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Autore Discussione: CLAUDIO TITO.  (Letto 81253 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Agosto 05, 2011, 05:06:29 pm »

di CLAUDIO TITO   

Lo stallo di Berlusconi sulla crisi dei mercati

Silvio Berlusconi continua sulla linea della "resistenza". Non vuole assumere nessuna iniziativa straordinaria per affrontare la crisi economica. Il buon andamento della Borsa, peraltro, ha rafforzato le convinzioni del premier. Anche se lo spread tra i nostri Btp e bund tedeschi ha raggiunto oggi il nuovo record. L'idea, dunque, di convocare la prossima settimana un consiglio dei ministri straordinario per accogliere le indicazioni dell'Unuone europea e della Bce, resta solo un'ipotesi. Una semplice eventualità nel caso in cui lunedì prossimo i mercati dovessero far cadere di nuovo la loro mannaia sull'Italia.

Di questo infatti hanno discusso stamattina il presidente del consiglio e il ministro delle Sviluppo, Paolo Romani. La conferma, peraltro, che il rapporto tra il Cavaliere e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, è ormai sotto il segno della incomunicabilità.
Il Pd continua a reclamare un nuovo governo. Secondo il partito di Bersani, la svolta è possibile solo con le dimissioni di Berlusconi. E a quel punto anche i Democratici sarebbero pronti a sostenere un esecutivo di emergenza. Un percorso, però, che sta provocando più di una spaccatura tra le opposizioni. Pier Ferdinando Casini ha già manifestato la sua contrarietà ad una crisi in questa fase.

E persino Romano Prodi ha avvertito che durante la tempesta non si può cambiare il comandante della nave. Eppure, la situazione di paralisi del governo sta scuotendo tutte le parti sociali che si aspettavano risposte più rapide da parte del governo. Ma anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non nasconde la sua preoccupazione per una situazione economica che non presenta al momento vie d'uscita.

da - http://www.repubblica.it/politica/
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« Risposta #91 inserito:: Settembre 02, 2011, 09:49:02 am »

di CLAUDIO TITO

Il governo in stato confusionale

Il governo e la maggioranza sembrano in stato confusionale. Dopo il lungo vertice di lunedì scorso a Arcore, la manovra correttiva viene di fatto riscritta completamente. Oggi è defintivamente saltata la stretta sulle pensioni di anzianità. La misura che cancellava gli effetti del riscato di laurea e servizio militare. La protesta di tutte le categorie e dei sindacati hanno però costretto il centrodestra ad un repentino dietrofront. Anche perchè il rischio che il Qurinale facesse pesare un giudizio di incosttizuonalità stava crescendo. A rischio appare anche il contributo di solidarietà previsto per i dipendenti pubblici che guadagnano più di 90 mila euro l'anno.
Sta di fatto che la cancellazione del provvedimento sulle pensioni impone al governo di trovare nuove coperture per mantenere i saldi. A questo punto, infatti, mancano all'appello almeno 6 miliardi. Sul tavolo ricompare l'ipotesi di alzare l'Iva di un punto, come proponeva Silvio Berlusconi. Al Tesoro si sta valutando pure l'idea di far crescere le accise su su tabacco e giochi. Del resto, Bruxelles terrà sotto osservazione il pacchetto italiano e già avverte che il governo dovrà concentrarsi anche sulle misure per la crescita e lo sviluppo.
L'opposizione va all'attacco della maggioranza. Per il Pd, ormai, "siamo alla farsa". Anche l'Udc di Casini e l'Idv di Di Pietro sparano alzo zero contro la manovra.
I democratici, però, devono fare i conti anche con il malessere interno. La vicenda Penati e il referendum elettorale scuotono il partito di Bersani. La macchina referendaria, però, è già in marcia e i democratici sembrano ormai obbligati a sostenerla.

da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
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« Risposta #92 inserito:: Settembre 03, 2011, 10:52:02 pm »

di CLAUDIO TITO

Il centrodestra cerca la tregua sulla manovra

Il centrodestra sigla la tregua sulla manovra. Anche se la definizione delle misure sembra non ancora completata. L'emendamento dell'esecutivo infatti non soddisfa quasi nessuno. Buona parte della maggioranza contesta i tagli ai ministeri, i sindaci e i presidenti di Regione attaccano i risparmi sugli enti locali e la Confidustria considera inadeguata la manovra. Per di più i saldi del provvedimenoi - sebbene ieri Giulio Tremonti li abbia garantiti - non risultano confermati. Le entrate dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale non sono certe. Non a caso iniziano già circolare le ipotesi di un condono che però il ministro dell'Economia per il momento smentisce. Per molti però resta l'unica soluzione per assicurare entrate certe. Del resto, i dubbi dell'Unione europea e della Bce tornano ad essere pressanti. Bruxelles pretende certezze che allo stato Palazzo Chigi non fornisce. E la possibilità di un dialogo con l'opposizione è definitivamente saltata: sia il Pd, sia l'Udc non voteranno il decreto.
Per di più il presidente del consiglio si sente ora sotto assedio dopo l'apertura del nuovo capitolo dell'inchiesta sulle escort. I verbali dell'arresto di Tarantini hanno provocato una bufera su Silvio Berlusconi. Il cavaliere nega qualsiasi tipo di coinvolgimento e anche di essere stato ricattato.
Il Pd invece è ancora alle prese con il confonto interno sulla legge elettorale e sul caso Penati.

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« Risposta #93 inserito:: Ottobre 08, 2011, 11:10:24 am »

di CLAUDIO TITO

Continua lo scontro tra Napolitano e la Lega

Lo scontro tra il presidente della Repubblica e la Lega non si ferma. Napolitano ha confermato la sua difesa dell'Unità d'Italia.
Spiegando che il Paese non può crescere se anche il Sud non avanza. Il capo dello Stato ha anche ricordato che il suo ruolo lo obbliga alla totale imparzialità nei confronti di tutti i partiti.

Ma proprio il suo richiamo alla riforma elettorale, ha provocato uno scossone tra le forze politiche. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha spiazzato sia il Carroccio sia il Pdl con l'esortazione a svolgere il referendum. L'esponente leghista teme che una riforma elettorale possa penalizzare i lumbard e avverte gli alleati che se fosse questa l'intenzione, allora la Lega si schiererebbe per la consultazione popolare.

Ma la sua posizione e l'apertura alle riflessioni di Diego Della Valle hanno accesso lo scontro interno al Carroccio. La base è in rivolta e la resa dei conti tra maroniani e "cerchio magico" bossiano sembra ormai inevitabile. Calderoli è irritato, Reguzzoni ha sparato contro il titolare del Viminale. E tra due settimane si terrà il congresso di Varese dove si misureranno le forze in campo.

Ad agitare le acque ci si è messo, appunto, anche Della Valle. Il suo attacco ai politici ha ricevuto critiche bipartisan.

I soli a difenderlo sono Casini e Maroni. Il patron della Tod's sembra pronto a scendere in campo. Anche se per il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è una mossa finalizzata solo a prendere il controllo di Confindustria. Sebbene a Palazzo Chigi vedano nel suo manifesto e in quello della Marcegaglia anche il tentativo di arrivare a un governo tecnico.

Nel campo del centrosinistra, invece, Sel e Di Pietro riescono a riempire Piazza Navona. Entrambi criticano il Pd di Bersani e chiedono una svolta con le primarie. Soprattutto, avverte Vendola, per affrontare le elezioni non potrà bastare il "Nuovo Ulivo". Servirà una vera apertura alla società civile.

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« Risposta #94 inserito:: Novembre 03, 2011, 04:51:09 pm »

RETROSCENA

Le consultazioni informali del Colle si valuta la tenuta del Cavaliere

Il capo dello Stato ascolterà anche i pareri di parti sociali e Banca d'Italia sulla crisi economica.

Il nodo-Tremonti pesa sulla capacità di Palazzo Chigi di dare risposte credibili ai mercati

di CLAUDIO TITO

L'EURO boccheggia. Ieri è stata una giornale terribile, segnata dai crolli delle Borse, dall'asfissia delle banche, dall'implosione dei titoli pubblici, dall'allargarsi del divario, in Europa, fra Paesi forti e deboli, da dubbi sempre più diffusi sulla sopravvivenza della moneta comune. Giorgio Napolitano scende in campo. La crisi economica stringe in una tenaglia il nostro Paese e la situazione politica non offre tutte le garanzie perché le misure reclamate dall'Ue vengano approvate rapidamente. Mentre le borse precipitano e il debito pubblico italiano lede la credibilità del sistema, al Quirinale suona l'allarme e il capo dello Stato avvia una sorta di consultazioni informali. Contatti con le autorità istituzionali e politiche, con quelle monetarie e comunitarie. Con i leader politici, dei sindacati e del mondo imprenditoriale. Per illustrare a tutti la delicatezza del momento e saggiarne gli orientamenti. Per esortare Palazzo Chigi a premere sull'acceleratore della concretezza e per capire quali possano essere le eventuali alternative se il centrodestra non si dimostrasse in grado di varare tutti provvedimenti necessari.

