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Autore Discussione: Lina Tamburrino - Pol Pot, lo sterminio dimenticato  (Letto 2520 volte)
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« inserito:: Ottobre 31, 2007, 09:42:58 pm »

Pol Pot, lo sterminio dimenticato
Lina Tamburrino


«Le foto dei campi di concentramento di Pol Pot non sono diverse da quelle che troverò ad Auschwitz», ha detto Veltroni, invitando a non avere «reticenze o sottovalutazioni» del passato. E allora chi è stato Pol Pot? Nacque nel 1925 come Saloth Sar, figlio di contadini di discreto benessere, anzi con buone amicizie che gli garantiranno una borsa di studio per Parigi.

Vi passerà addirittura quattro anni della sua giovinezza per diventare - ma non gli riuscì - ingegnere elettrotecnico. Divenne Pol Pot, questo il suo nome di battaglia, nell’aprile del 1976.

Gli anni francesi. Fu quello il momento della nascita, ad opera del Partito comunista, della Repubblica democratica di Kampuchea, chiamata a fare da culla a una «società socialista modello». Il comunismo Pol Pot lo aveva scoperto nei suoi anni francesi frequentando i comunisti locali e -sostengono le leggende- cimentandosi con le opere di Marx. Era il marxismo nella sua più dura versione staliniana, dispotismo del partito e del capo, senso della missione, a qualsiasi prezzo. Torna in patria, Pol Pot, nel gennaio del 1953, vive come maestro di scuola fino al 1963, e nel 1960, quando il Partito comunista rinasce nella clandestinità, diventa membro del comitato centrale. Grazie agli accordi di Ginevra del 1954 sull’Indocina, anche la Cambogia aveva conquistato il diritto alla indipendenza. Dovevano seguire elezioni libere, monitorate da osservatori internazionali. Il che naturalmente non avvenne. Furono gli anni del re Norodom Sihanouk, un monarca intollerante di ogni forma di dissenso, deposto nel marzo del 1970 da un colpo di stato del generale Lon Nol, che aveva goduto del sostegno degli americani. Era stato proprio Sihanouk a bollare, in maniera dispregiativa, i comunisti cambogiani come Kmer rossi - cambogiani rossi- per distinguerli dai cambogiani di destra, i blu.

I kmer rossi defestrano Lon Nol nell’aprile del ’75, prendono il potere - che terranno fino al dicembre del ’78 quando a loro volta saranno sfrattati dai vietnamiti invasori - e aprono la strada ai sogni sanguinari di Pol Pot. Seguiranno poco più di tre anni di orrori senza fine: Pol Pot non ha subìto solo le suggestioni dello stalinismo francese, ha avuto come maestri anche i comunisti vietnamiti-diventati poi suoi nemici- e il maoismo della costruzione dell’«uomo nuovo» e della «rivoluzione culturale». Ma l’allievo è più impietoso dei suoi maestri. Abolisce moneta, mercato, proprietà privata; costringe gli abitanti delle città a trasferirsi in campagna per fare i contadini; vieta la religione buddista; smantella la famiglia; crea i killing fields, campi di concentramento dove lascia morire centinaia e centinaia di migliaia di suoi ritenuti avversari. Massacra anche i suoi compagni di partito per scovare- in un classico meccanismo stalinista- i traditori accusati di stare dalla parte dei vietnamiti. L’economia non esiste più e la gente muore di fame e di stenti. Il bilancio di quei quasi quattro anni è noto: quasi due milioni di morti, il 20% della popolazione. L’occidente ha potuto conoscere gli orrori di quella fase anche attraverso Killing Fields, il film del 1984 di Roland Joffe , che, con protagonista Sam Waterston, vinse tre Oscar.

Cacciati dai vietnamiti- e sarà rottura per questo tra Pechino che sostiene i Kmer rossi e Hanoi che li ha spodestati- gli ex padroni sanguinari della Cambogia si danno alla guerriglia. Con alterne vicende. Pol Pot rimane a capo delle operazioni militari fino al suo ritiro nel 1985. La conferenza sulla Cambogia svoltasi a Parigi nell’ottobre del 1991 segna l’accordo per il ritiro dei vietnamiti e l’avvio di un processo di normalizzazione della vita del Paese, ma Pol Pot continua a esercitare la sua influenza invitando i suoi seguaci a boicottare il tutto. E ancora nel 1994 i kmer rossi formano in esilio un governo provvisorio. Ma poi militarmente scompariranno.

Il resto è storia di questi ultimi anni. A capo delle vicende politiche cambogiane c’è Hun Sen. Pol Pot muore nel 1998, si dice suicida. Oggi la fragile democrazia cambogiana deve fare fronte a due ordini di problemi. La situazione del Paese, innanzitutto. In un contesto di grande corruzione, i politici, i militari, gli uomini di affari costituiscono la parte ricca della popolazione, dalla ricchezza ostentata. Il resto degli abitanti, con il 40% al di sotto della soglia della povertà, ha problemi di sopravvivenza, con in più l’incubo di sfuggire sia ai criminali sia ai poliziotti corrotti. La Cambogia è un paese con una forte prevalenza di giovani: ogni anno ne arrivano sul mercato del lavoro in 250 mila, ma il lavoro non c’è e il fossato tra i ricchi e i poveri si approfondisce. C’è poi il problema dei conti con il passato: portare in giudizio i responsabili degli anni del grande massacro. Ma chi deve giudicarli? Una corte di magistrati internazionali o di locali ( che però non ne avrebbero le capacità tecniche)? Le Nazioni Unite avevano, a suo tempo, chiesto che Corte e giudici fossero internazionali e organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch sostennero questa posizione, che invece non fu con sufficiente fermezza sostenuta dall’allora presidente Clinton.

Perchè tutto questo in Cambogia, un Paese che negli ultimi 35 anni ha visto cinque regimi diversi, una guerra civile, dei bombardamenti americani, l’occupazione vietnamita, la morte di due milioni di persone? Si confrontano, nel dare una risposta, posizioni diverse. Nell’aprile scorso, è stato pubblicato in Cambogia dal Centro di documentazione il primo libro di storia sui Kmer rossi, basato innanzitutto su testimonianze dei sopravvissuti. Sono apparsi in Occidente dei libri su Pol Pot. Con la domanda: è stata colpa del comunismo o della tradizione cambogiana, impregnata di violenza e di autoritarismo se i kmer rossi hanno ecceduto?.

A parere di David Chandler, autore nel 2002 di una biografia di Pol Pot, la colpa è stata della Cina nonché di quello che i francesi chiamano «spirito del tempo». Ma innanzitutto della arroganza dei kmer rossi che hanno dimenticato quanto i cambogiani «amino la famiglia, il cibo, al libertà di movimento, la felicità e il fair play».

Pubblicato il: 31.10.07
Modificato il: 31.10.07 alle ore 15.29   
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