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Autore Discussione: CLAUDIO TITO.  (Letto 80944 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Agosto 06, 2010, 02:55:04 pm »

L'INTERVISTA

Pisanu: "No alle elezioni anticipate in Parlamento tantissimi i contrari"

Il senatore ed ex ministro dell'Interno critica il premier: grave errore aver cacciato Fini.

"Era arrivato un gesto distensivo, il vertice Pdl gli ha dato una risposta brutale: bisogna ripararvi".

"C'è un problema di illegalità diffusa che corrode la vitalità del Paese"

di CLAUDIO TITO


ROMA - Se Berlusconi chiedesse le elezioni anticipate, "io mi opporrei", perché il ritorno alle urne sarebbe un "macigno" sulla "fragile" situazione economica del Paese. Beppe Pisanu non usa giri di parole. La linea dello scontro con Fini seguita dal premier e dai vertici del suo partito, il Pdl, non gli è piaciuta affatto. Avverte che nelle aule del Senato e della Camera "la contrarietà" al voto è "più ampia di quanto appaia" e spera in un esecutivo di "solidarietà nazionale" guidato dal Cavaliere. E poi non nasconde la sua preoccupazione per lo "smarrimento della moralità" in politica e per la "diffusa illegalità".

Ma se fosse stato deputato, come avrebbe votato su Caliendo?
 "Probabilmente avrei votato a favore di Caliendo e non per garantismo, ma per evitare altri traumi politici al mio partito e alla stessa maggioranza di governo".

A che cosa si riferisce?
"Alla risposta brutale e lacerante dell'ufficio di presidenza del Pdl al gesto di distensione compiuto, seppure in extremis, da Fini. E' stato un grave errore politico e bisognerebbe correggerlo".

Scusi, ma correggere come? Ritirando l'espulsione?
"Non oso sperarlo, ma sarebbe già tanto se si cominciasse a rasserenare gli animi e ci si preparasse a discutere tra i gruppi parlamentari del centrodestra sull'agenda della ripresa autunnale".

Eppure sembra che il vertice del Pdl e il premier stiano puntando molto sulla vicenda della casa di Montecarlo per attaccare Fini.
"Non voglio entrare su terreno per me impraticabile".

Sarà pure impraticabile, ma non teme il ritorno della stagione dei dossier? Casini parla di squadrismo.
"Sarebbe un ritorno indietro di mezzo secolo ai giorni più bui del governo Tambroni. La maturità democratica delle nostre forze di sicurezza e dei nostri servizi di informazione m'induce ad escludere simile eventualità".

Esiste in Italia un'emergenza-legalità?
"C'è un problema di illegalità diffusa che corrode la vitalità complessiva del nostro Paese e che, allo stesso tempo, rende più acute e insopportabili le disuguaglianze prodotte dalla crisi generale".

Quindi le inchieste sul G8 e sulla P3 impongono una riflessione?
"Certamente la violazione continua delle norme di condotta pubblica e privata allarma i cittadini onesti e interroga più da vicino la classe dirigente. Quel che più mi preoccupa è lo smarrimento della moralità o meglio la dissociazione crescente tra l'ordine della morale e l'ordine della politica".

Vede analogie tra queste inchieste, quelle sulla P2 e quelle su tangentopoli?
"Di analogie se ne possono trovare tante. Ma non vedo il classico ripetersi della tragedia vecchia in farsa nuova. Amoralità e corruzione gravano su questo momento di storia. Secondo me siamo nel mezzo di una transizione che può portarci alla risalita o al declino in Europa e nel mondo. Molto dipenderà dalla politica".

Dopo la frattura con il presidente della Camera, è inevitabile la crisi di governo?
"Può essere evitata tranquillamente, perché Fini non ha mai messo in discussione né la leadership del presidente Berlusconi né la fiducia al suo governo".

Sembra però la fine di questa maggioranza?
"No, la maggioranza non si è dissolta. Semmai si è articolata diversamente, con la nascita quasi obbligata di un altro gruppo parlamentare di centrodestra che, peraltro, può creare nuovi spazi di dialogo con l'opposizione a tutto vantaggio della governabilità".

La crisi di governo però è dietro l'angolo. La strada delle elezioni anticipate è segnata?
"Con le premesse che le ho detto si può soltanto ipotizzare una crisi pilotata da Berlusconi in quanto leader dello schieramento maggioritario".

E se il Cavaliere insistesse sulle elezioni anticipate, lei che farebbe?
"Mi opporrei. Perché lo scioglimento anticipato delle Camere piomberebbe come un macigno sulla fragile situazione economico sociale del nostro Paese, spianando la strada agli speculatori della finanza internazionale. Sono comunque sicuro che la contrarietà alle elezioni anticipate sia molto più ampia di quanto non appaia, tanto nella società quanto nelle aule del Senato e della Camera. In ogni caso, e per nostra fortuna, la decisione finale spetta al Presidente della Repubblica".

Molti hanno fatto circolare il nome di Tremonti per un esecutivo di transizione.
"Mi pare che la Lega Nord lo abbia escluso e io comunque resto della mia opinione: un governo di solidarietà nazionale guidato da Silvio Berlusconi".

Il centrodestra è in fase di ristrutturazione. Le forze di centro hanno la possibilità di riorganizzarsi?
"La mia impressione è che invece siano in fase di destrutturazione sia il centrodestra sia il centrosinistra: in parte per la loro evidente inadeguatezza rispetto ai grandi problemi dell'Italia e in parte per la crisi di questo bipolarismo immaturo, e a tratti selvaggio, che mette insieme forze troppo disaffini e in sorda concorrenza tra loro. Una buona legge elettorale potrebbe favorire la ricomposizione degli schieramenti maggiori su basi più solide ed omogenee, e dar vita finalmente ad una democrazia matura dell'alternanza".

Cosa ne pensa della convergenza tra finiani, Udc e Api?
"Le ultime dichiarazioni di Casini sembrano collocarla al di fuori dei vecchi schieramenti descrivendola come un'area di responsabilità nazionale, dove possono incontrarsi cattolici e laici preoccupati per le sorti dell'Italia e impegnati a migliorarle. Se questa convergenza serve a ricollegare i moderati italiani nella prospettiva democratica che ho prima indicato, si tratta di una cosa nuova e positiva".

Quindi è un progetto che le interessa?
"Vedremo. Siamo solo ai primi, timidi passi di un processo politico. Se son rose fioriranno".

Si può parlare di fine del berlusconismo?
"Io non so che cosa sia esattamente il berlusconismo. So bene però che attraverso Berlusconi parlano ancor oggi milioni di italiani. Con loro bisogna fare i conti, senza per questo accendere ipoteche sul nostro futuro. Sento però il respiro affannoso delle cose vecchie che muoiono, con tutti i rischi che questo comporta, e sento il bisogno di persone prudenti e coraggiose che si mettano alla ricerca delle cose nuove che devono nascere".

(06 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/06/news/pisanu_intervista-6100656/?ref=HREA-1
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« Risposta #61 inserito:: Agosto 19, 2010, 03:16:22 pm »

IL RETROSCENA

Ma ora il Cavaliere si sente accerchiato "La crisi un rischio, temo il ritorno al '93"

Gianfranco gelido: chi attacca le istituzioni danneggia il Paese.

Il sottosegretario al presidente della Camera: "Mi dispiace ma questa volta Silvio è irremovibile"

di CLAUDIO TITO


"Troppe cose mi ricordano il '93, la stagione dei governi tecnici. Dovremo stare attenti prima di aprire una crisi. Stanno facendo di tutto per rendermi ogni cosa difficile". Allarga le braccia, sbuffa. Silvio Berlusconi si sente accerchiato da un nemico invisibile. Chi lo ha visto o anche chi lo ha ascoltato al telefono, ha colto nel premier lo stato d'animo di chi si sente sotto assedio: pronto alla battaglia ma cosciente dei tanti ostacoli che si frappongono da qui alle elezioni anticipate.

Deciso allo scontro, ma disponibile a valutare ulteriori soluzioni. Anche a far retrocedere il ritorno al voto all'ultimo posto nella classifica dei suoi desideri. Ma il senso dell'accerchiamento non gli viene trasmesso solo da Gianfranco Fini. Un complesso di fattori, nazionali e internazionali, agitano il soggiorno del premier a Porto Rotondo.

E forse non è un caso che ieri mattina, Gianni Letta si sia fermato a parlare con il presidente della Camera. Anche il tenue filo che legava il sottosegretario all'inquilino di Montecitorio, nei giorni scorsi si era spezzato. Ora, certo, non si è ricomposto. Ma il braccio destro del Cavaliere, in una sala dell'ospedale Gemelli, si è quasi sfogato in quel breve faccia a faccia. Deluso per non essere riuscito a disegnare un "percorso di tregua". "Mi dispiace - si è giustificato con la terza carica dello Stato - ho sempre cercato di mettere pace. Ma il mio ruolo di mediazione è finito. Stavolta Silvio è irremovibile. Dopo questa svolta, non vuole tornare indietro. Lo capisci anche tu". Parole pronunciate più con rassegnazione che con fermezza.

Il rapporto con Letta è sempre stato cordiale. Anche Fini, però, come il Cavaliere, "stavolta" non intende fare un passo indietro. Soprattutto non vuole concedere una sola arma per rendere "meno difficile" la traiettoria verso le urne agognata dal presidente del consiglio. "Guarda, noi comunque manteniamo fermi i punti del programma elettorale. La fedeltà a quel patto è fuori discussione, noi la fiducia la votiamo. Tu dici che la mediazione è ormai impossibile. Certo, con questa campagna che state facendo anche contro tutte le Istituzioni e non solo contro di me. Chi spara contro le Istituzioni danneggia il Paese. Voi, poi, vorreste distruggermi con il mio consenso e darmi pure la colpa. Tu dici mediazione, ma se poi Berlusconi vuole scaricare a noi la colpa della crisi, è un altro paio di maniche".