Nessun pressing sul Cavaliere a fare un passo indietro, certo, ma solo la consapevolezza che in caso di crisi, il Colle sarebbe obbligato a verificare ogni possibilità per mettere in condizione l'Italia di rispondere all'emergenza economica nel modo migliore. Il colloquio con il presidente del consiglio è stato centrato proprio su questo aspetto. Il capo dello Stato chiede al governo un intervento
celere. "Domani approveremo il primo pacchetto di interventi - ha assicurato Berlusconi -. Possiamo andare avanti senza incertezze. Già stasera vedrò i miei ministri per concordare concretamente ogni singolo provvedimento". Una dichiarazione di cui il presidente della Repubblica ha preso atto, ma di cui verificherà le conseguenze concrete. Il Colle si aspetta che il premier dia un seguito sostanziale alle sue parole. Ma non si nasconde le viscosità che rallentano l'azione del centrodestra: a cominciare dal conflitto tra il presidente del consiglio e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per finire alle incertezze sulla composizione dei provvedimenti. Sa che le fibrillazioni dei mercati sono in questa fase determinate in primo luogo dall'emergenza greca ma si riflettono nel modo più pesante proprio sull'Italia.

La crescita costante dei tassi ai quali vengono collocati i nostri Btp, l'impennata dello spread con i bund tedeschi, la caduta verticale della Borsa di Milano, l'allarme lanciato dall'Abi e da un banchiere di altissimo livello come Giovanni Bazoli, sono tutti elementi che confermano la fragilità italiana e l'analisi che in questi giorni viene elaborata dal Quirinale. Per questo se il governo - e solo se - non riuscisse a fare fronte nella sua compagine ministeriale e in Parlamento allo scadenzario imposto la scorsa settimana dal Consiglio europeo, Napolitano sarebbe obbligato a "verificare" le alternative. Anche se, dicono gli uomini di Napolitano, nelle "consultazioni informali" non si può assolutamente prevedere un automatismo a favore di un esecutivo di larghe intese.
Sta di fatto che ieri la più alta carica dello Stato ha parlato al telefono con il segretario Pd, Pierluigi Bersani, e con il leader Udc, Pier Ferdinando Casini. Entrambi gli hanno confermato la "piena disponibilità" ad appoggiare un esecutivo di "larghe intese". Ma senza Berlusconi. Una linea che stavolta non ha sorpreso il capo dello Stato. Sul Colle, infatti, sono consapevoli che non può più essere il momento di chiedere - come è accaduto la scorsa estate - un contributo nell'approvazione dei provvedimenti preparati dal Cavaliere. "Governo di transizione, una figura credibile in Italia e in Europa che lo guidi, misure d'emergenza per l'economia e riforma della legge elettorale. Ma Berlusconi deve andare a casa", sono le richieste e le condizioni poste da Bersani e Casini. Un modo per dire chiaramente che le "larghe intese" non possono essere confuse con la disponibilità a condividere l'operato del Cavaliere.

Ma per varare un "nuovo orizzonte" al momento manca un passaggio preliminare: le dimissioni del premier. Non a caso oggi il segretario democratico ricontatterà tutti i capi dell'opposizione e anche i cosiddetti "ribelli" del Pdl. Allo studio c'è ora un documento che potrebbe essere scritto e firmato proprio dal gruppo degli "indisponibili" del centrodestra e sul quale convergerebbero i voti di tutta l'opposizione. Un testo da presentare la prossima settimana alla Camera in occasione delle comunicazioni del presidente del consiglio. Una formulazione in cui si eviterebbero toni eccessivamente critici verso questi tre anni di governo Berlusconi, ma si inviterebbe il presidente del consiglio a salire al Quirinale per facilitare le risposte da dare all'emergenza economica. Sarebbe quella, insomma, l'occasione per testare la tenuta della maggioranza dinanzi alla tempesta finanziaria.

Napolitano quindi ora sa che tutta l'opposizione ha offerto la "disponibilità" per un percorso di questo tipo. Nello stesso tempo è intenzionato a "verificare" sia la tenuta della maggioranza sia i malumori che stanno emergendo nel campo del centrodestra. Ma soprattutto vuole seguire i segnali che possono provenire dall'Unione europea. Tutti infatti sono a conoscenza del pressing che anche ieri il Cancelliere tedesco Merkel ha esercitato perché l'Italia adotti gli accorgimenti per evitare il contagio greco. I provvedimenti che oggi verranno annunciati in consiglio dei ministri subiranno una prima valutazione al G20 di Cannes che prende il via domani. Ma il vero banco di prova sarà quello dei mercati finanziari. Sul Colle vogliono "verificare" quale sarà l'esito. E capire se le parole pronunciate la scorsa settimana da Giulio Tremonti fossero fondate: "Il problema non sono le misure, ma è Silvio Berlusconi. Finché c'è lui, ogni provvedimento viene bruciato".

(02 novembre 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #95 inserito:: Novembre 08, 2011, 09:59:00 am »

Diario della crisi

Berlusconi abbandonato anche da Letta e Bossi

di CLAUDIO TITO


"STAI COMMETTENDO un errore. Se vai avanti così, nessuno ti può aiutare. Nemmeno noi. Nessuno può garantirti più i numeri alla Camera". Se a parlare così è un uomo prudente e soprattutto leale nei confronti di Berlusconi come Gianni Letta, allora è davvero inspiegabile l'ostinazione con cui il Cavaliere sta insistendo per la sua strada contro tutto e tutti. Il premier sembra ormai incosciente, quasi in trance. Incapace di capire cosa gli capita attorno e di cogliere i segnali che quotidianamente la Ue e i mercati finanziari gli spediscono con crescente allarme.

Il Pdl - quella che doveva essere la sua creatura e il suo lascito alla politica - ha sostanzialmente alzato le braccia dinanzi alla sua cocciutaggine. Nel bunker di Via dell'Umiltà, persino gli uomini più fedeli non fanno più nulla per evitare la resa dei conti in Parlamento. Come se ognuno volesse scrollarsi di dosso la responsabilità di una sconfitta probabile e liberarsi dal peso di una scelta irresponsabile.

Del resto, il capo del governo ormai agisce in solitudine. Prima ha concordato con lo stato maggiore del suo partito un'uscita di scena, poi ha improvvisamente cambiato idea. E lo ha fatto dopo aver incontrato i suoi figli e il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri. In un pranzo - presente anche l'avvocato-deputato Nicolò Ghedini - in cui si è discusso se fosse più conveniente per le aziende dimettersi o andare avanti. Una circostanza che ha fatto infuriare buona parte del Popolo delle libertà. I ministri più giovani, infatti, sanno che solo se il governo evita un formale voto di sfiducia, possono tenere in vita il centrodestra e giocarsi le proprie carte per il futuro. Ma anche la Lega di Bossi ormai ha deciso di rompere il patto con il Cavaliere.

Ieri il premier aveva pensato persino di porre la fiducia oggi sul Rendiconto generale dello Stato. Una mossa stoppata proprio dal Senatur che non è più in grado di assecondare il capo del governo. I sondaggi in caduta libera impongono una svolta pure al carroccio. E con ogni probabilità se sul Bilancio dello Stato le astensioni saranno più dei voti favorevoli, la Lega potrebbe annunciare lo strappo finale. Il "no" del premier a passare il testimone ad Alfano e Maroni, del resto, è stata l'ultima offerta del Senatur. "Non voglio bruciare Angelino", ha detto Berlusconi a Calderoli. Una risposta che è stata interpretata come una semplice e inaccettabile scusa.

Ma al di là del disorientamento che accompagna tutte le scelte del centrodestra, a Palazzo Chigi continuano a ignorare i messaggi dei mercati. Ieri lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi ha toccato un nuovo record. Per poi scendere dopo le voci sulle sue dimissioni. Un segnale inequivocabile. Che, se associato al commissariamento di fatto da parte dell'Ue e del Fondo Monetario internazionale, rappresenta un'indicazione chiara di quello che gli analisti finanziari, i grandi fondi di investimento e i soprattutto i Paesi stranieri che mantengono un'ampia esposizione con titoli di stato italiano, si aspettano nei prossimi giorni.

Se la politica nostrana scommette sulle elezioni anticipate, gli interlocutori esterni sembrano spingere per un esecutivo "tecnico". Un governo guidato da un personaggio come Mario Monti o come Giuliano Amato (che sta conquistando posizioni anche ai piani alti delle nostri Istituzioni) nella consapevolezza che solo un assetto di questo tipo può garantire una riduzione del debito pubblico con misure anche impopolari. Per questo le forze più responsabili del centrodestra e del centrosinistra si affannano a indicare soluzioni "tecniche". O miste, come sta facendo l'Udc con il "ticket" Monti-Letta.

Ma per ora, di fronte alla paralisi del centrodestra e alla cocciutaggine del Cavaliere, l'unica strada è quella dello scontro frontale. Se oggi, però, le astensioni sul Rendiconto saranno superiori ai voti favorevoli, tutto cambierà. Il Quirinale dovrà prendere atto che la maggioranza in Parlamento non c'è più e quindi decidere la strada da intraprendere. Sapendo che la spinta verso le elezioni viene in primo luogo dal Cavaliere e quella per un esecutivo di transizione è esercitata da chi considera un'emergenza il salvataggio economico del Paese.
 

