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Autore Discussione: Weber e Moscovici attaccano, il Pd, dopo sms di Renzi, evoca la crisi  (Letto 2975 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Febbraio 04, 2016, 05:09:06 pm »

Europa, altissima tensione Roma-Bruxelles.
Weber e Moscovici attaccano, il Pd, dopo sms di Renzi, evoca la crisi

Pubblicato: 02/02/2016 17:02 CET Aggiornato: 2 ore fa

“Attaccano Renzi perché è l’unico che può mettere all’angolo la Merkel”. A tarda sera a Strasburgo si raccolgono le idee dopo il duro affondo del presidente del Ppe Marfred Weber all’Italia, “basta margini di flessibilità”, su cui ha sparso sale il commissario all'Economia Moscovici: "Basta a nuove discussioni sulla flessibilità, e basta scontri, non sono un buon modo per risolvere i problemi". Ma al di là delle questioni tecniche su deficit e soldi alla Turchia, c’è chi sostiene che il match tra Roma e la Ue sia tutto politico e che si giochi sulla volontà italiana di insidiare e spezzare l'asse franco-tedesco. E dunque mettere in discussione la leadership della cancelleria Merkel sui dossier che più interessano Roma. A conferma che il duello sia tutto italo-tedesco lo provano le reazioni, non solo di Matteo Renzi in visita istituzionale in Ghana, ma anche di tutti i parlamentari europei di rito renziano. Dopo le dichiarazioni di Weber si è così scatenato un fuoco di tweet, comunicati, interventi in plenaria.

Una controffensiva studiata ed eterodiretta dalla war room di Palazzo Chigi. Attraverso un sms Renzi ha ordinato ai suoi di respingere al mittente ogni accusa. In realtà, l’attacco sferrato dal presidente dei parlamentari del Ppe era atteso. Al punto che lo scorso 29 gennaio, poco prima della direzione del Pd, il presidente del Consiglio aveva istruito i suoi parlamentari che siedono Strasburgo: “Adesso ci attaccheranno e si apriranno le danze. E noi dobbiamo essere pronti a rispondere colpo su colpo. E’ l’occasione per cambiare questo Europa dello zero virgola”.

La prima a ribattere a Weber è stata Patrizia Toia, capo delegazione del Pd in Europa: “Il capogruppo conservatore tedesco Manfred Weber è il primo nemico della Commissione europea perché ne mette a rischio ogni giorno la tenuta con le sue dichiarazioni oltranziste, contrarie al patto di legislatura alla base della coalizione che ha dato la fiducia a Juncker”. Subito dopo è stato il turno della renzianissima Simona Bonafé. Che si è servita di un cinguettìo ironico: “Bei tempi quando in #Germania c'era #Max, ora ci tocca Manfred #Weber”. E infine Pina Picierno, anche lei europarlamentare in quota dem: “Ma Weber è stato nominato portavoce della commissione europea e a me è sfuggito qualcosa oppure il presidente del Ppe continua a parlare a titolo personale spacciando il suo pensiero per decisione condivisa?”.

Ma chi è Manfred Weber? Presidente del gruppo Ppe Strasburgo, è stato eletto la prima volta nel 2004, e da quel dì viene considerato il falco della cancelliera tedesca in Europa. Oltretutto, nel luglio scorso quando Matteo Renzi assunse la presidenza del semestre Ue Weber fu l’unico ad essere gelido e ad attaccare i paese debitori, come l’Italia, perché è del pensiero che “non creano futuro, ma lo distruggono”.

Da questo scontro passa anche il destino di Jean Claude Junker, colui che guida la commissione Ue e che deciderà i margini di flessibilità che tanto interessano l’Italia. In tanti sussurrano che “la presidenza Junker abbia le ore contate”. Al punto che Daniele Viotti, europarlementare del Pd, lo ha messo a verbale. Intervenendo in plenaria Viotti si è chiesto: “C'è un interrogativo che mi arrovella: siamo sicuri che il vero obiettivo di Weber non sia Renzi, ma Juncker?”. A primavera si saprà se la commissione di Junker darà il via libera allo sforamento del deficit fino al 2,4 % del Pil o promuoverà una procedura di infrazione sul deficit.

