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Autore Discussione: Benedetto CROCE. Fare e studiare la storia  (Letto 9569 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Gennaio 14, 2016, 06:47:34 pm »

Benedetto Croce
Fare e studiare la storia

 25 febbraio 1866 -  20 novembre 1952

Benedetto Croce nasce a Pescasseroli, in provincia dell'Aquila, il 25 febbraio 1866. Scrittore, filosofo, storico e politico, vive in una famiglia agiata e molto conservatrice che decide di farlo formare presso un collegio religioso. Nel 1883, all'età di diciassette anni assiste a ciò che si rivelerà essere l'evento più traumatico della sua vita. Nel corso di un viaggio nell'isola d'Ischia, è vittima e testimone di uno dei momenti più difficili nella storia dell'isola: nella notte del 28 luglio, alle ore 21:30, in circa novanta secondi un terremoto causa la perdita della vita a 2.313 persone. Tra queste vi sono anche i genitori di Benedetto, Pasquale e Luisa Sipari, e la sorella Maria.

Sommerso dalle macerie ma sopravvissuto a questo tragico evento, Croce si trasferisce a Roma presso la casa dello zio, il senatore Silvio Spaventa. In questa sua nuova sistemazione ha la possibilità di incontrare intellettuali e importanti uomini politici con cui si forma e si confronta; tra questi c'è anche il filosofo italiano Antonio Labriola, di cui seguirà le lezioni di filosofia morale a Roma e con cui spesso rimarrà in contatto.

Iscritto alla facoltà di giurisprudenza presso l'università di Napoli, Croce lascia gli studi e, nel 1886, acquista la casa in cui aveva vissuto il filosofo Giambattista Vico. Dopo aver visitato le principali nazioni europee, viaggiando in Spagna, Germania, Francia e Inghilterra, rivolge la sua attenzione prima alla storia, attraverso le opere di Giosuè Carducci e Francesco De Sanctis, e successivamente alle teorie sviluppate da Karl Marx e Friedrich Hegel; da quest'ultimo Croce riprende il carattere razionalistico e dialettico nello studio della conoscenza.

Secondo Benedetto Croce, Hegel ha ragione nell'affermare che il pensiero filosofico è un concetto universale concreto e non intuizione o sentimento generale; ha però torto quando vede la realtà come il prodotto di opposti che si sintetizzano. Croce, infatti, sottolinea come esistono anche quattro distinti, la fantasia, l'intelletto, l'attività economica e l'attività morale, che non si sintetizzano in quanto non sono opposti. Questi distinti o categorie, sono create da due attività dello spirito, quella conoscitiva o teoretica e quella volitiva o pratica a seconda che si dirigano verso il particolare o l'universale.

Nel 1903 pubblica la rivista intitolata "La Critica". Questa, inizialmente pubblicata a sue spese, viene realizzata in collaborazione con Giovanni Gentile e durerà, con le sue quattro serie, per quarantuno anni.

Benedetto Croce entra nel mondo della politica nel 1910: in quell'anno viene nominato senatore per censo. Dopo aver pubblicato opere come "La Letteratura della Nuova Italia" e "Cultura e Vita Morale", in cui sono raccolte le biografie e gli interventi presenti nella rivista "La Critica", egli, tra il 1920 e il 1921, ricopre la carica di Ministro della Pubblica Istruzione nel quinto governo presieduto da Giovanni Giolitti.

Il 1 maggio 1925 pubblica il "Manifesto degli intellettuali antifascisti"; a questo, che si contrappone al "Manifesto degli intellettuali fascisti" di Giovanni Gentile, aderiscono diverse figure di spicco nel campo della letteratura e della matematica tra cui Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi, Leonida Tonelli, Ernesto e Mario Pascal, Vito Volterra e Francesco Severi.

Dopo aver criticato il contenuto dei Patti Lateranensi, stipulati tra Stato e Chiesa l'11 febbraio 1929, e aver aderito per un breve periodo al movimento antifascista Alleanza Nazionale, Croce lascia la politica nel 1930 in quanto in disaccordo con le azioni di repressione delle libertà commesse da Mussolini. Nel 1942 pubblica l'opera intitolata "Perché non possiamo non dirci Cristiani", un breve saggio filosofico in cui sostiene che il Cristianesimo "è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta", che ha dato agli uomini una serie di valori operando al centro dell'anima, nella coscienza morale.

