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Autore Discussione: Pa, in Italia prevale modello burocratico, Agenzie fiscali esempio da rilanciare  (Letto 1685 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Gennaio 14, 2016, 06:31:12 pm »

Salve Ggianni,

ti segnaliamo questo nuovo intervento pubblicato sul sito: Pa, in Italia prevale modello burocratico, Agenzie fiscali esempio da rilanciare
Uno studio inglese compara i modelli organizzativi delle Pa di 30 paesi. Quel che emerge è il ritardo accumulato dall’Italia, ancora legata a un’impostazione ministeriale che determina inefficienza e parassitismo. Le agenzie fiscali sono un’eccezione, ma senza supporto rischiano di tornare indietro

Di Radar

Difendere il modello delle agenzie fiscali da chi mal sopporta la loro autonomia. E rivoluzionare il più in fretta possibile la Pubblica amministrazione, passando dall’attuale impianto burocratico-ministeriale a un modello organizzativo meno rigido, che sappia guardare all’esperienza e alle innovazioni tecnologiche del settore privato. A dirlo è una ricerca pubblicata nel 2013 in Inghilterra che si concentra sulla diffusione del modello organizzativo per agenzie e sull’evoluzione dell’organizzazione delle Pubbliche Amministrazioni in trenta Paesi.

“Government agencies: practices and lessons from 30 countries”, questo il titolo della ricerca, svolta da quattro universitari nord europei: Verhoest, K., Thiel, S.V., Bouckaert, G., Lægreid, P. e Van Thiel. Lo studio è stato condotto mediante un’approfondita analisi dei modelli organizzativi, con una comparazione puntuale delle soluzioni adottate nei Paesi più avanzati, puntando sulla sostanza delle questioni, senza soffermarsi sulle definizioni e sugli aspetti nominalistici. Il libro non è stato mai tradotto in italiano anche se tra i trenta Paesi esaminati troviamo anche il nostro. La metodologia di ricerca adottata ha consentito di dividere l’universo delle agenzie in quattro categorie, sulla base del livello di autonomia e della distanza rispetto alle tipiche forme organizzative dei ministeri, e di esaminarne così le evoluzioni e le tendenze in atto.

Il primo aspetto che emerge è che l’utilizzo di “autonomous bodies” per la gestione dei compiti tipici delle moderne pubbliche amministrazioni è ormai molto diffuso nei settori più disparati (dalla sanità alla difesa), specialmente nei paesi di tradizione anglosassone (common law). Si tratta di una soluzione che ha consentito di superare le rigidità dei modelli organizzativi burocratici e di portare nei meccanismi di funzionamento delle amministrazioni pubbliche le innovazioni, organizzative e gestionali, proprie del settore privato. Uno schema alternativo all’affidamento di servizi pubblici a soggetti che operano in regime totalmente privatistico. La corrente di pensiero che ha spinto verso questa forma ibrida di contaminazione pubblico - privato si chiama new public management (NPM). In altri termini, in gran parte delle moderne democrazie negli ultimi venti anni non si è solo discusso se e quanto serva un diritto che regoli il lavoro pubblico in modo diverso rispetto a quello privato, si è anche discusso e operato per definire sistemi di relazione tra le funzioni decisionali di governo e quelle di amministrazione (principal – agent) che consentano di rendere realmente efficaci le politiche pubbliche. Il risultato è che, nei trenta Paesi esaminati, indipendentemente dalle differenze che marcano il pubblico impiego rispetto a quello privato, in termini di regole e giurisdizioni, sono stati fatti molti sforzi per trovare il corretto modello di articolazione organizzativa e di relazione tra chi sceglie le politiche di intervento pubblico e chi è chiamato a operare quotidianamente per applicarle. Alla base della ricerca di questo equilibrio la constatazione che le rigidità di un’organizzazione burocratica sono (forse) tollerabili nelle funzioni di regolazione e governo della cosa pubblica ma diventano improponibili e dannose nelle strutture che erogano servizi pubblici ad alto valore alla collettività. 

Ciò che viene definito processo di “agentification”, con diverse gradazioni, è una costante nell’evoluzione organizzativa delle pubbliche amministrazioni. I Paesi che hanno più esperienza sono quelli che hanno saputo gestire l’evoluzione del modello e trovare equilibri sempre più raffinati tra autonomia e controllo, tra l’autonomia manageriale (managerial autonomy) dell’agenzia e quella di chi fa le scelte politiche e ne verifica l’attuazione (policy autonomy). Il risultato della ricerca è che la creazione di agenzie non è la panacea di tutti i mali ma, di sicuro, rappresenta la forma organizzativa più potenzialmente adatta, se gestita con intelligenza, a dare efficienza alla P.A. in un momento storico di revisione del welfare, di riduzione dell’intervento statale e di contenimento del carico fiscale.

Veniamo alle note dolenti. Come pone in evidenza la ricerca, il nostro Paese ha vissuto e continua a vivere ai margini di queste grandi correnti culturali di cambiamento. Nell’ambito della ricerca, l’esperienza italiana è stata raccolta dal Prof. Edoardo Ongaro che, guarda caso, non insegna più management pubblico alla Bocconi ma in una università inglese. Il processo di “agentification” in Italia si è aperto e subito chiuso alla fine degli anni novanta con scarsi effetti sulla complessiva struttura organizzativa della nostra PA centrale, che resta profondamente ministeriale. Le agenzie fiscali, nell’ambito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sono l’unico esempio di un importante settore della P.A. che ha affrontato vere trasformazioni organizzative con la creazione di agenzie autonome. Senza un adeguato supporto culturale, l’esperienza rischia oggi di chiudersi sotto l’effetto di forze reazionarie che non tollerano l’autonomia e il dialettico confronto su efficienza e risultati. Gli sforzi di riforma della nostra pubblica amministrazione si sono concentrati sul rapporto di lavoro pubblico con tempi e modalità di evoluzione biblici che hanno portato a questo paradossale risultato: si continua a dibattere di “privatizzazione” del pubblico impiego mentre le recenti innovazione nel rapporto di lavoro alle dipendenze dei privati (Jobs act) hanno marcato ancora di più le differenze sostanziali tra il lavoro pubblico (statale) e quello privato.

Lo studio sulle “Government agencies” evidenzia che, fuori dalle correnti di pensiero che hanno cambiato radicalmente negli ultimi venti anni le strutture pubbliche in giro per il mondo, la pubblica amministrazione italiana rimane purtroppo ancorata alla tradizione giuridico-amministrativa, infarcita di norme e procedure poste a tutela di astratte garanzie che però, nei fatti, ne impediscono di esprimere le reali potenzialità. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Inefficienze, demotivazione, disorganizzazione, litigiosità, parassitismo, per non parlare di corruzione diffusa e malaffare, fanno ormai parte del quadro con cui si disegna nel mondo la nostra amministrazione pubblica (chi vuole una prova vada a vedere l’ultimo il film campione di incassi del comico Checco Zelone). In un tale panorama, non possiamo più permetterci interventi normativi disorganici, di corto respiro, ispirati a una presunta nostra specificità della tradizione amministrativa che, se mai è esistita nella mente di qualche insigne giurista, oggi non può più condannarci a questo drammatico ritardo.

Da – Fisco Equo
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