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Autore Discussione: CLAUDIO TITO.  (Letto 81023 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Marzo 30, 2009, 09:16:34 am »

Il Congresso Pdl. Partenza in salita per la 'difficile coabitazionè dei due fondatori

Il premier dopo il discorso: "Il mio erede lo sceglie il Pdl, farò il padre nobile"

I silenzi del Cavaliere irritano Fini

"Timido sul dialogo, proposte vaghe"

di CLAUDIO TITO

 

ROMA - "Il mio erede lo sceglierà il Pdl, io mi accontenterò di fare il padre nobile". Non è bastata questa frase di Silvio Berlusconi a rassicurare i colonnelli di Alleanza nazionale. Non è stata sufficiente l'evocazione di un futuro avvicendamento per tranquillizzare gli ex missini. E già, perché il discorso con cui il Cavaliere ha chiuso le prime assise del Popolo delle libertà sono piaciute davvero poco ai big di An. E in particolare a Gianfranco Fini. Inizia così la "difficile coabitazione" nella "casa comune".

Una "convivenza" di cui il capo del governo e il presidente della Camera hanno provato a prendere atto nei giorni scorsi. Alla prima prova, però, ne è emersa tutta la complessità. Fini - che aveva concordato con il premier l'assenza di ieri alla Fiera di Roma - non ha infatti apprezzato l'intervento del capo del governo. "Meglio non commentare - ha fatto sapere ai suoi - altrimenti rischiamo di rovinare tutto".

Le parole berlusconiane sono state una "delusione" per l'ex leader di An. Nessun riferimento al testamento biologico, neanche un secondo speso sul referendum elettorale. Nemmeno una "risposta concreta" sul percorso riformatore. Aspetto, quest'ultimo, che ha più colpito il presidente della Camera. Il quale, al contrario, scommette sulla revisione della seconda parte della Costituzione e sul dialogo con l'opposizione. La mano tesa del premier viene giudicata "fin troppo timida". Stesso discorso per quanto riguarda i tre quesiti elettorali. "Comprensibile la prudenza con la Lega - è il ragionamento dei finiani - ma almeno un accenno lo poteva fare". Anche sul biotestamento, "l'amico Gianfranco" avrebbe preferito una esplicitazione di quel "patto segreto" a favore di un rinvio a settembre del provvedimento approvato al Senato. "Così insomma - è la sintesi di Fini - non va".

E in effetti, anche nel backstage del padiglione 8, Berlusconi ha fatto ben poco per smentire le impressioni dell'inquilino di Montecitorio. "Ci sono riforme importanti da fare - ha spiegato ai big del Pdl che lo circondavano -. Dobbiamo ammodernare il Paese altrimenti non si esce dalla crisi". Ma il dialogo con il Pd è considerato alla stregua di una chimera: "Abbiamo tanta buona volontà rispetto alla sinistra, ma quelli non fanno altro che mettere paletti. È chiaro che in questa situazione noi faremo le riforme solo con i nostri voti".

Nella "difficile coabitazione", però, il Cavaliere ha cercato di garantire a Fini il ruolo ufficiale di "numero due". Nel pranzo di giovedì scorso a Montecitorio, del resto, era stata siglata una sorta di tregua proprio per impedire che la fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale fallisse. "Senza un'intesa ferrea con Gianfranco - ha spiegato lo stesso Berlusconi a diversi parlamentari forzisti - rischiamo di spaccare il partito".

Ed è esattamente la preoccupazione che molti esponenti di Forza Italia di lungo corso hanno iniziato a coltivare. Un timore basato sulla certezza che a livello locale - e non solo - i dirigenti di Via della Scrofa possono sistematicamente mettere in difficoltà la componente berlusconiana. In questi giorni, ad esempio, è accaduto sulla battaglia per lo statuto del partito. Non è un caso che ancora ieri, il premier abbia ammesso la necessità di una sua "mediazione: io ho sempre fatto il mediatore e dovrò continuare a farlo. Non l'ho fatto prima per non dare l'idea di una incorparazione". Dentro Forza Italia, però, per molti l'incubo è rovesciato: hanno paura che "l'incorporazione di An" si riveli un boomerang. Uno spettro materializzatosi sabato sera con l'intervento di Giulio Tremonti. Fissato nel calendario congressuale in chiusura di giornata e con la sala semivuota.
La "difficile coabitazione", dunque, sta mostrando già tutte le sue spine. Senza contare che i due "conviventi" dovranno fare i conti con il terzo incomodo: la Lega. Il referendum elettorale evocato con forza da Fini è il primo banco di prova. Non solo. Lo stesso capo del governo riconosce che la nascita del Pdl, se gestita male, può incrinare l'amicizia con il Senatur. "Il rapporto con Umberto, però - ha cercato di chiarire nella saletta dietro il palco - è come sempre.
Alcuni dei loro obiettivi sono anche i nostri". Appunto, "alcuni". Il richiamo al raggiungimento del 51%, però, non rasserena affatto i leghisti. Così come - in modo speculare rispetto ad An - preoccupa la mancata smentita alla convocazione per il 7 giugno del referendum. E forse le spiegazioni fornite nel baskstage ad un gruppo di "maggiorenti" piediellini non hanno rasserenato nè i leghisti nè gli aennini: "Oggi ho voluto rivolgermi al popolo. Dobbiamo raggiungere il 51% il prima possibile e per farlo devo parlare a tutti. Questo deve diventare il partito di tutti gli italiani".

(30 marzo 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #31 inserito:: Aprile 23, 2009, 02:55:41 pm »

Il monito del capo dello Stato sui rischi di derive autoritarie arriva a destinazione

Ma il Cavaliere, che da più di un mese non sale al Quirinale, evita la polemica

Berlusconi: "Napolitano parlava a me"

Ma il premier, ora, non vuole scontri

Il presidente del consiglio tentato da dialogo sulle riforme: "Ma guido io"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "So bene che quelle parole erano rivolte a me. Ma non voglio aprire un fronte con il Quirinale. Non è il momento di un conflitto istituzionale". A Silvio Berlusconi non è certo piaciuto il discorso pronunciato da Giorgio Napolitano a Torino. Il richiamo al rispetto della Costituzione e la citazione di Norberto Bobbio che associava la "denuncia dell'ingovernabilità" a "soluzioni autoritarie" hanno in qualche modo indispettito il presidente del consiglio. Eppure non intende rispondere.

Il Cavaliere è convinto che in questa fase sia indispensabile mantenere un rapporto dialogante con il Colle. "Non subire - è la sua sintesi - ma nemmeno attaccare". Una linea che ieri è stata trasmessa a tutti i "big" del Pdl come una vera e propria parola d'ordine. Un ragionamento fatto anche ai tre coordinatori del Popolo delle libertà convocati ieri sera a Palazzo Grazioli.

A Palazzo Chigi, quindi, preferiscono cogliere esclusivamente gli aspetti considerati positivi. "Alla fine - ha spiegato il premier a tutti i suoi interlocutori - è stato un discorso equilibrato. Anche il capo dello Stato non nega la necessità delle riforme, né l'esigenza di garantire una maggiore governabilità". Non per niente Sandro Bondi, in qualità di coordinatore del Pdl, ha diramato un comunicato per definire "saggio" e "corretto" l'appello di Napolitano. Una nota concordata per filo e per segno con il capo del governo.

Rispetto all'inizio della legislatura, però, qualcosa si è rotto tra il Quirinale e Palazzo Chigi. Dopo lo scontro durissimo sul caso "Eluana" e quello sull'uso dei decreti legge, i rapporti sono stati sempre più formali. Basti pensare che è ormai più di un mese che i due non parlano faccia a faccia. L'ultimo incontro risale al 17 marzo. E si è trattato di un vertice allargato a numerosi ministri per discutere delle scadenze europee. Per non parlare poi della lettera spedita una settimana dopo, il 24 marzo, in cui l'inquilino del Colle metteva nero su bianco le sue osservazioni sull'eventuale "piano casa" varato per decreto. Insomma, il "patto" che era stato sottoscritto tra presidente della Repubblica e presidente del consiglio nella prima riunione dopo la formazione del governo, sembra venuto meno.

