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Autore Discussione: Intervento di Mario Rodriguez alla XVI Assemblea annuale di Libertàeguale  (Letto 4253 volte)
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« inserito:: Ottobre 12, 2015, 11:41:33 am »

Servono leader anche nei comuni
Pd   
I circoli si organizzino come meglio credono, l’importante è che facciano rete tra di loro e creino un legame con il territorio

Il Partito democratico, soprattutto in questa fase caratterizzata dall’affermazione di Matteo Renzi, ha assunto (o ribadito) alcune caratteristiche che possiamo considerare acquisizioni condivise all’interno della nostra associazione: lo schema maggioritario e bipolare delle regole del gioco, la vocazione maggioritaria, il ruolo indispensabile della leadership, la contendibilità della leadership stessa, l’apertura agli elettori (la più ampia) dei processi di scelta della leadership nazionale, quindi lo spostamento del baricentro della legittimazione dagli iscritti agli elettori. Di qui, le due caratteristiche più visibili: l’identificazione premier/leader e il metodo delle cosiddette primarie per sceglierlo.

L’identificazione leader/premier sta funzionando abbastanza bene – non vanno nascoste le difficoltà – a livello nazionale ma questa non ha ancora scaricato i propri effetti sul modo di stare nella società ai vari livelli: nelle regioni e nei comuni. Ci si deve porre la domanda perché l’identificazione leader/premier non ha funzionato ad esempio a livello comunale anche dopo quasi vent’anni di legge elettorale maggioritaria ed elezione diretta del leader? Perché l’organizzazione sul territorio non si è adeguata e sopravvivono in sostanza le vecchie intelaiature delle Federazioni e delle sezioni? È uno schema che funziona a livello nazionale ma non a quello locale? Quello che vale per il governo nazionale e per il partito nazionale deve valere per una regione o per un comune? Il candidato sindaco è il leader del partito a livello locale? Il governatore della Regione è il leader del partito a livello regionale? Le primarie vanno fatte diventare fisiologiche nella vita dell’organizzazione a tutti i livelli? E che grado di apertura agli elettori si vuole dare alla scelta delle cariche di partito? Che rapporto tra congresso e primarie? Tra gruppi dirigenti di partito ed eletti? Conta il sindaco o conta il segretario del partito? Non sembri banale.

Il circolo si occupa del quartiere, della circoscrizione, della città, della regione o del governo nazionale? Se pensiamo opportuna e necessaria un’organizzazione diffusa su tutto il territorio pensiamo debba assumere un modello organizzativo unico o debba essere multilevel, veder convivere diverse forme organizzative e diverse funzioni? Quale ruolo e quali funzioni (anche limiti e vincoli) vanno dati al personale tecnico senza il quale un’organizzazione non vive? Quindi che rapporto tra il personale tecnico e quello politico?

Non possiamo fermarci all’affermazione di principio bisogna sperimentare forme efficaci di organizzazione.

Orientare tutta l’attività del partito al “sostegno delle riforme” cioè dell’attività di governo è da un lato troppo e dall’altro troppo poco. Si sopravvaluta la capacità della presenza organizzata di intercettare e influenzare l’opinione delle persone. Ciò che è necessario è una organizzazione a rete in cui i diversi nodi si specializzano in autonomia e sono interconnessi: insomma un’organizzazione arcipelago dove le persone si incontrano e si associano con motivazioni diverse e poi convergono nei momenti cruciali della selezione dei gruppi dirigenti e delle primarie per le cariche monocratiche. E facendo così, esercitano il ruolo di palestra che seleziona e addestra (possibili) campioni politici. Insomma persone che si associano liberamente per costruire relazioni di reciproca fiducia piuttosto che per diventare elementi di un meccanismo di propaganda. Forse attratte anche dal bisogno esistenziale di poter contare nelle decisioni che gli stanno a cuore (bisogno da rispettare, non deludere ma non illudere). E nella relazione di fiducia rientra certamente il leader e la sua leadership.

Pensare che al partito spetti il compito di rendere più appetibile una proposta politica significa affrontare il problema di come si costruisce il consenso attorno a una proposta politica. A me pare che anche nella nostra discussione e più in generale nei vertici organizzativi del Pd si pensi ancora in termini di propagare, fare propaganda, individuare dei target e bersagliarli con informazioni che (pretendendosi) appropriate dovrebbero convincere e motivare all’azione. In questa impostazione la comunicazione serve a convincere e il partito è il meccanismo necessario.

Non credo che funzioni così, la costruzione del consenso non passa dal convincimento ma dalla costruzione di una relazione di fiducia. L’organizzazione piuttosto che essere improntata a propagare argomenti a favore delle attività del governo (le riforme) dovrebbe essere improntata a far vivere esperienze positive che costruiscano relazioni di fiducia tra le persone che si associano per “fare” politica. Non si organizzerà un partito diffuso, aperto, plurale, post ideologico se si pensa che possa esserci un’indicazione vincolante su come devono vivere e organizzarsi i circoli (non “sezioni” ma circoli!): bisogna fare questo e no quest’altro! Che ognuno si organizzi come meglio crede: per i problemi del quartiere o per discutere della buona scuola, per fare formazione politica o per organizzare una festa. Poi, assieme, si convergerà nei grandi momenti organizzativi dei congressi e delle primarie, e se capita, delle grandi campagne tematiche. Tanto l’informazione diffusa si prende nell’aria che si respira!

Spetterà poi agli eletti, a livello delle proprie assemblee, organizzarsi per comunicare direttamente ai cittadini le proprie attività senza demandarle alle organizzazioni territoriali che non sono i loro uffici territoriali ma entità autonome con le quali sviluppare una relazione collaborativa e competitiva: le organizzazioni sul territorio devono comprendere che senza un rapporto con gli eletti le loro istanze, le loro aspirazioni, rimangono nell’ambito della testimonianza fuori dal circuito del potere. E gli eletti devono riconoscere che senza un rapporto forte e positivo con le presenze sul territorio la loro capacità di costruire consenso e rimanere in carica diminuisce drasticamente.

Estratto dell’intervento di Mario Rodriguez alla XVI Assemblea annuale di Libertàeguale

Da - http://www.unita.tv/opinioni/servono-leader-anche-nei-comuni/
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