Le richieste dell’Italia sono chiare: 16 miliardi di flessibilità per le riforme approvate, gli investimenti, e, infine, un ulteriore sgravio per i fondi spesi per salvare le vite dei migranti nel mediterraneo. Motivi per condurre la battaglia il premier Matteo Renzi ne ha diversi. Si lasciano scappare i dem: “La Francia ha già sforato di parecchio il tetto sul deficit. Per non parlare della Germania che ha un surplus di avanzo commerciale superiore al consentito”. Insomma in Europa si sta consumando la più importante battaglia diplomatica degli ultimi anni. Un braccio di ferro destinato a prolungarsi.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/02/02/europa-scontro-roma-bruxelles_n_9139556.html?1454428951&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 09, 2016, 06:56:41 pm »

Le conseguenze di una Commissione «politica»

Di Sergio Fabbrini
Febbraio 2016

È possibile che il contrasto tra Jean-Claude Juncker e Matteo Renzi sia dovuto alla loro differente personalità. È possibile anche che Renzi usi la polemica contro la Commissione per fini di politica interna (sottraendo alle opposizioni grilline e leghiste un argomento elettorale formidabile). Tuttavia, sarebbe un errore ricorrere solamente a fattori idiosincratici o elettoralistici per spiegare un conflitto così inedito tra il governo italiano e la Commissione europea. Dietro quel conflitto vi è un cambiamento sostanziale nel funzionamento del cosiddetto “esecutivo europeo”, ovvero la sua politicizzazione. Il mio argomento è che la decisione presa dai maggiori partiti politici europei di presentare un loro spitzenkandidat nelle elezioni per il Parlamento europeo del maggio 2014 ha messo in moto una dinamica politica che ha contribuito al conflitto in corso.

Mi spiego cominciando con una piccola storia. Pochi giorni fa ho partecipato ad un convegno scientifico a Bruxelles cui ero stato invitato per discutere il ruolo del Consiglio Europeo e il suo rapporto con le altre istituzioni comunitarie. Una delle sessioni del convegno è stata introdotta dal capo di gabinetto del presidente Juncker, un giurista tedesco di forte personalità e di altrettanta sicura competenza. La sua tesi è stata la seguente. La Commissione Juncker è divenuta un organo politico, non amministrativo, perché è ora guidata dallo spitzenkandidat del partito che aveva ottenuto più seggi nelle elezioni parlamentari del maggio 2014 (il partito popolare europeo). Da questo punto di vista, ha aggiunto, Juncker avrebbe più legittimità democratica di Renzi, in quanto quest’ultimo non è stato mai eletto dai cittadini del suo Paese. Non ha importanza, qui, discutere questa critica (come ho fatto nel convegno): è vero che Renzi è un primo ministro non-eletto, tuttavia nei sistemi parlamentari la legittimità dei capi di governo viene dal parlamento e non dagli elettori.

Ciò che è importante rilevare è invece l’approccio politico del capo di gabinetto di Juncker: il tradizionale civil servant ha lasciato il posto ad un political operator. Tant’è che la sua attuale posizione istituzionale deriva dal precedente impegno a guidare la campagna elettorale di Juncker nelle elezioni del maggio 2014. La Commissione, da garante dell'interesse europeo (come recitano i Trattati sin da quelli di Roma del 1957), si percepisce ora come l’espressione di una maggioranza elettorale. Quindi si sente legittimata ad interpretare politicamente i poteri di cui dispone, tra cui quelli alla supervisione e approvazione delle leggi di stabilità degli stati membri. Peraltro, se il presidente della Commissione è o si percepisce come un leader politico, allora ciò cambia la natura dei suoi rapporti con i capi di governo nazionali e le loro rappresentanze permanenti a Bruxelles. Con una Commissione politicizzata anche queste ultime si devono politicizzare. Se la politica europea era già da tempo divenuta politica interna (e non più politica estera) di uno stato, la politicizzazione della Commissione accelererà inevitabilmente la trasformazione delle rappresentanze permanenti a Bruxelles in organismi del governo (più che dello stato) nazionale. Il passaggio da Stefano Sannino (ambasciatore di carriera di grande valore) a Carlo Calenda (politico di altrettanto grande vigore), nel ruolo di rappresentante permanente dell’Italia a Bruxelles, è la conseguenza di tale processo di politicizzazione.