Nonostante tutto, però, il premier ha spiegato ai fedelissimi, e ha confermato al sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta, di considerare "inopportuno" uno scontro con Napolitano. "La mia popolarità è ai massimi, alle europee avremo un risultato straordinario - sottolinea - non c'è bisogno di aprire un contenzioso". Soprattutto in questa fase - dopo il terremoto in Abruzzo - in cui si è persuaso della convenienza di un confronto con l'opposizione. "Anche sulle riforme - ripete in tutte le riunioni del centrodestra -. Ma ad una condizione: il dialogo non mi deve essere imposto. Non voglio subire la mediazione della Lega sul federalismo o di An sul resto. Si fa tutto in Parlamento e il dialogo lo guido io". Il riferimento è diretto pure alla sintonia che sistematicamente unisce il capo dello Stato e il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il quale ieri ha fatto sapere di aver apprezzato l'intervento della più alta carica dello Stato. Fini, fanno notare i suoi uomini, "sottolinea costantemente la centralità del Parlamento". Sulle eventuali modifiche alla Costituzione, allora, il Cavaliere ha in mente un metodo ben preciso. L'esempio che ormai si è fatto strada nello staff di Palazzo Grazioli fa perno sui criteri adottati per la data del referendum: concordata tra i gruppi parlamentari con la regia del governo. Su questa scia, allora, non è escluso che alla fine Berlusconi contatti Napolitano nei prossimi giorni. Magari per il 25 aprile.

(23 aprile 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #32 inserito:: Aprile 24, 2009, 10:28:51 am »

Da Frattini a Matteoli, fino a ieri mattina lo spostamento ritenuto impossibile

Fugati i dubbi del premier con un sopralluogo nei cantieri in Sardegna

L'idea ispirata da Bertolaso e il blitz spiazza i ministri

dal nostro inviato CLAUDIO TITO


ROMA - La decisione è stata presa nove giorni fa. Dove? Ironia della sorte, proprio alla Maddalena. "Galeotto" l'ultimo sopralluogo sull'isola sarda.

Compiuto il 14 aprile scorso da Silvio Berlusconi, Gianni Letta e Guido Bertolaso. Un controllo nato non per caso. Perché il giorno prima, a una sola settimana di distanza dal terremoto abruzzese, il capo della Protezione civile aveva sorpreso il premier con una proposta shock: "Perché non facciamo il G8 a L'Aquila?". Lo "spariglio", insomma, questa volta non è stato del Cavaliere. "Sarebbe un'ottima soluzione - ha spiegato Bertolaso - portare tutti in Abruzzo. Daremmo una mano a quella regione". Parole che all'inizio hanno lasciato il premier piuttosto interdetto.

Berlusconi non aveva preso in considerazione una "follia" di questo tipo. "Ma sei sicuro? E dove mettiamo tutti quanti?". Soprattutto il premier è stato colto da un sospetto. "Me lo stai dicendo perché sei in ritardo sui preparativi della Maddalena?". Piccata la risposta del capo della Protezione civile. Che lo ha subito sfidato a controllare lo stato dei lavori: "Viene a vedere tu, di persona: E poi mi dice cosa ne pensi". Il giorno, dopo, allora, ecco il volo in Sardegna insieme a Letta. Una volta verificato che i preparativi stavano seguendo il calendario stabilito, Berlusconi ha cominciato a rivalutare l'idea. "Hai ragione è tutto a posto. L'importante, però, è che sia tutto davvero possibile". Bertolaso, in realtà, aveva già effettuato una valutazione sulle capacità ricettive della scuola della Guardia di Finanza dell'Aquila che negli ultimi 15 giorni è diventato il centro di comando delle operazioni di soccorso.

A quel punto sono iniziati i contatti con le altre istituzioni coinvolte. Il presidente della Regione, della Provincia, il sindaco, il prefetto e il comandante delle Fiamme Gialle. E, ovviamente, il ministero degli Interni. Il nodo da sciogliere, infatti, riguardava la sicurezza. Dopo qualche giorno è arrivato il via libera di Maroni. Un disco verde acceso anche ieri al consiglio dei ministri: "E' molto più facile garantire la sicurezza a L'Aquila che non alla Maddalena". Un'indicazione che ha dissolto i dubbi e le perplessità manifestate da qualche ministro. Anche perché nessun altro era stato preavvertito. Basti pensare che solo una settimana fa, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha troncato sul nascere la possibilità di un "trasloco" del G8: "E' semplicemente impossibile". Altero Matteoli, poi, prima della riunione di governo escludeva assolutamente il blitz: "Non è plausibile spostare il G8". La scelta invece era già stata compiuta. "Penso che sia giusto tenere il G8 qui - ha detto Berlusconi - Non me la sento di organizzare un vertice in una località dove si fanno vacanze di lusso. Voglio dare un messaggio di sobrietà". Un ragionamento che non ha convinto subito tutti. "Siete sicuri - ha avvertito lo stesso Matteoli - che sia possibile garantire l'ordine pubblico?". Dubbi raccolti poco dopo pure dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Prudenze, appunto, svanite dopo l'intervento di Maroni. E alla fine anche il Ministro delle Infrastrutture ha dovuto ammettere: "E' stata presa una decisione politica".

(24 aprile 2009) Tutti gli articoli di cronaca
da repubblica.it
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« Risposta #33 inserito:: Maggio 08, 2009, 04:46:59 pm »

Il premier da Napolitano parla anche del rimpasto. Oggi la Brambilla ministro

In arrivo anche alcune promozioni: Urso, Romani, Castelli, Fazio e Vegas viceministri

Caso Lario, Berlusconi sul Colle "Sul divorzio montatura politica"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "Presidente, posso assicurare che è tutta una montatura". L'affaire Veronica Lario è arrivato anche al Quirinale. Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi non si vedevano faccia a faccia da quasi due mesi. E ieri sono stati un'ora fare il punto della situazione sul governo, sull'emergenza in Abruzzo e sulla preparazione del prossimo G8. Ma soprattutto il Cavaliere si è lasciato andare ad un lungo sfogo proprio sul caso Veronica-Noemi. Il premier ha riproposto punto per punto al capo dello Stato tutte le argomentazioni utilizzate in questi giorni.

Napolitano ha ascoltato. Non lo ha mai interrotto. E soprattutto non ha detto una sola parola sull'argomento. Il presidente del Consiglio, invece, ha provato a sondare le opinioni della prima carica dello Stato. Ha cercato di cogliere un cenno di assenso nel suo interlocutore. Ma l'inquilino del Quirinale ha evitato con cura di esprimere valutazioni o giudizi. "Mi hanno anche accusato di frequentare minorenni - si è lamentato il capo del governo - una vera menzogna". Berlusconi è convinto che si tratti di un "disegno", di una "montatura" per colpire la sua persona. "Una trappola - ha detto - in cui è caduta anche Veronica". Come ha fatto nei giorni scorsi, anche ieri pomeriggio ha ribadito di essere amico del padre di Noemi. "Siamo amici di famiglia e sono andato a festeggiare la festa dei 18 anni di una ragazza. Che c'è di male? Se non facessi queste cose, non sarei più io". Stesso discorso sulle "veline" candidate alle europee. "Anche lì è stata tutta una macchinazione. Si trattava di giovani e laureate. Una scelta che ogni partito dovrebbe fare per innovare la politica. Non è assolutamente vero che il Pdl le avrebbe candidate tutte se non ci fosse stato l'intervento di mia moglie. Un'altra menzogna".

In quasi un'ora di incontro, però, il capo dello Stato non ha solo ascoltato lo sfogo del premier sulle vicende familiari. Oggi, infatti, il presidente del consiglio metterà mano ad un'ampia "riorganizzazione" del suo esecutivo. Ha preannunciato l'intenzione di proporre la nomina a ministro di Michela Vittoria Brambilla. L'attuale sottosegretario giurerà oggi al Quirinale per assumere la guida del dicastero senza portafoglio del Turismo. In più ci dovrebbe essere altre 4-5 "promozioni": uno per ogni partito della coalizione. Si tratta di sottosegretari che avanzerebbero al ruolo di viceministri. Paolo Romani (Fi) alla Comunicazione, Adolfo Urso (An) al Commercio Estero, Roberto Castelli (Lega) ai Trasporti, Ferruccio Fazio alla Sanità. Tutte caselle, queste, che il premier ha concordato nei giorni scorsi con gli alleati. Ieri, però, dal cilindro ha fatto uscire un altro nome: quello del forzista Giuseppe Vegas come viceministro all'Economia. Una candidatura di cui il consiglio dei ministri discuterà stamattina. Ma sulla quale sia gli uomini della Lega sia quelli di An stanno montando una decisa reazione. Il Carroccio e il partito di Gianfranco Fini hanno fatto sapere che la "promozione" Vegas sarebbe un elemento di squilibrio rispetto agli attuali assetti della maggioranza.