Con la caduta del regime, nel 1943, Croce rientra nella scena politica italiana. Diventato leader del partito liberale, nel 1944 elabora la teoria sul fascismo, in cui viene classificata come una parentesi della storia d'Italia, e diventa ministro senza portafoglio sia del secondo governo presieduto da Pietro Badoglio che del secondo governo guidato da Ivanoe Bonomi.

Dopo aver votato a favore della monarchia in occasione del referendum del 2 giugno 1946, viene eletto tra i membri dell'Assemblea Costituente. In questa sede, attraverso un discorso diventato famoso, si oppone alla firma del Trattato di Pace in quanto atto ritenuto indecoroso per la nascente Repubblica Italiana. In seguito rifiuta le cariche di Presidente provvisorio della Repubblica e, probabilmente, quella di Senatore a vita.

Nel 1946 fonda a Napoli, nel palazzo Filomarino, l'Istituto Italiano per gli Studi Storici. Nello Statuto di questo istituto si può leggere come sia nato con l'intento di avviare i giovani all'"approfondimento della storia nei suoi rapporti sostanziali con le scienze filosofiche della logica, dell'etica, del diritto, dell'economia e della politica, dell'arte e della religione, le quali sole definiscono e dimostrano quegli umani ideali e fini e valori, dei quali lo storico è chiamato a intendere e narrare la storia".

Nel 1949 è colpito da un ictus cerebrale che gli causa una semiparalisi. Benedetto Croce muore sulla poltrona della propria biblioteca, il 20 novembre 1952, all'età di ottantasei anni.

Da - http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=2400&biografia=Benedetto+Croce
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 17, 2017, 10:58:26 am »

http://www.treccani.it/enciclopedia/calabria_res-a40aeda0-9bbd-11e2-9d1b-00271042e8d9_%28Enciclopedia-Italiana%29/
« Ultima modifica: Aprile 17, 2017, 12:24:34 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 17, 2017, 11:08:25 am »

Scriptorium

Vocabolario on line

Scriptorium ‹skriptòrium› s. neutro, lat. mediev. (pl. scriptoria). – Termine equivalente all’ital. scrittoio (che ne deriva): nell’alto medioevo indicava l’ambiente (officina scrittoria), annesso a una chiesa, soprattutto cattedrale sede di vescovato, oppure a un monastero, dove gli amanuensi (scriptores) si riunivano per eseguire il lavoro di trascrizione dei testi manoscritti, ma anche di manifattura del codice (preparazione della pergamena, confezione dei fascicoli, legatura): lo s. vescovile di Verona; il monastero di S. Colombano a Bobbio fu sede di un celebre scriptorium. Nel linguaggio della paleografia indica per estens. anche il centro scrittorio e la relativa scuola.

……..

Abate

Vocabolario on line

Abate (o abbate) s. m. [lat. tardo abbas -atis, voce di origine aramaica; v. abba]. – 1. a. Superiore di un monastero autonomo (sui iuris), di cui regola e dirige tutta la vita materiale e spirituale; è ufficio e dignità ecclesiastica maggiore, propria dei benedettini (e loro ramificazioni), dei canonici regolari lateranensi, dei premostratensi e degli antoniani maroniti: l’a. di Montecassino; a. primate, a. superiore, a. locale, superiori maggiori, con qualche limitazione per i primi due, la cui posizione è regolata, quanto a nomina, potestà e giurisdizione, dalle costituzioni dell’ordine e dalle norme della S. Sede; a. territoriale, quello nominato, o almeno confermato, dal sommo pontefice con funzioni di vescovo nel suo territorio, staccato da qualsiasi diocesi. b. In origine, maestro e padre spirituale, venerando per età e santità, alla cui direzione si affidava chi intendeva dedicarsi a vita ascetica. 2. Con uso estens., per influsso francese, titolo onorifico conferito (spec. dal Settecento e nell’Italia settentr.) a semplici sacerdoti (l’a. Cesari, l’a. Parini), e persino a seminaristi (v. anche abatino) e a laici autorizzati a vestire l’abito ecclesiastico. 3. Nel medioevo, a. del popolo, a Genova e in altri comuni dell’Italia settentr. (sec. 13°-14°), ufficiale supremo popolare, capo e difensore del popolo. 4. A. della derisione o degli stolti: nel medioevo, colui che nei dieci giorni tra il Natale e l’Epifania o anche tra Ognissanti e la Candelora, e particolarmente il 28 dic. e il 1o genn., dirigeva le chiassose manifestazioni festive popolari; noto anche con altri nomi (re delle fave, vescovo dei pazzi, ecc.), è considerato da alcuni come successore, in epoca cristiana, dell’antico re dei saturnali.
◆ Dim. abatino; spreg. abatùccio, abatónzolo, abatùcolo; accr. abatóne.