Il gruppo di Futuro e Libertà, insomma, non intende fornire alcun pretesto che consenta al Cavaliere di salire al Quirinale e rassegnare le dimissioni. L'inquilino di Palazzo Chigi lo sa. Ma soprattutto si è convinto che il presidente della Camera non sia l'unico scoglio. Negli ultimi giorni ha più volte fatto riferimento a quel che accadde negli anni di Tangentopoli. All'esecutivo di Carlo Azeglio Ciampi. Ha citato il recente viaggio di Giorgio Napolitano negli Usa, le pressioni dall'estero e quelle di vari settori finanziari e di Confindustria a cominciare da Luca Cordero di Montezemolo. "Non vorrei - è la sua riflessione - che in caso di mie dimissioni, si replichi la spinta per rinnovare quel metodo".

Anche perché a dicembre è fissato un appuntamento considerato decisivo per il capo del governo: la decisione della Corte costituzionale sul legittimo impedimento. Se la Consulta lo dichiarerà incostituzionale, ripartiranno contemporaneamente tre processi: Mills, Mediaset e Mediatrade. E il rischio di una condanna in tempi brevi diventerebbe concreto. "Ecco - ragionava nei giorni scorsi il premier - temo l'esistenza di un'operazione contro di me. Proprio come nel '93".

La strada che porta alle elezioni, poi, passa per il Colle. E il capo dello Stato, seguendo il dettato costituzionale, in caso di crisi sarebbe costretto prima a rinviare il premier alle Camere e successivamente a verificare l'esistenza di un'altra maggioranza. E proprio Berlusconi ha paventato in queste ore il rischio che un mandato del genere possa essere affidato alle due più alte cariche istituzionali (Schifani e Fini) o al ministro dell'Economia (proprio con lo stesso mandato affidato nel '93 all'allora Governatore della Banca d'Italia Ciampi) incaricato di affrontare la crisi finanziaria e riformare la legge elettorale. Ipotesi che non lasciano tranquillo il capo del Pdl: costretto a formalizzare l'esistenza della componente finiana nella maggioranza nel caso di rinvio alle Camere o a cedere il passo nell'altra eventualità.

Proprio per questo Berlusconi in questa fase intende giocare su più tavoli. E l'opzione elettorale non rappresenta più la prima scelta. Il pressing di Bossi su questo è fortissimo, ma i dubbi del Cavaliere lo sono altrettanto. Chiama e cerca di persuadere tutti i parlamentari di "confine" come Beppe Pisanu invitato ieri a cena. Non vuole allora la pace con Fini, ma si "appella" ai moderati di Futuro e Libertà. Spera di "strapparne" una decina per proseguire con l'attuale esecutivo. E nello stesso tempo prepara il documento da sottoporre all'esame del Parlamento. Quattro punti dettagliati, in larga parte concentrati sulla giustizia. Con cui chiederà l'approvazione per la separazione delle carriere, il processo breve e il Lodo Alfano costituzionale. "Ma prima di chiedere un voto - ha spiegato ai fedelissimi - bisogna pensarci bene".
 

(19 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/19/news/ma_ora_il_cavaliere_si_sente_accerchiato_la_crisi_un_rischio_temo_il_ritorno_al_93-6364922/?ref=HRER2-1
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« Risposta #62 inserito:: Ottobre 01, 2010, 09:52:00 am »

RETROSCENA

Riforma elettorale incubo del Cavaliere "Arrivare a gennaio per evitare ribaltoni"

Bersani e D'Alema: "Alleanza costituzionale", nuovo Cln con Casini e Fini.

Bossi avvisa il premier: "Il tuo vero salvacondotto è l'attuale legge elettorale".

Il vertici Pd temono che col Porcellum il premier si farà comunque eleggere al Quirinale


di CLAUDIO TITO


"I voti in Parlamento non ci servono più per governare, ma per evitare che si formi un esecutivo tecnico e che quegli altri cambino la legge elettorale". Mai come stavolta Silvio Berlusconi non è riuscito a dissimulare il senso di impotenza. Si sente "solo", ingabbiato in uno schema che non aveva previsto. Con il governo "paralizzato" dallo scontro con Gianfranco Fini e il Pdl indebolito dalla scissione.

"Nessuno riesce darmi un consiglio efficace, faccio tutto da solo", si è allora lamentato nei pochi colloqui avuti al Senato dopo il suo intervento in aula. Uno sconforto celato solo dai toni trionfalistici del suo discorso.
Il Cavaliere, infatti, è scosso dalle manovre "concordate" nel campo finiano e del centrosinistra. Teme che il feeling di questi giorni si trasformi rapidamente in una tenaglia che faccia perno sulla riforma elettorale. E che blocchi il percorso disegnato da tempo per l'approdo al Quirinale nel 2013. E quindi corre ai ripari: "Dobbiamo assolutamente arrivare a gennaio, a quel punto il governo tecnico non si farà più". In effetti i contatti tra Bersani, Casini, Fini e D'Alema stanno ormai diventando quotidiani. L'oggetto del confronto è di certo la revisione del "Porcellum". Ma anche la definizione di un "cartello" elettorale per fronteggiare il fronte Pdl-Lega alle eventuali elezioni della prossima primavera. Una mossa per stravolgere l'attuale quadro politico.

Un'opzione diventata prioritaria nelle
analisi dei vertici democratici. L'idea di un'intesa con l'ex leader di An fino a luglio veniva decisamente scartata dal segretario pd. Ora, invece, il quadro è cambiato. E D'Alema è arrivato a parlare esplicitamente di una "Alleanza costituzionale". Un patto da stringere subito per dar vita ad una nuova maggioranza che, possibilmente, appoggi un esecutivo transitorio e con un'agenda limitata: la crisi economica e la valutazione di un'ipotesi di riforma elettorale. Per poi giocarsi le carte nella competizione elettorale contro l'inquilino di Palazzo Grazioli. Una sorta di moderno Cln che governi il Paese per un breve periodo e quindi si ridivida in due nuovi schieramenti. "Dobbiamo prepararci - sono i ragionamenti che Bersani e il presidente del Copasir stanno facendo con gli uomini dell'Udc e con i finiani - perché tutto sta precipitando. E da soli si rischia di offrire un'altra chance a Berlusconi". Riflessioni che, dalle parti di Largo del Nazareno, si basano su un presupposto: chi avrà la maggioranza alla Camera dopo le prossime elezioni, sceglierà anche il nuovo presidente della Repubblica. "Se insomma - sono i loro conteggi - il premier confermerà a Montecitorio 340 deputati con il premio di maggioranza, basterà conquistare 140 senatori (meno dei 158 necessari per la maggioranza assoluta) per farsi mandare sul Colle". E nonostante i sondaggi diano il presidente del consiglio in calo (la sua popolarità è scesa al 42% e il Pdl è calato ben sotto il 30%), l'accordo con la Lega al momento gli garantisce la vittoria alla Camera, soprattutto se saranno tre i poli a presentarsi. A Palazzo Madama, invece, al Cavaliere basterebbe spuntare una maggioranza relativa. Non a caso proprio ieri il capogruppo democratico, Dario Franceschini, ha iniziato a prospettare una coalizione tra il Pd e il "terzo polo formato da Casini, Fini e Rutelli". Replicando il modello siciliano studiato da Lombardo.

Scenari che sono arrivati all'orecchio del Cavaliere e che hanno gettato scompiglio nel quartier generale del Pdl. "Quelli di Futuro e libertà - si è sfogato il presidente del consiglio - se ci sarà uno scontro vero, si divideranno. E con Fini rimarranno solo gli estremisti. Noi, però, dobbiamo fare di tutto per arrivare a gennaio. A quel punto il governo tecnico non ci sarà più e andiamo a votare a marzo". Fino ad allora è pronto a "ingoiare tutti i rospi". Poi, dopo aver licenziato la Finanziaria 2011 scatterà il "redde rationem".

I rospi, però, rischiano di essere un bel po'. Ieri, ad esempio, Casini - con l'appoggio del Pd - ha chiesto alla conferenza dei capigruppo di Montecitorio di calendarizzare la riforma elettorale. E la prima risposta, non a caso, è venuta dai finiani: "Noi sul quel versante - dice Italo Bocchino - ci stiamo e come". E forse è stato un consiglio interessato quello dato da Pasquale Viespoli, il capogruppo di Fli al Senato, ai berlusconiani Bondi e Quagliariello: "Intestatevi voi la guida della riforma elettorale, altrimenti lo facciamo noi". Ma il Cavaliere da questo orecchio non può sentirci. Cercherà, tatticamente di lasciare la porta socchiusa. Ma Umberto Bossi lo ha avvertito: "Questa legge è il tuo vero salvacondotto". Solo con il Porcellum, infatti, il capo del Pdl può davvero iscriversi alla corsa che porta al Quirinale. Solo con il "premio di maggioranza" le chance dell'asse Silvio-Umberto possono rimanere intatte.