Novità anche per quanto riguarda la gestione dell'emergenza terremoto. Napolitano e Berlusconi hanno esaminato le richieste provenienti dagli enti locali abruzzesi. Il presidente del consiglio ha assicurato al capo dello Stato che l'esecutivo valuterà le proposte dei sindaci: "abbiamo già deciso di presentare alcuni emendamenti in Parlamento".
Infine il G8. L'organizzazione del summit dei "grandi" della terra a L'Aquila desta più di una preoccupazione. Lo stesso Berlusconi ha ammesso con l'inquilino del Colle l'esistenza di alcuni "problemi logistici". Che, però, sono "assolutamente affrontabili".

(8 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #34 inserito:: Maggio 21, 2009, 10:24:03 am »

Caso Mills, anche Fini convinto che le Camere non c'entrano niente col processo milanese.

A Palazzo Chigi si temono nuove inchieste

Stop di Bossi: sui pm non ti seguiamo

E Silvio rinvia l'arringa in Parlamento

di CLAUDIO TITO

 

ROMA - "Qualcuno mi consiglia di evitare in questi giorni il Parlamento". Come spesso accade in queste situazioni, il Pdl si divide tra "falchi" e "colombe". Silvio Berlusconi fino a ieri mattina era convinto di dover scendere nell'arena di Palazzo Madama e battersi per difendere la sua posizione e per rivendicare ogni estraneità nella vicenda Mills. È ancora sicuro che questi siano i cavalli di battaglia più redditizi dal punto di vista elettorale.

Nella giornata di ieri, però, i dubbi hanno cominciato a montare. Soprattutto tra le file degli alleati. E già, perché il premier avrebbe voluto effettivamente partire lancia in resta, ma dalle parti della Lega e di Alleanza nazionale le perplessità non mancavano. La linea dettata da Umberto Bossi, infatti, non è affatto accondiscendente nei confronti dell'inquilino di Palazzo Chigi. "Su questo non possiamo seguirlo", è stato il messaggio lanciato dal Senatur. Nel Carroccio del resto il fronte anti-magistrati non ha mai fatto breccia. Persino il lodo Alfano è stato considerato a suo tempo dai lumbard come il modo per liberarsi dalla necessità di blindare il premier dinanzi alla guerra con i giudici. Senza contare che per le riforme, il Carroccio continua a coltivare il seme del dialogo con il centrosinistra e uno scontro sulla giustizia potrebbe compromettere i buoni rapporti costruiti in questi mesi. I leghisti, insomma, non vogliono farsi schiacciare sul "rilancio" berlusconiano. Ragionamenti che ieri sono arrivati in modo più o meno esplicito a via del Plebiscito. Non una frattura, ma dei suggerimenti.

Del resto, lo stesso Berlusconi non nascondeva ieri ai suoi di voler "riferire" sul caso Mills al Senato e non a Montecitorio. Per la presenza di Antonio Di Pietro in aula. Ma anche per la presidenza di Gianfranco Fini. Che ha accolto con un certo sollievo la marcia indietro ingranata dal presidente del Consiglio. Tanto che ieri mattina in conferenza dei capigruppo ha dribblato con cura l'argomento. E comunque per Fini, "il Parlamento non c'entra niente con il processo di Milano". Espressioni bene note a Palazzo Chigi.

Tante perplessità dunque che, accompagnate dai consigli delle "colombe" forziste e dagli impegni della campagna elettorale, hanno fatto slittare l'appuntamento parlamentare. "Non vorrei - è stato allora il ragionamento del Premier - che arrivo in aula e poi i nostri non ci sono. Un po' perché molti sono in giro a sostenere i nostri candidati alle europee e un po' per altri motivi. Rischio di ritrovarmi solo davanti a quelli dell'opposizione". Per lo stesso motivo è stato anticipato a oggi il consiglio dei ministri. Per consentire ai ministri di correre nei territori di elezione in vista del voto del 7 giugno. Non solo. Gli "ambasciatori" di Palazzo Chigi si sono messi in movimento per sondare pure gli umori di tutte le più alte cariche dello Stato. E tra i collaboratori del premier, c'è stato anche chi ha avvertito che un affondo sui magistrati in Parlamento avrebbe potuto provocare un irrigidimento sul Quirinale.

Un insieme di condizioni, dunque, che ha indotto il Cavaliere a rinviare a giugno la sua arringa. Nel frattempo valuterà l'atteggiamento seguito dal Pd. "Fino ad ora sono stati davvero incredibili. Anche quel Franceschini ha deciso di inseguire Di Pietro. Ma se da qui a metà giugno non insisteranno, allora neanche io insisterò". Sullo sfondo, poi, ci sono i magistrati. A Palazzo Grazioli, in molti temono una recrudescenza del conflitto con i giudici. Non solo in previsione della sentenza della Consulta che entro l'autunno dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità del Lodo Alfano, ma anche di nuove inchieste. L'attenzione da questo punto di vista è concentrata su Napoli. Da qualche giorno i legali e lo staff di Berlusconi hanno iniziato a guardare con sospetto alle iniziative dei magistrati napoletani sul fronte della discarica di Ferrandelle.

Ma se la conflittualità con i magistrati tornerà a toccare i picchi di qualche anno fa, allora il Cavaliere rilancerà. "Se mi attaccano, anche io lo farò". Rispolverando la riforma della giustizia.

(21 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #35 inserito:: Maggio 26, 2009, 03:14:04 pm »

IL RETROSCENA

L'amarezza di Veronica Lario "Il problema non è quella ragazza"

E il Cavaliere accusa le ministre: "Non mi difendono"

di CLAUDIO TITO

 
ROMA - "Niente e nessuno mi farà tornare indietro". L'ultima puntata della saga "Noemi-Silvio" ha di nuovo lasciato il segno in casa Berlusconi. Sia sul versante del premier, sia su quello di Veronica. Così, mentre il Cavaliere è furibondo e se la prende pure con le donne del Pdl che "non mi difendono", la signora Lario è rimasta esterrefatta dopo aver letto l'intervista all'ex fidanzato di Noemi. Da circa un mese non parla con il marito. I rapporti si sono azzerati. E, ancora ieri, ha confermato i suoi propositi: "Niente e nessuno mi farà tornare indietro".

Per stemperare il nervosismo, ha visitato la mostra di Monet in corso a Palazzo Reale a Milano. Il pressing degli "amici", la tensione in famiglia e i "suggerimenti disinteressati" sono le tappe di tutte le giornate da un mese a questa parte. "Non accetto i consigli di Emilio Fede", si è sfogata con un'amica. Il divorzio insomma resta il suo obiettivo. E non la famiglia Letizia. Che tiene lontana dalla crisi matrimoniale. "Non ho mai voluto accusare Noemi e la sua famiglia - si è lasciata andare con l'amica che la accompagnava -. Questo non è il "caso Noemi"". Un modo, forse, per ribadire che la questione riguarda solo il presidente del consiglio. Tanto da citare anche le osservazioni di Dario Fo: "Questi sono i comportamenti di un uomo pubblico che è a capo del governo".

Tra Macherio e Arcore, dunque, il filo della comunicazione sembra inesorabilmente interrotto. Ieri Berlusconi è rimasto chiuso a Villa San Martino. È infuriato. La "querelle Casoria" lo sta davvero disturbando. Con Gianni Letta e Nicolò Ghedini sta studiando le contromosse. "Dobbiamo ribaltare la situazione", è il suo refrain. Si sente "sotto assedio". Un "accerchiamento" di cui scarica la responsabilità anche sugli alleati. A cominciare dalle donne del Pdl.

