolo del mercato implica che sia le esperienze di comunità, sia l’azione pubblica di guida e quella di correzione del mercato, devono sapersi rapportare con il sistema delle convenienze economiche, e questo proprio per non subirle ma caso mai per modificarle efficacemente. Così, a sua volta, l’importanza da dare all’iniziativa spontaneamente solidale che vive nel tessuto sociale, richiede che le regole del mercato siano regole aperte, dove ognuno possa giocare alla pari, e contemporaneamente richiede di saper riconoscere i limiti di uno statalismo che pretenda di essere autosufficiente sul versante del welfare come su quello della direzione del processo economico. Ancora, la consapevolezza circa il ruolo di un sistema di welfare pubblico significa creare una sponda essenziale per le iniziative di comunità, valorizzare le opportunità reali di autodeterminazione dei cittadini correggendo i vincoli che il mercato determina, ricordare alla politica che al centro dell’azione di governo ci sono le esigenze delle persone. Infine, il riconoscimento della funzione che le istituzioni democratiche sono chiamate a svolgere in termini di orientamento e guida del processo economico colma un limite degli altri tre approcci richiamando un dovere democratico delle istituzioni: quello di dare attuazione alle scelte della comunità nazionale circa il proprio futuro.

A oggi l’operazione di fusione non è completata e le scorie non risultano ancora del tutto depositate. Questo è il compito della generazione di giovani che con Matteo Renzi ha finalmente preso in mano la guida del Partito democratico. Anche perché tutti veniamo da lontano per guardare al futuro con coraggio e senza rimpianti.

http://www.unita.tv/opinioni/pd-renzi-culture-comunismo-socialismo-liberale-cattolicesimo/
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 08, 2017, 11:24:47 pm »

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Riccardo Nocentini - @nocentinir
· 2 gennaio 2017

Le due visioni contrapposte di sinistra all’interno del Pd
Da una parte l’idea di un partito liberal socialista dall’altra un pensiero social democratico
   
Il documento di D’Alema su Italianieuropei uscito il 31 dicembre (fondamenti per un programma della sinistra in Europa) e di Bersani del 29 dicembre su ilcampodelleidee.it, rappresentano un possibile terreno di confronto.
Al di là delle etichette sull’azione politica degli ultimi 3 anni, Bersani parla di blairismo mal riuscito e di “populismo a bassa intensità”, D’Alema di “ideologia della governabilità”, si evidenzia una diversa direzione da intraprendere.

Nel Pd sono in campo due idee che si possono confrontare in maniera dialettica, oppure escludere a vicenda. Da una parte l’idea di un partito liberal socialista che pone il cambiamento e la lotta alle rendite di posizione come principio di partenza, dall’altra un pensiero social democratico che riporta al centro non il cambiamento ma, per usare il termine di Bersani, la “protezione” in termini di lavoro e welfare. In entrambe le direzioni vengono comunque considerati strategici gli investimenti per far ripartire la crescita economica.

Allora, su questo aspetto, ci dobbiamo intendere. Al di là cosa si preferisca, parlare il linguaggio del pessimismo cosmico oppure quello dell’ottimismo ad ogni costo, entrambi hanno dei limiti. Il pessimismo crea rassegnazione, l’ottimismo, se non supportato da fatti concreti anche di breve termine, rischia di venire percepito come illusorio e quindi, allo stesso modo, deludente. Pessimismo e ottimismo sono due facce della stessa medaglia, se mal utilizzati, possono essere invece complementari, come nella nota citazione di Gramsci “pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà”, se hanno un medesimo faro: la fiducia.

L’economia si basa sulla fiducia reciproca, tra imprese e mercato, tra imprese e stato, tra stato e mercato, e tra i cittadini e tutti gli attori economici e istituzionali. Come creare fiducia per far ripartire l’economia del paese? Questa è la domanda alla quale dobbiamo dare risposta per elaborare una nuova linea politico programmatica in campo economico.

Non dobbiamo essere ossessionati dall’economia, ma dobbiamo capirla meglio. Certi numeri che rientrano tra i parametri europei, come il rapporto del 3% tra deficit e prodotto interno lordo, rischiano di essere dei feticci perché non dicono nulla su quello che sta dietro, sulle ragioni profonde che stanno alla base. Il problema dell’Italia è che, nonostante i miglioramenti in atto a partire dal 2015, dietro ai numeri della nostra economia per tantissimi anni è mancata una strategia.

Se non c’è una crescita significativa il deficit aumenta in maniera automatica per il costo della cassa integrazione, per la riduzione degli introiti fiscali oltre che per gli interessi sul debito accumulato negli anni. Quindi quello su cui ci dobbiamo concentrare è la crescita.