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« Risposta #3 inserito:: Aprile 17, 2017, 11:16:41 am »

http://www.instoria.it/home/chiese_sui_iuris.htm
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« Risposta #4 inserito:: Aprile 17, 2017, 12:34:58 pm »

Italia 17/04/2017

SCRIPTORIUM ICR2017 - SUI IURIS -


SUI IURIS, non soggetto ad altra persona, gode dei diritti civili come Cittadino

SUI IURIS

Vocabolario on line

Sui iuris ‹... i̯ùris› locuz. lat. (propr. «di proprio diritto»), usata in ital. come agg. –

Espressione del diritto romano riferita a chi, non essendo soggetto alla patria potestà di altra persona, gode i pieni diritti civili come cittadino.

da treccani.it
« Ultima modifica: Aprile 19, 2017, 12:29:56 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #5 inserito:: Aprile 19, 2017, 12:23:00 pm »

Italia 17/04/2017

Lavori in corso ...



Scriptoria - Cultura generale.

Defisce la Cultura suddividendola per autore



Lavori in corso ...
« Ultima modifica: Aprile 19, 2017, 12:27:58 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #6 inserito:: Aprile 19, 2017, 12:49:09 pm »

Significato e simbologia del Fico
 
Albero e frutto sacro, il Fico è l’emblema della vita, della luce, della forza e della conoscenza.
Nell'antica Grecia, era l’albero sacro ad Atena, dea della saggezza e a Dioniso dio del vino. Platone ritiene questo albero amico dei filosofi.

Nella tradizione antica il Fico riveste quindi un significato di immortalità e di abbondanza. Esso rappresenta anche l’asse del mondo, che collega la terra al cielo.

Nell'antichità si praticava la sicomazia, un metodo di divinazione attraverso le foglie di questo albero. Come simbolo dell’abbondanza è legato alla fecondità.

Il Fico presiede alla nascita; secondo una leggenda induista il dio Vishnu sarebbe nato sotto un Fico. Lo stesso vale per i fondatori di Roma, Romolo e Remo.

...



« Ultima modifica: Aprile 19, 2017, 01:02:07 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #7 inserito:: Aprile 19, 2017, 07:22:53 pm »

FICO, Ficus carica L. (MORACEAE)-
 
Il fico è una delle sette piante della Terra Promessa, citato spesso nell'Antico e Nuovo Testamento.

La sua origine risale probabilmente a 5000 anni fa, in un’area corrispondente all'Asia occidentale.

Da allora le popolazioni nomadi hanno provveduto a diffondere i semi di fico da un luogo all'altro, a migliorarne la coltura e l’uso e a tramandarlo per lunghi secoli ai popoli mediterranei (Egizi, Greci, Romani).
Papiri egiziani ne parlano come di una novità importata dalla Siria e lo ritenevano un elemento importantissimo per l’alimentazione del popolo.

Il suo frutto, consumato fresco, seccato, pressato, accompagnava l’uomo durante le lunghe peregrinazioni, mentre la fronda offriva riparo dai cocenti raggi del sole.
Era inoltre usato come medicamento, legno per il fuoco ed era simbolo di fertilità e prosperità, di felicità terrena e ultraterrena.