Le "ministre", in particolare. Che dal 28 aprile, da quando cioè Veronica ha rilasciato la dichiarazione all'Ansa sul "ciarpame politico", non hanno speso una parola in sua difesa. Il suo dito indice è puntato contro Stefania Prestigiacomo che il 4 maggio scorso si è limitata solo a sottolineare che "lui ha bisogno della famiglia. Spero che non si separino, per Berlusconi la famiglia è un grande rifugio". Ce l'ha con Mara Carfagna che ha evitato con cura qualsiasi presa di posizione. Ma pure con Michela Vittoria Brambilla, promossa di recente ministro, e con Giorgia Meloni. Quest'ultima, consultata sull'argomento, ha sempre cercato di dribblare: "non tiratemi in questa vicenda".

Le uniche voci in difesa del premier sono state quelle di Daniela Santanché ("Veronica ha fatto un danno agli italiani") e di due parlamentari "semplici": Beatrice Lorenzin ("il Pd ha inaugurato la quarta via: il gossip casereccio") e Barbara Saltarmartini ("la sinistra utilizza le donne, infangandole e attaccandole, per colpire il presidente Berlusconi").

Il premier dunque si sente "isolato", "lasciato solo" da molti dei partner di maggioranza. Sta studiando una via d'uscita. Prima delle elezioni proverà a sminare il terreno. Con una controffensiva mediatica. Le parole di Elio Letizia sono state solo la prima mossa. Non è escluso che nei prossimi giorni possa intervenire anche l'amica di Noemi, Roberta. Così come a Via del Plebiscito è stata presa in considerazione la possibilità di un "messaggio" tv alla nazione e di una lettera "elettorale" agli italiani. Sta di fatto che i collaboratori più stretti del Cavaliere stanno vagliando le diverse opzioni. E si rincorrono anche tante voci incontrollate sulle origini del legame tra Berlusconi e la famiglia Letizia. Alcuni dei fedelissimi del presidente del consiglio, ad esempio, addirittura accennano ad una antica amicizia tra il Cavaliere e la nonna di Noemi. Nata quando il futuro premier ancora intratteneva gli ospiti sulle navi da crociera.

In vista del voto del 7 giugno, intanto, l'inquilino di Palazzo Chigi cerca di stringere i bulloni della coalizione. Giovedì prossimo, ad esempio, incontrerà a pranzo Gianfranco Fini. Per rasserenare il clima, Gianni Letta ieri ha parlato a lungo con il presidente della Camera e con il capo dello Stato. Ma a Palazzo Chigi l'allarme è ancora rosso.

(26 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #36 inserito:: Maggio 29, 2009, 04:43:39 pm »

A pranzo si sfoga con Fini: non mi avete difeso abbastanza

Sacconi: vogliono far fuori il Cavaliere ma gli italiani sono pronti a rivotare

Berlusconi teme il trappolone "Sono pronto a tornare alle urne"

di CLAUDIO TITO

 
ROMA - Per ora è solo una minaccia. L'arma fine di mondo. Eppure Silvio Berlusconi ha iniziato a sventolarla. Non nelle occasioni ufficiali. Ma nelle riunione informali. Negli ultimi giorni, la "soluzione finale" è stata accennata in più di una circostanza. Quale? Le elezioni anticipate.
Il presidente del consiglio si sente sotto assedio. Stretto tra le inchieste giornalistiche, le indiscrezioni sulle indagini condotte dai magistrati a Napoli e il terrore che altre intercettazioni telefoniche possano improvvisamente riemergere dal silenzio. E allora, ha detto ieri mattina in consiglio dei ministri, "non mi farò piegare". Davanti ai ministri ha evitato con cura di parlare esplicitamente di ricorso alle urne. Eppure nell'ultima settimana con i fedelissimi non ha affatto nascosto che l'ultima carta da giocare sarebbe proprio questa. "Se ci fosse uno show down - sono state le parole ripetute a diversi esponenti del governo - allora dovremmo ripresentarci davanti agli elettori. Chiedere il loro giudizio. E sono convinto che gli italiani staranno ancora con me".

Allo stato, il premier non ha ancora deciso di imbracciare concretamente il fucile che possa porre fine alla legislatura. Vuole aspettare il risultato delle europee. Soprattutto vuole capire se il "Noemigate" e le inchieste napoletane sul termovalorizzatore imboccheranno una svolta decisa. Circostanze che lui definisce "scorciatoie" per disarcionarlo. "Ma se qualcuno insegue scorciatoie - ha ammonito - sarò io il primo a prenderle. Si torna al voto". Uno schema proposto pubblicamente pure dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: Si cercano armi improprie per far fuori il presidente. Ma gli italiani sono pronti a rivotare". Ragionamenti che in modo meno esplicito il capo del governo ha fatto anche durante la riunione dell'esecutivo di ieri. "Più mi danno delle botte in testa - ha avvertito - più mi sento forte. Di certo tutte queste bugie, tutti questi attacchi non riusciranno a intimidirmi. Io non mi piegherò".

Sta di fatto, che il sospetto di una macchinazione per assestargli una "spallata" è andato via via crescendo nell'ultimo mese. Il fantasma del "ribaltone" guidato nel 1995 da Lamberto Dini è tornato a materializzarsi dalle parti di Via del Plebiscito. Lo spettro di un governo istituzionale magari per realizzare una parte di riforme istituzionali o una nuova legge elettorale aleggia sui tetti di Palazzo Chigi. Le mosse compiute da settori della finanza e dell'industria lo hanno innervosito. Sospetta che anche in quegli ambienti si stia creando una sponda "ribaltonista". Il Cavaliere vuole subito spazzare via tutti i dubbi. Che in una certa misura ha manifestato anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ma soprattutto li ha espressi con veemenza agli alleati. E già, perché dai partner di maggioranza avrebbe voluto più solidarietà dopo la richiesta di divorzio di Veronica, dopo le polemiche sulla famiglia Letizia e dopo la sentenza Mills. Tant'è che ancora in consiglio dei ministri ha protestato per come è stato difeso l'altro ieri nel corso della trasmissione "Porta a porta". Lì, a rappresentare il centrodestra, c'era Ignazio La Russa. "La prossima volta - lo ha rimproverato - chiamami e ti spiego come sono andate le cose". Del resto si è lamentato anche con il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Ieri i due sono tornati a parlarsi dopo un bel po' di tempo. Il Cavaliere si è lasciato andare ad un lungo e appassionato sfogo. Non a caso da Montecitorio è uscita una sola indiscrezione sul pranzo: "solidarietà umana all'amico Silvio". Una formula, usata anche dal capo dello Stato, che non ha convinto del tutto il premier. Poi, certo, il capo del governo e il presidente della Camera hanno concordato i prossimi passi da compiere per ridurre il numero dei parlamentari e per le nomine Rai. Ma il cuore dell'incontro sono state le vicissitudini del Cavaliere.

La carta del voto anticipato resta comunque una "extrema ratio". Berlusconi ha fatto sapere di volersi buttare a capofitto nella campagna elettorale. "Le volgarità di Franceschini sono un tonico per me". Adesso considera la frase del segretario democratico sull'educazione dei figli il suo cavallo di battaglia. Secondo il premier, anche il sondaggio recapitato ieri pomeriggio a Via del Plebiscito dimostrerebbe che il passo falso di Franceschini sta penalizzando il Pd. Sebbene sia cresciuta pure l'astensione di centrodestra. "Se poi c'è lo show down...".

(29 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #37 inserito:: Giugno 02, 2009, 11:47:12 am »

Berlusconi e l'ipotesi di un "complotto" animato dal tycoon australiano

Il patto con Veronica: "E' stata lei a romperlo. Mi secca passare per quello tradito"

"Manovra internazionale contro di me"

I sospetti di Silvio su Murdoch

di CLAUDIO TITO

 

ROMA - Una manovra internazionale. Una macchinazione che fa perno anche all'estero. Nei mass media e persino in alcuni esecutivi. Ed uno dei protagonisti è Rupert Murdoch. Dopo l'attacco del "Times", Silvio Berlusconi si è fatto la convinzione che contro di lui si stia muovendo in prima fila il "tycoon" australiano.

I rapporti con il gruppo "Sky", del resto, si sono incrinati da tempo. L'amicizia si è trasformata in concorrenza. E dopo che l'ultima Finanziaria ha decretato l'aumento dell'iva al 20% per la tv satellitare, tutto è precipitato. La guerra della Rai al "parabolone" non è mai stata così intensa. In gioco c'è perfino l'uscita della tv pubblica e di Mediaset dalla piattaforma del satellite. E lo stesso presidente del consiglio non fa niente per smentire la tensione.