(08 novembre 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #96 inserito:: Novembre 09, 2011, 05:49:41 pm »


Diario della crisi

L'ultimo sogno del Cavaliere candidarsi ancora come premier

di CLAUDIO TITO


"ADESSO puoi fare come Zapatero. Gli spazi ci sono". L'ultimo consiglio prima di salire al Quirinale glielo ha dato Umberto Bossi. Silvio Berlusconi ha raccolto il suggerimento.

Davanti alle due opzioni che il vertice del centrodestra gli aveva sottoposto ieri pomeriggio, sceglie quella studiata insieme a Gianni Letta, Fedele Confalonieri e i suoi figli. Non il passaggio di testimone a favore di Angelino Alfano o Renato Schifani, ma le dimissioni annunciate e non rassegnate per rinviare lo scontro finale almeno di un mese.

Di fronte alla cruda verità dei numeri, il premier ha preso tempo. La maggioranza alla Camera non c'è più, ma come un giocatore di poker ha fatto slittare l'ultima puntata. Perché la vera paura del Cavaliere in queste ore non erano le dimissioni, ma la nascita di un "governo per l'Europa" guidato da Monti e con un programma economico costruito sulla lettera inviata da Palazzo Chigi a Bruxelles. E quindi difficilmente criticabile dal Pdl.

La legge di Stabilità, allora, verrà approvata con ogni probabilità la prima settimana di dicembre. A Palazzo Chigi sperano addirittura di tirarla per le lunghe e arrivare a metà del prossimo mese. Il tutto per rendere più complicato il percorso per un esecutivo di larghe intese e agevolare lo scioglimento delle Camere. Con una campagna elettorale pilotata dal Cavaliere - ancora seduto sulla poltrona della presidenza del consiglio - e affrontata dal Pdl come il partito che ha varato la manovra "europeista"
anti-crisi.

Del resto, nel disegno di Berlusconi la traiettoria è chiara: andare a votare a febbraio facendo balenare la possibilità di candidare Angelino Alfano. Ma lo schema che ancora sogna è un altro: ripresentarsi come aspirante premier, spiegare al segretario Pdl che non c'è più il tempo per le primarie che tutto il partito invoca. Quindi "correre" di nuovo sperando nella ricorsa nei sondaggi e avendo in mente l'elezione del successore di Napolitano fissata per la primavera del 2013.

Ma il progetto berlusconiano sembra al momento solo una tattica studiata a tavolino. Perché il capo dello Stato non ha fornito alcuna garanzia al presidente del consiglio sul voto anticipato. L'opposizione - che ha ben capito gli obiettivi del premier - sta cercando di giocare di anticipo. Stringendo, come ha chiesto il presidente della Repubblica, i tempi di approvazione della legge di Stabilità.

Il Pd e l'Udc hanno bisogno di fare avviare le consultazioni del Colle a novembre e non a dicembre. E anche la mossa che ha portato ieri all'astensione sul Rendiconto dello Stato mirava proprio a compattare il momento della verifica.

Ma soprattutto da qui alle prossime settimane, il Pdl rischia di dover fare i conti con una nuova slavina di fuoriusciti. Il Terzo polo, che i sondaggi quotano oltre il 15%, è una calamita. Il plotone di parlamentari del centrodestra contrari alle urne tocca quota cinquanta secondo i calcoli di un uomo esperto di numeri come Denis Verdini. Ma l'ostacolo maggiore per le elezioni anticipate è costituito dai mercati e dall'Unione europea.

Prova ne sono le pressanti richieste che ancora provengono da Bruxelles per un ulteriore intervento italiano sul debito pubblico. Una nuova correzione dei conti che sembra comprendere anche il richiamo a un governo tecnico di larghe intese. Le oscillazioni dello spread tra i Btp e Bund tedeschi, insomma, appaiono in questa fase molto più decisivi della dialettica politica nostrana.

Nel partito del Cavaliere, poi, molti - a cominciare da Formigoni e Scajola - vogliono evitare la tagliola elettorale. Preoccupati che Alfano gestisca le liste elettorali - con il Porcellum - costruendosi i gruppi parlamentari a sua immagine e somiglianza.

Lo stesso allarme è scattato nella componente maroniana della Lega. Il ministro dell'Interno, infatti, teme che l'"epurazione" minacciata dal cosiddetto "cerchio magico" bossiano prenda corpo proprio nelle candidature alla Camera e al Senato. Non a caso Maroni da qualche giorno spinge per il ritorno al Mattarellum: un sistema elettorale che sottrae alle segreterie il dominio delle candidature.

Sono quindi ancora tante le barriere che deve superare Berlusconi. A meno che nel centrosinistra qualcuno non abbia la tentazione di abbassarle sperando di lucrare sulle attuali posizioni di vantaggio per andare ad incassare nelle urne.

 

(09 novembre 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #97 inserito:: Novembre 15, 2011, 05:28:33 pm »

IL COMMENTO

Il rischio che nasca il governo di nessuno

di CLAUDIO TITO

"La verità è che qualcuno ancora spera nelle elezioni in primavera". La riflessione che Pier Ferdinando Casini ha fatto ieri nell'incontro con Mario Monti e successivamente con gli esponenti del Terzo Polo, illustra bene l'impasse che blocca il governo del neosenatore a vita. L'incarico che domenica sera Napolitano ha affidato all'ex commissario europeo si sta rivelando infatti molto più complicato del previsto.

Non solo i tempi per la formazione dell'esecutivo si stanno allungando, ma la qualità del sostegno che i due principali partiti del Paese - Pdl e Pd - intendono fornire, si presenta assai scadente. Il no alla presenza di ministri politici, al di là della robustezza della squadra "montiana", rischia di mettere in discussione la nascita della nuova compagine. Un pericolo di cui si è ben reso conto il Professore che chiede un "convinto sostegno" al suo sforzo. Nella consapevolezza che il suo potrebbe presto rivelarsi il "governo di nessuno".

Senza "padrini" ma anche senza "difensori", in balia di un Parlamento che storicamente non ha mai apprezzato i "tecnici". Il presidente del consiglio incaricato sa che se Pdl e Pd continuano a prendere le distanze, il suo sforzo può presto incagliarsi tra i veti dei partiti. Il suo orizzonte temporale si ridurrebbe drasticamente e nel giro di poco tempo potrebbe essere costretto a fare i conti con le Camere "vietnamizzate". Molti infatti già pongono un interrogativo a Monti: come può un "tecnico" superare lo scoglio delle commissioni Bilancio composte da parlamentari abituati a tutto? Come può far digerire la prossima manovra economica?

Interrogativi che sono ben noti al Quirinale che infatti sta tentando un'ultima mediazione per garantire un percorso sminato. Napolitano sa bene che senza una concreta copertura politica, lo spettro del voto ad aprile o maggio può improvvisamente materializzarsi. Sta di fatto che le ritrosie del Popolo delle libertà e il veto dei Democratici si sostengono vicendevolmente e sicuramente sono in grado di limitare il raggio di azione temporale di Monti. Del resto, sebbene Berlusconi sia ormai pronto ad avallare l'eventuale nomina di Gianni Letta, molti nel suo partito non fanno nulla per nascondere l'obiettivo del voto anticipato. Così come il "niet" di Bersani - sebbene non sia condiviso da tutti i democratici - sembra denunciare la volontà di usare il gabinetto Monti soprattutto per chiudere la stagione berlusconiana e quindi tornare davanti agli elettori. E il Colle sta seguendo con irritazione il gioco dei veti incrociati.

Eppure, al di là delle consultazioni insolitamente lunghe con gruppi parlamentari dal peso politico decisamente esiguo, il premier incaricato si sta facendo carico di un'emergenza senza precedenti per il Paese. Ieri lo spread con i bund tedeschi è tornato a salire e lo stesso Monti ha lanciato un monito drammatico ai "consultati": "Abbiamo due mesi per salvarci". Il giudizio che oggi daranno i mercati alle indecisioni della politica saranno allora determinanti. Un'impennata dei tassi dei nostri titoli di Stato potrebbe assestare l'ultimo scossone alle timidezze di Pd e Pdl. Come le fibrillazioni sulle quotazioni dei Bot hanno di fatto determinato la caduta di Berlusconi, così potrebbero imporre una nuova svolta bocciando la credibilità di una squadra senza politici. In quel caso l'ipotesi di blindare l'esecutivo con una significativa rappresentanza proveniente dai partiti si ripresenterebbe prepotentemente. A quel punto la richiesta del senatore a vita di vedere al suo fianco Gianni Letta, Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini o in alternativa di immaginare un tandem  Amato-Letta tornerebbe sotto esame. Ma di certo, Monti e Napolitano hanno l'esigenza di chiudere la partita in tempi brevissimi. Nessuno può sfidare troppo a lungo i mercati.

(15 novembre 2011) © Riproduzione riservata

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« Risposta #98 inserito:: Febbraio 12, 2012, 07:34:33 pm »


LE RIFORME

Articolo 18, vertice segreto Monti-Camusso norma sospesa per ex precari e nuove aziende

Il premier ha incontrato il leader Cgil prima del viaggio in Usa.

L'ipotesi prevede un congelamento fino a 4 anni.

