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Autore Discussione: Meno consumi e investimenti rinviati: quanto ci costa il crollo della Borsa  (Letto 1763 volte)
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« inserito:: Febbraio 09, 2016, 07:00:43 pm »

Meno consumi e investimenti rinviati: quanto ci costa il crollo della Borsa
Il calo del petrolio, il rallentamento della Cina, la frenata dei mercati hanno già scatenato una serie di effetti collaterali: dalle quotazioni sospese ai difficili aumenti di capitale.
L'impatto sull'economia reale

Di SARA BENNEWITZ e LUCA PAGNI

MILANO - La Borsa ha previsto più recessioni di quante se ne siano verificate nell'economia reale. Ma il crollo repentino e violento di Piazza Affari è di quelli che impone una riflessione sulle cause e sulle possibili conseguenze nella vita di tutti i giorni. Gli esperti escludono che l'Italia sia sotto attacco, ma di sicuro la fiducia degli investitori esteri è stata messa dura prova dalla lentezza delle istituzioni e delle aziende del Paese nell'attuare e mettere in pratica le riforme annunciate. "In particolare per quanto riguarda le banche - dicono gli esperti - la palla di neve è diventata valanga". Nessuno ha pensato di prevedere la tempesta, quando un anno fa si sono profilate all'orizzonte le nubi del Bail in e della riforma delle popolari. I n attesa di sapere se la pioggia sui mercati si trasformerà in recessione o se il clima è destinato a tornare sereno, il calo del petrolio, il rallentamento della Cina e il crollo delle Borse hanno già scatenato una serie di effetti collaterali, per gli investitori in primis, ma anche per le tasche degli italiani.

QUOTAZIONI RINVIATE. In un simile contesto di mercati la prima cosa che viene rimandata a tempi migliori sono le Ipo. A gennaio, sia Coima Res che Idea Re, società che avevano presentato la richiesta a Consob per quotarsi sul mercato, hanno rinviato il processo di quotazione. Ma questo, dicono gli esperti, non è del tutto un male, perché il fatto che il mercato diventi molto selettivo all'origine, evita anche che l'euforia porti a scelte non razionali. "Le aziende che hanno progetti seri e pianificano la quotazione con un'ottica di lungo periodo - spiega Poalo Moia, responsabile degli investimenti di Banca Profilo - sceglieranno di quotarsi a prescindere, dando la loro disponibilità in fase di collocamento ad accettare magari valutazioni più basse, pur di reperire comunque le risorse necessarie per finanziare lo sviluppo".

AUMENTI DIFFICILI. Il paradigma che vale per i collocamenti vale anche per gli aumenti di capitale: chi cerca risorse per svilupparsi non farà fatica a trovarle, chi le cerca per ristrutturare dovrà pagare uno scotto salato. "Ma le aziende e le banche che hanno temporeggiato finora - osserva Carlo Gentili di Nextam Partners - a un certo punto saranno comunque costrette ad andare sul mercato, e a quel punto sarà da vedere a che prezzo i consorzi bancari saranno disposti a garantire l'inoptato". Come si è visto nel caso di Saipem, che in questi giorni chiede al mercato 3,5 miliardi, o in quello di Prelios (66,5 milioni di ricapitalizzazione). Il gruppo di servizi petroliferi controllato da Eni ha offerto uno sconto sul prezzo prima dello stacco del diritto del 37% e paga al consorzio che garantisce l'aumento circa il 2,5%. Prelios offre uno sconto del 34% e per garantire l'inoptato spende poco meno del 3%. Secondo gli analisti, in entrambi i casi, il rischio che gli investitori non sottoscrivano per intero è comunque alto. E presto dovranno misurarsi con il mercato anche la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Nel complesso rinvii di Ipo e aumenti di capitale determinano un parallelo rinvio degli investimenti.

ASPETTANDO I BUY BACK. Molti i manager in questi giorni di mercati isterici hanno annunciato che i mercati sono irrazionali, che gli investitori non hanno capito, che le loro aziende sono solide. Alle parole non sono seguiti i fatti, nessuno dei top manager di banche e aziende bersagliate dalle vendite ha dato il buon esempio comprando azioni. "Va detto che soprattutto nel caso delle banche molto manager avevano già acquistato azioni a valori ben superiori - osserva Mario Spreafico direttore degli investimenti di Schroeders - non ho dubbi sulla solidità dei principali istituti italiani, ne ho invece sulla trasparenza e sul modo in cui sono stati comunicati i processi delle riforme e i sistemi di protezione preventivi in vista del Bail In. Così come si è perso tempo, tra la riforma delle popolari e le valutazioni delle aggregazioni conseguenti alla stessa". I valori di molti titoli lasciano spazio per aspettarsi piani di acquisto di azioni proprie. "Salvo Moncler che ha annunciato un buy back di dimensioni ridotte - osserva Gentili - non ho ancora visto grandi dimostrazioni di fiducia da parte delle aziende. Se la turbolenza dovesse proseguire, con le assemblee della primavera mi aspetto che saranno approvati una serie di nuovi piani di buy back".