"Anche Murdoch fa parte del complotto? Non fatemi parlare di Murdoch. È meglio se lasciamo stare", dice uscendo dal Quirinale dove ha partecipato alla celebrazione del 2 giugno. Insomma, non fa niente per negare.

Le osservazioni della stampa internazionale stanno insomma provocando più di una preoccupazione a Palazzo Chigi. Un nervosismo celato solo nelle dichiarazioni pubbliche. "Io sono contento - dice -. Mi rivolgo alle persone che quando mi incontrano per strada mi salutano e mi stringono la mano. Del resto, non mi interessa". Eppure, negli ultimi giorni lo stesso capo del governo ne ha discusso con il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Nessuno a Via del Plebiscito nasconde la paura che le ultime vicende abbiano intaccato l'immagine del presidente del consiglio all'estero.

Basti pensare che ancora ieri Berlusconi ha confermato l'incontro con il presidente Usa, Barak Obama: "È tutto a posto. Andrò in America". Eppure da Washington ancora non è arrivato la conferma ufficiale. Con ogni probabilità arriverà alla fine di questa settimana. Ma molti temono che il ritardo con cui agisce la Casa Bianca sia un modo per prendere le distanze. Un sospetto confermato nei giorni scorsi dai rappresentanti della diplomazia italiana negli States che hanno spiegato al governo italiano di non aver riscontrato entusiasmo nello staff di Obama.

Per il momento, però, l'obiettivo primario del Cavaliere sono le elezioni europee. Le polemiche degli ultimi giorni hanno messo a rischio l'obiettivo del 40% per il Pdl. Il "Noemigate" e il divorzio da Veronica hanno avuto un qualche effetto sui sondaggi. Lo stesso Berlusconi ha ammesso che il suo indice di popolarità ha avuto una flessione del 2%. Dopo l'ultima offensiva di "Libero" contro la signora Lario, però, Berlusconi è sicuro di poter nuovamente invertire il trend e recuperare quanto ha perso nell'ultimo mese.

"Certo - si è confidato con i suoi rivelando una certa irritazione - mi secca che ora mi diano del cornuto". Ma sul resto non ha nulla da recriminare. "È passato un giorno - ha fatto notare ad alcuni parlamentari del Pdl che lo hanno chiamato per esprimergli solidarietà - e la signora non ha smentito. Quindi cosa devo pensare?". Dal punto di vista della comunicazione, dunque, l'uomo di Palazzo Chigi ritiene di poter cambiare i rapporti di forza. "C'era un patto con Veronica - ha ricordato - ed è stato lei a romperlo. Un patto sulla nostra vita privata. È stata lei a modificare gli accordi con l'intervista a Repubblica. A questo punto mi sono tolto un peso".

(2 giugno 2009)
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« Risposta #38 inserito:: Giugno 09, 2009, 10:22:37 am »

Il presidente minaccia una "rivoluzione" ai vertici del Popolo della libertà

Il Cavaliere pronto a cedere alla Lega la Lombardia. Per Formigoni c'è la Commissione Ue

Berlusconi incolpa gli ex di An "Ho combattuto solo contro tutti"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "Per il governo non cambia niente. Con la Lega una soluzione la troveremo. Ma i problemi sono altri e vengono dall'estero...". Silvio Berlusconi ieri si è sfogato con i suoi fedelissimi. Al telefono da Arcore ha bacchettato il partito che "non mi ha aiutato", ha gelato i "colonnelli" di An e Gianfranco Fini che "pensano di scaricare su di me ogni colpa" e ha tranquillizzato Umberto Bossi. Non si aspettava un verdetto "severo" dalle urne. Ma con il suo staff è partito all'attacco: "Ho fatto tutto io, mi hanno lasciato solo. Se non mi fossi candidato sarebbe andato anche peggio. E ora si lamentano pure".

Una delusione che non riguarda solo il mancato raggiungimento degli obiettivi annunciati. L'inquilino di Palazzo Chigi, infatti, teme che lo stop di domenica vada oltre il meno 2,2%. "In gioco - si è lamentato - c'è la mia immagine. Se finisce la luna di miele è tutto più complicato". Anche perché i suoi timori, negli ultimi giorni, si sono concentrati sui risvolti internazionali che, a suo giudizio, hanno già accompagnato la campagna elettorale: "Solo qualche manovra dall'estero può davvero mettermi in difficoltà".

Per di più i risultati delle europee hanno fatto scattare la baraonda nel centrodestra. Il premier ha prima messo sul banco degli imputati il suo partito ("cosa hanno combinato? Niente") e poi ha puntato l'indice contro "finiani". Una furia che i tre coordinatori nazionali (Veridni, Bondi e La Russa) hanno ben ascoltato al telefono. Una rabbia che ha indotto il premier a prospettare una "rivoluzione" nel partito già in estate. Anche perché il sostanziale "flop" sulle preferenze è per il Cavaliere una vera ferita. Aveva lavorato al "record assoluto" per dimostrare che il suo nome aveva "sfondato" in tutto il paese come elemento di unità nazionale: "ma qualcuno ha remato contro, anche tra i nostri".

Ora invece deve fare i conti con i lumbard. Ieri sera Umberto Bossi ha reclamato un adeguamento nei rapporti di forza. In gioco ci sono i decreti attuativi del federalismo fiscale, un ruolo più penetrante per i leghisti nelle aziende pubbliche e soprattutto le future presidenze di Lombardia e Veneto. Tant'è che tra le ipotesi c'è anche quella di una "promozione" di Roberto Formigoni, l'attuale governatore lombardo, alla Commissione europea. Una nomina che libererebbe il Pirellone a favore di un esponente del Carroccio. Il premier è disponibile, i lumbard restano strategici per il capo del governo. "Con Umberto - ripete - una soluzione la troviamo. Non vado al braccio di ferro. Il patto con loro non si rompe". Così, in cambio il premier ha ottenuto una rassicurazione: ai ballottaggi i leghisti voteranno i candidati del Pdl nonostante il referendum. Sul piatto della trattativa, però, potrebbe presto entrare un altro elemento: il dialogo con l'Udc in vista delle regionali del prossimo anno.

Anche perché il vero fantasma che aleggia su Palazzo Chigi è un altro. Il Cavaliere teme "l'isolamento internazionale". Il suo cruccio stanno diventando i rapporti con Barack Obama. Con il quale, ripete, "va assolutamente costruito un rapporto". Il presidente del consiglio è sempre più convinto di aver affrontato nell'ultimo mese una "manovra esogena". I giornali stranieri, Rupert Murdoch, quelli che chiama i "poteri forti". Teme allora che le europee possa essere il pretesto per "isolare" diplomaticamente Palazzo Chigi.

"Solo qualche manovra internazionale - è la sua idea - può mettermi davvero in difficoltà". L'incontro di lunedì prossimo a Washington sta dunque diventando una tappa "cruciale". Il Cavaliere sa bene che con la Casa Bianca non c'è più la sintonia di un tempo. Le feluche italiane gli hanno spiegato che Obama ha accettato malvolentieri l'appuntamento del 15 giugno. Ha poi saputo che i resoconti provenienti dall'Ambasciata americana a Roma non sono affatto positivi. Report che in modo particolare guardano con sospetto all'asse Roma-Mosca. Il premier italiano ricorda che proprio durante la presidenza di un democratico, Bill Clinton, gli arrivò l'avviso di garanzia a Napoli. "È difficile fare bene se non c'è la sponda Usa", è la sua riflessione.

Dubbi e paure che ora si concentrano sul filo diplomatico che corre tra Roma e Washington. Tant'è che Berlusconi vorrebbe presentarsi al colloquio della prossima settimana con due "trofei": l'aumento del contingente italiano impegnato in Afghanistan (da rifinanziare a fine mese) e l'"ammorbidimento" di Gheddafi che arriva nella Capitale proprio domani.