Coinvolti anche i titolari delle partite Iva

di CLAUDIO TITO


ROMA - Un incontro segreto. Un faccia a faccia per sbloccare la trattativa. E dare uno sbocco alla riforma del mercato del lavoro. Dopo quasi tre mesi dal suo insediamento a Palazzo Chigi, Mario Monti ha deciso di parlare faccia faccia con il segretario della Cgil, Susanna Camusso. Ottenendo un primo compromesso sulle misure che l'esecutivo varerà entro marzo.  Il premier sta studiando una soluzione che consenta al governo di presentare all'Unione europea e ai mercati una "moderna" riforma del lavoro. E ai sindacati tutti, compresa la Cgil, di non dover salire sulle barricate. Una mediazione che salvaguardi la sostanza dell'articolo 18  e al tempo stesso le esigenze del mondo occupazionale che rischia di diventare sempre più asfittico se non interviene proprio su quella stessa norma.

FACCIA A FACCIA IN "CAMPO NEUTRO"
Il presidente del Consiglio e il capo della Cgil non si erano mai parlati faccia a faccia. Lo hanno fatto per la prima volta nei giorni scorsi. Un lungo colloquio prima che il presidente del Consiglio partisse per gli Stati Uniti. Un confronto serrato, diretto. Che si è chiuso con qualcosa di più una stretta di mano. Non un testo definitivo o un documento, ma la disponibilità reciproca a chiudere nei tempi stabiliti un'intesa. All'interno di un perimetro composto da alcune direttrici principali: una normativa che "sospenda" e non cancelli l'articolo 18 per chi esce dal "precariato". E una "interpretazione" meno rigida
del principio di "giusta causa" da parte dei tribunali del lavoro. L'incontro è stato richiesto dal capo del governo. E si è svolto in "territorio neutrale".

MONOTONIA DEL POSTO FISSO
Le polemiche su quella frase sulla "monotonia del posto fisso" avevano provocato uno strascico di polemiche considerato troppo pericoloso per il prosieguo della trattativa e anche per conservare integro il rapporto con il Pd. Il Professore voleva spiegarsi, chiarire che l'obiettivo dell'esecutivo non sarebbe mai stato quello di boicottare la stabilità contrattuale dei lavoratori. Come aveva fatto pubblicamente, ha riconosciuto che quella formula è stata "infelice", ma "involontaria". Le parole di Monti hanno in qualche modo rasserenato il segretario della la diffidenza iniziale si è rapidamente trasformata in "reciproca comprensione". Ma soprattutto hanno messo il confronto su binari che fino a quel momento apparivano impercorribili. I due  -  nella schiettezza reciproca  -  hanno iniziato a capirsi e a tenere conto delle rispettive necessità. Calando così la discussione su aspetti più concreti del negoziato. Che certo non può ritenersi concluso e che dovrà ora superare la prova della trattativa ufficiale.

IL NODO DEI PRECARI
"Noi siamo qui per fare le cose, altrimenti potevano rimanere ai nostri posti", ripete da giorni il presidente del consiglio. E quel "fare le cose" è riferito anche alla riforma del mercato del lavoro. Palazzo Chigi considera l'intervento sull'articolo 18  -  non la sua cancellazione  -  un passo decisivo per adeguare l'Italia alle nuove esigenze della globalizzazione e renderla competitiva in una fase critica per la nostra economia. In questo scambio di opinioni allora uno dei punti valutati ha riguardato la "sospensione temporanea" dell'articolo 18 per alcune categorie di lavoratori. Una soluzione che anche la Camusso ha accettato di soppesare. L'idea è quella di prevedere per chi ha una lunga esperienza di precariato la possibilità di passare alla "stabilità" accettando una prima fase in cui per tre o quattro anni non è vietato interrompere il rapporto. Un modo per far uscire molti giovani dalla transitorietà lavorativa. Magari associando una convenienza fiscale e previdenziale al datore che "stabilizza" il dipendente.

NUOVE IMPRESE E PARTITE IVA
Stesso discorso per le nuove iniziative imprenditoriali. A Palazzo Chigi sanno bene che il 97 per cento delle aziende e il 67 per cento dei lavoratori sono già sottrattati alla disciplina dell'articolo 18 perché impiegati in strutture con meno di 15 dipendenti. Difficilmente nasceranno un numero consistente di medie e grandi imprese. Ma costituisce soprattutto un segnale agli investitori internazionali. Un messaggio ai mercati che si aspettano delle novità su questo terreno. Ragionamento analogo sulle partite iva. Molti lavoratori dipendenti sono "costretti" ad aprire quel regime fiscale per consentire al datore di mascherare il rapporto di dipendenza (non a caso il numero di lavoratori autonomi appare troppo elevato in Italia, circa 9 milioni).

QUANDO SI ARRIVA IN TRIBUNALE
"Per come viene applicato in Italia l'articolo 18 sconsiglia l'arrivo di capitali stranieri e anche di capitali italiani", aveva detto il premier il 3 febbraio. Un chiaro riferimento al processo del lavoro, a una giurisprudenza troppo rigida e a tempi di definizione delle cause troppo lunghi. Una questione affrontata dal Professore e dal leader Cgil. E che potrebbe portare ad una "interpretazione ufficiale" della norma meno drastica e con modalità temporali meno dilatate. Una questione sulla quale presto verrà coinvolta anche il ministro della Giustizia Severino.

IL FATTORE UNITA' SINDACALE
Uno degli aspetti che negli ultimi giorni ha facilitato il dialogo con la Cgil riguarda la posizione del governo sulla "unità sindacale". "Non seguiremo la linea Sacconi volta a spaccare le organizzazioni dei lavoratori", è il refrain che ripetono a Palazzo Chigi. Monti non intende insomma lavorare per dividere Cgil Cisl e Uil. Soprattutto non rientra nei suoi piani aprire un canale privilegiato con uno o alcuni dei tre leader confederali. L'abitudine del precedente governo di escludere sistematicamente la Camusso da ogni trattativa o decisione sarà respinta dal premier e dal ministro del lavoro Fornero. Una linea, peraltro, che all'inizio di questa esperienza governativa aveva provocato qualche incomprensione proprio con la Cisl di Bonanni. "Non lavoro per spaccare i sindacati", dice Monti. Ma nemmeno per una "concertazione" old style. Nell'esecutivo è maturata la convinzione che per persuadere l'Unione europea e i mercati non può essere avallata una politica di totale condivisione. Anche perché proprio da Bruxelles Palazzo Chigi si aspetta un richiamo esplicito sul mercato del lavoro italiano e sull'articolo 18.

MERCOLEDI' INCONTRO UFFICIALE
Il negoziato ufficiale intanto va avanti. E con ogni probabilità il governo riceverà nuovamente mercoledì prossimo tutte le delegazioni delle parti sociali. Anche il ministro Lavoro, dopo la riunione di mercoledì scorso con la Cgil, aveva manifestato un certo ottimismo: "Vedo un bel sentiero largo". E in seguito al chiarimento tra Monti e Camusso quel sentiero sembra essersi ampliato. Il progetto resta quello di chiudere l'intesa in ogni aspetto entro marzo. Escluso il ricorso al decreto, gli uomini del premier e di Fornero si stanno sempre più concentrando sulla legge delega. Un percorso comunque da completare e che nessuno nell'esecutivo può immaginare senza ostacoli e future incomprensioni. Anche il Professore sa bene che nonostante la "disponibilità" della Cgil, la riforma del lavoro difficilmente potrà essere approvata senza la protesta dei sindacati.

(12 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #99 inserito:: Marzo 14, 2012, 11:19:55 am »

IL COMMENTO

L'agguato della politica

di CLAUDIO TITO


Normalmente la "luna di miele" che accompagna i governi dopo la loro nascita riguarda il rapporto con il proprio elettorato e con l'opinione pubblica. La consonanza tra un esecutivo e i cittadini prosegue o si interrompe sulla base dei provvedimenti che vengono adottati. Solo quando viene meno questo rapporto, gli effetti ricadono sulla maggioranza che lo sostiene. Sui partiti che compongono la coalizione. Nel caso di Monti, invece, sta accadendo esattamente il contrario.

A fronte di indici di popolarità ancora alti, sembra che siano le forze politiche a voler sospendere la "luna di miele". L'avvicinarsi delle elezioni amministrative sta giocando un ruolo determinante nelle scelte di Pdl, Pd e Udc. Anche il tentativo di prendere le distanze dai "tecnici" per configurare un futuro assetto "politico" rischia di abbattersi pesantemente sull'azione del governo.

E i segnali che sono stati lanciati ieri  -  nelle aule del Parlamento e anche al di fuori  -  rappresentano un primo campanello d'allarme per Palazzo Chigi. Alla Camera sono stati approvati ben tre ordini del giorno (di cui uno di chiaro stampo anti-liberalizzazioni, quello sulle edicole) contro il parere dei ministri. Contemporaneamente Elsa Fornero, titolare della delicata partita sulla riforma del lavoro, ha messo il piede in fallo con una frase che ha fatto irritare i partiti e i sindacati.

