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Autore Discussione: I TRUFFATORI SONO I TERRORISTI DI CASA NOSTRA  (Letto 2094 volte)
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« inserito:: Dicembre 04, 2015, 06:36:46 pm »

«15 euro per 5 secondi di chiamata», se il cellulare diventa un bancomat per truffatori
Un business da 600 milioni di euro l’anno –


Di Antonio Crispino /Corriere TV
24 novembre 2015

In principio fu lo scandalo 144, le numerazioni a valore aggiunto che spennarono centinaia di clienti al punto da spingere l’Autorità garante per le Comunicazioni a sospenderle. Era maggio 2008. Un’era tecnologica fa. Appena qualche mese più tardi furono sostituite dalle numerazioni 899. Un business ancora oggi non esaurito e che alimenta un mercato da 600 milioni di euro l’anno, quello delle truffe telefoniche. A fine ottobre a Salerno si è celebrato il primo grado di giudizio per alcune società accusate di truffe milionarie, capaci di incassare 350 mila euro in appena sette mesi di attività. Grazie a un semplice messaggio: «Ti ho chiamato alle ore 8,10, è urgente. Chiama l’899…».

Se il malcapitato non riagganciava dopo cinque secondi gli venivano addebitati quindici euro. Secondo il giudice del primo grado “una truffa”. Che nel frattempo ha rimpinguato le casse di diversi soggetti, compresi gli operatori telefonici. Già, perché le numerazioni a valore aggiunto (gli 899, appunto) sono concesse dal ministero delle Comunicazioni agli operatori telefonici che a loro volta le rivendono ai Centri Servizi i quali, però, sfruttano solo il diritto alla numerazione. I contenuti, cioè musica, audio o chiamate, sono confezionati dai cosiddetti Fornitori di contenuti. Ma quando l’utente paga, i soldi vanno agli operatori telefonici che poi provvedono a dividerli con i Centri servizi e a loro volta con i Fornitori di contenuti. Tutto questo giro consente che quando viene bloccata una numerazione, perché magari si è registrata una frode, si blocca solo il numero, appunto. Non anche chi organizza il raggiro. E prima di risalire agli artefici della truffa, quest’ultimi avranno cambiato molte numerazioni e saranno trascorsi diversi mesi.

Ma qual è il coinvolgimento degli operatori telefonici? In genere tutti gli operatori replicano con le stesse motivazioni: «Non siamo a conoscenza delle attività svolte da queste società sui nostri canali». Una spiegazione che non convince l’Agcom visto che dal 2011 a oggi ha sanzionato le compagnie telefoniche per un totale di circa dieci milioni di euro, imputandogli una “culpa in vigilando”, ossia una responsabilità diretta nel mancato controllo di ciò che avviene sulle proprie reti. Nel caso che vi abbiamo decritto sopra, invece, emerge qualcosa di più di una omissione di controllo. «Telecom era perfettamente a conoscenza di quello che facevano i miei clienti - dice l’avvocato Francesco Giuseppe Catullo, difensore del centro servizi Gestel, -. Era un’informazione che risultava nella dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà sottoscritta dal rappresentante legale del predetto Centro servizi che veniva allegato al contratto di fornitura sottoscritto tra Telecom e Gestel».

E Severino Astore, il delegato della Gestel ai rapporti con Telecom, sembra fugare ogni dubbio: «Non solo Telecom sapeva ciò che facevamo e come lo facevamo ma quando c’era l’eventualità che una numerazione venisse bloccata, perché magari qualche utente aveva denunciato la frode, la stessa compagnia telefonica ci invitava a passare su altre numerazioni per evitare che le bloccassero i soldi». Di quanti soldi parliamo? «Solo con la nostra società la Telecom ha guadagnato circa un milione di euro in due anni ma consideri che come la mia ce ne sono decina». Naturalmente la vicenda dovrà essere confermata nei successivi gradi di giudizio, anche perché la stessa Telecom ha denunciato le truffe e si è presentata come parte lesa. «Certo, le denunce sono agli atti - replica l’avvocato Marcello D’Aiuto - Ma è strano che da un lato Telecom denunciava queste società per comportamenti illeciti e dall’altra continuava ad avere con loro rapporti commerciali dai quali, scrive il giudice, traeva la maggiore utilità economica».

Dal giugno 2011 le schede sim che hanno svolto traffico dati, cioè quelle che hanno navigato su internet, sono passate dal 26% al 49%. Parallelamente sono cresciute le truffe che inducono l’utente non più a effettuare una chiamata ma a collegarsi a un link. «Oggi la maggiore preoccupazione è data dagli acquisti tramite internet - spiega Mario Staderini, direttore dell’ufficio Tutela dei consumatori dell’Agcom -. Si pone un problema che riguarda sia la modalità con la quale viene acquisito il consenso ma anche l’ingannevolezza delle informazioni fornite». Nel primo caso si parla di “enrichment”. È la procedura attraverso la quale gli operatori telefonici forniscono automaticamente il vostro numero di telefono al CSP (Content Service Provider) per consentire l’addebito del servizio richiesto. Attualmente vi è una consultazione pubblica che mira a cambiare questo meccanismo perché autorizza gli operatori ad addebitare costi anche «in caso di digitazione involontaria o inconsapevole».