(9 giugno 2009)
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« Risposta #39 inserito:: Giugno 14, 2009, 12:15:35 pm »

È il governatore della banca d'Italia il "non eletto" che il Cavaliere teme

Il timore del premier che ci siano ripercussioni con le cancellerie internazionali

Berlusconi e il fantasma di Draghi "Ma non riusciranno a farmi fuori"

E dieci giorni fa il presidente del Consiglio aveva attaccato il governatore sui precari

di CLAUDIO TITO e CARMELO LOPAPA

 

ROMA - Il fantasma di un governo tecnico guidato da Mario Draghi e l'incubo che lo scandalo foto possa compromettere seriamente i rapporti con le cancellerie internazionali. Ecco cosa ha spinto il premier Silvio Berlusconi all'intemerata sul "progetto eversivo" dinanzi alla platea dei giovani industriali, a meno di un mese dal G8 sul quale il governo scommette una buona fetta della sua credibilità e alla vigilia della tanto agognata visita a Washington per incontrare Obama.

Numeri della maggioranza blindati, governo compatto, leggi come caterpillar in Parlamento, dunque, non fanno sentire il presidente del Consiglio al riparo, sufficientemente sicuro. Complici, la crisi economica montante - al di là delle rassicurazioni ribadite fino a ieri - e i nuovi risvolti legati al Casoriagate, alle foto di Villa Certosa, alle veline sui voli di Stato. Il timore che il Cavaliere ancora ieri mattina confidava a ministri e parlamentari Pdl che lo hanno seguito a Santa Margherita, è che si stia muovendo una sorta di "tenaglia", intenta a schiacciarlo su due fronti, interno e internazionale: "Pensano di farmi fuori con una manovra di Palazzo, ma non mi metteranno all'angolo, gli italiani stanno dalla mia parte". In privato, non è un mistero, Silvio Berlusconi ormai da un mese dà un volto e un nome a quell'"altra persona non eletta dagli italiani" evocata ieri e che potrebbe prendere il suo posto. Volto e nome che portano dritti al vertice della Banca d'Italia.

A Palazzo Chigi sentono da settimane gli echi dell'indiscrezione che circola negli ambienti confindustriali e che indicano nel governatore Mario Draghi il potenziale presidente di un esecutivo tecnico, di "salute pubblica", un governo per gestire la crisi. I boatos hanno fatto presto a giungere alle orecchie di Berlusconi, ovvia la sua forte irritazione. A quanto sembra ne avrebbe parlato anche con la numero uno di Confindustria Emma Marcegaglia, presumibilmente lo ha fatto anche ieri durante la colazione con lei nella residenza di Portofino, al termine del convegno.

I rapporti tra l'inquilino di Palazzo Chigi e il governatore sono cortesi, formali, ma ormai niente più di questo. Il 5 giugno scorso, alla vigilia delle Europee, Berlusconi non ha esitato a smentire pubblicamente la previsione preoccupata del governatore su quel milione e 600 mila lavoratori che rischiano di restare senza sussidio in caso di perdita del posto: "Questa è un'informazione di Draghi che non corrisponde alle nostre conoscenze". E le bordate sempre più frequenti del ministro dell'Economia Tremonti nei confronti di Draghi sono la conferma di un clima, di un'insofferenza che fa da sfondo a un antagonismo sotto traccia. Il premier non dimentica che l'inquilino di Palazzo Koch è stato uno dei "Ciampi boys". Come non si stanca mai di far notare ai suoi come Pd e Casini prendano le difese di Draghi tutte le volte in cui emerga una qualche contrapposizione col governo.

Nei giornali berlusconiani, in queste ore, è tutto un fiorire di "complotti", "congiure", "assalti" e "avvoltoi". Non a caso. Alla fobia interna, se ne sta affiancando un'altra, riconducibile alla storia delle 5 mila foto private che hanno immortalato Berlusconi (e le sue ospiti) a Villa Certosa e che ora sono in circolazione. Il presidente del Consiglio dà per scontato che presto alcuni di quegli scatti saranno pubblicati all'estero, nonostante l'ulteriore richiesta di sequestro avanzata dal suo avvocato Ghedini. "Il timore - racconta chi è più vicino al premier - è che una qualsiasi cancelleria europea prenda a pretesto quelle immagini e le fandonie che le circondano per decidere di non incontrare più il presidente". Ecco il rischio isolamento che si affaccia. A quel punto, solo a quel punto, Berlusconi si sentirebbe spalle al muro.

I più espliciti tra i fedelissimi, come Osvaldo Napoli tra gli altri, denunciano in un tam tam crescente che una regia sta lavorando per portare indietro l'orologio, magari al '94, "qualcuno vuole tenere in scacco la democrazia italiana e impedire che si concluda la transizione che dura da 17 anni". Ma non tutto il Pdl, come sempre più spesso accade, segue il premier sulle barricate. La teoria del complotto sembra non convincere affatto gli ex An, il presidente della Camera Fini e gli ambienti a lui più vicini. "Come non è stata mai credibile la teoria del complotto delle toghe rosse - racconta il finiano Fabio Granata - così non sembra fondata la tesi che ci sia un'eversione in atto. C'è un fuoco di fila, è vero, ma si argina solo con un'azione di governo incisiva".

(14 giugno 2009)
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« Risposta #40 inserito:: Giugno 15, 2009, 11:37:07 am »

Il Cavaliere all'incontro con Obama spiega ai suoi la mossa davanti agli industriali

I militari in più per l'Afghanistan saranno presi dal contingente in Kosovo

Il premier e l'affondo sul complotto

"Attenti che riporto l'Italia al voto"


dal nostro inviato CLAUDIO TITO

 WASHINGTON - "Il mio governo andrà avanti tranquillamente, ma se non sarà così allora si tornerà al voto". Non è la prima volta che Silvio Berlusconi minaccia le elezioni anticipate. Quando sente "aria di complotto" brandisce il ritorno alle urne come un'arma. Sabato notte con gli amici a cena e poi ieri mattina al telefono con i suoi fedelissimi e con alcuni ministri ha spiegato il senso del suo affondo al convegno di Confindustria di Santa Margherita.

Il riferimento al "disegno" per portare un "non eletto" a Palazzo Chigi ha come prima contromisura proprio la minaccia di interrompere la legislatura. Prima di partire per Washington dove oggi incontra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il premier ha confermato a diversi big del centrodestra di voler rompere il tentativo di assedio che si starebbe organizzando intorno al suo esecutivo. "Ho voluto far capire - è stata la sua spiegazione - che stavolta non mi faccio ingannare". Naturalmente il riferimento è sempre al 1995, al governo Dini, insomma al "ribaltone". La sede scelta per "smascherare" il complotto non è stata frutto del caso: gli imprenditori. Gli esponenti del mondo economico e dei "poteri forti" che - a suo giudizio - vedono in Mario Draghi un'alternativa. Perché Berlusconi è convinto che tra i "complottardi" ci siano proprio diversi rappresentanti dell'imprenditoria. Così, sabato li ha avvertiti e nello stesso ha trovato il modo per tenerli sulla corda. Un modo, ha fatto capire ai suoi, per ammonire: "Quando verrete a chiedermi qualcosa, ricordatevi di cosa vi ho detto".

Tant'è che, in partenza per gli States, i suo collaboratori lo hanno descritto più "soddisfatto" che "preoccupato" rispetto alla situazione italiana. Semmai l'apprensione è concentrata sul colloquio con l'inquilino della Casa Bianca. Il Cavaliere ha preparato il summit pronto a giocarsi tutte le carte pur di convincere Obama, di persuaderlo che "l'Italia sta dalla sua parte". Sa che al momento lo stato di rapporti con gli Usa non è più sereno come sei mesi fa. Il caffè che prenderà oggi pomeriggio con il presidente americano rischia di essere un test decisivo. Il presidente del Consiglio è il secondo leader europeo - dopo l'inglese Gordon Brown - a varcare la soglia della Casa Bianca. Lo farà in qualità di presidente di turno del G8. Le due delegazioni, sette persone per parte, si vedranno nello Studio Ovale.

Obama chiederà cosa può fare l'Italia per onorare l'alleanza. Naturalmente si parlerà di Afghanistam e della disponibilità di Roma all'ampliamento del suo contingente.
Berlusconi intende offrire a Obama questo schema: l'Italia troverà i soldati in più per Kabul grazie alla diminuzione di alcune centinaia di unità (da 300 a 500 su 3000) del contingente in Kosovo. Sul tavolo anche altri temi: Medio Oriente, Libano e soprattutto il G8 dell'Aquila.