Eppure il clima tra i peones di Montecitorio e Palazzo Madama nelle ultime 24 ore è improvvisamente cambiato. La fiducia "condizionata" data dai finiani mercoledì alla Camera, ha reso meno "appealing" le sirene berlusconiane. "Chi vuole evitare il voto anticipato - ammetteva amaramente ieri un deputato pidiellino - fino a martedì doveva schierarsi con Berlusconi. Ora si deve mettere con Fini e Casini". Senza contare che a Palazzo Grazioli nessuno si aspettava, ad esempio, il "voltafaccia" dei tre diniani: prima pronti a votare la fiducia, poi decisi a resistere. "È stato facile convincerli - racconta un big del Pd -. Hanno capito che l'aria sta cambiando".
Su Palazzo Chigi, poi, si è ieri addensata un'altra nube. L'inchiesta che sta coinvolgendo il presidente del Senato, Renato Schifani. "Non vorrei - ha sospirato Berlusconi - che sia solo un atto preparatorio per colpire me".

(01 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/01/news/voglia_cln-7602563/
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« Risposta #63 inserito:: Ottobre 15, 2010, 10:41:08 pm »

L'intervista

Maroni al sindacato: "Isolare i violenti Sia responsabile, mantenga il controllo"

Il ministro: "E basta darmi del nazista". Sulla manifestazione Fiom di domani: "Sappiamo che da Firenze arriveranno anche gli anarchici.

Mi devo preoccupare oppure no? Saranno a San Giovanni solo per ascoltare? Pensate a quanto accaduto a Bonanni, Schifani e Ichino"


di CLAUDIO TITO

ROMA - "Io non voglio incidenti e lo dico anche nell'interesse della Fiom. In momenti come questo serve una presa di distanza dai violenti da parte di tutti i soggetti democratici". Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, non nasconde che la manifestazione organizzata dalla Fiom per domani è piena di insidie. "Ci sono già  stati degli episodi che non possono essere giustificati", ricorda. E  avverte che farà di tutto per impedire che si ripetano: "Io comunque faccio riferimento al vostro articolo. L'allarme è del Copasir e dei servizi".

Lei ha segnali precisi su chi potrebbe far deragliare la manifestazione?
"Sappiamo che la Fiom ha invitato alcuni centri sociali. Se arrivasse anche quello che ha occupato la sede di Confindustria a Padova, cosa dovremmo pensare? Che il rischio c'è, e noi lo vogliamo evitare".

Quindi anche la Fiom ha delle responsabilità?
"Il problema non è la Fiom. Ma quelli che vogliono utilizzare il corteo per infiltrarsi tra le 50-60 mila persona che parteciperanno alla manifestazione, per andare in giro a spaccare qualche vetrina o qualche testa. Il nostro invito è stato allora al servizio d'ordine: bisogna mantenere il controllo fino alla fine e anche dopo. Credo poi che tutti, in questo momento, debbano fare appello al senso di responsabilità".

Ma avete dei sospetti su qualcuno in particolare. Pensate a gruppi italiani o a quelli provenienti dall'estero come i black blok. O a qualcosa di più, a elementi dell'eversione?
"Alcuni centri sociali hanno dichiarato che verranno a Roma. Se arriva quello di Padova, il Pedro, cosa facciamo? Si sono vantati di aver occupato la Confindustria, possiamo permettere che lo facciano pure a Roma? Se ci saranno anche i disobbedienti di Casarin, sono curioso di sapere cosa faranno. Diranno che sono stati invitati o che sono venuti da soli? Sono sicuro che vorranno approfittare della maggiore risonanza. Ma io, lo ripeto, non voglio incidenti. E lo dico nell'interesse di tutti e della Fiom in primo luogo".

Questo allarme, però, rischia di condizionare la manifestazione di domani.
"È una sciocchezza. Sono sempre i soliti, come quel De Magistris, a dire queste cose in giro. Ma io mi sono stancato di chi mi accusa di essere un nazista. Io voglio solo che tutto si svolga pacificamente. E che ci sia uno scambio di informazioni con gli organizzatori".

Informazioni di che tipo?
"Ho incontrato il segretario della Fiom e mi ha detto: "Non abbiamo conoscenza del fatto che qualcuno voglia venire a Roma per provocare incidenti". Ma noi sappiamo che da Firenze un gruppo di anarchici è intenzionato a raggiungere Piazza San Giovanni. Per fare cosa? Solo per ascoltare? So anche che si stano muovendo quelli di Askatasuna, quelli che a Torino hanno tirato un fumogeno a Bonanni. Devo preoccuparmi oppure no?".

Ammetterà, però, che chi sente parlare di questi pericoli è meno invogliato a prendere parte alla manifestazione. Per qualcuno l'allarme preventivo può determinare il successo o l'insuccesso dell'iniziativa.
"Figuriamoci! Tant'è che queste preoccupazioni non sono emerse tra gli organizzatori ma da qualche politico".
Ma lei ha parlato solo con la Fiom o anche con i partiti che hanno aderito alla manifestazione?
"Solo con gli organizzatori e resto convinto che alla fine prevarrà il senso di responsabilità al netto di qualche dichiarazione bellicosa. Ma il problema è un altro".

Quale?
"Se, come qualche giornale ha fatto, vengo accusato di violare la Costituzione, di essere un colluso con la mafia, di essere un nazista, allora qualcuno può pensare che io sia da eliminare. È il clima del paese che può provocare incidenti".

A cosa si riferisce?
"Mi riferisco a una serie di episodi: penso a Schifani, a Bonanni a Ichino. Io quegli episodi non li giustifico e non li sottovaluto".

Ma questo clima può essere creato pure dalla situazione economica del Paese? Dalla disoccupazione crescente o da scelte come quella della Fiat di Pomigliano?
"No, il rischio è che qualcuno utilizzi il corteo per scopi violenti. Il sindacato fa il sindacato e gli industriali fanno gli industriali. Io non temo il confronto aspro. Nel 2002 Cofferati fece una manifestazione con 3 milioni di persone e non è successo nulla. La Cgil fece in modo che non ci fossero incidenti. Adesso temo l'utilizzo del corteo da parte di chi vuole fare violenza a prescindere dai contenuti".

Pensa ad un'azione bipartisan per evitare che la temperatura si abbassi?
"Non parlo solo di politica. Serve una presa di distanza dai violenti forte e netta da parte di tutti i soggetti democratici".

Martedì intanto le scene di violenza si sono consumate allo stadio di Genova. Tutto è successo solo per un difetto di comunicazione con le autorità serbe?
"Noi abbiamo seguito le procedure standard. Con l'Interpol di Belgrado. Abbiamo ricevuto due telex. nel primo ci dicevano che sarebbero arrivati un centinaio di persone e ci hanno dato pure la targa di un minibus. Nel secondo che erano stati acquistati 1200 biglietti. Ma non ci hanno evidenziato alcun pericolo".

Non si poteva impedirne l'arrivo?
"Non c'è alcun modo. Avremmo dovuto sospendere Schengen, ma lo si fa in altre condizioni".

Magari potevate attivare i nostri servizi.
"Per noi, in questo caso, i servizi sono l'Interpol. Se ci fosse stato il Daspo internazionale, allora sì che avremmo impedito l'arrivo di quella gente. Poi certo lo stadio di Marassi non ci ha aiutato. Forse dovremo individuare stadi "sconsigliabili" per queste occasioni".

Vi risulta che gli ultras serbi siano stati ospitati da ultras italiani?
"No. Ci risulta semmai che i tifosi doriani e genoani si sono schierati contro quelle persone".

Alla luce di questo episodio, tiferebbe ancora per l'ingresso della Serbia nell'Unione europea?
"Certo, i Balcani sono il cuore dell'Europa. Solo così si possono isolare i violenti. Con la collaborazione e lo scambio di investigatori". 

(15 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/15/news/fiom_intervista_maroni-8069458/?ref=HREC1-1
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« Risposta #64 inserito:: Ottobre 18, 2010, 10:03:55 am »

L'intervista

Bersani: Cisl e Uil non hanno tradito "Il Pd non sceglie tra i sindacati"

"Il nostro è un partito di governo momentaneamente all'opposizione e in quanto tale  non è un sindacato, non aderisce a manifestazioni sindacali". IL segretario del Pd lo ripete più di una volta: sono due cose diverse e distinte

di CLAUDIO TITO


IL GIORNO dopo la "pacifica" manifestazione della Fiom, il segretario del Pd non nasconde che tra i democratici siano emerse divisioni. Ma sostiene che il suo partito non debba schierarsi nei confronti sindacali. Ritiene che il suo compito debba essere quello di lanciare un nuovo "Patto sociale" per affrontare l'emergenza-lavoro. E per questo si batte per "l'unità di Cgil, Cisl e Uil". "Ma - premette - sono irritato per come qualcuno ci descrive. Noi non siamo incerti, non abbiamo una linea opportunista. Chi lo dice non capisce un accidente".

Con chi ce l'ha?
"Con qualche commentatore. Il Pd è un partito che discute. Ma soprattutto ha un compito diverso da quello di aderire o meno a manifestazioni sindacali".

Sta di fatto che nel campo dell'opposizione la confusione non è mancata. C'è chi ha appoggiato la linea della Fiom e chi quella della Cisl.
"I metalmeccanici della Fiom hanno diverse buone ragioni e vanno ascoltati. Così come quelli della Fim e della Uilm non possono essere considerati dei traditori. E vanno ascoltati anche loro. Chi può ricomporre l'unità, deve dare una mano. Un partito di governo come il nostro, lo ribadisco, non è un sindacato. Si definisce per il patto sociale che propone".

Intanto, sabato scorso Bonanni e Angeletti sono stati accusati di tradimento.
"Non va bene, l'ho detto. C'erano dei cartelli inaccettabili, ma il leit motiv di quella manifestazione non è stato questo, non è stata la cifra del corteo. Proprio perché in giro c'è questo tipo di problema, ci sono questi toni e queste tensioni, bisogna fare in modo di raffreddare il clima".