M&A IN FRENATA. Per chi volesse fare acquisti di aziende quotate, tra valutazioni compresse e credito facile, le condizioni per finanziarsi a debito e fare shopping sembrano molto favorevoli. Eppure, dicono gli analisti, l'ondata di fusioni e acquisizioni arriva sempre e solo quando i mercati sono stabilizzati, e peraltro nel 2015 a Piazza Affari l'M&A ha toccato livelli record superando a valore quota 10 miliardi. "Il fatto è che quando non c'è visibilità sulle prospettive future - prosegue Moia - anche l'M&A si ferma".

BTP E OBBLIGAZIONI. Chi ha un vantaggio diretto dall'attuale politica economica della Bce sono gli stati che possono finanziarsi a tassi più bassi approfittando della liquidità presente sul mercato e dell'intervento della banca centrale. Viceversa per le aziende ricorrere al mercato per collocare delle emissioni presenta un rischio superiore, perché l'incertezza viene fatta pagare anche ai bond corporate. L'Italia in settimana è tornata a collocare un bond 30nnale, e lo ha fatto offrendo un tasso anno del 2,7%, molto conveniente rispetto alle ultime emissioni della stessa durata. "I governi lungimiranti dovrebbero sfruttare questo contesto di tassi bassi e di liquidità offerta dalle banche centrali - conclude Moia - per finanziarie opere infrastrutturali creando posti di lavoro e tirando fuori i loro stati dalla recessione. Ma spesso la politica fiscale e quella monetaria non si parlano tra di loro".

RISPARMIO IN ALLARME. Una delle conseguenze immediate della "sciacquata" sui mercati finanziari è il calo del patrimonio di chi ha investito in Borsa. Direttamente in titoli azionari, ma anche attraverso fondi di investimento, Etf o prodotti che hanno comunque una componente di rischio più elevata. Secondo dati della Banca d'Italia, le famiglie italiane hanno investito 64 miliardi in titoli azionari di società italiane e 19,8 miliardi in società estere. A queste cifre bisognerebbe aggiungere la quota "azionaria" all'interno dei fondi comuni. Gli italiani hanno circa 366 miliardi di euro impegnati nei fondi: in assenza di dati ufficiali, gli addetti ai lavori calcolano che un 15 % possa essere la parte dell'investimento azionario, vale a dire circa 57 miliardi sul totale. Questo, complessivamente, significa che le famiglie italiane hanno destinato agli investimenti azionari una somma che si aggira sui 140 miliardi di euro. Tenendo conto che le borse europee hanno perso in media il 15% da inizio anno (qualche punto percentuale in più per Piazza Affari), gli uffici studi sono concordi nel ritenere che la perdita potenziale per le famiglie investitrici sia di circa 21 miliardi di euro.

L'IMPATTO SUI CONSUMI. Non si tratterebbe però di soldi "bruciati" ma di una perdita potenziale, dato che al momento non risulta ancora una fuga dai fondi comuni. Ma quello che preoccupa di più, secondo gli esperti, non è tanto la perdita potenziale ma le conseguenze che la riduzione del valore di mercato del patrimonio potrebbe avere sui comportamenti delle famiglie. Con le Borse in salita da almeno quattro anni, c'è da ritenere che una buona parte degli investitori possa vantare una plusvalenza anche se decidesse di vendere - o lo abbia già fatto sull'onda dei cali di queste ultime settimane. Le preoccupazioni riguardano le possibili ripercussioni sui consumi: se dovesse farsi strada l'idea che non si tratti solo di una correzione dei mercati, ma che siamo di fronte a una nuova fase recessiva, potrebbero aumentare la propensione al risparmio delle famiglie. E questo effetto psicologico potrebbe cancellare la timida ripresa dei consumi registrata l'ultimo anno, ben al di sotto del + 2% registrato nel 2015. Il danno, per fortuna al momento sembra circoscritto dato che la ricchezza degli italiani è calcolata in circa 4mila miliardi. I 21 miliardi di minusvalenza potenziale tuttavia potrebbero comunque avere diversi effetti psicologici collaterali.

PMI. Il crollo del prezzo del petrolio è un vantaggio, che si ribalta soprattutto sulla spesa delle imprese per l'energia. Ma il rallentamento dell'economia cinese potrebbe svantaggiare una economia manifatturiera come quella italiana che si basa sulle esportazioni. Preoccupazioni sono emerse dal Centro Studi di Confindustria i cui esperti temono per le ripercussioni sul Pil italiano. Nel loro ultimo report si legge che le condizioni finanziarie sono "diventate più restrittive, come se i tassi fossero aumentati di un punto percentuale ", con un impatto sulla fiducia non "ideale" per la crescita. Inoltre, "la caduta del prezzo del petrolio aggiunge spinta al reddito disponibile nei paesi consumatori, però nell'immediato è insieme specchio e fonte di instabilità internazionale". Per Confindustria "tutte queste fibrillazioni segnalano che lo scenario è diventato più sfidante, con maggiori rischi al ribasso".

(08 febbraio 2016) © Riproduzione riservata

Da - http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2016/02/08/news/meno_consumi_e_investimenti_rinviati_quanto_ci_costa_il_crollo_della_borsa-133013205/?ref=HRER3-1
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