Ci sono anche temi potenzialmente spinosi. La recente visita di Gheddafi in Italia e la grande visibilità concessa al colonnello libico, i rapporti con Mosca (in particolare l'amicizia con Vladimir Putin e la politica energetica dell'Italia a favore del gas russo), le elezioni in Iran dove sono presenti molte nostre aziende, gli accordi disdetti con Fimeccanica (il "no" Usa agli eliccotteri Agusta), la possibilità che vengano trasferiti in Italia alcuni dei detenuti di Guantanamo e infne alcune affermazioni fatte di recente dal capo del governo come l'impossibilità che l'Italia possa diventare un paese multietnico. Prima di entrare alla Casa Bianca, il premier italiano visiterà una mostra sull'Abruzzo alla National Gallery. Poi renderà omaggio ai caduti del cimitero di Arlington. Dopo il faccia a faccia con Obama, avrà un incontro con la speaker del Congresso Nancy Pelosi.

(15 giugno 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #41 inserito:: Luglio 04, 2009, 04:46:25 pm »

IL RETROSCENA

Pronto un Piano B "Ma il vertice si farà"

di CLAUDIO TITO


ROMA - Nessuno intende attivarli. Tutti sono sicuri che il G8 si terrà regolarmente a L'Aquila nei modi e nei tempi previsti. Però, due "piani di riserva" sono già pronti.
Le ultime scosse di terremoto, infatti, una variante al programma l'hanno apportata. Sulle scrivanie della Protezione civile e della Presidenza del consiglio adesso sono ricomparsi due progetti: uno totalmente "alternativo" al summit abruzzese e l'altro di "evacuazione".

Due schemi che fino a ieri erano rimasti nel cassetto. Silvio Berlusconi e i ministri direttamente interessati all'organizzazione del vertice "mondiale" li avevano predisposti da tempo ma solo come clausola di salvaguardia. Adesso sono stati rispolverati. Perché lo sciame sismico ha messo in allarme Palazzo Chigi. Ma anche le delegazioni straniere. Molte delle quali, dopo la scossa di ieri, hanno contattato gli uffici di Guido Bertolaso proprio per capire se e quali conseguenze ci fossero sul programma del G8. Rassicurazioni che gli uffici italiani hanno immediatamente fornito a tutti mettendo a disposizione anche la possibilità di un altro sopralluogo a Coppito e un'altra verifica sulla tenuta antisismica del caserma della Guardia di Finanza che ospiterà i "big". "La sede dei lavori è a prova di terremoto - ha chiarito il sottosegretario alla protezione civile - non c'è alcun pericolo".

I contatti tra le ambasciate e la Protezione Civile, però, sono il segno che gli "ospiti" in arrivo in Italia seguono con attenzione l'evolversi della situazione in Abruzzo. Non tutti i timori sono dissipati. E del resto, anche Silvio Berlusconi è "preoccupato". La notizia dell'ennesimo terremoto ha fatto irruzione nel consiglio dei ministri riunito a Palazzo Chigi. La seduta era iniziata da una ventina di minuti. All'ordine del giorno un'altra tragedia: il terribile incidente ferroviario di Viareggio. Per un momento la riunione si è interrotta. Il Cavaliere ha letto un foglio e subito dopo ha informato i ministri. Ha ripetutamente scosso la testa e poi ha scandito ad alta voce il breve dispaccio. Qualcuno gli ha chiesto informazioni sui danni provocati. "Non ci sono vittime né danni - ha tranquillizzato - . Anche perché quello che doveva crollare è già crollato il 6 aprile. Questa volta è stato solo di un grado inferiore rispetto a quello di tre mesi fa". Nessun riferimento esplicito al summit che inizierà mercoledì prossimo. Semmai il timore che gli aquilani a questo punto ritardino i tempi per il ritorno alla normalità in città. "Il 60% delle abitazioni - ha spiegato - sono agibili ma nessuno rientrerà a casa fino a quando ci saranno questi terremoti". Compromettendo così la scaletta temporale che, per il premier, prevede in autunno lo smantellamento delle tendopoli.

Ma se con i ministri non si è sbilanciato sullo svolgimento del G8, Berlusconi ne ha parlato a fondo con Bertolaso. Colloqui che si sono ripetuti nell'arco della giornata.
A Palazzo Chigi, del resto, erano consapevoli delle preoccupazioni emerse nelle delegazioni straniere. Proprio per questo sono stati recuperati e definiti i "due B".

Quello "alternativo", studiato da tempo secondo le procedure standard seguite per tutte le occasioni di questo tipo, prevede il "trasferimento" complessivo del vertice in un'altra sede. Una scelta che verrebbe adottata come extrema ratio, solo nel caso in cui le scosse da qui a martedì avessero un andamento crescente e tali da impedire lo svolgimento ordinato dei lavori nell'edificio di Coppito. Un piano che di fatto trasformerebbe Roma nella sede del G8. La Farnesina sarebbe il palazzo in grado ospitare i lavori del vertice. Nella capitale, poi, ci sono tutte le ambasciate in grado di accogliere i leader e gli alberghi sufficienti per ricevere delegazioni e giornalisti.

Il piano di "evacuazione", invece, riguarda l'eventuale necessità di abbandonare L'Aquila a summit già iniziato. Se, insomma, un terremoto dovesse verificarsi proprio mentre i "grandi" della Terra sono già riuniti a Coppito. Alcuni degli elicotteri già pronti per trasferire le delegazioni dagli aeroporti di Roma in Abruzzo, saranno tenuti pronti all'interno della caserma della Guardia di Finanza proprio per effettuare una "fuga rapida". Una soluzione su cui ha insistito in modo particolare lo staff del presidente americano, Barack Obama. La Casa Bianca ha chiesto che l'eventuale evacuazione venga realizzata in due fasi: la prima con gli elicotteri per mettere in salvo i capi di Stato e di Governo. L'altra, con i mezzi di auto-trasporto, per trasferire a Roma i membri delle delegazioni (si tratta di 26 persone per ognuno dei 39 paesi presenti al summit).

Per il governo, ovviamente, si tratta di soluzioni che con ogni probabilità non verranno adottate. Berlusconi è sicuro che il G8 si svolgerà senza sorprese e senza problemi. "Bertolaso mi ha garantito che tutto è a posto". Ma in caso di necessità sono pronti i "piani B".

(4 luglio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #42 inserito:: Luglio 08, 2009, 12:57:03 pm »

Pressing di Bossi: "Poi serve una svolta, anche col rimpasto"

Dietro gli attacchi, gli interessi "di chi vuol fare shopping tra le aziende italiane"

Il Cavaliere e l'incubo dello scandalo "Devo superare il summit senza danni"

di CLAUDIO TITO

 
ROMA - "Superare senza danni il G8". Silvio Berlusconi misura i passi che lo stanno portando al summit dell'Aquila con attenzione. Ma anche con molta tensione. Ormai considera l'appuntamento abruzzese un vero e proprio spartiacque. "Superare senza danni il vertice", ripete ad ogni piè sospinto, perché solo così sarà possibile puntare sulla "fase due" del governo.
Così con i suoi collaboratori e anche nella conferenza stampa di ieri non è riuscito a nascondere un certo nervosismo puntando l'indice per l'ennesima volta contro "Repubblica". L'ombra del "complotto", a suo giudizio, parte infatti dall'Italia per allungarsi sugli altri paesi occidentali. "Qualcuno - è la sua difesa - vuole indebolire il nostre Paese. Offrono elementi per attaccarci, solo menzogne. Non si rendono conto quello che stanno facendo".

Così il sospetto che il G8 diventi il palcoscenico per l'ennesima puntata di foto osè e per le inchieste che lo riguardano, è il suo principale assillo. Il timore che il summit non vada per il verso giusto si sta lentamente trasformando in un incubo. Del resto, i recenti affondi dei giornali stranieri, la difficoltà incontrata a Strasburgo sulla candidatura di Mario Mauro alla presidenza del Parlamento europeo, l'apprensione con cui ha affrontato l'incontro con Barack Obama: sono tutti elementi che hanno segnato gli ultimi due mesi del suo governo. E in una certa misura hanno modificato i suoi comportamenti. Basti pensare che da due mesi a questa parte sono state drasticamente ridotte le sue uscite pubbliche.