Le divergenze tra i democratici hanno sfiorato la spaccatura.
"E infatti lo dico anche ai miei. Il compito del partito è avere un progetto suo da portare ovunque e non misurare le distanze da un sindacato".

E' la linea per tenere insieme Casini e Vendola? Il leader Udc sostiene che la manifestazione di sabato non può essere la base per un'alternativa riformista.
"Ma Casini ha anche detto che non si può lavorare per dividere il mondo del lavoro. La gente che stava a San Giovanni è una fonte di energia che va considerata. Guai a pensare che le forze del lavoro e anche quelle delle impresa non siano una risorsa per un progetto di alternativa".

Non avverte il pericolo che proprio su questo terreno possa venire meno la possibilità di costruire un'alleanza per battere Berlusconi?
"Certo che ho questa preoccupazione e per questo sto lavorando. L'alternativa deve nascere sulla ricomposizione. Sto lavorando per dare corpo all'alternativa con un progetto".

Nel frattempo, quando bisognerà schierarsi sulle scelte del sindacato, cosa farete? Ad esempio, appoggerete lo sciopero generale?
"Non mi avventuro in scelte che toccano al sindacato. Epifani ha detto che se non verranno risposte, allora ci sarà lo sciopero. Questo per me vuol dire che si può aprire un percorso di confronto. Altrimenti spero che le scelte siano unitarie".

Intende dire l'unità di Cgil, Cisl e Uil?
"Devono ritrovare la strada del confronto. Perché vedo davanti a noi mesi complicati. Più di un milione e seicentomila persone hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione. Le tensioni sindacali rischiano di diventare tensioni tra lavoratori. Ho visto litigare gente che ha lavorato per trent'anni insieme. In questo momento serve senso di responsabilità".

Il segretario della Cisl dice che in piazza si è cercata solo l'unità della sinistra. Il sindacato vuol trasformarsi in partito?
"E' un'idea fuori dalla realtà".

Nel governo c'era chi si aspettava qualche incidente.
"E invece è stato tutto pacifico. Certo, non sono mancate posizioni non condivisibili e non mi riferisco al sindacato. Ma abbiamo anche un governo irresponsabile con un ministro del Lavoro che accende il fuoco anziché spegnerlo".

Proprio Sacconi sostiene che a protestare c'era l'Italia minoritaria.
"La piega di Sacconi è ormai mistica. Pensa a un Paese che si è messo in testa solo lui. C'è un'ideologia berlusconian-tremontian - sacconiana per cui, di fronte all'emergenza della globalizzazione e del lavoro, non si può fare niente. Noi abbiamo un'altra idea".

Quale?
"Serve un nuovo "patto sociale". In tutto l'occidente c'è la crisi del lavoro. Certamente bisogna spostare l'attenzione sul livello aziendale di contrattazione e flessibilizzare il livello nazionale".

Il contratto nazionale per la Cgil non si tocca. Lei mette il dito nelle divisioni del sindacato.
"Tutti sanno che la globalizzazione richiede uno sforzo. Per spostare il confronto sul livello aziendale, bisogna pure porre il problema delle regole della rappresentanza. Cioè di una democrazia più compiuta sui luoghi di lavoro. Avremo inoltre bisogno di una nuova legislazione sul lavoro".

Ad esempio?
"In primo luogo introdurre il salario minimo per chi è fuori dalla contrattazione nazionale. Poi, a parità di costo del lavoro, evitare che un'ora di lavoro precario costi meno di un'ora di lavoro stabile. Non ci può essere l'incentivo al lavoro precario. Per battere i cinesi, insomma, non possiamo diventare anche noi cinesi. Bisogna poi mettere il patto sociale dentro una politica economica industriale fatta di riforme a cominciare da quella fiscale. Certo, questo governo non la farà. Ma non possiamo aspettare che Tremonti apra il discorso solo perché si avvicinano le elezioni".

Anche lei definirebbe Marchionne un dittatore?
"No, semmai è diventato un po' americano. Ma il problema è che non ha avuto un governo e un ministro. Nessuna interlocuzione, non hanno fatto niente. In questo contesto Marchionne fa un po' il battitore libero".

(18 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #65 inserito:: Ottobre 30, 2010, 03:12:25 pm »

IL RETROSCENA

L'ira di Bossi: pronti all'esecutivo tecnico "Il governo non può telefonare alla polizia"

«Dobbiamo prepararci. Il governo tecnico è alle porte. E noi andremo all'opposizione. Per certi versi è pure un bene». d

La sua analisi è spietata. E non lascia spazio a vie di fuga.

Fini valuta la rottura col Pdl, ma vuole arrivarci sulla giustizia e non sul Rubygate

di CLAUDIO TITO


EPPURE il quadro dipinto ieri da Umberto Bossi ha colto di sorpresa pochi dei membri della segreteria della Lega riunita d'emergenza ieri a Via Bellerio. Il braccio di ferro ininterrotto con Gianfranco Fini, gli esodi che stanno travagliando il Pdl e ora lo shock del «Rubygate» stanno facendo crollare le azioni del quarto esecutivo Berlusconi.

Tutti fattori che l'istinto politico del Senatur ha captato con nettezza. Infatti, davanti ad un centrodestra che un "colonnello" berlusconiano definisce «sfinito e depresso», si sta facendo sempre più largo la tentazione del blitz, della spallata al governo.
Nelle ultime 48 ore, i contatti tra il segretario del Pd Bersani, il leader Udc Casini, il presidente della Camera Fini e il capogruppo democratico Franceschini si sono via via intensificati.

Soprattutto si è accelerato il pressing sul capo di Futuro e Libertà. Che mai come in questo momento ha iniziato concretamente a valutare l'idea di «rompere». Nei colloqui che Fini ha avuto con i vertici del suo movimento e con i rappresentanti dell'opposizione, ha fatto capire che stavolta «qualcosa è cambiato». «Ma il campo su cui far cadere il governo - è il suo ragionamento - non può essere quello delle compagnie femminili del premier». Il «Rubygate», insomma, non può essere l'appiglio per disarcionare il Cavaliere. I finiani, semmai, ora alzeranno il tiro su due fronti: la giustizia (lo stesso Fini ha dato il primo segnale ieri), e su «l'abuso di potere».

Il percorso, dunque, non è più quello fissato fino alla scorsa settimana. Non si tratta di aspettare le amministrative di primavera per «cuocere» il presidente del consiglio. Perché, come Casini ha fatto notare ai suoi interlocutori prima di partire per gli Stati uniti, «Berlusconi non sarà mai più così debole». Una debolezza non solo politica ma connessa al «malessere» dei vertici dell'Amministrazione pubblica, alla «freddezza» di ampi settori della Confindustria e alla distanza che le gerarchie ecclesiastiche hanno frapposto tra Palazzo Chigi e Oltretevere. Una considerazione che ha colpito non poco il presidente della Camera. E che sta corroborando le riflessioni di Bersani e Franceschini.

Non a caso l'opzione di presentare nei prossimi giorni una mozione di sfiducia sul caso «Ruby» per coinvolgere subito i finiani è stata accantonata. Sia il segretario Pd che il capogruppo hanno recepito il messaggio dei finiani: «non potete pretendere di farci votare la sfiducia su una cosa del genere». Ma sul resto la tensione verrà subito alzata. Nel Pdl poi è ormai scattata la sindrome del «si salvi chi può».

Molti dei «maggiorenti» del Popolo delle libertà hanno cominciato a parlare con franchezza persino con gli uomini del centrosinistra: «Così non si va avanti, non abbiamo più un leader. Forse è addirittura meglio che facciate un governo tecnico». L'esodo verso Fli e Udc è senza sosta, in modo particolare a livello locale. E intanto il presidente del consiglio si sente sempre più «accerchiato» e sospetta l'esistenza di un piano per «screditarmi a livello internazionale».

Per non parlare della crudezza con cui ieri Bossi ha parlato di Berlusconi e della sua coalizione. Con i big lumbard è stato pesantissimo nei confronti dell'inquilino di Palazzo Chigi anche in riferimento alla vicenda «Ruby». «Ma come gli viene in mente di chiamare la Questura. Un uomo del governo non può farlo, è a dir poco inopportuno. Questa è una cosa che danneggia noi. Ci fa perdere voti, soprattutto a Milano. Come lo spieghiamo?». E ancora: «Il redde rationem sarà a gennaio. Prepariamoci, Silvio cadrà e noi andremo all'opposizione. E ci resteremo. Qualcuno mi dice di un governo Tremonti, ma non esiste. Noi stiamo con Silvio. Tanto il governo tecnico dura comunque poco. Poi si torna al voto. E tutto sommato, prima delle urne, se stiamo un po' all'opposizione ci fa bene. Ci rigenererà».

L'obiettivo leghista è far arrivare la legislatura almeno fino a febbraio, quando scadranno i termini per i pareri da formulare ai decreti sul federalismo. Scaduti quei termini, i decreti entreranno in vigore. «A noi basta», ha ripetuto il Senatur. Che nel frattempo ha aperto di fatto la campagna elettorale. Il prossimo 20 novembre, infatti, si riunirà il «Parlamento del nord» che giaceva in sonno da anni: «Lì inizieremo a rullare i tamburi».

