“La sinistra riparta dai suoi temi e abbandoni le primarie”
Lo scrittore Francesco Piccolo: «Non si possono trattare gli elettori come cretini»
Pubblicato il 15/03/2018 - Ultima modifica il 15/03/2018 alle ore 10:27
Massimo Vincenzi
Nel 2013 Francesco Piccolo ha scritto il romanzo premio Strega “Il desiderio di essere come tutti”, a cavallo tra l’autobiografia e la politica, che in lui spesso coincidono. Il riferimento è al titolo apparso sull’Unità nel giorno dei funerali di Berlinguer. E dentro «quel tutti non erano compresi solo i militanti del Pci, ma tutti gli italiani, tutti gli uomini che al tempo si riconoscevano, al di là delle differenze ideologiche, in una certa idea di Paese», spiega. Ora lo stesso Paese, dopo il voto del 4 marzo, è un mosaico frantumato in mille pezzi, con la Sinistra ridotta ai minimi storici, e con rabbia e paura come parole d’ordine della nostra quotidianità. Da qui parte lo scrittore per cercare di interpretare il terremoto delle elezioni.
Cosa è successo al Pd e in più generale alla Sinistra?
«Intanto durante i governi Berlusconi ci siamo estraniati dal Paese, non l’abbiamo voluto riconoscere più, e questo è stato il primo degli errori. Poi il Partito democratico è andato a Palazzo Chigi, sempre con numeri stentati, ma ci è andato. Andare al potere rende sospettosi gli elettori di sinistra, si sentono a disagio, cercano subito i motivi di dissenso. Il guaio è che in Italia non c’è una cultura riformista, ma prevale l’elitarismo e un’anima apocalittica. Tutte queste cose insieme ci hanno resi reazionari e senza voglia di responsabilità. Per fare politica serve una speranza di migliorare, se si parte dall’idea che il mondo è orribile, non c’è motivo per impegnarsi».
Ho letto che lei cita tra le calamità anche l’introduzione delle primarie. È così?
«Penso che siano le maggiori colpevoli dell’autodistruzione. Tutto parte da lì. Le primarie hanno fatto nascere dispute feroci, i dirigenti si sono impegnati di più nel distruggere l’amico che nel combattere i nemici esterni, seguendo l’esempio di un campione della specialità come D’Alema che ha concentrato nella lotta intestina una intera vita politica. Dentro il partito sono nati muri, steccati. Chi ha vinto, ogni volta, ha occupato il partito con le proprie idee, usando la mannaia contro gli altri, portando così gli sconfitti a odiare chi aveva prevalso. Sono stati fatti Congressi di mezz’ora, in questo modo è impossibile sintetizzare il pensiero di tutti: come invece dovrebbe permettere un buon segretario che ha il compito principale di avere una linea, ma di non perdere pezzi per strada. È inutile girarci intorno, o noi le primarie non le sappiamo fare, oppure sono il vero male della Sinistra».
Queste lotte poi si sono riflesse sugli elettori. Con quali effetti?
«La base si è sentita lontana da tutto questo, abbandonata. E anche le altre persone non hanno più trovato nella Sinistra le risposte ai loro problemi. Invece un partito riformista serio si deve caricare sulle spalle anche le cose che non gli piacciono, i difetti che non capisce e provare a dare risposte di Sinistra».
In mezzo poi ci sono gli intellettuali che rispetto al passato sono stati abbastanza defilati. Non trova?
«Ci sono ragioni quasi antropologiche alla base di questo silenzio. L’intellettuale di sinistra si sente in imbarazzo più di tutti, quando la Sinistra è al Governo. Nonostante siano state fatte leggi civili storiche, ci si sente come imbavagliati. Ora, anche se può sembrare una battuta, siamo finalmente nel posto giusto: possiamo tornare a criticare, a dire quello che non ci piace, mentre eravamo a disagio a stare in difesa. Il referendum ne è un esempio lampante».
In che senso?
«Io l’ho votato anche se magari non era perfetto, ma gli intellettuali di sinistra, certi padri della patria hanno reagito in maniera scomposta andando persino contro quelle che erano le loro convinzioni sino al giorno prima. Per anni ho sentito urlare contro il bicameralismo (vecchia battaglia del Pci), poi all’improvviso è diventato il valore imprescindibile della democrazia. Questo dimostra che alle élite piace parlare di rivoluzione, ma non vogliono farla perché dopo non saprebbero più vivere senza invocarla».
In quest’ottica c’è stato anche un atteggiamento elitario nei confronti degli elettori di 5Stelle e Lega?
«Non si può dire agli elettori che sono cretini, atteggiamento che da Sinistra abbiamo dal 1994. O la pensate come noi che siamo nel GIUSTO, scritto tutto maiuscolo, o siete degli ignoranti. Il compito della politica è spiegare con pazienza quello che accade e i rimedi che si possono adottare. Prendiamo l’immigrazione: avere paura è un diritto, e anche se non fosse un diritto, è un fatto. Allora bisogna mettere regole, norme, produrre idee chiare e moderne, prima che vincano quelle sbagliate e cattive. Non basta dire: accogliere è giusto e questo può bastare. E lo stesso vale per l’enorme problema del lavoro, per i giovani che si sentono esclusi. La Sinistra si è limitata a dire siamo nel giusto e se non ci votate peggio per voi. Poi si sono fatte scissioni per dire cose ancora più giuste ed essere sicuri di perdere per non metterle in atto».
Lei è stato un sostenitore di Renzi, come ha potuto l’ex premier dilapidare un consenso così grande in così poco tempo?
«Ha sbagliato a insistere sul referendum anche quando era ormai chiaro che aveva contro tutto l’arco parlamentare e buona parte del suo partito. Ha sbagliato subito dopo a concentrarsi sulla battaglia nel Pd, andando avanti a testa bassa, con la scusa di aver rivinto le maledette primarie. Avrebbe dovuto accogliere tutti, facendo una politica condivisa. C’è da dire anche che da un certo punto in poi l’unico interesse nel suo partito era quello di farlo fuori. E ci sono riusciti».
Da dove si può ripartire oggi?
«Si deve ricostruire il partito a partire dai temi storici della Sinistra. Devono rientrare quelli di LeU, e il Pd deve accogliere tutte le idee, farne una sintesi riformista e progressista con un segretario che sia garante di tutti. Quindi un segretario eletto in un congresso vero, di idee, e che rappresenti tutti».
E forse recuperare anche quel po’ di autoironia che lei racconta bene nel suo libro e che è andata perduta. Non trova?
«Quando si combatte tra fratelli, il sorriso diventa ghigno, anche la satira diventa di parte per sbeffeggiare il tuo nemico interno. Ma ora sono convinto andrà meglio».
Come?
«Dal 5 marzo siamo tutti più sereni, la sconfitta è nel nostro Dna e finalmente ci sentiamo a nostro agio e torneremo a sorridere».
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