Le condizioni della crescita dipendono in buona parte, da una burocrazia snella, da un mercato del lavoro con maggiori opportunità, da una minore corruzione, ma anche dalla qualità degli investimenti pubblici e privati volti all’incremento di una produttività di lungo periodo. La questione di oggi non è il costo del lavoro, ma come renderlo più produttivo, quindi anche più efficiente attraverso una formazione all’avanguardia, tecnologie avanzate e un rapporto cooperativo tra impresa e lavoro.

Insomma l’aspetto fondamentale riguarda gli “investimenti strategici” e per farli è necessario prima di tutto un orientamento culturale che faccia da sfondo, sul quale costruire una visione del futuro con una solida e creativa progettualità. Questa è la vera sfida e le variabili di lungo periodo che permettono di crescere sono il capitale umano (conoscenza, innovazione, istruzione, formazione) e il capitale sociale (senso di comunità e dello stato).

Su questo sfondo il PD deve ripensare le policies, quindi una politica che parta dai contenuti delle politiche, per allargare i consensi e definire una nuova linea politico culturale e programmatica, che non sia solo una somma di policies, ma, un punto di vista sulla storia della nazione, contemporaneo e plurale. E dovrà scegliere se essere una sinistra di cambiamento o di “protezione”, oppure la sintesi dialettica dell’una e dell’altra

Da - http://www.unita.tv/opinioni/le-due-visioni-contrapposte-di-sinistra-allinterno-del-pd/
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 08, 2017, 11:27:01 pm »

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Riccardo Nocentini - @nocentinir
· 7 gennaio 2017

Quattro modelli tra cui il Pd può scegliere
Obiettivi e orientamento forniscono i due assi lungo i quali si sviluppano idee diverse di un partito

Un partito dipende, in buona parte, da come ce lo immaginiamo. Ci sono delle ipotesi di fondo, che influiscono il nostro agire individuale e collettivo. Le possiamo chiamare metafore politiche e riguardano le nostre percezioni. Sono potenti perché agiscono in maniera implicita, vengono date per scontate e influenzano il nostro modo di porci verso il partito.

Potremmo pensare alla direzione che il Pd deve intraprendere a partire da alcune possibili metafore su due assi cartesiani che considerano il focus, l’orientamento del partito (verso l’interno/verso l’esterno) e gli obiettivi (convergenti/divergenti).

Con obiettivi convergenti e focus interno abbiamo una modalità che potremmo denominare “Partito ditta”. È un partito tradizionale, legato alle modalità operative dei partiti di massa novecenteschi. Il principio sul quale si basa è quello di maggioranza, a questo si allineano anche le minoranze e la linea politica è espressa dall’alto. Potremmo parlare di “centralismo democratico” se vogliamo utilizzare un rimando al passato. In questa metafora politica il senso di apparenza è forte e il programma di policies si rivolge ad un determinato elettorato sociale. Le alleanze ricercate sono tattiche, si basano sulle situazioni che creano opportunità per il partito, il quale rappresenta un fine oltre che un mezzo. Il problema di questa metafora è che parla il linguaggio dei partiti di massa, senza che questi esistano più.

Con obiettivi divergenti e focus interno abbiamo il “Partito di correnti”. È un partito organizzato in sottopartiti con proprie logiche, la conflittualità è la norma perché ogni corrente cerca di espandere il proprio potere e le proprie responsabilità. Il principio di maggioranza è spesso messo in discussione. L’allineamento non è scontato neanche quando le decisioni sono state prese. Le alleanze sono tattiche e legate a convenienze contingenti, così come il programma. Il problema di questa metafora sono i veti reciproci interni che bloccano l’azione politica e possono portare a scissioni.

Obiettivi convergenti, focus esterno: è il così detto “Partito della nazione”, che si allarga verso il centro alla ricerca di nuovi confini. Prevede un allineamento tra il livello nazionale e i livelli territoriali (che vengono eletti nello stesso giorno della leadership nazionale). Le parti convergono e il partito si adatta velocemente al contesto ambientale. Il programma viene prima delle eventuali alleanze, anzi l’autosufficienza è la principale interpretazione della vocazione maggioritaria.
Il problema di questa metafora è che l’autosufficienza non basta e gli altri partiti, anche quelli potenzialmente vicini, si alleano contro, in particolare nelle elezioni con ballottaggi.