Una situazione senza vie di fuga di cui il Cavaliere ora inizia a preoccuparsi. «Al consiglio europeo - si è sfogato ieri con i fedelissimi - si parlava solo di quella Ruby. Avevano tutti in mano il New York Times. Ma se arriviamo a dicembre, il governo tecnico se lo scordano». Con l'ultimo scandalo, però, si è riaperto anche il fronte della Chiesa. Gianni Letta è dovuto correre ai ripari. Ha obbligato il premier a partecipare lunedì prossimo ad un meeting sulla famiglia organizzato da Carlo Giovanardi e a prevedere una manovrina a dicembre per finanziarie le scuole cattoliche. Il tutto mentre giovedì scorso si verificava un'assoluta novità per il centrosinistra. Quasi l'intero stato maggiore democratico (ad eccezione di Bersani) è stato ricevuto da Mons. Fisichella e da Josè Martins, ex prefetto della Congregazione per la santificazione. D'Alema, Franceschini, Finocchiaro hanno conversato per quasi un'ora con i due prelati. Segno che davvero nelle sale ovattate del Vaticano qualcosa è cambiato.

(30 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #66 inserito:: Novembre 12, 2010, 12:12:49 am »

IL RETROSCENA

"Ultima offerta, il Berlusconi bis" ma Fini dice no all'amico Gianni

Il premier pronto alla crisi pilotata: ma non mi ritiro.

Fini gela il sottosegretario: "Non basta cambiare tre ministeri, Silvio faccia un passo indietro".

Palazzo Chigi tratta anche sulla legge elettorale: possibile il ritorno al Mattarellum

di CLAUDIO TITO


"MA E' VERO quello che mi dicono i leghisti? Saresti disponibile ad un Berlusconi bis. Appoggeresti davvero un nuovo governo di Silvio?".
La battaglia sulle dimissioni del ministro Bondi si era appena conclusa. La tensione nei corridoi di Montecitorio era altissima.
La maggioranza alle prese con l'ennesimo psicodramma: un altro membro dell'esecutivo a un passo dall'addio. E proprio in quel momento, Gianni Letta, ha deciso di tentare l'ultima mediazione. L'estrema trattativa con Gianfranco Fini. È entrato alla Camera da un ingresso secondario e si è diretto al primo piano, nello studio del presidente. Una mossa concordata poco prima con Silvio Berlusconi in partenza per il G20 di Seul. "Se si tratta di fare una crisi pilotata, solo un passaggio rapido al Quirinale e una compagine governativa rinnovata - queste le condizioni dettata dal Cavaliere al suo braccio destro - allora se ne può parlare".

Ma la risposta ricevuta dal "plenipotenziario" di Palazzo Chigi non è certo stata delle più confortanti. "Ma di che stai parlando? Questa - lo ha rimbrottato - è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Io non posso fare tutto questo per due ministeri in più".
Fini vuole la "svolta". Un nuovo equilibrio nella politica italiana. E, infatti, l'unica ipotesi che i finiani prendono in considerazione per ricucire con "questo centrodestra", è il "passo indietro del Cavaliere". Un concetto che il leader di Futuro e Libertà ha ripetuto Clicca Qui! ai suoi fedelissimi: "È chiaro, che se il nuovo governo fosse presieduto da un altro, da Tremonti, da Maroni, da Letta o da Alfano, tutto cambierebbe. Sarebbe un'altra partita".

 Un'opzione, però, inaccettabile per il presidente del consiglio. Non a caso il suo sottosegretario l'ha deliberatamente scartata in anticipo: "È chiaro - ha spiegato a Fini - che il capo del governo sarebbe Silvio. Lui non ha alcuna intenzione di ritirarsi. Su questo nessuna trattativa è possibile".

Il rapporto tra Letta e l'inquilino di Montecitorio, anche in questa fase di maggior attrito nel centrodestra, è sempre scivolato sui binari della cordialità. E anche stavolta il clima tra i due è rimasto privo di ostilità. Tanto che lo stesso sottosegretario, di fronte alle argomentazioni esposte si è limitato a dire sconsolato: "Me ne rendo conto".

Subito dopo, Letta ha riferito a Berlusconi l'esito della missione. Facendo cadere il castello di certezze costruito nelle ultime ora dagli ambasciatori lumbard. Che nei contatti informali con Fini avevano invece prospettato alcune soluzioni per solleticare l'ex alleato: tre dicasteri a Fli, il siluramento degli ex colonnelli di An come La Russa e Matteoli, la riforma elettorale e il quoziente familiare per invogliare i centristi dell'Udc. E, se fosse possibile, il coinvolgimento diretto di Fini e Casini nella "squadra". Non è un caso che stamattina per rendere più concreta l'offerta, il Pdl ha improvvisamente riunito il gruppo del Senato per mettere in campo una nuova legge elettorale. E dal cilindro è uscita la modifica del porcellum con l'introduzione di una soglia minima per accedere al premio di maggioranza o addirittura il ritorno al Mattarellum (il Cavaliere ha già ordinato dei sondaggi per verificare il risultato dell'asse Pdl-Lega se venisse ripristinato il vecchio sistema).

Tutte ipotesi, però, che l'uomo di Montecitorio ha declinato rinviando all'incontro di stamane con Umberto Bossi. E forse quel "vediamo con Bossi", è stato male interpretato dai big lumbard come Maroni e Calderoli. Tant'è che il summit di oggi viene considerato una sorta di formalità. Basti pensare alla domanda che ancora Letta ha posto ieri al presidente della Camera prima di salutarlo. "E la finanziaria? Su quella cosa fate?". "Faremo in modo - ha replicato - che venga approvata". Una formula che non ha affatto tranquillizzato l'emissario berlusconiano.

In effetti, il percorso studiato dallo stato maggiore di Fli - a meno che Berlusconi non faccia davvero un passo indietro - prevede un escalation rapidissima. Se Tremonti porrà la fiducia sulla manovra economica, ad esempio, i finiani non parteciperanno al voto. Approveranno la Finanziaria ma non la fiducia. "Se questo non bastasse a far dimettere Berlusconi - spiegano gli uomini del presidente della Camera - allora dopo il via libera definitivo alla legge di stabilità, saranno i gruppi di Futuro e Libertà a presentare la mozione di sfiducia". Un destino, insomma, che i finiani considerano ormai segnato. Tanto da aver messo già in programma per sabato mattina le dimissioni della delegazione governativa. La data è stata scelta per aspettare che il presidente del consiglio torni in Italia dopo il G20 coreano.

"Io però - ha fatto sapere Berlusconi - vado avanti comunque. aspetto la sfiducia". Sebbene il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si aspetti un passaggio sul Colle da parte del premier dopo l'addio dei finiani. E ieri, durante il Consiglio Supremo di difesa, non ha nascosto di voler mantenere una linea di totale equidistanza in vista dell'apertura della crisi: ha evitato con cura di parlare con il capo del governo della situazione politica.

L'ultimo capitolo del rapporto tra Fini e Berlusconi, quindi, verrà scritto solo quando sarà stata votata la sfiducia. Fino a quel momento il Cavaliere vuole tirare avanti e prendere tempo. Per dare corpo ad una nuova campagna acquisti che impedisca la nascita di un esecutivo tecnico. E per far svanire uno degli incubi che da qualche giorno si materializza nei ragionamenti del Cavaliere: "E se Bossi, a crisi aperta, facesse un passo verso chi vuole far nascere un altro governo?". Perché almeno ad un tavolo, il Senatur vorrà comunque sedersi: quello della riforma elettorale.

(11 novembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #67 inserito:: Novembre 25, 2010, 09:15:09 am »

IL RETROSCENA

Il Quirinale teme l'aut-aut di Bruxelles i conti in rosso pesano sull'esito della crisi

Le scelte del Consiglio europeo di dicembre sulla riduzione del debito pubblico possono condizionare l'esito del prossimo voto di fiducia.

La Ue potrebbe chiederci una manovra correttiva né ribaltoni, né voto anticipato

di CLAUDIO TITO


ROMA - La crisi economica, i mercati finanziari in fibrillazione, l'euro in pericolo. E soprattutto la concreta possibilità che l'Italia debba mettere mano nel 2011 ad una pesante manovra correttiva su richiesta dell'Unione europea. Sulla resa dei conti dentro la maggioranza si sta allungando un'ombra che non era stata presa in considerazione. E che ora, però, sta diventando il centro dei colloqui informali del capo dello Stato in vista del voto di fiducia: "Un problema che non si può sottovalutare". E già, perché da alcuni giorni Napolitano sta richiamando l'attenzione sulle decisioni che il prossimo 15 dicembre potrebbe adottare il Consiglio europeo.

L'ordine del giorno, infatti, prevede la revisione del patto di stabilità. E al suo interno un capitolo che tocca molto da vicino il nostro Paese: il risanamento del debito pubblico. L'accordo non è scontato. La Commissione europea, però, da tempo ha chiesto l'adozione di misure severe per costringere i partner europei ad avvicinarsi al parametro che prevede la soglia del 60% nel rapporto debito-Pil. "Possiamo permetterci di sottovalutare questo problema? - è il richiamo del presidente della Repubblica - Nessuno può farlo". Anche se il voto di fiducia del 14 dicembre che sta facendo traballare il centrodestra è ormai vicino.

Proprio il giorno prima del summit europeo, dunque, il governo potrebbe essere sfiduciato e presentarsi dimissionario alla delicatissima trattativa di Bruxelles. Un elemento che costituisce
una "preoccupazione" per la massima carica del Paese e che sta diventando l'oggetto dei contatti tra le forze politiche di centrodestra e dell'opposizione. Soprattutto sul Colle stanno ora sottolineando l'opportunità che ad affrontare una situazione di questo tipo sia un governo nella pienezza dei suoi poteri e con una maggioranza solida. Perché se la revisione del patto di Stabilità dovesse imporre una rientro dal debito in tempi brevi, un primo intervento potrebbe rendersi necessario già in primavera. L'Italia ha in Europa il debito più alto, con il 118,2%, dopo la Grecia (124,9%). E se venissero confermate le iniziali richieste della Commissione, si tratterebbe di una correzione dei conti superiore a 25 miliardi di euro. Una stangata che solo un esecutivo solido e non preelettorale si può permettere. Come dice Pier Ferdinando Casini, "servirebbe una Grande coalizione come in Germania".

