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Autore Discussione: Giampiero Rossi - Fiat, l’impossibile vita dei precari-squillo  (Letto 2836 volte)
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« inserito:: Ottobre 29, 2007, 10:21:02 pm »

Fiat, l’impossibile vita dei precari-squillo

Giampiero Rossi


Il telefonino manda il suo segnale: vibrazione, trillo o musichetta idiota che sia. È arrivato un sms. Dice: «Domani primo turno». Oppure: «Le ricordiamo che il suo contratto è in scadenza, per maggiori informazioni contattare la filiale». Firmato Manpower. Altro che lavoro a chiamata: l’agenzia di lavoro interinale comunica così con i precari lucani che vivono davvero alla giornata nelle fabbriche dell’indotto Fiat e non solo.

Basta un messaggino inviato la sera prima e l’indomani il lavoratore si presenta al posto che l’azienda committente voleva coprire.

Oppure, basta un sms e “l’iscritto” agli elenchi dei precari a oltranza dell’agenzia viene messo di fronte alla realtà di un contratto (l’ennesimo) scaduto e della necessità-speranza di rinnovarlo (per l’ennesima volta). Certo, si usa ancora telefonare, ma se la linea è occupata o se come succede tra le vallate della Basilicata - non c’è campo, allora che fare? Perdere tempo a reiterare la chiamata? Ma no, perché sprecare energie delle proprie “risorse umane”? Un messaggio di testo basta e avanza. Tanto se l’interessato non lo riceve o non lo vede e non si presenta nella fabbrica che ha “ordinato” la sua fatica per quel giorno sono affari suoi. La lista d’attesa per un posto da precario è lunghissima da queste parti. E allora si ingoia anche la chiamata via sms, come neanche un tassista accetterebbe mai.

Nella piana di San Nicola di Melfi, dove sorge la zona industriale che ha riacceso e in parte già tradito le speranze di un’intera generazione di lucani, il lavoratore-squillo non è una rarità.

Anzi, nelle fabbriche dell’indotto Fiat - capannoni satelliti della Sata che produce la grande Punto e che già ha sfornato buona parte della produzione dell’auto italiana - progressivamente i lavoratori interinali stanno diventando la norma e non l'eccezione, la maggioranza e non più la minoranza.

Un esempio? Alla Emarc, che produce parti delle lamiere che diventeranno vetture Fiat, ci sono una ventina di dipendenti “veri” che sudano le loro otto ore (più straordinari) insieme a ben trenta (cioè il 150%) colleghi interinali, o «somministrati», come si usa dire con un formalismo che rende ancora più greve il concetto.

Per capire la portata del fenomeno, il peso che può avere sulla vita di queste persone, basta andare alla Camera del lavoro di Melfi e osservare i documenti che certi giovani operai sono costretti a portare con sé quando si presentano per compilare la dichiarazione dei redditi: un cumulo enorme di “Cud”, cioè le attestazioni dei redditi erogati da parte dei datori di lavoro.

Perché in un anno i rapporti formali di lavoro, avviati e interrotti, sono nell'ordine delle centinaia.

Complessivamente, nell’indotto Fiat, si parla di punte di mille precari su circa 3.500 assunti con contratti standard. Non è difficile, dunque, capire perché anche le assemblee sul protocollo del welfare si trasformano in muri del pianto e, ancor più, della rabbia per una situazione che pesa sulla vita delle persone. Ma il peggio è che molti di quei lavoratori, i precari, alle assemblee non hanno neanche potuto partecipare, perché farlo avrebbe significato mettere seriamente a rischio il rinnovo del prossimo contrattino da poche settimane o giorni.

«È stato davvero umiliante - confida visibilmente dispiaciuto Vittorio Cilla, delegato Fiom che si dedica alle aziende dell’indotto Fiat - svolgere assemblee in un salone separato dai reparti soltanto da una vetrata e vedere, mentre parlavo, che dietro a quei vetri centinai di persone stavano comunque lavorando come se niente fosse. È accaduto alla Magneti Marelli e alla Tower e io l’ho vissuta come una sconfitta dopo anni di battaglie per ottenere diritti sindacali minimi».

Ma per chi, invece, alle assemblee ha potuto e voluto partecipare, ecco che il tema della precarietà è sembrato un punto centrale della discussione. «Una signora - racconta ancora Cilla - è intervenuta per descrivere la sua situazione familiare: lei operaia regolarmente assunta alla Johnson e i suoi due figli costretti a tirare avanti da anni con continui contratti interinali, che permettono loro di mettere insieme, magari, 900 o 1.000 euro al mese, ma che non concedono il diritto alle ferie, alla malattia, ai congedi parentali, ai permessi sindacali». Niente di niente, lavoratori di serie B che vivono gomito a gomito con colleghi “privilegiati”. Addirittura devono sopportare turni ancora più pesanti: perché per loro la rotazione tra notte, mattina e pomeriggio è irregolare, non segue la ciclicità settimanale riservata agli altri. Nella stessa settimana può così capitare che si debba lavorare una volta di giorno e una di notte, senza alcuna possibilità di adeguarsi ai ritmi del riposo umanamente riconosciuti a tutti gli addetti al lavoro in linea.

«Li usano proprio come manodopera di scorta - si sfoga il delegato sindacale - ma non è possibile che non venga riconosciuto alcun limiti a questo trattamento. Loro si aspettavano almeno questo dal governo di centrosinistra. E invece va a finire che ci perdiamo tutti, perché lentamente il turn over degli organici nelle aziende sta allargando l’area degli interinali e riducendo quella dei dipendenti a tempo indeterminato. E così, durante le assemblee, in futuro, aumenterà il numero di quelli costretti a rimanere a lavorare dietro le vetrate».

Pubblicato il: 29.10.07
Modificato il: 29.10.07 alle ore 14.18   
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