Da - https://www.avvenire.it/agora/pagine/le-10-piante-della-bibbia
 

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« Risposta #8 inserito:: Aprile 21, 2017, 05:09:49 pm »

http://www.agraria.org/coltivazioniarboree/fico.htm
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« Risposta #9 inserito:: Aprile 22, 2017, 12:01:23 am »

PLATONE, IL MITO DELLA CAVERNA (REPUBBLICA)
All’inizio del settimo libro della Repubblica Platone narra il mito della caverna, uno dei piú famosi ed affascinanti. In esso si ritrova – espressa nel linguaggio accessibile del mito – tutta la teoria platonica della conoscenza, ma anche si ribadisce il rapporto tra filosofia e impegno di vita: conoscere il Bene significa anche praticarlo; il filosofo che ha contemplato la Verità del Mondo delle Idee non può chiudersi nella sua torre d’avorio: deve tornare – a rischio della propria vita – fra gli uomini, per liberarli dalle catene della conoscenza illusoria del mondo sensibile. Proponiamo la lettura di queste pagine senza ulteriori osservazioni e commenti, convinti che lo scritto platonico non li richieda. Socrate parla in prima persona; il suo interlocutore è Glaucone.
 
Repubblica, 514 a-517 a
 
1      [514 a] – In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. – Vedo, rispose. – Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti [c] di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre [515 a] figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. – Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. – Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? – E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita? – E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? – Sicuramente. – Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? – Per forza. – E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa? – Io no, per Zeus! [c] rispose. – Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali. – Per forza, ammise. – Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che così facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di [d] scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo piú vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi piú essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe piú vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso? – Certo, rispose.
2      [e] – E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente piú chiari di quelli che gli fossero mostrati? – È così, rispose. – Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lí a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe [516 a] di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere. – Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso. – Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso piú facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole. – Come no? – Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria. – Per forza, disse. – Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere [c] causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano. – È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà così. – E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro? – Certo. – Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse piú acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e piú [d] rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? – Così penso anch’io, rispose; [e] accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo. – Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole? – Sí, certo, rispose. – E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima [517 a] che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo? – Certamente, rispose. [...]
 
(Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 339-342)

Da - http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaP/PLATONE_%20IL%20MITO%20DELLA%20CAVERNA%20(.htm
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« Risposta #10 inserito:: Aprile 22, 2017, 12:18:55 am »

FICO, Ficus carica L. (MORACEAE)- (Foto di A. Travaglini)
 
Il fico è una delle sette piante della Terra Promessa, citato spesso nell’Antico e Nuovo Testamento. La sua origine risale probabilmente a 5000 anni fa, in un’area corrispondente all’Asia occidentale. Da allora le popolazioni nomadi hanno provveduto a diffondere i semi di fico da un luogo all’altro, a migliorarne la coltura e l’uso e a tramandarlo per lunghi secoli ai popoli mediterranei (Egizi, Greci, Romani). Papiri egiziani ne parlano come di una novità importata dalla Siria e lo ritenevano un elemento importantissimo per l’alimentazione del popolo. Il suo frutto, consumato fresco, seccato, pressato, accompagnava l’uomo durante le lunghe peregrinazioni, mentre la fronda offriva riparo dai cocenti raggi del sole. Era inoltre usato come medicamento, legno per il fuoco ed era simbolo di fertilità e prosperità, di felicità terrena e ultraterrena.

Da - https://www.avvenire.it/agora/pagine/le-10-piante-della-bibbia
 

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« Risposta #11 inserito:: Aprile 22, 2017, 09:58:09 am »

Ci chiamiamo SCRIPTORIUM (Scriptoria) perché nei monasteri nacque la diffusione della cultura APERTA GRADATAMENTE AI PIÙ.

...

La storia della diffusione dell’ordine benedettino è inseparabile da quella della sua azione civilizzatrice: le diverse abbazie, proprietarie di grandi estensioni di terreno, sovente messo a coltivazione per la prima volta, furono alla testa della rinascita agricola e misero le loro risorse a disposizione delle popolazioni e dei pellegrini, accolti negli ospedali e negli ospizi.

Furono altre-sì grandi centri di cultura: gli scriptoria divennero luoghi di conservazione e di trasmissione dei testi antichi, a Montecassino si sviluppò un tipo speciale di scrittura libraria adoperata fra l’8° e il 13° sec. e nei monasteri sorsero scuole aperte per lo più anche a esterni.

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« Risposta #12 inserito:: Luglio 04, 2017, 06:11:19 pm »

Il progetto di vita che spinge all'esodo.