Una questione non da poco se si considera che la truffa più remunerativa oggi è legata al click jacking. Cos’è ce lo spiega Giorgio Fedon, cofondatore della Minded Securety, una società che si occupa di sicurezza software e che è stata appena selezionata tra le migliori società di cyber secrety nel Regno Unito: “E’ una tecnica di attacco molto avanzata che può colpire qualunque smartphone durante la navigazione - spiega Fedon -. In determinati casi si aprono sullo schermo più finestre sovrapposte. La più esterna, cioè quella più prossima al dito dell’utente, nasconde il vero contenuto, che sta nelle finestre sottostanti. Perciò quando l’utente clicca un pulsante, credendo magari di chiudere la finestra, in realtà sta inconsapevolmente sottoscrivendo un abbonamento”. L’Agcom ha recentemente proposto che sia l’utente a inserire il proprio numero di telefono per confermare la volontà di acquisto (un po’ come avviene per gli acquisti su iTunes) ma l’idea non pare aver riscontrato il gradimento degli operatori. Secondo l’Assotelecomunicazioni, l’associazione di Confindustria che rappresenta le imprese della filiera delle telecomunicazioni, sarebbe una soluzione che «rischia di danneggiare un mercato con gravi conseguenze».

In alternativa ha proposto l’inserimento del doppio click di conferma (anziché uno) su una pagina informativa creata e controllata dall’operatore telefonico. Ma la stessa associazione specifica che «questo set di strumenti vale nella misura in cui il servizio è offerto da un player con sede nel territorio nazionale». Dunque non è chiaro cosa succede se (come già avviene oggi) i centri servizi che offrono il servizio premium hanno sede all’estero. Le associazioni dei consumatori, intanto, denunciano costantemente addebiti per servizi mai richiesti e accusano i fornitori di omettere informazioni contrattuali essenziali come i costi dei servizi. Inoltre mentre per abbonarsi basta un click non è altrettanto semplice disdire o recedere da un abbonamento. E’ il caso, ad esempio, del Txpict, un servizio offerto da Edizioni Torinesi. Si tratta di contenuti adatti per un pubblico adulto. Il messaggio che arriva è il seguente: «Abbonamento attivato! Scarica subito tutto le immagini senza limiti! 5 euro/Sett. Info e disattivazione: 066229…». Peccato che nessuno abbia mai richiesto nessun servizio, almeno non in modo consapevole.

Risalendo ai Termini e condizioni del contratto, ci accorgiamo di una beffa ulteriore: «La richiesta di disattivazione del servizio Txpict e la successiva disattivazione non comporterà, in ogni caso, alcun diritto alla restituzione di eventuali corrispettivi già addebitati al momento del ricevimento della richiesta di disattivazione». In pratica, scordatevi pure qualunque tipo di rimborso. Ma c’è di più. Oltre a pagare per un servizio mai richiesto si paga anche per disattivarlo. Nel tentativo di capire in che modo sia stato possibile abbonarsi, troviamo la risposta sul sito, alla voce “Attivazione”: «L’attivazione può avvenire tramite un’inserzione pubblicitaria collegata al servizio Txpict (banner, link testuali)… semplicemente con un click». E qui la filiera dell’inganno si arricchisce di un altro elemento, ossia le società che offrono banner pubblicitari. Che nella pratica diventano strumento per reindirizzare l’utente sui servizi premium a pagamento e acquisirne il consenso. In che modo? «Non in modo lecito - risponde il colonnello Giovanni Parascandalo del Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche della Guardia di Finanza a cui mostriamo lo screen shot del messaggio -.

La tutela del consumatore sottolinea che non si può accettare un tipo di servizio del genere con un semplice click senza avere un’informazione dettagliata e più specifica». Intanto nessuno rimborserà mai il costo pagato per attivazione/disattivazione. E anche le persone che decidono di denunciare sono poche perché il costo di un avvocato non vale il rimborso. Quindi in attesa che venga approvata la “Bolletta 2.0”, un provvedimento Agcom che dovrebbe chiarire meglio le responsabilità degli operatori telefonici e le modalità di acquisizione del consenso, gli unici strumenti di contrasto sono le sanzioni. Che tuttavia colpiscono le compagnie solo per un 1,6% rispetto agli introiti garantiti da questo tipo di business.

Da - http://video.corriere.it/15-euro-5-secondi-chiamata-se-cellulare-diventa-bancomat-truffatori/f10cca1e-929f-11e5-b7a6-66411f67f00e
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