E allora non è un caso che lo stesso Berlusconi di recente abbia iniziato a parlare in termini tranquillizzanti di Napolitano: "Ormai è chiaro che non avallerà ribaltoni". Ma è anche chiaro raccontano gli uomini del Pd in contatto con il presidente della Repubblica che "non vuole nemmeno arrivare alle elezioni anticipate". E in effetti il messaggio lanciato dagli ambasciatori del Colle è proprio questo: "Né ribaltoni, né voto anticipato". In caso di crisi, il capo dello Stato si atterrà ovviamente alle prerogative che gli attribuisce la Costituzione, nella convinzione che bisogna affrontare al meglio la tempesta economica che, partendo dall'Irlanda, rischia di investire l'intera Unione europea. "Chi si assume la responsabilità di andare al voto in questo contesto?", è la domanda che stanno ripetendo al Quirinale. Non solo. Napolitano ha nei giorni scorsi fatto notare le differenze tra l'attuale situazione e quella che portò alla formazione dei cosiddetti esecutivi tecnici, quello di Ciampi e quello di Dini. "Il primo - ha ricordato - venne indicato dal premier uscente Amato e aveva il sostegno dei quattro partiti di maggioranza con l'astensione del Pds. Il secondo venne indicato da Berlusconi e dal partito principale. Non si trattava di governi che non tenessero conto della maggioranza".

La gravità della situazione allora sta orientando il confronto in tutte le forze politiche. "Chi chiede di andare a votare con una tale emergenza?", si interroga il segretario Pd, Pierluigi Bersani. Tra i democratici non manca chi ricorda la solidarietà nazionale, una formula varata anche perché l'inflazione navigava oltre il 20%. "Forse - è il dubbio di Pier Ferdinando Casini - sarebbe meglio anche per noi che Berlusconi andasse ancora un po' avanti. Anche per tenerlo a bagnomaria". Ma investe in primo luogo il centrodestra. Il Cavaliere ha iniziato a prendere in esame l'ipotesi del bis con un allargamento ai centristi. Ma si sta anche squarciando in anticipo il velo che copriva la corsa al "dopo-Berlusconi". Perché, come scriveva l'Economist, "Berlusconi non rappresenta la stabilità, ma la stagnazione".

"Se avremo una fiducia risicata - ammette allora un autorevole ministro del Pdl - potremo davvero andare avanti? E se Napolitano non ci darà le elezioni anticipate e non accetterà ribaltoni, cosa faremo? Dovremo dar vita ad un nuovo governo e una nuova coalizione. Senza Silvio, però". Appunto, un esecutivo che possa trattare a pieno titolo con i partner europei e sia in grado di sostenere l'impopolarità di eventuali misure draconiane. Non a caso, nel Popolo delle libertà sono in molti a far circolare il nome di Gianni Letta. L'unico che il Cavaliere può considerare una garanzia in caso di un suo passo indietro. L'unico che può convincere Fini e Casini a rientrare nella maggioranza. "Tremonti - si è lamentato di recente il premier - si sta dando troppo da fare. Non mi fido".
Nella lista dei potenziali candidati, però, un posto è riservato al Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Nel taccuino dei finiani e dei centristi è il primo nome. Soprattutto se la crisi economica dovesse davvero assumere contorni tragici.

(24 novembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #68 inserito:: Dicembre 05, 2010, 12:13:54 am »



di CLAUDIO TITO

Lo scontro è aperto

Lo scontro adesso è aperto. E sfiora il conflitto istituzionale. Le parole del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, contro il presidente della Repubblica aprono un altro fronte nella maggioranza. Il "ce ne freghiamo" scandito da quello che può essere considerato il segretario del partito di maggioranza relativa imbarazza buona parte dell'attuale centrodestra. Ma rappresentano soprattutto un motivo in più per Futuro e Libertà e Udc per  prendere le distanze da Berlusconi in vista del prossimo voto di fiducia. Non a caso nel Pdl molti sono intervenuti per smentire e ridimensionare il coordinatore piediellino. Anche perché il monito di Napolitano al rispetto delle prerogative che la Costituzione gli assegna, in un primo momento era rivolto a tutti gli esponenti politici e a tutti gli schieramenti. Era anche un modo per rassicurare chi a Palazzo Chigi teme l'esistenza di un orientamento già definito contro le elezioni anticipate. Al di là delle precisazioni, quindi, il Quirinale si aspetta ora un chiarimento sulla vicenda. E lo staff del Cavaliere sta valutando come ricomporre una frattura che non viene considerata utile proprio in vista della prossima, probabile crisi di governo. Anche perché le parole di Verdini  -  non solo per il loro tono "mussoliniano"  -  sono state interpretate come una vera e propria minaccia.

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HREA-1
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« Risposta #69 inserito:: Dicembre 06, 2010, 09:11:28 am »

di CLAUDIO TITO

L'area dei ragionevoli e il diktat del premier


"Casini vuole prendere il mio posto". Silvio Berlusconi boccia la proposta di Pier Ferdinando Casini di un governo di "armistizio" guidato da un esponente del Pdl, ma non dal Cavaliere. Il premier vuole andare avanti e sfida opposizion e finiani in vista della sfiducia del 14 dicembre. "Il testimone  -  dice  -  prima o poi lo lascerò, ma a giovani e non i vecchi maneggioni della politica".

Nessuno passo indietro, dunque, soprattutto non a favore del leader centrista e di Gianfranco Fini. L'inquilino di palazzo Chigi non accetta il confronto su un altro presidente del consiglio e indica come unica soluzione lo sciogliemento anticipato. Casini e il capogruppo pd Franceschini avevano aperto la porta a un esecutivo di larghe intese e il capo dell'Udc aveva indicato tre possibili candidature: Letta, Tremonti e Alfano.

Un'ipotesi basata sull'opportunità di non dar vita a "ribaltoni". Ma anche su una considerazione: il capo  dello Stato ha comunque l'obbligo  -  in caso di sfiducia - di verificare se esista una maggioranza per un altro governo.

Nella certezza che, dopo il 14, anche nel Pdl può aprirsi un altro scenario. Con tanti parlamentari impegnati a salvare il proprio seggio e quindi la legislatura. Come dice Casini, nel partito del Cavaliere si sta formando "un'area di ragionevolezza".

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
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« Risposta #70 inserito:: Dicembre 07, 2010, 12:07:52 pm »

RETROSCENA

Il Cavaliere studia l'extrema ratio "Un altro premier del Pdl e io ministro"

Fino al 14 nessuna subordinata allo schema fiducia o voto.

Ma una terza ipotesi si affaccia ad Arcore.

Il legittimo impedimento lo proteggerebbe anche con il nuovo incarico

di CLAUDIO TITO

Un "piano B". Una valvola di sicurezza se tutto dovesse precipitare. Un'exit strategy se i pezzi del puzzle disegnato da Palazzo Chigi non dovessero incastrarsi. Silvio Berlusconi anche stavolta ha iniziato a mettere a punto una via d'uscita. Da imboccare solo se il prossimo 14 dicembre il suo governo verrà sfiduciato. "Fino a quel giorno nessuno deve parlare di opzioni diverse - ha ordinato ai suoi fedelissimi - . Il nostro obiettivo è la fiducia piena e in caso contrario le elezioni anticipate. Ma dal 15 in poi valuteremo il da farsi". E nel "da farsi" ora compare anche la possibilità di un altro esecutivo, guidato da un altro esponente del Pdl, e che elenchi tra suoi i ministri proprio il Cavaliere.

Magari in un dicastero che ha già ricoperto ad interim, quello degli Esteri. Si tratta solo di una extrema ratio da adottare solo se la situazione non presenterà alternative. Una "mossa del cavallo" per sorprendere tutti e uscire dall'angolo avendo ancora lo "scudo" del legittimo impedimento. Sta di fatto che il progetto ha iniziato a fare capolino dalle parti di Arcore. Un'eventualità che nel week end lo stesso presidente del consiglio ha soppesato. Mal volentieri, certo, ma ammettendo che dopo il 14 "tutto va preso in considerazione".

Le "colombe" del suo partito, del resto, sono da tempo all'opera per attenuare la violenza dello scontro con Fini e Casini. Hanno messo in guardia l'inquilino di Palazzo Chigi sulle conseguenze dello scontro all'ultimo
sangue. Ci ha provato Gianni Letta e Fedele Confalonieri. Persino Umberto Bossi lo ha invitato a trovare un'intesa con il presidente della Camera. Soprattutto hanno cercato di fargli capire che la bocciatura dell'esecutivo a Montecitorio potrebbe comportare lo "slittamento" di molti peones verso il sostegno ad un nuovo governo. Una spinta che nel centrodestra potrebbe rivelarsi fatale. Pure nel "blindatissimo" Palazzo Madama, i numeri potrebbero improvvisamente ribaltarsi dopo il 14. Basti pensare a Beppe Pisanu che ripete ad ogni piè sospinto: "Io sono contro le elezioni anticipate". Oppure alla pattuglia dei cosiddetti "scajoliani". Timori che stanno scuotendo il partito di maggioranza relativa impegnato a escogitare un "patto di fedeltà" tra i senatori. Che, però, non riesce a prendere corpo.

