Timmermans: "O si accoglie o si paga. Così la Commissione vuole il nuovo asilo nei Paesi d'Europa"
Il primo vice di Juncker: "Bene il migration compact ideato da Roma". Sulla fine dei visti per i turchi: "Non voltiamo le spalle ad Ankara"
Di ANDREA BONANNI
04 maggio 2016
BRUXELLES - Oggi la Commissione europea presenterà la sua proposta per la revisione degli accordi di Dublino sul diritto di asilo. Alla vigilia di questo appuntamento cruciale Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione e responsabile per Giustizia, affari interni e rispetto dei diritti fondamentali, spiega quali sono gli orientamenti dell'esecutivo comunitario per far fronte all'emergenza immigrazione.
Quale sarà la filosofia della vostra proposta?
"La nostra idea è di proporre un meccanismo per cui, se un Paese è travolto dall'afflusso di rifugiati, scatta una solidarietà automatica e i richiedenti asilo sono ridistribuiti in tutta la Ue in base a quote predefinite".
Si dice che proporrete di sanzionare i Paesi che non rispetteranno la loro quota di assorbimento facendo loro pagare 250 mila euro per ogni rifugiato che non viene accolto. E' vero?
"La decisione non è ancora presa. Ma la nostra proposta sarà che chi non vuole o non può dimostrare solidarietà accogliendo la sua parte di rifugiati, aiuti i Paesi che dovranno ospitarli con un pacchetto finanziario che ne faciliti l'accoglienza".
Di solidarietà, in questa vicenda, finora se ne è vista poca...
"Perché siamo arrivati a questa crisi? Perché per anni non abbiamo ascoltato la Grecia e l'Italia quando chiedevano solidarietà agli altri europei. Questa situazione è andata avanti per molti anni. E alla fine l'Italia e la Grecia hanno detto: ok non ci aiutate e allora dobbiamo fare da soli. E hanno cominciato a non applicare le regole di Dublino. Fin dalle sue origini, il problema è una mancanza di solidarietà collettiva. Questo è il problema che dobbiamo risolvere, perché quando Dublino è stata concepita non si prevedeva che un Paese potesse essere travolto da un afflusso eccezionale di rifugiati. Qualsiasi cosa noi proponiamo deve risolvere quel problema di solidarietà, altrimenti meglio non fare proposte".
Ma il problema dell'Italia, più che i richiedenti asilo, sono i migranti irregolari...
"La riforma di Dublino è solo un mattone di una costruzione molto più ampia. Per questo sono un deciso sostenitore dell'"migration compact", la proposta italiana per affrontare i flussi dall'Africa che inquadra il problema in un contesto molto più ampio. Abbiamo bisogno della Guardia di frontiera europea, per proteggere meglio i nostri confini esterni. E ancora, come dice bene la proposta italiana, dobbiamo avere una serie di accordi con i Paesi terzi i cui migranti non hanno diritto all'asilo politico e dunque devono essere rimpatriati. Se non riusciamo a distinguere chiaramente tra chi ha bisogno di protezione internazionale e chi no, e se questa distinzione non porta al rimpatrio di quanti non hanno diritto di asilo, qualsiasi cosa facciamo è destinata a fallire. Per questo sono d'accordo al cento per cento con Renzi quando dice che se non riusciamo i rimpatri, non riusciremo neppure a risolvere questo problema".
Farete qualcosa in questo senso?
"Juncker mi ha affidato il compito di mettere a punto, insieme con i miei colleghi, la risposta della Commissione alla proposta italiana, in modo che possiamo presentare il nostro piano in giugno, spiegando come intendiamo tradurre il "migration compact" italiano in politiche concrete".
L'Europa si farà carico dei rimpatri?
"La principale responsabilità dei rimpatri resta agli stati membri. Se occorrerà potremo aiutare i Paesi che ne hanno bisogno, come del resto abbiamo già fatto nel caso della Grecia. La Grecia non è comparabile con l'Italia, è chiaro. L'Italia ha strutture forti e le autorità controllano la situazione. Ma se ci fosse una situazione di necessità, con l'Italia sommersa da irregolari da rimpatriare, ovviamente l'aiuteremmo con tutti i mezzi a nostra disposizione".
Finora i soldi stanziati per gli accordi di rimpatrio con l'Africa, nell' "Eu-Africa fund", sono 1,8 miliardi, contro i sei miliardi stanziati per la sola Turchia. Non le sembra insufficiente?
"Ma l'insieme dei fondi che la Ue e gli stati membri destinano ogni anno allo sviluppo in Africa è molto più elevato. In totale si tratta di circa una ventina di miliardi. Dobbiamo rifocalizzare l'utilizzo di questi finanziamenti per far sì che tutti i Paesi beneficiari accettino il rimpatrio dei loro connazionali. La scelta è molto netta: o noi esportiamo stabilità in questi Paesi, oppure siamo destinati a importare instabilità. Il principio d'azione è lo stesso di quello usato con la Turchia, ma il modo in cui si applica è differente e deve essere studiato su misura per ciascun Paese."
Parlando di Turchia, oggi la Commissione proporrà il via libera alla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi. Non vi sembra di essere un po' troppo morbidi nei confronti di Ankara?
"Per niente. La liberalizzazione dei visti è condizionata a parametri molto chiari che la Turchia deve soddisfare. Per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, della libertà di stampa e dello stato di diritto, non vedremo certo progressi voltando le spalle alla Turchia. Il processo di adesione ci offe invece la possibilità di avere un dialogo su questi temi con le autorità turche".
Tornando alla questione dei rimpatri, perché la Commissione sta facendo pressione sull'Italia perché aumenti i propri centri chiusi dove detenere i migranti irregolari prima dell'espulsione?
"Se non si controllano i migranti che non hanno diritto di asilo e che devono essere rimpatriati, questi finiscono per scomparire e poi ricompaiono in altri stati membri. Bisogna trovare il modo di mantenere questa gente sotto controllo in modo da poterli rimpatriare. Questo naturalmente è più facile se il rimpatrio è fatto rapidamente. Quello che chiediamo all'Italia è strettamente collegato alla velocità con cui si riesce a rimpatriare gli irregolari nei loro Paesi di origine".
Ma rimpatriare la gente non è così semplice...
"Certo. E' un processo complicato. E una delle ragioni è la mancanza di cooperazione dei Paesi di origine. Per questo dobbiamo aumentare i nostri sforzi perché questi Paesi abbiano interesse a riprendere i migranti irregolari. Non possiamo solo forzarli o minacciarli. Dobbiamo offrire loro opportunità di sviluppo, come dice la proposta italiana".
Crede che le preoccupazioni dell'Austria su una possibile invasione di migranti attraverso il Brennero sia giustificata?
"Dobbiamo affrontare la questione in modo razionale. Al momento non ci sono indicazioni che esista un problema di flusso di migranti da risolvere. Il nostro obiettivo è ripristinare Schengen entro la fine anno. Per questo possono essere necessari controlli alle frontiere sulla rotta balcanica, perché il controllo delle frontiere esterne in Grecia è ancora carente. Ma quella situazione è assolutamente incomparabile con quella dell'Italia. Il paragone tra il Brennero e la rotta balcanica non è basato sui fatti, è basato sulle emozioni. Il nostro ruolo, come Commissione, è quello di basarci sui fatti, e qui i fatti non ci sono. Non vedo elementi a questo stadio che possano giustificare la chiusura del confine tra Austria e Italia.
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04 maggio 2016
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