Un incidente che con ogni probabilità non comprometterà le chance di arrivare ad un'intesa con Cgil, Cisl e Uil, ma
che di certo complicherà l'iter del negoziato. Eppure un primo effetto l'ha prodotto: ha marcato quella distanza che proprio le forze politiche vogliono far emergere in questa fase. E in qualche modo ha ancora di più vincolato la posizione del Pd a quella del sindacato.

"Non tira una bella aria  -  diceva ieri il leader centrista, Pier Ferdinando Casini  -  è bene che si diano tutti una calmata, altrimenti...". Un messaggio lanciato agli alleati di Pd e Pdl, ma anche ad alcuni ministri. La conseguenza minacciata da Casini non contempla tanto l'ipotesi di una improvvisa crisi dell'esecutivo, ma quella di una paralisi permanente.

L'impossibilità per Monti di vedersi approvati i suoi provvedimenti. Una palude da cui sarà sempre più arduo uscire e che non sarà giustificabile agli occhi dell'Europa e dei mercati. Si tratta di un pericolo ben presente a Palazzo Chigi che ora teme di mettere a repentaglio i risultati conquistati sullo spread con i bund tedeschi e ottenuti nel dialogo con Angela Merkel sul Fondo salva-Stati.

Anche per questo il premier ha già convocato il vertice di maggioranza per domani e soprattutto ha spiegato che non intende rinunciare a interventi su terreni di "battaglia" come la giustizia e la Rai. Non vuole limitare la sua azione all'angusto spazio del risanamento economico. Senza, però, ignorare la maggioranza che lo sostiene. Insomma, senza l'appoggio di tutte le forze politiche non provocherà strappi. Un realismo che si coniuga con un dubbio: "Non si capisce  -  è il ragionamento del Professore  -  se in questa fase le forze politiche si stiano rivolgendo al loro elettorato o piuttosto a se stessi".

È sicuro infatti che nessuno sia in grado di sfilarsi, ma sa anche che sta prendendo corpo una delle più lunghe stagioni elettorali. Iniziata adesso per finire tra un anno. E il "gioco" dei veti incrociati da sbandierare nei comizi o in tv può costituire il nemico più acerrimo del governo dei tecnici.

Domani Monti incontrerà i leader dei partiti e la prossima settimana parteciperà all'incontro con le parti sociali sulla riforma del lavoro. Con i primi sarà chiamato a riordinare il rapporto concordato a novembre scorso evitando di farsi sottoporre a veti o condizioni nella scelta dei settori di intervento. Non può accettare di farsi chiudere nel perimetro di azione stabilito dalle forze politiche. Ma soprattutto dovrà imprimere un'accelerazione sulla trattativa con i sindacati. "La possibilità di chiudere un accordo  -  ha ripetuto ieri  -  restano intatte". Anzi, a suo giudizio proprio le reazioni di Cgil, Cisl e Uil dimostrano che l'intesa si avvicina e che Camusso, Bonanni e Angeletti hanno attivato gli ultimi meccanismi per alzare la posta.

Nonostante l'ottimismo "montiano", dunque, il Professore deve fare i conti con un clima che rischia di peggiorare. Non solo tra meno di un mese si terranno le amministrative, ma quel voto è potenzialmente dirompente per il partito principale della sua coalizione: il Pdl. Se il risultato fosse pesantemente negativo per i "berlusconiani", difficilmente il Popolo delle libertà avrà la capacità di resistere alla forza centrifuga. Il suo segretario, Alfano, già fortemente indebolito dai giudizi del Cavaliere, si potrebbe ritrovare a guidare un vascello senza rotta, una squadra inclinata verso l'implosione.

Senza contare, poi, che il quadro politico con cui questi partiti si presenteranno alle urne di maggio sarà completamente diverso rispetto a quello che caratterizzerà le elezioni politiche del 2013. Gli scossoni che porteranno al nuovo contesto potrebbero riflettersi prima sul governo e solo successivamente sulle alleanze per la prossima legislatura. E Monti dovrà misurarsi con tutti gli agguati della politica.

(14 marzo 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #100 inserito:: Marzo 23, 2012, 11:07:33 pm »

RETROSCENA

La moral suasion di Napolitano riapre la partita

Il premier: "Possibili modifiche alla Camera"

Scelto lo strumento della legge delega.

Per il Quirinale troppa enfasi sull'articolo 18.

Telefonata di Monti a Bersani: "Sapete che abbiamo sempre rispettato gli impegni"


di CLAUDIO TITO

"IL TESTO può essere migliorato in Parlamento". Dopo una lunga giornata di incontri e colloqui Mario Monti lancia il segnale che il Pd attendeva. La riforma del lavoro non può essere considerata blindata. Le Camere potranno intervenire senza però snaturarla.  Una linea che in serata il premier comunica direttamente a Pierluigi Bersani in una lunga telefonata. Un chiarimento che si basa però su un presupposto che il premier considera preliminare: gli impegni sono sempre stati rispettati, mai è stata violata la parola data. Una risposta alle dichiarazioni fatte mercoledì sera proprio dal leader Pd durante la trasmissione "Porta a Porta".

Non ci saranno quindi pacchetti preconfezionati. Di certo nessun decreto. Lo strumento prescelto è quello della legge delega. E dopo la schiarita intervenuta nelle ultime ore, il Consiglio dei ministri di stamattina proverà ad approvare il disegno di legge con la formula "salve intese". Un modo per rassicurare i democratici, prendere ancora una settimana per limare il testo e nello stesso tempo permettere al presidente del Consiglio di partire per il suo viaggio in Cina con la riforma già approvata.

Una soluzione che il Professore ha condiviso con il Presidente della Repubblica. Napolitano ha ricevuto al Quirinale la delegazione di governo formata dal premier, dal ministro del Lavoro e da Federico Toniato. Dopo le tensioni con il Partito democratico e la spaccatura della Cgil, i riflettori
del Colle si sono concentrati proprio sulle conseguenze politiche potenzialmente provocate dalla riforma Fornero. Sui rischi determinati da quelle che Napolitano ha definito in passato le "opposte simbologie".  Lo scontro, cioè, tra chi ha trasformato la difesa e la modifica dell'articolo 18 in una sorta di totem.

Preoccupazioni già espresse dal Capo dello Stato nei giorni scorsi con un richiamo alla necessità di intesa rivolto a tutti gli interlocutori e non solo alle organizzazioni sindacali. Non è stato un caso allora che da ieri la "moral suasion" del Capo dello Stato si sia fatta sentire con Palazzo Chigi e con le forze politiche. Contatti che hanno permesso a Napolitano di chiudere la giornata con un senso di maggiore serenità e con la certezza che il provvedimento conterrà anche alcune delle chiarificazioni richieste. Il Capo dello Stato ha visto Monti e ha sentito Bersani, ha parlato con Casini e ha trasmesso i suoi messaggi ai vertici del Pdl.

L'idea del decreto non gli è stata prospettata da Monti ma sul ricorso eccessivo alla decretazione di urgenza ha sempre espresso i suoi dubbi in tutti i suoi anni di mandato: lo ha fatto con Prodi e con Berlusconi. La sua posizione non è cambiata con Monti. Anche perché i decreti spesso a suo giudizio provocano ingorghi, fatica e sofferenza. Ma questa volta con il premier non c'è stato nemmeno bisogno di spiegare la sua eventuale opposizione. Del resto il Presidente della Repubblica è convinto che la soluzione progettata da Palazzo Chigi possa essere quella giusta. A condizione che non si porti in Parlamento un pacchetto preconfezionato e si consenta un esame da parte delle Camere approfondito seppure in tempi ragionevolmente rapidi. Lo strappo della Cgil, infatti, impone ancor di più di calibrare i passi. Il Professore e gli uomini del Quirinale hanno in questi giorni più volte evidenziato che l'adesione della Camusso al modello tedesco non era mai stato esplicitato. Tutto si è sempre limitato alla definizione vaga di "manutenzione" dell'articolo 18.

Eppure, nello stesso tempo, dal Colle è stata sottolineata la bocciatura da parte della stessa confederazione dell'ipotesi di tornare alla difesa sic et sempliciter della norma sui licenziamenti. Una proposta avanzata ai vertici Cgil dal capo della Fiom Landini. Il voto contrario è stato giudicato il segno che anche a Corso d'Italia è ormai maturata la consapevolezza che non tutto può più rimanere come prima. Il sistema tedesco, poi, non è comunque facilmente applicabile in Italia. Napolitano si è fatto mandare tutto il materiale disponibile per capire i meccanismi di quel modello: capendo quanto sia complicato quel sistema e soprattutto verificando che i reintegri in Germania sono rari. E che quasi tutti i casi più spinosi vengono risolti dai consigli di fabbrica. La vera questione, sottolineata di recente dal Quirinale, riguarda l'enfatizzazione eccessiva data proprio dalla Cgil al tema dei licenziamenti. Una linea che ha offerto la possibilità agli avversari di trasformare quel nodo in un banco di prova. Napolitano in questi giorni ha ricordato le battaglie storiche del sindacato, ma non ha nemmeno dimenticato le sconfitte come quella sulla scala mobile.