Con obiettivi divergenti e focus esterno la metafora che possiamo utilizzare è quella del “Partito wiki”. L’interazione è necessaria per creare la conoscenza collettiva di cui si alimenta il partito. Prevede autonomia dei livelli territoriali e pluralismo interno, insieme ad una reale apertura all’associazionismo e alla società civile. All’allineamento è preferito l’accordo. La logica è quella di una rete nella quale si ricercano alleanze strategiche per costruire insieme un programma, ma anche tattiche per superare situazioni di impasse nelle assemblee elettive.

Forse proprio questa metafora meglio rappresenta quello che dovrebbe essere il Pd nel contesto politico di oggi. Un “partito wiki” nel quale la vocazione maggioritaria significa non solo definire gli obiettivi del programma elettorale e cercare di raggiungerli, ma anche un’apertura costante all’osservazione e all’analisi della società, per portare a convergenza le posizioni dei vari attori che sono in campo, creare consenso sulla missione e sull’orizzonte verso il quale incamminarsi, insieme.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/quattro-modelli-tra-cui-il-pd-puo-scegliere/
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« Risposta #5 inserito:: Gennaio 17, 2017, 05:23:30 pm »

l'Unità TV > Opinioni
Riccardo Nocentini - @nocentinir

· 13 dicembre 2016
Ridefinire il posizionamento strategico del Pd

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Al di là dei contenuti e della tipologia di elettori, come spazio politico, il PD prenderà quello della DC, i Cinque stelle quello del PCI, Forza Italia quello dei socialisti

Quando un partito risponde alla domanda “che fare?”, va oltre le analisi e psicoanalisi post-elettorali ed inizia a cercare una nuova strada e a definire la propria meta. Questo è il compito che il PD ha davanti, ridefinire la propria strategia. Questo non significa pianificare meglio gli obiettivi di policy, che spesso sconfinano nel ritualismo, e neanche lavorare in maniera migliore sulla dimensione motivazionale e del senso di apparenza. C’è tutto questo, ma c’è anche un altro aspetto oggi determinante, che rappresenta lo sfondo dei contenuti e delle azioni politiche.

Per avvicinarci a comprenderlo dobbiamo modificare leggermente la domanda iniziale: “quale ruolo vogliamo svolgere nel contesto politico che abbiamo davanti?”. La sconfitta attuale non è tanto di Matteo Renzi, o del PD e neanche di tutti gli italiani. Forse, e lo dico con grande rammarico, ha perso quell’idea che dai movimenti referendari degli anni ’90 era arrivata fino al rafforzamento degli enti locali con l’elezione diretta di sindaci (1993) e dei Presidenti di regione (1995) e che, con la riforma della Costituzione e con una nuova legge elettorale, cercava di portare a compimento un sistema maggioritario capace di fornire stabilità di governo e chiarezza rispetto alle scelte dei cittadini.

Il contesto politico nel quale ci muoveremo nei prossimi anni è diverso, l’ordinamento dello Stato rimarrà quello del bicameralismo paritario e di un confuso ruolo delle regioni, oltre ad una legge elettorale che, molto probabilmente, sarà di tipo proporzionale. Dobbiamo assumere questo contesto politico come un’invariante strutturale, non farlo sarebbe velleitario o, peggio, ipocrita.

Al di là dei contenuti e della tipologia di elettori, come spazio politico, il PD prenderà quello della DC, i Cinque stelle quello del PCI, Forza Italia quello dei socialisti. Il Pd avrà la funzione nazionale di un’azione riformista concentrata su un continuo sforzo di allagamento e sintesi. Il Movimento cinque stelle, si autoescluderà da ogni compromesso e cercherà di rafforzare la sua capacità di opposizione. Forza Italia si giocherà la possibilità di essere “l’ago della bilancia” necessario per formare i governi.
E’ un cambio di paradigma per il PD, si tratta di ridefinire la sua vocazione maggioritaria in un quadro di nuove alleanze, all’interno delle quali si deve porre come centro e guida. La lente interpretativa del PD non deve essere indirizzata verso l’interno, ma verso l’esterno, gli obiettivi devono coinvolgere il contesto, cioè la filiera degli attori istituzionali, la coesione sociale, l’apertura all’ambiente.

Oggi ci muoviamo in uno spazio che si configura come una rete, dove gli attori sono interdipendenti e le interdipendenze, riconosciute e organizzate, possono creare valore. La strategia allora diventa il comportamento che ridefinisce in ogni attimo il “chi”, il “cosa” e il “come”, che sono le leve del nostro posizionamento. La strategia rappresenta le priorità che sto presidiando, più precisamente, il PD, deve pensare il proprio posizionamento strategico in questo nuovo contesto politico di riferimento.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/ridefinire-il-posizionamento-strategico-del-pd/
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