"Io - ha ripetuto ieri Berlusconi - sono sicuro che avremo i numeri anche alla Camera. Verdini e La Russa me lo hanno giurato. E comunque non voglio farmi ricattare da nessuno". Eppure, anche il Cavaliere sa che in caso contrario la strada delle urne potrebbe, appunto, non essere scontata. Anche per le attenzioni che il Quirinale sta rivolgendo alla grave crisi economica, alla burrasca che sta attraversando l'euro e alle difficoltà del nostro debito pubblico. Non a caso, dicono sul Colle, è sbagliato prefigurare alcunché fino a quando non si conoscerà la portata della verifica parlamentare.

Proprio per questo, l'inquilino di Palazzo Chigi non vuole trovarsi impreparato davanti al peggio. E insieme alle "colombe" non esclude ora che, se la richiesta di scioglimento delle Camere non verrà accolta, l'alternativa potrebbe essere sì un altro governo guidato da un esponente del Pdl, ma con lui stesso membro del nuovo esecutivo. In particolare come responsabile della Farnesina. Una mossa fatta apposta per mettere in difficoltà Fli e Udc. E soprattutto un modo per blindarsi rispetto a quella che da sempre chiama la "persecuzione giudiziaria". Perché se la Corte costituzionale, proprio il prossimo 14 dicembre, dovesse confermare la costituzionalità del legittimo impedimento, lui continuerebbe a usufruirne. Quella norma, infatti, vale fino ad ottobre 2011 per il presidente del consiglio e per i ministri. Non solo. Poiché il Cavaliere considera Gianni Letta e Angelino Alfano gli unici affidabili per la realizzazione di questo quadro, conquisterebbe una serie di benefici: contare su un premier "leale", su una presenza costante e "dominante" in consiglio dei ministri, sulla possibilità di continuare a mantenere tutti i contatti con le cancellerie straniere. Soprattutto verrebbero lasciate inalterate le sue chance di una ricandidatura alle elezioni del 2013 e alla corsa per la successione al Quirinale.

A quel punto, raccontano le "colombe" che hanno indotto il presidente del consiglio a valutare questa possibilità, "per Fini e Casini sarà davvero difficile sottrarsi. E per Napolitano impossibile non accogliere la nuova maggioranza e il nuovo equilibrio". Al momento, però, si tratta solo una "extrema ratio". Che il premier prenderà in considerazione solo a partire dal 15 dicembre. Anche perché non tutti, nel centrodestra, potrebbero gradire il "rilancio" berlusconiano". Ad Arcore, in questo fine settimana, hanno infatti fatto notare che in uno scenario del genere, la Lega potrebbe puntare le sue fiches su un altro "vice-Cavaliere": ossia su Giulio Tremonti. Il ministro dell'Economia, da sempre vicino al Carroccio, e considerato con le competenze migliori per affrontare la crisi economica.

Per questo l'inquilino di Palazzo Chigi vuole tenere nascoste le sue carte. Tentare la prova di forza. Per poi scartare tutti se la situazione fosse senza via d'uscita. Ma senza rompere l'asse con Umberto Bossi.

(07 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #71 inserito:: Dicembre 09, 2010, 10:49:55 am »


di CLAUDIO TITO

Accordo e reincarico l'ultima offerta del Fli

"Se accetta di cambiare la legge elettorale, potrà avere il reincarico in 72 ore". E' l'ultima offerta dei finiani. Che attraverso Italo Bocchino fanno sapere al presidente del consiglio che una trattativa in extremis si può effettuare. Ad una condizione modificare il "porcellum" introducendo almeno una soglia di accesso al premio di maggioranza. Una soglia che Fli fissa al 45 per cento. Purchè, come dice Gianfranco Fini, "il premier si dimetta". Ma la risposta di Palazzo Chigi per ora punta a prendere tempo. Va bene il confronto sul programma, sulla crisi economicva e sulla riforma elettorale. Ma niente dimissioni. Sostanzialmente il Cavaliere non si fida del presidente del Camera. E l'unica garanzia valida è quella di rimanere alla guida dell'esecutivo. I suoi uomini inoltre sono sicuri che martedì prossimo conquisterà ancora la fiducia. Gli sforzi del Pdl sono ora concentrati sulla "compravendita" di senatori e deputati. Tant'è che nelle ultime ore le attenzioni si sono rivolote sul parlamentare dipietrista Scilipoti. E qualche invito al "ripensamento" viene formulato pure nei confronti delle "colombe" di Fli, a qualche centrista preoccupato e perfino ad alcuni deputati del Pd. Un "calciomercato" molto concreto. E che ora sta innervosendo il terzo Polo. A partire da Casini  al quale non è proprio piaciuta la mossa finiana di riaprire il tavolo del confronto con il premier.

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« Risposta #72 inserito:: Dicembre 15, 2010, 05:25:20 pm »

IL RETROSCENA

Fini: "Ho perso, un punto per Silvio ma ora è impossibile governare"

Il leader Fli: "I conti non tornano, i berluschini lo sanno". "L'inquilino di Montecitorio inizia a considerare l'ipotesi delle dimissioni".

Lo sconforto del capo futurista: "Mi fa male che siano mancati due di Futuro e Libertà"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "Ora? Ora andiamo a casa. Ma domattina siamo di nuovo qui. A lottare e a continuare la nostra battaglia". Il colpo si è fatto sentire. La sconfitta è stata pesante. Una giornata nera. Gianfranco Fini ammette il passo falso. Ma non si dà pace per i "tradimenti" subiti. È amareggiato. Non si aspettava che fedelissimi della prima ora come Moffa e Polidori potessero girargli le spalle all'ultimo momento. Così come non poteva credere a quegli insulti urlati nel bel mezzo del Transatlantico di Montecitorio da un gruppo di deputati Pdl. Tra le grida ha attraversato il corridoio senza dire una parola, protetto solo dai commessi. La tensione è altissima. Lo sconforto pure.

Nel pomeriggio, però, cerca di frenare le emozioni per lasciare il posto all'analisi. Chiuso nel bunker del suo ufficio alla Camera chiama uno a uno tutti i parlamentari di Futuro e libertà. Al primo piano salgono Bocchino e Urso, Briguglio e Menia. Si sente con Pier Ferdinando Casini. Riceve la telefonata di Massimo D'Alema. "Tra una settimana, solo tra una settimana si capirà bene cosa è successo. Aspettiamo che passi l'euforia di Berlusconi e dei "berluschini". Aspettiamo che si depositi la polvere. E poi vedrete che si farà punto e a capo". Nel quartier generale finiano, certo, la delusione sembra avvolgere ogni parola. E il manifesto che campeggia in una stanza con la foto di Pinuccio Tatarella e lo slogan "È necessario inseguire un sogno" sembra stampato per l'occasione.
Il leader futurista, del resto, sa che "oggi Berlusconi ha segnato un punto. È riuscito a "scapolare". E questo mi fa particolarmente male perché sono venuti a mancare due di Fli. Berlusconi ha dimostrato che la sua capacità di "convincere" supera le nostre previsioni". Eppure, dopo l'iniziale ira e le telefonate di fuoco con Moffa e la Polidori, ora abbassa i toni e cerca di analizzare la situazione con "freddezza". Ai suoi ripete che la guerra non è stata ancora persa. "Noi ci saremo, come prima e più di prima".

Il presidente della Camera considera anzi il voto sulla sfiducia l'ennesima svolta nella sua vita politica. Un'occasione per rendere "libero" il suo gruppo. Per tornare fare politica in autonomia. Tranquillizza i suoi uomini. Mette al riparo il partito dal rischio di una nuova scossa. "Quando si depositeranno le nebbie laudatorie - avverte - tutti capiranno che non si può andare avanti così. Non si governa con questi numeri. Tanto è vero che proprio Berlusconi ha dovuto dire: allarghiamo la maggioranza. Una proposta tanto giusta quanto ardua, non credo ci riuscirà". Non solo. "Ora è anche più complicato andare subito al voto. Si potrebbe dire: ha voluto la bicicletta? Pedala". Ma se sarà complicato per il Cavaliere rendere più forte la coalizione, anche per Fini non sarà facile tenere unito il suo gruppo. E salvaguardare l'intesa con l'Udc. "Non credo che correremo dei rischi. Tutte le ambiguità - è la sua convinzione - se ne sono andate. Le ambiguità tra chi davanti alla "crisi del settimo anno" lavorava per un nuovo "appeasement" e chi pensava a un modo civile per separarsi. Bene, dopo quel che è successo, nessuno di noi pensa che sia possibile cercare un'intesa. Possiamo dire che quel che dovevamo perdere, lo abbiamo perso".

A suo giudizio, però, tutto questo offre un'opportunità. Fli potrà decidere come "posizionarsi" sui singoli problemi senza linee "ideologiche o preconcette". Ma questo, avverte, vuol dire anche che su tutti i provvedimenti del governo i futuristi faranno valere le loro ragioni e i loro emendamenti. "Ad esempio: cosa facciamo su Napoli? facciamo una battaglia ideologica? No, spiegheremo i nostri punti di vista. Ma se non saranno accolti voteremo contro. La politica del governo determinerà le nostre reazioni: approveremo solo ciò che condividiamo". Una linea che potrebbe presto mettere a dura prova la maggioranza. E trasformare l'iter parlamentare delle leggi in un "Vietnam". Non a caso il Pdl ha già chiesto di sospendere di fatto l'attività d'aula fino a gennaio. I prossimi appuntamenti rischiano di trasformarsi in ripetute rese dei conti. "Che si fa - è l'esempio del capo futurista - sulla sfiducia a Bondi? Come fa il ministro per i Beni culturali a rimanere al suo posto?". Di certo i finiani non lo difenderanno. Ma c'è anche la mozione su Calderoli, e quella sulla Rai. Quindi, "opposizione non pregiudiziale ma senza ingoiare cose che non ci piacciono". A cominciare dalle famigerate "leggi ad personam" che sulla giustizia hanno accompagnato lo scontro nel Pdl negli ultimi due anni.