Nell'incontro ristretto che si è svolto ieri al Quirinale, si è poi fatto notare che per il governo la riforma del lavoro è la logica conseguenza degli interventi fatti negli ultimi mesi su pensioni e liberalizzazioni.  Anche per questo il Colle non condivide chi contesta la rigidità manifestata in alcune occasioni da parte del Professore. La questione sociale è un valore da difendere - lo ha ripetuto in questi giorni il Presidente della Repubblica - ma non a costo dell'immobilismo. Nello stesso tempo al Quirinale nessuno nasconde i pericoli di una tensione sociale crescente. Timori manifestati anche con il presidente del Consiglio. Tensioni che Palazzo Chigi non vuole avallare e proprio per questo ha apprezzato la presa di distanza della Cgil dall'episodio che ha coinvolto l'altro ieri il segretario del Pdci Diliberto con una militante che indossava una maglietta inneggiante alla morte del ministro Fornero.  Anche per questo da ieri Monti ha fatto di tutto per tendere la mano verso il Pd. "Voglio unire e non dividere", spiega in queste ore. Sa che il malessere dei democratici non può essere sottovalutato. È addolorato per il no della Camusso ma non intende nemmeno fare dietrofront sull'intera riforma. A Bersani - ma anche a Fini e a Schifani - ha spiegato che proprio in Parlamento possono intervenire delle modifiche in grado di evitare spaccature "nella maggioranza e dentro i partiti della coalizione che sostiene il governo". Soprattutto il premier vuole impedire che il Pdl possa mettere in atto una strategia capace di allontanare il Pd dal governo.  Sospetti questi che anche il segretario democratico ha iniziato a coltivare. Non solo. Bersani ha voluto ieri in primo luogo far notare a Monti che le conseguenze di una riforma non condivisa "non possono essere sottovalutate". E i primi segni di queste conseguenze sono già emersi con le dichiarazioni pubbliche della Cei e della Cisl che ha corretto in corsa la sua impostazione.

Un primo chiarimento, quindi, tra Palazzo Chigi e il Pd è intervenuto. Non solo con Bersani. Monti ieri alla Camera ha voluto parlare anche con due esponenti di due correnti diverse all'interno dei democratici: con D'Alema e con Fioroni. E sul banco della trattativa da ieri il Professore ha messo anche un altro intervento: una nuova iniziativa in materia sociale. Un'ultima offerta per persuadere definitivamente il Pd.

(23 marzo 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #101 inserito:: Marzo 28, 2012, 03:26:45 pm »

IL COMMENTO

La paura di perdere

di CLAUDIO TITO


LA PAURA di perdere le prossime elezioni. Sembra questo l'architrave su cui poggia l'accordo trovato ieri dai tre partiti della maggioranza che sostiene il governo "tecnico". Sull'idea che nessuna forza politica  -  a cominciare da Pdl, Pd e Udc  -  sia in grado di scommettere sul risultato delle prossime elezioni politiche. Tutti sperano di tenersi le mani libere e ognuno punta a limitare i danni. Lasciando aperta la porta ad ogni soluzione per il dopo-voto. L'intesa preparata da Alfano, Bersani e Casini è soprattutto il frutto di una convergenza di interessi.

E lo dimostra l'idea di tornare a un sistema sostanzialmente proporzionale, cancellando il vincolo di coalizione e assegnando un premio che non determina la maggioranza. Di fronte ad una instabilità, tipica degli ordinamenti e dei sistemi politici transitori, i tre principali partiti si adattano alla "corsa solitaria" e mirano a rimettere tutti ai nastri di partenza nella previsione che nessuno potrà vincere da solo. Proprio come accadde nel 1946 con la legge elettorale per l'Assemblea Costituente e nel 1948 per la prima tornata parlamentare dopo la caduta del fascismo e l'entrata in vigore della Costituzione.

Una convergenza di interessi che consente al Pdl di limitare la probabile  -  almeno al momento  -  sconfitta senza precludere la possibilità di ricomporre l'alleanza con la Lega dopo il voto. Nella consapevolezza, peraltro, di non avere un candidato premier sufficientemente forte e autorevole.

Al Pd di mettere definitivamente in soffitta la cosiddetta "foto di Vasto" e l'alleanza con Vendola e Di Pietro. Bersani spera così di contare sulla chance di presentarsi per la presidenza del consiglio senza dover trattare con nessuno la sua premiership e predisponendo un patto successivo con il Centro di Casini.

I centristi, invece, non saranno obbligati ad una scelta di campo preventiva, potranno confidare nel ruolo di ago della bilancia che i sondaggi gli assegnano sempre più e di coltivare il progetto di mantenere Mario Monti a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura (l'indicazione del premier non è prevista in Costituzione e quindi non sarà obbligatorio rispettare le designazioni dei partiti). Senza dimenticare che subito dopo il voto, le Camere dovranno eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica e nel gioco delle trattative chi  -  come il Terzo Polo  -  sarà determinante negli equilibri parlamentari potrà avere più carte da spendere nella corsa al Quirinale.

Insomma, tutti potranno fare la campagna elettorale in solitaria senza compromettere nulla. Perché tutto si gioca solo a urne chiuse. Anche l'eventuale riproposizione di una Grande Coalizione. E chi sa se anche per questo ieri Monti ha fatto sapere ai tre leader di aver apprezzato il buon esito del vertice.

Ma il patto tra Alfano Bersani e Casini, deve superare due scogli che possono compromettere il loro delicato equilibrio: la riforma del lavoro e la giustizia. Il premier sa che il disegno di legge della Fornero rischia un'interminabile Odissea in Parlamento senza una mediazione con il Pd. E anche dentro il suo esecutivo, alcuni autorevoli ministri gli hanno fatto sapere che è indispensabile sanare il rapporto con il Pd e con la Cgil.

Rispolverando il modello tedesco e il principio del reintegro troppo rapidamente archiviato. Mentre sul capitolo giustizia resta vagante la mina attivata da Silvio Berlusconi. Che ad ogni occasione reclama una precisa garanzia per il suo futuro. Questioni che il Professore dovrà affrontare al ritorno dal suo viaggio in Estremo Oriente.

(28 marzo 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #102 inserito:: Aprile 02, 2012, 04:55:54 pm »

IL COLLOQUIO

Mediazione di Bersani sull'articolo 18 "Cambiamolo insieme prima di maggio"

Parla il segretario del Pd: "La riforma va salvata: sì al reintegro. Ma io non sono agli ordini della Cgil. Ho la sensazione che anche nel Pdl ci stanno riflettendo. Nel Paese c'è ansia"

di CLAUDIO TITO

"IO VEDO la possibilità di un punto di caduta condiviso in Parlamento e lo scenario di un incaponimento del governo non lo prendo nemmeno in considerazione". Sa che il dossier lavoro sta diventando il segno distintivo di questa legislatura. Ma soprattutto, per Pierluigi Bersani, è l'occasione affinché il governo Monti e questa "strana maggioranza" "non mandino all'aria una riforma rilevante".

"Una buona riforma - aggiunge Bersani - se si corregge qualche aspetto". Il segretario dei Democratici vuole aprire tutti possibili spiragli per evitare che il disegno di legge vada a impantanarsi nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama. È sicuro che "un'intesa sia vicina", basta ricorrere a un "pò di senso di equilibrio". Ed è pronto a mettere sul tavolo della trattativa alcune delle richieste del Pdl sulla "flessibilità in entrata": "soprattutto se si tratta di alleggerire un certo carico burocratico". Seduto sul divano della sua casa a Piacenza, più che dettare le condizioni segnala la mediazione possibile per un accordo. "E per approvare il testo in tempi rapidi. Almeno in un ramo del Parlamento vorrei chiudere la sostanza del problema anche prima del 6 maggio, prima delle amministrative. Non si può lasciare per aria questo tema per troppo tempo, nessuno ci guadagna a perdere giorni".

Il testo studiato dal ministro Fornero, però, non è stato ancora definito. Il via libera del consiglio dei ministro è stato solo "salvo intese". Un modo istituzionale per dire che va ancora approfondito e soprattutto elaborato. E infatti verrà depositato in settimana al Senato e alla Camera dopo l'ultimo vaglio da parte del premier. Che domattina discuterà proprio le ultime limature con la titolare del welfare e con il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera.
Dopo il lungo tour in Asia, Mario Monti torna stasera in Italia. E sulla sua scrivania a Palazzo Chigi troverà un solo capitolo da affrontare con la massima urgenza: quello della riforma del lavoro. Un'impellenza che non si basa solo sulla necessità di mettere mano a un provvedimento atteso dalla comunità finanziaria internazionale, ma anche su quella di tenere unita la sua maggioranza.

Il nodo che al momento sembra inestricabile si stringe sempre più intorno all'articolo 18. Le parole magiche che i democratici ripetono sono vieppiù le stesse: "reintegro" e "sistema tedesco". "Ma non per lasciare le cose come stanno - spiega il leader Pd - . Anche io lo voglio cambiare, ma ci sono delle strade che renderebbero tutto più facile e soprattutto più comprensibile per il Paese". Il capo dei democratici sembra in primo luogo preoccupato che la sua posizione non venga interpretata come una battaglia "partitica": "Non voglio piantare bandierine, cerco una soluzione equilibrata. Avete visto le cose che ha detto il Cardinal Bagnasco? Mica anche lui sarà al seguito della Cgil... ".