Parlando con alcuni fuggitivi di oggi ho avuto l’impressione che non sia solo la fame o la disoccupazione a spingerli a lasciare il loro Paese

Di Dacia Maraini

Assistiamo a un esodo oppure a un’invasione come sostengono alcuni, suggerita e sostenuta da Paesi ricchi e interessati a svuotare l’Africa per comprarla a basso prezzo? Fantasticherie? Fatto sta che gli africani stanno fuggendo alla spicciolata, ma con tenacia e persistenza, come se il continente stesse andando in fiamme. Di esodo si parla nell’antico testamento quando Mosè, fermando le onde con la forza della fede, condusse in salvo il suo popolo che fuggiva dalla schiavitù e dallo sterminio dei bambini voluto dal faraone. Ma possiamo trovare qualche somiglianza fra l’esodo del popolo ebreo e quello odierno del popolo africano? L’Africa è un continente povero, pur essendo ricchissimo di materie prime, che gli occidentali hanno contribuito a saccheggiare. Io ho viaggiato in lungo e in largo per il continente. Ho visto tanta povertà, ma non ho mai incontrato nessuno che volesse rischiare la vita per espatriare in cerca di lavoro e benessere. Le cose sono davvero cambiate? Perché proprio ora si inzeppano nei gommoni, sperando, se non muoiono in mare, di raggiungere le nostre coste? Da cosa fuggono veramente? Non c’è guerra in tutti i Paesi africani e la fame non è peggiore di quella passata.

Parlando con alcuni fuggitivi di oggi ho avuto l’impressione che non sia solo la fame o la disoccupazione a spingerli, ma la paura di una malattia che sta contagiando le fedi più antiche: una malattia mortale che vuole il sacrificio consapevole e l’assassinio rituale. Una malattia che sta avvelenando le acque antiche e scorrevoli della religione musulmana che ha sempre convissuto con altre religioni. L’amore però è difficile da fermare, e innamorarsi della morte è una sorprendente e abbagliante promessa per giovani incerti di sé e del proprio futuro. Ma chi fugge acconsente al suicidio o cerca di dare una risposta di vita a un progetto di morte? Apparentemente la fuga è un suicidio, ma nella realtà è una disperata e struggente voglia di vivere e stare al mondo nonostante tutte le difficoltà. Il fatto è che gli innamoramenti sono contagiosi, e anche da noi serpeggia una voglia di suicidio, meno chiassosa e crudele, ma potente, e crea dolorose divisioni, suscita rancori furibondi, e voglie di assassinio dei propri fratelli. Non a caso altri giovani, i nostri figli migliori, scappano verso nord per cercare lavoro. Ma secondo me oltre al lavoro inseguono un desiderio di vita contro una resa lugubre all’innamoramento della morte che sta contagiando anche quei Paesi che si dichiarano laici ed emancipati.

3 luglio 2017 (modifica il 3 luglio 2017 | 18:31)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/opinioni/17_luglio_04/progetto-vita-che-spinge-all-esodo-f11ffcd4-600b-11e7-89db-f0df40559f50.shtml
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« Risposta #13 inserito:: Luglio 13, 2017, 11:50:23 am »

L'assenteismo è anti-sistema!

Il NO al referendum e il voto di Domenica sono anti-democratici, sia per alcune assurdità lasciate commettere (p.e.: penalizzare chi ha governato), sia perché ha prevalso l'accanimento anti-Renzi e anti-PD. 

Molti non-renziani (ma Italiani) sono convinti che se Renzi e il PD non si imbrattano l'abito politico con inciuci e alleanze stitiche, sono l'uomo politico e il partito in grado, da subito, di fare del bene al paese.

Ma Renzi deve mettersi a studiare e comportarsi da Statista e il PD deve: eliminare "talpe" dei fuoriusciti ancora infestanti all'interno, ridimensionare nei ruoli gli incapaci e valorizzare chi vale (ma non s'inchina), fare squadra intorno a Renzi aiutandolo facendosi ascoltare (anche se non toscani).

Il PD e Renzi devono presentare agli Italiani (renziani o non renziani) un Progetto-Paese (Italia) complessivo sulle cose da fare e da avviare entro la prossima legislatura.

Non chiacchiere ma una Magna Carta Democratica di ricerca della serenità in Italia.

ggiannig     
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« Risposta #14 inserito:: Luglio 18, 2017, 04:44:49 pm »

Mercoledì 12 luglio 2017

 Frasi di Michael Novak   

“La felicità non è un'emozione. Non è un sentimento. È una pratica – la pratica dell'eccellenza nell'azione.”

MICHAEL NOVAK

Da frasicelebri.it

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