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Autore Discussione: Da IRPEF a “IRLPEF”.  (Letto 1779 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Gennaio 14, 2016, 06:26:01 pm »

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Lef, Irpef grava sempre di più su dipendenti e pensionati, in 10 anni +4,6 punti percentuali
Dal rapporto sulla struttura dell’Irpef elaborato da Lelio Violetti del Centro Studi Lef- Associazione per la legalità e l’equità fiscale- emerge che l’imposta è alimentata principalmente dalle due tipologie di reddito e fortemente distorsiva per i redditi medi. (Vai al rapporto integrale), (Vai all'abstract)

Dal 2003 al 2013 l’incidenza sull’Irpef dei redditi da lavoro dipendente e da pensione è passata dal 75,6% all’80,2%, con un incremento di 4,6 punti percentuali. Nello stesso periodo, al contrario, il peso dei redditi da lavoro autonomo, impresa e partecipazione è sceso dal 17,35% del 2003 al 14% del 2013. In pratica, il carico dell’Irpef è sempre più sulle spalle di dipendenti e pensionati e sempre meno su quelle di autonomi e reddito d'impresa. È quanto emerge dal terzo rapporto annuale sull’Irpef elaborato dal Centro Studi Lef- Associazione per la legalità e l’equità fiscale. Il documento, che analizza l’andamento dell’imposta nel periodo 2003-2013, evidenzia da un lato come il modello di accertamento ‘a valle’ non abbia migliorato il grado di adesione spontanea (la cosiddetta “compliance”); dall’altro come il fenomeno dell’evasione, unito a una serie di interventi in materia fiscale, abbia contribuito a distorcere la struttura dell’Irpef, spostando il peso del prelievo principalmente sui redditi medi di lavoratori e pensionati.

Da IRPEF a “IRLPEF”. Tanto vale aggiungere la “L” di lavoro all’acronimo. Più che una provocazione è un dato di fatto. Osservando la serie storica, infatti, ci si accorge che i redditi da lavoro dipendente contribuiscono per oltre la metà (circa il 52% in tutti gli anni di imposta) alla base imponibile IRPEF complessiva, mentre i redditi da pensione per oltre il 26 per cento, toccando quota 30% nel 2013. E non è tutto. La percentuale di reddito da lavoro dipendente imponibile non scende mai sotto il 35% in tutte le classi di reddito in cui si colloca il contribuente. E se si guarda al peso dei redditi sull’imposta il discorso non cambia: i redditi da lavoro dipendente e da pensione concorrono per oltre il 75% al gettito IRPEF totale, e questo vale per tutti gli anni di imposta presi in considerazione. Anzi, nel 2013 la percentuale arriva a superare l’80%. Nella fascia compresa tra 0 e 10mila euro sono i redditi da pensione a pesare di più sul gettito, mentre in tutte le altre classi prevalgono i redditi da lavoro dipendente (nella forbice 10mila-200mila partecipano per oltre il 40% sul gettito complessivo, per oltre il 44 per cento nel 2013).

Due pesi e due misure. Ciò ovviamente non significa che lavoratori dipendenti e pensionati siano più onesti degli altri. Per queste tipologie di contribuenti il grado di adesione spontanea (e quindi la fedeltà fiscale) è più alto perché il meccanismo del sostituto d’imposta rende noto al Fisco l’ammontare dei redditi percepiti da ogni singolo soggetto, lasciando pochi margini per comportamenti scorretti. Meccanismi analoghi non sono previsti per i redditi da lavoro autonomo e impresa, il che spiega perché il peso dell’Irpef si stia spostando sempre di più sulle spalle di pensionati e dipendenti. Una tendenza, questa, che non ha conosciuto battute d’arresto dal 2003 al 2013. Fatta eccezione per il biennio 2006-2007, durante il quale furono introdotte misure per il contrasto all’evasione (con il decreto Visco-Bersani) che introducevano per autonomi e imprese sistemi di tracciatura simili a quello del sostituto d’imposta: dall’elenco clienti e fornitori Iva al divieto, per i professionisti, di riscuotere in contanti i compensi al di sopra dei 100 euro. L’inversione di tendenza si arresta bruscamente nel biennio 2008-2009 con l’abrogazione delle norme e lo scoppio della crisi.

L’insostenibile pesantezza dell’Irpef. Gli effetti di tali distorsioni trovano facile riscontro nei numeri. L’aliquota media Irpef è passata dal 19,21% del 2007 al 19,59 del 2013, mentre la classe di reddito più colpita è quella compresa fra 35mila e 50mila (24,71%). Il risultato è una progressività non lineare, che addossa il carico fiscale principalmente sui redditi medi. Non solo. Dall’analisi emerge chiaramente che non c’è corrispondenza tra l’attività di accertamento e la fedeltà fiscale. In altre parole, il controllo a posteriori del Fisco sulle dichiarazioni dei redditi non influenza il comportamento dei contribuenti negli anni successivi. Al contrario i dati evidenziano che proprio negli anni successivi a quelli in cui l’azione dell’amministrazione si è fatta più incisiva, conseguendo risultati significativi in termini di recupero d’imposta evasa, non si sono registrati effetti di rilievo sul dichiarato sempre più circoscritto alle sole tipologie di reddito tracciate.

Quel modello che non funziona. Da qui l’urgenza di redistribuire in chiave più equa il carico dell’Irpef e, contestualmente, aumentare l’adesione spontanea all’obbligo tributario. Il primo obiettivo è tecnicamente possibile attraverso lo sfoltimento delle 5 tipologie di oneri detraibili, la revisione del sottobosco di deduzioni e detrazioni attualmente in vigore e la riduzione delle prime aliquote (in particolare di quella al 38%). Il secondo si può raggiungere solo cambiando modello di fondo: non più controlli a valle, ma a monte.  Con la tecnologia a disposizione è possibile passare a un sistema basato sulla prevenzione dell’evasione. Che significa: maggiore dialogo fra banche dati, fatturazione elettronica anche fra privati, la re-introduzione dell’elenco clienti e fornitori e la dichiarazione precompilata. Per tutti, non solo per dipendenti e pensionati. (Vai al rapporto integrale), (Vai all'abstract)

DA – Fisco Equo
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