Quindi, qualcosa che "si avvicina al modello vigente in Germania", e non esattamente la sua riproposizione, metterebbe in discesa la discussione. "Vedo - avverte Bersani - che alcuni meccanismi di instabilità finanziaria stanno tornando, l'Europa soffre perché i famosi mercati vedono l'avvitarsi della situazione nei meccanismi dell'austerità e non della crescita. Il nostro dovere, allora, è lanciare un segnale di solidità: dire che remiamo tutti dalla stessa parte". Nei mesi scorsi è stata compiuta già un'operazione - "quella sì epocale" - sulle pensioni. Adesso "abbiamo l'opportunità - se non vogliamo farci del male - di effettuare le stesse scelte sul lavoro con soluzioni che assomiglino ai modelli migliori, il tedesco e il danese". E a suo giudizio, "il messaggio al mondo sarebbe comunque positivo". In Europa, il paese in grado di investire il suo surplus nei nostri confini è la Germania. I tedeschi - è il ragionamento che si fa a Largo del Nazzareno - non potrebbero certo rifiutare il loro stesso metodo. Anzi, l'argomento più usato da Berlino è un altro: "Ci chiedono semmai di distruggere lo scoglio della corruzione".

Per Bersani dunque, la traccia di un'intesa è disegnabile rapidamente. Un patto "spendibile" anche all'estero come ha fatto in questi giorni il presidente del consiglio in Corea, Giappone e Cina. "Perché non è nemmeno accettabile il discorso secondo cui se c'è conflitto e scioperi, allora la riforma va bene. Noi dobbiamo chiarire ai nostri interlocutori internazionali che stiamo cambiando davvero e che lo facciamo tutti insieme. Che questa è l'Italia che si rinnova". E se Palazzo Chigi si rifiutasse di modificare il testo in questa direzione? "È uno scenario che nemmeno considero".

A suo giudizio, invece, Monti dovrebbe subito immaginare un percorso che reintroduca in modo diretto o indiretto il reintegro in caso di licenziamento non giustificato dalle motivazioni economiche. "Diamo al giudice - spiega - la possibilità di scegliere soltanto per quei casi tra due opzioni: il reintegro o l'indennizzo. Se ci fosse solo il reintegro, capirei, ma io immagino altro". Alfano, però, le fa notare che con i magistrati italiani l'opzione sarebbe unica: il reintegro. "Ma non è vero, perché spesso è il lavoratore a non volere tornare. Basta guardare le statistiche. E comunque ho la sensazione che anche nel Pdl ci stanno riflettendo. Perché il problema esiste e non tocca solo le tute blu". Ad esempio, "si accorgono che la questione tocca anche il pubblico impiego". Non solo. Questa riforma rischia di creare uno "stato di ansia e di instabilità in tutti i cittadini. C'è qualcuno che può far finta di niente? Se una persona equilibrata e moderata come il presidente della Confagricoltura Mario Guidi ha detto sabato scorso che è doveroso tenere conto dell'ansia che c'è in giro, noi cosa facciamo? Ignoriamo?".

Certo, il testo del governo non è ancora pronto. Il premier intende trasmetterlo ai segretari della maggioranza nella giornata di domani. Solo da allora il confronto potrà essere più concreto. Bersani punta dunque ad un percorso velocizzato da qualche modifica: sull'articolo 18, ma anche sui cosiddetti "esodati". Un'intesa va trovata in Parlamento o il premier deve modificare prima il disegno di legge? "Una rapida ricognizione delle forze sociali, poi il governo e il Parlamento possono trovare la strada di un emendamento". Come è accaduto con tutti i decreti dell'esecutivo, anche i più urgenti come il Salva-Italia o le liberalizzazioni. Qualche correzione è intervenuta. "Se anche in questo caso si arriverà a qualcosa che assomiglia al modello tedesco, noi lo voteremo". E se ci fosse il niet della Cgil? "Noi abbiamo le nostre idee e non accetto da nessuno che si dica che siamo agli ordini del sindacato. Noi quel testo lo voteremo".

(02 aprile 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #103 inserito:: Aprile 06, 2012, 03:36:50 pm »

Il colloquio

Maroni: "Non guardiamo in faccia nessuno al congresso avremo un candidato unico"

Parla l'ex ministro dell'interno, oggi uno dei triumviri che guideranno la Lega nella tempesta giudiziaria che la sta travolgendo: "È il momento della pulizia. Umberto non si mette di lato, è l’anima dei lumbard"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "Dal punto di vista giudiziario, sarà quel che sarà. Ora si deve pensare al partito e a fare pulizia senza guardare in faccia nessuno". Roberto Maroni sa che per la Lega questo è il momento più drammatico della sua storia trentennale. Tra i partiti presenti in Parlamento è quello più "antico", ma l'inchiesta che sta travolgendo Umberto Bossi, la sua famiglia e l'ex tesoriere Belsito, rappresenta un terremoto in grado di spazzare via l'intero movimento lumbard.

La riunione del consiglio federale è stata drammatica. Le dimissioni del Senatur hanno squarciato per la prima volta e in maniera definitiva il velo protettivo che in questi anni ha avvolto il Carroccio. E l'ex ministro dell'Interno, ora uno dei tre 'triumviri' che guideranno i leghisti fino al prossimo congresso che dovrebbe tenersi a ottobre, sembra assumersi la responsabilità di dare una traiettoria a un 'vagone' impazzito che corre senza pilota e rischia di infrangersi contro un muro di cemento armato.

Soprattutto non nega che la sua candidatura alla successione è di fatto sul campo: "È una cosa di cui adesso non mi preoccupo". E del resto le sue mosse sono tutte compiute per confezionare una 'corsa' senza incidenti e senza rompere il partito. Con i suoi fedelissimi traccia allora le tappe di un percorso di 'salvataggio': una società di revisione effettuerà una due diligence dei conti interni, a giugno si terranno i congressi nazionali (ossia regionali) a partire da quello lombardo e a ottobre le assise federali.

"Dove si sceglierà il nuovo segretario e si stabiliranno le alleanze per le elezioni parlamentari. Perché un conto sono le amministrative, altro le politiche".

LA SOPRAVVIVENZA DEL CARROCCIO
"È evidente - si sfoga allora Bobo dopo aver lasciato la sede di Via Bellerio - che questo è un passaggio cruciale. Si apre una fase nuova. Da tutti i punti di vista ". E se gli chiedono se in gioco ci sia soprattutto la sopravvivenza della Lega, non fa nulla per nasconderlo: "Certo, non è una cosa piacevole".

Ma la sua preoccupazione è quella di non provocare alcuna rottura con Bossi. "La sua è stata una decisione inaspettata per noi. Ci ha detto di averlo fatto per il bene della sua famiglia e di quello della Lega. Io lo considero un grande atto di dignità e di coraggio. Ancora una volta ci ha salvato. Lui ha proposto i nomi dei tre reggenti. Ed è stato lui a dire che il congresso va fatto a ottobre. Perché quando un segretario si dimette, si fa un congresso. La democrazia lo reclama".

CANDIDATO ALLA SUCCESSIONE
E lei si candida? Del resto è già reggente, è stato più volte ministro, il suo nome sembra in pole position. Maroni non dice no e si limita a rispondere dirottando la risposta su altro: "Io dico solo che Umberto non può mettersi in disparte. Anzi, io gli ho detto: "Se ti ricandidi, avrai il mio voto". E subito dopo ci siamo abbracciati".

E si ricandiderà? "Non lo so. Ma se lo farà avrà il mio voto, perché Bossi è il fondatore della Lega, è l'anima della Lega. Ma il problema ora è un altro". Secondo l'ex ministro, la sfida che attende i militanti e i dirigenti padani consiste nel "fare pulizia".

Le tangenti, i soldi rubati allo Stato, la corruzione, tutti fattori che minano alla base la ragione sociale del Carroccio. Un contrappasso troppo stridente con lo slogan "Roma ladrona". "E poi ci sono le dimissioni di Umberto - spiega - che sono una cosa traumatica per un partito, figurarsi per noi. E a parte il mal di pancia che hanno provocato, bisogna capire che è stato lui a deciderle".

HANNO RAGGIRATO UMBERTO
Anche perché nella Lega in pochi si erano accorti di quanto fosse profondo il 'lato oscuro' del 'Cerchio magico'. "C'erano delle voci, ma niente di più. Nessun dettaglio - puntualizza -. Qualcuno parlava di quella storia delle lauree di Belsito, ma io non me ne sono mai occupato". E su questo segna una netta distinzione tra il gruppo 'bossiano' e il Senatur. "Lui non ne sapeva niente, sono sicuro. Qualcuno si è fatto scudo di Umberto e lui si è accorto di essere stato raggirato". Chi in particolare? "Lo vedremo. Abbiamo incaricato una società di revisione di controllare i conti e fare una due diligence".

Eppure anche su Roberto Calderoli si sono accesi di riflettori della magistratura. Ma Maroni frena: "Quelli erano dei rimborsi spesa. Quando faceva dei viaggi per il partito, riceveva dei rimborsi. Nulla di più".