Ci si potrebbe chiedere: non è questo l’esito desiderato dagli europeisti più convinti, ovvero trasformare la Ue in uno stato federale parlamentare (come quello tedesco), di cui la Commissione è il governo politico? Ma le cose non stanno così. È vero che Juncker ha ricevuto il voto di una maggioranza del Parlamento europeo costituita di popolari, socialisti e liberali, ma è anche vero che quei partiti non si sono riconosciuti in un programma chiaro e coerente. Ognuno di quei partiti è una confederazione di partiti nazionali, al cui interno le divisioni tra stati sono spesso più rilevanti delle convergenze ideologiche. Se il Pd di Renzi rappresenta la delegazione più grande del partito dei socialisti e democratici, ciò non significa che le altre delegazioni nazionali dello stesso gruppo parlamentare condividano le posizioni della delegazione italiana. Anzi. I socialdemocratici tedeschi non si sono mai espressi a favore di un’interpretazione flessibile del Patto di stabilità e crescita, così come i socialisti francesi non hanno alcuna intenzione di contrapporsi ai popolari tedeschi, che dell'austerità sono i campioni, rischiando così di mettere in discussione il rapporto previlegiato tra Hollande e Merkel. Tant’è che i socialisti francesi (Moscovici e Sapir) hanno subito preso le distanze dalle richieste del primo ministro socialista italiano (Renzi), dimenticando che il loro leader (Hollande) vinse le elezioni presidenziali del 2012 proprio denunciando i vincoli del Fiscal Compact. Il risultato è che abbiamo una Commissione politicizzata che usa la sua discrezionalità senza i vincoli di una vera maggioranza parlamentare. Ad esempio, come ha ben spiegato Fabrizio Forquet (Il Sole 24 Ore del 4 febbraio), non si capiscono le ragioni per cui vengono considerate fuori dal Patto di stabilità e crescita le spese per fronteggiare le migrazioni che vengono dalla Turchia, ma non quelle per fronteggiare le migrazioni che sono venute e vengono dalla Libia e dal Mediterraneo. Ecco come stanno le cose. Lo spitzenkandidat ha depotenziato il Parlamento europeo in quanto istituzione, tant’è che il suo presidente, il socialista tedesco Martin Schulz, sembra aver perso la voce. Nello stesso tempo, il capogruppo del partito popolare europeo, il tedesco bavarese Manfred Weber, si è imposto come l’instancabile controllore della Commissione con il consenso dei socialisti francesi (entrambi a beneficio del loro governo nazionale). Politicizzandosi, la Commissione ha perso la vecchia neutralità tecnica senza acquisire una nuova legittimazione politica. Dietro lo spitzenkandidat continua a nascondersi, seppure in modo più opaco, l’asse tedesco-francese.

L’interesse dell’Italia è quello di promuovere un’Unione tra eguali, non solo sostenere la Ue in quanto tale. Questo obiettivo non può essere raggiunto né chiedendo un posto in più al tavolo intergovernativo che conta, né riproponendo l’illusione parlamentarista. Se si vuole uscire dall’angolo in cui rischiamo di finire, occorre perseguire una strategia integrativa che susciti nuove alleanze proprio per la sua capacità di promuovere un governo politico europeo che non sia più prigioniero degli Stati più grandi.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-02-07/le-conseguenze-una-commissione-politica-165729.shtml?uuid=ACyshYPC&p=2
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