Fini invoca allora "freddezza". Chiede di aspettare, prima di liquidare il voto di ieri come una vittoria di lunga durata per il Cavaliere: "Vedrete, basta una settimana e sarà tutto già metabolizzato. Gli altri, invece, dovranno fare i conti veri". Ma ammette anche che la "freddezza" va accompagnata con un progetto politico che non può fare a meno dell'Udc di Casini. "Ma vale per entrambi. Ed entrambi dobbiamo tenere". Anche rispetto alle lusinghe del premier che si allungheranno sui centristi e sui singoli deputati di Fli. "La garanzia - dice il presidente della Camera - è che conosciamo bene Berlusconi. Pier non è così sprovveduto da accomodarsi al tavolo del Cavaliere. Intanto perché lascerebbe una prateria sconfinata. E poi, al di là delle nostre intenzioni, c'è una logica politica che vale di più". Una logica che secondo i finiani potrebbe portare ad una "Costituente dei moderati e di centrodestra". Un disegno che "magari avrà degli stop e delle accelerazioni, ma che andrà avanti". "Senza contare - sottolinea Fini - che in Italia c'è un sentimento di voltar pagina rispetto al berlusconismo che va anche oltre la sinistra". Insomma, "oggi Berlusconi è più forte nei numeri ma è montato su un cavallo che non sa dove porta. La sua confusione gli fa persino rivolgere un appello agli ex popolari del Pd. Diamo tempo al tempo e ne vedremo delle belle". E in questo tempo, una delle tappe potrebbero essere le dimissioni dalla presidenza della Camera. Per lanciarsi nell'impegno politico a tempo pieno. E per chiudere definitivamente i conti con il Pdl.

(15 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #73 inserito:: Dicembre 21, 2010, 05:16:02 pm »


CLAUDIO TITO

Il no del Quirinale

Le elezioni anticipate sono un una extrema ratio. Sarà anzi preferibile che la legislatura continui fino al 2013. Giorgio Napolitano conferma la sua linea e si dichiara contro un "improvvido" scioglimento delle Camere. Dopo il voto di fiducia della scorsa settimana, il capo dello Stato non modifica la sua posizione ma avverte che questo sarà possibile solo fino a quando il governo dimostrerà "l'efficacia della sua azione". E comunque, in caso di crisi dell'esecutivo, terrà conto della volontà popolare registrata nelle elezioni del 2008. Un discorso che ha suscitato immediatamente la reazione positiva di Silvio Berlusconi: "Ha spezzato una lancia per la continuità". E anche il segretario Pd Bersani ha definito "forte" il messaggio del Quirinale. La giustizia, però, torna ad essere il terreno di scontro tra il premier e Gianfranco Fini. Il Cavaliere ha accusato il presidente della Camera di aver stretto un patto con l'Anm per boicottare tutte le riforme, a cominciare da quella sulle intercettazioni, ricevendo in cambio l'assicurazione che il suo gruppo non verrà coinvolto in inchieste o indagini da parte dei magistrati. "Una barzelletta", è stata la risposta del leader di Futuro e Libertà. Il Cavaliere, dunque, spara alzo zero contro i futuristi. Sforna i suoi sondaggi che danno il Fli al 3,5% ("presto sparirà") e il Pdl al 31%. Anche se poi ammette che il solo Udc supera il 6%. Nonostante il monito del Colle e le dichiarate promesse di Berlusconi, il premier sembra aver dato il via alla campagna elettorale.
La tenuta della maggioranza è alla prova in Senato, con le votazioni sulla riforma Gelmini. La tensione è altissima dopo le provocazioni anti-piazza del capogruppo pdl Gasparri. Su questi messaggi incendiari è calato il monito del presidente della Repubblica. Un appello alla classe politica, e segnatamente alla maggioranza, a riallacciare un filo di dialogo.

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« Risposta #74 inserito:: Gennaio 09, 2011, 05:03:46 pm »

IL RETROSCENA

Bossi e Maroni: veto sul federalismo "Ma con il Cavaliere non si rompe"

Berlusconi punta alle elezioni nel 2012: "Tra un anno il patto con Casini e terrà insieme le scadenze di Colle e Palazzo Chigi".

La Lega: "Se salta il decreto, salta tutto. Non ci sono spazi di manovra sul testo"

di CLAUDIO TITO


"Il testo del decreto è quello, non si può modificare". La Lega blinda il "suo" federalismo. Teme la "trappola" e chiude i battenti.
Con una sola precauzione: "Non entrare in rotta di collisione con Berlusconi".

La "cena degli ossi" in Cadore non è stato un ordinario appuntamento per archiviare le feste natalizie e riavviare la macchina del governo. Per Umberto Bossi e l'intero stato maggiore della Lega è stata l'occasione per disegnare la road map dei prossimi mesi. Elencare le priorità del Carroccio e dell'esecutivo soprattutto in vista di questo "delicato" gennaio.
Soprattutto studiare le mosse per non farsi paralizzare dalla "palude romana" senza far crollare il castello di aspettative che il Cavaliere si è costruito nelle ultime settimane.

E già, perché i progetti del premier sono più tortuosi di quelli esposti dal Carroccio. L'inquilino di palazzo Chigi vuole fare di tutto per evitare il voto anticipato.
"Almeno per un anno", ha spiegato all'"amico Umberto". Fino alla primavera del 2012: per avere il tempo di ricostruire un rapporto con Pier Ferdinando Casini e evitare l'"ingorgo istituzionale" previsto nel 2013: elezioni, nuovo governo e nuovo presidente della Repubblica nel giro di un mese. Perché è proprio sulla successione a Giorgio Napolitano che Berlusconi pianifica ogni decisione. E i leghisti, adesso, lo hanno capito.

Dopo il summit di Calalzo e la telefonata con il Cavaliere, il Senatur ha infatti chiamato a raccolta tutti i "big" del Carroccio: da Maroni a Calderoli, da Giorgetti a Zaia.
Con loro ha sviscerato problemi e inquietudini. Il sentiero è "molto stretto". Perché "noi non dobbiamo cedere nemmeno di un millimetro sul federalismo" ma non possiamo nemmeno entrare in rotta di "collisione" con Berlusconi. Sapendo, però, ha spiegato il ministro degli Interni Maroni a un collega del Pdl, che "il 21 o in commissione passa il testo del decreto che attua il fisco municipale o salta tutto". Ma su quel provvedimento adesso pesa la ferrea logica dei numeri: nella commissione bicamerale che dovrà esprimere il parere, il centrodestra non ha la maggioranza. L'ago della bilancia è rappresentato dal finiano Mario Baldassarri. "Lui - ricordano Calderoli e Maroni - ha sempre votato con noi, ci aspettiamo che lo faccia passare.
Ma solo lui può decidere cosa fare".

Le certezze leghiste di recente sono diventate meno granitiche. Fli e Udc hanno iniziato ad alzare l'asticella della trattativa introducendo nuovi fattori: quoziente familiare e cedolare secca sugli affitti. Argomenti che il Carroccio non considera compatibili con il decreto. "Con l'attuale situazione economica - ha fatto ancora notare il responsabile del Viminale nei contatti con esponenti della maggioranza - non è pensabile immaginare un intervento sul fisco. Non credo che ci possano essere spazi di manovra, ora, sul testo". Quindi, "o il federalismo passa o salta tutto". E per farlo passare, oltre al sì di Baldassarri, "non sono da escludere altre soluzioni".

Ma, in ogni caso, i problemi in larga parte resterebbero insoluti. "C'è il problema della navigazione quotidiana", ha osservato il ministro degli Interni negli ultimi incontri con la base leghista. A cominciare dal decreto Milleproroghe. Che deve affrontare anche l'ostacolo della commissione Bilancio di Montecitorio. Nella quale il centrodestra non può contare sulla maggioranza. Una situazione che Bossi gradisce poco. Ma che nello stesso tempo non vuole fare esplodere. "Nessuna rottura con il premier", ripete ad ogni piè sospinto.

Anche perché sa che il Cavaliere punta alle elezioni nel 2012. "Possiamo farcela - è il ragionamento fatto nell'ultima telefonata con il Senatur - possiamo allargare un po' la maggioranza. Anche perché nessuno vuole votare: né Casini, né Fini, né Bersani". Il presidente del consiglio è convinto di poter contare "di volta in volta" sui voti di centristi, futuristi o democratici. "Ho bisogno di tempo per stringere un'intesa con Pier". Nella consapevolezza che l'Udc non entrerà mai adesso in maggioranza. Ma nel 2012, con le elezioni, qualcosa può cambiare. Sul tavolo, osserva da qualche giorno Berlusconi, ci sarà "Palazzo Chigi e il Quirinale". "Adesso questo non vale e comunque l'Udc in questo momento si presenterebbe alle urne come terzo polo. Il patto si può chiudere solo dal 2012 in poi. Facendolo maturare e facendo in modo che le due scadenze non siano troppo distanti: non potrei fidarmi dei democristiani se l'intesa va incassata dopo oltre due anni".

Programmi di cui Bossi è consapevole e non vuole assumersi la responsabilità di farli saltare. Se non in presenza di uno scoglio insuperabile come la bocciatura del federalismo.
Anche per questo, il ministro delle riforme ha fatto sapere di essere pronto a "trattare" con l'opposizione. "Ma senza rompere con Berlusconi - conferma ai suoi Maroni -. Anche le presunte tensioni con Tremonti non provocheranno fratture".

(09 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
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