LE ALLEANZE
Ma come fate ad aspettare ottobre per il congresso? Non temete che esploda tutto nel frattempo? "A giugno ci sono già i nazionali. E l'autunno è il momento migliore per lanciare la campagna elettorale e decidere le alleanze". E già, perché anche da questo punto di vista la situazione si presenta più magmatica di quanto si immagini.

I lumbard alle prossime amministrative correranno da soli, ma nel 2013 qualcosa potrebbe cambiare. "Le politiche sono tra un anno... Il congresso sarà il luogo per decretare le strategie. La scelta dipende da tante cose. Se il governo Monti cade prima, se cambia legge elettorale... Questo non è il momento di strologare. Adesso è il momento di ripristinare un metodo".

E soprattutto di pensare al futuro di un movimento che si gioca la partita della vita. "Vediamo se riusciamo a raddrizzare le cose. Se saremo capaci di fare pulizia senza guardare in faccia nessuno, allora le nostre istanze resteranno".

LE CORRENTI
Nel frattempo i tre coordinatori non dovranno solo organizzare le assise, ma anche fare i conti con un partito che si presenta dilaniato dalla lotta tra le correnti. Almeno dalla battaglia tra "cerchio magico" e "maroniani". "Ma quelle sono state contrapposizioni personali dovute più a opzioni caratteriali che a linee politiche diverse. Quando saremo al congresso, si prenderà la direzione vera. E non ci saranno 'bossiani', 'maroniani' o altro".

Anzi, in vista di quell'appuntamento probabilmente gli organismi dirigenti dovranno "ritoccare lo Statuto" per aggiornarlo rispetto agli eventi di questi giorni. Anche per cambiare la figura del presidente? "No, Bossi è stato nominato presidente non per metterlo di lato. Il presidente nella Lega firma le liste elettorali e convoca il congresso. Non è un ruolo laterale".

E al congresso di ottobre ci si arriverà con una candidatura unica alla segreteria? "Certo, una candidatura unica. Dovete capire che questo è un problema che nella Lega non si è mai posto. Non è mai accaduta una cosa del genere. Ma la situazione impone che si scelga un solo candidato". Cioè Roberto Maroni? "Non mi preoccupo di questo". E delle contestazioni che ha subito a Via Bellerio si preoccupa? "Ma erano solo una ventina di persone, so chi sono. Sono persone che non hanno capito nulla di quel che è accaduto".


(06 aprile 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #104 inserito:: Aprile 14, 2012, 12:07:54 pm »

Il retroscena

La paura del Professore una palude di veti incrociati

"Sono qui per salvare il Paese". Il premier irritato per l'emendamento per la rateizzazione dell'Imu non concordato.

Le tensioni nel Pdl e l'asse tra berlusconiani e Marcegaglia sta disorientando Palazzo Chigi.

E preoccupano anche le fibrillazioni dei mercati e lo spread in salita

di CLAUDIO TITO

ROMA - "Il  mio  compito  è  salvare il Paese. Sono stato chiamato per questo, per metterlo in sicurezza. Deve essere chiaro". I mercati tornano a fibrillare, la Borsa di Milano subisce un altro pesante scossone, lo spread con i bund tedeschi si impenna fino a sfiorare la soglia psicologica dei 400 punti, i tassi sui nostri titoli di Stato crescono.

Una situazione che certo non lascia tranquillo Mario Monti. Alle prese con un sisma che seppure ha l'epicentro in Spagna, allarga il raggio delle sue scosse anche all'Italia.

Tutti elementi di allarme che si affiancano, però, ad un fattore considerato a Palazzo Chigi ancora più preoccupante: il nervosismo che sta agitando la maggioranza. In particolare i distinguo con cui il Pdl sta affrontando la riforma del lavoro costituiscono un dato di inquietudine. Non tanto per la semplice richiesta di modificare il provvedimento, ma per il senso di instabilità che stanno trasmettendo dentro l'esecutivo e nella comunità internazionale.

Il presidente del consiglio è convinto che nessuno - né il Pdl, nè il Pd - in questo momento coltivi la tentazione di far cadere tutto e far precipitare il Paese verso le elezioni anticipate. Le conseguenze sui nostri fondamentali dell'economia, a partire dal pil che nel 2012 è stimato sempre più in discesa, sarebbero devastanti. Il timore però è quello di ritrovarsi in una gabbia, in una "palude" di veti incrociati in cui è di fatto
impossibile dare una direzione al governo e in cui la squadra "montiana" perde ogni forma di autonomia.

A quel punto ogni passo di Palazzo Chigi o dei ministri verrebbe contraddetto o smentito di volta in volta da un pezzo della maggioranza. Uno degli esempi che circola alla presidenza del consiglio fa riferimento a quel che è accaduto proprio ieri sulla vicenda Imu. Con il relatore di maggioranza, il pidiellino Conte, che annuncia un emendamento per rateizzare l'imposta senza concordarlo o perlomeno annunciarlo agli uomini del Professore.

E il segretario del Pd Bersani che per tutta risposta rispolvera l'idea della "patrimoniale" proprio per contestare la linea berlusconiana. Una miscela esplosiva, insomma, di cui il presidente del consiglio è consapevole. Un episodio che spiega le ansie che assillano il Professore in queste ore.

Del resto, le mosse compiute di recente dal Popolo delle Libertà hanno provocato un certo disorientamento. L'accordo siglato dal segretario Alfano sulla riforma del lavoro è stato poco dopo messo in discussione. Il timore del premier è che una parte consistente del partito di maggioranza relativa stia remando anche contro l'ex ministro della Giustizia. In particolare il gruppo "anziano" dei berlusconiani e gli ex An che tentano di strappare un ruolo nella nuova fase.

Così come nessuno nel governo ha trascurato l'asse che improvvisamente si è saldato con il presidente uscente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Quel giudizio - "very bad" - rilasciato sul Financial times ha fatto letteralmente infuriare Monti proprio per l'immagine che si dava all'estero del Paese. E la successiva "alleanza" con il Pdl ha fatto sorgere in molti il sospetto che ci sia un disegno per il coinvolgimento "politico" della imprenditrice.

Lo stesso presidente del consiglio e il ministro del Lavoro Fornero stanno già predisponendo alcune soluzioni sulla "flessibilità in entrata" per accogliere in parte le richieste di Alfano. Ma gli interrogativi di Palazzo Chigi riguardano gli obiettivi "generali" e non quelli circoscritti alla "riforma Fornero".

La paura che in prossimità del voto amministrativo del 6 maggio, la campagna elettorale prenda il sopravvento sulla solidarietà di coalizione. Perché la bussola che orienta il capo del governo - sempre in contatto con il Quirinale - si ferma sempre su un punto: "Sono stato chiamato per salvare il Paese, e i compromessi possono essere siglati solo per il bene del Paese. E non al ribasso".

Del resto, proprio nell'ultimo vertice a palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi è stato esplicito su questo confermando i timori del suo successore: "Non dobbiamo mettere a rischio il governo, ma nello stesso tempo dobbiamo cogliere l'occasione di quel che sta accadendo nella Lega per tuffarci sul loro elettorato. E per farlo non possiamo lasciare spazio alle parole d'ordine del Carroccio, a cominciare dal lavoro". E quindi prendere indirettamente le distanze. Un modo anche per instaurare il metodo dello scambio su alcune materie sensibili come la giustizia. Su cui il ministro Severino sta subendo costanti "pressioni" proprio dalla componente meno dialogante del Pdl.

Non solo. Con la tornata di maggio, si apre di fatto la campagna elettorale per le politiche. E tra gli uomini del Professore c'è chi prende in considerazione la possibilità che qualcuno sia interessato a diluire il ruolo di Monti, a sfibrarlo e a scaricare su di lui le eventuali responsabilità di una crisi economica perdurante per poi tentare di presentarsi alle urne come unico soggetto affidabile.

Un clima dunque che rischia di trasformare Palazzo Chigi in un fortino nel quale asserragliarsi per organizzare una difesa sia dal fuoco esterno, quello dei mercati finanziari, sia da quello "amico", alcuni dei partiti di maggioranza. Anche per questo il premier ha convocato per martedì prossimo un vertice con i tre segretari Alfano, Bersani e Casini. Per reclamare un chiarimento. E ha rinunciato al G8 dei ministri finanziari che si riunisce a Washington per affrontare la situazione e non stare lontano da Roma per troppo tempo.

Un clima che in settori del Pdl sta facendo circolare la tentazione di far naufragare il vascello di Monti in estate e votare in autunno. Una soluzione contro cui, però, il Cavaliere e anche il segretario del Pd stanno attrezzando una sorta di trincea di "fine legislatura". Che tuttavia rischia di essere spazzata via se il patto sulle riforme - compresa quella elettorale - dovesse saltare nelle prossime settimane.

Tanti indizi, quindi, che stanno facendo scattare il campanello d'allarme a Palazzo Chigi. Anche se nel corso del consiglio dei ministri di ieri, il Professore ha rassicurato suoi colleghi: "Andiamo avanti, nonostante i tentativi di rallentarci e di guadagnare qualche in voto in più alle prossime amministrative".


(14 aprile 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/04/14/news/monti_paura_crisi-33281225/?ref=HRER1-1
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