Ostacoli che, secondo l'inquilino di Palazzo Chigi, possono essere aggirati con un "sereno e tranquillo" svolgimento del vertice aquilano. Il suo obiettivo, quindi, è quello di tranquillizzare i "grandi della Terra" sulla tenuta del suo esecutivo e ricomporre un'immagine internazionale intaccata da questi due mesi di polemiche. Tant'è che una cura particolare verrà dedicata proprio alla stampa estera. Lo staff berlusconiano si aspetta domande insidiose proprio dai giornalisti stranieri. "Ma il problema non viene da tutti i giornali stranieri - dicono a Via del Plebiscito - ma da una parte". Quelli che, per il premier, fanno capo a Rupert Murdoch e ai poteri finanziari interessati a fare "shopping" tra le aziende del nostro paese: "Non vorrei ci fosse una svendita come è accaduto una quindicina di anni fa".

Il G8, insomma, rappresenta il confine da cui far partire "un nuovo inizio". Una richiesta che l'altro ieri sera è stata avanzata esattamente in questi termini dallo stato maggiore della Lega. Umberto Bossi, Roberto Calderoli, Roberto Cota hanno reclamato nel corso di una cena a Via del Plebiscito, un "cambio di marcia". Il premier si è sentito sotto pressione anche davanti al forcing del suo "migliore alleato". Davanti ad un presidente del consiglio pronto ad ascoltare i consigli lumbard, il Senatur è stato allora piuttosto esplicito. "Dopo il G8 - è stato il suo ragionamento, ribadito in un vertice del Carroccio riunito ieri a Montecitorio - serve una svolta. Non è che possiamo andare avanti in questo modo. Bisogna governare e instaurare un nuovo clima pure con l'opposizione". E già, perché il pensiero dei leghisti è sistematicamente rivolto al federalismo. In gioco c'è la cosiddetta "bicameralina" che deve studiare i costi del federalismo fiscale e porre le condizioni per il varo dei regolamenti attuativi. Si tratta di una commissione bipartisan. Per questo Bossi pretende dal Cavaliere un "nuovo clima". Tanto da ipotizzare una presidenza "di opposizione" da affidare ad un giurista come Franco Bassanini.

Non solo. Proprio per dare il segno di una cesura, è stata di nuovo ventilata l'idea di un rimpasto insieme al già annunciato "conclave" governativo. Soluzione che Berlusconi non ha scartato pur avendo chiesto di derubricare il "conclave" a singole sessioni ministeriali. Il pressing lumbard non gli è piaciuto. Sa che la Lega si sente rafforzata dall'ultima tornata elettorale. E non intende rispondere con un no, ma considera "troppo insistenti" i diktat del Senatur. "Riflettiamo su tutto ma senza esagerazioni".

Prima del "nuovo inizio" e della bicameralina per il federalismo fiscale, però, il presidente del consiglio deve superare lo scoglio G8. "Intanto - si raccomanda - cerchiamo di superare questo vertice senza danni. Poi ci mettiamo al lavoro, senza soste".

(8 luglio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #43 inserito:: Luglio 11, 2009, 04:06:54 pm »

Il retroscena.

Chiesto da Letta un incontro, gelo da Oltretevere: non è il momento

Il Cavaliere mette in riga la maggioranza: "Si ricorderanno che comando io"

"Ora voglio vedere chi parla di declino" ma Silvio è turbato dal no del Vaticano

Il premier prepara il vertice di governo e non nasconde il fastidio per le mosse del Colle

di CLAUDIO TITO

 

L'AQUILA - "Ora voglio vedere chi ha ancora il coraggio di criticare e di pensare che è iniziato il mio declino". E' convinto di aver ricomposto un po' delle fratture che si erano aperte nella sua immagine internazionale. Ma soprattutto Silvio Berlusconi, dopo il G8 dell'Aquila, è sicuro di aver riportato ordine nel governo e nella sua maggioranza. Il malessere nella coalizione, la sfiducia nella "pancia" più profonda del Pdl, le riunioni tra ministri per organizzare il "dopo-Silvio". Fattori che avevano agitato i sonni del Cavaliere fino al summit abruzzese. "Adesso, vedrete, - ha ragionato ieri pomeriggio al telefono con un esponente del centrodestra - tornerà tutto a posto. Tutti si ricorderanno che comando io". Berlusconi, insomma, lancia il suo guanto di "sfida".

Sa che gli incidenti di percorso legati all'inchiesta di Bari e alle foto di Villa Certosa potrebbero non essere finiti. "Dobbiamo ancora stare attenti", ripete come un mantra ai "suoi". Nello stesso tempo punta il dito contro gli alleati interni più recalcitranti e contro l'opposizione. Con i fedelissimi non nasconde nemmeno un certo fastidio per le mosse del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

E già, perché l'azione svolta dal Quirinale in questi giorni solo in parte è stata apprezzata da Palazzo Chigi. Il presidente del consiglio aveva accolto con favore l'invito alla "tregua" ma poi ha seguito con preoccupazione quella che ha definito "l'eccessiva esposizione" del Colle. A partire dall'incontro tra Napolitano e Barack Obama a Roma e il pranzo con i "grandi della Terra" a L'Aquila. La più alta carica dello Stato ha più di una volta "spiazzato" gli uomini di Via del Plebiscito. L'aut-aut sul disegno di legge che disciplina le intercettazioni telefoniche, i rilievi alla legge sulla sicurezza (misure non ancora promulgate), il colloquio svolto con il presidente brasiliano Lula il cui oggetto quasi esclusivo è stato l'estradizione di Cesare Battisti. Non è un caso che proprio ieri, al termine del G8, il capo del Governo abbia snobbato l'appello quirinalizio alla "tregua" dicendo apertamente: "Io non ne ho goduto".

A questo punto, poi, vuole chiudere i conti anche con i "nemici" interni. "Non voglio più sentire quelli che frenano, non voglio più problemi e distinguo". E il "conclave" di coalizione potrebbe essere la sede per il redde rationem. Ieri ha confermato ad un ministro l'intenzione di tenere il vertice entro luglio ma con una formula diversa: tutto si svolgerà a Palazzo Chigi con una serie di incontri interministeriali. Obiettivo: invertire l'attuale trend. Raccontano, infatti, che in occasione dell'ultimo consiglio dei ministri abbia ascoltato con fastidio il richiamo di Giulio Tremonti a contenere le spese. "Per andare avanti su questo provvedimento - spiegava un ministro sollecitato da Berlusconi ad agire - servono soldi e tempo". Una frase chiosata proprio dal titolare dell'Economia: "Di tempo ne abbiamo quanto ne vogliamo". Con smorfia innervosita del Cavaliere. Non solo. Il capo del governo adesso vuole rivedere i tempi della riforma della Giustizia e delle intercettazioni: evitando i rinvii ipotizzati in questi giorni.

Del resto anche l'incontro di lunedì scorso con Bossi gli aveva lasciato l'amaro in bocca. I leghisti gli avevano chiesto più incisività sul federalismo fiscale e tempi rapidi sulla "bicameralina" che dovrà monitorarne le risorse. Soprattutto aveva subito la spinta ad aprire il dialogo con l'opposizione. Così, oggi ha lanciato uno stop pure ai lumbard: "Nessun dialogo con questa opposizione". Per il Cavaliere, a questo punto, i rapporti di forza sono cambiati. "Decido io", è il suo leit motiv.

Se c'è un punto, invece, su cui Berlusconi si sente in deficit è il rapporto con la Chiesa. Dopo l'affondo effettuato pochi giorni fa dalla Cei, aveva sperato in un incontro con il Papa a conclusione del G8. Il segretario della Cei, monsignor Crociata, lunedì scorso aveva stigmatizzato un certo "libertinaggio". Il Cavaliere, nel tentativo di ricucire il rapporto con le gerarchie ecclesiastiche, aveva incaricato Gianni Letta di sondare informalmente la possibilità di un'udienza in Vaticano. Un passo diplomatico che però non ha raggiunto il risultato sperato: "Questo non è il momento" è stata la risposta arrivata da Oltretevere. Abbastanza chiara da sconsigliare agli uffici del Cavaliere la presentazione di una "formale" richiesta di colloquio. Tant'è che ieri dalla Sala Stampa della Santa Sede - mentre Benedetto XVI riceveva il presidente americano, Barack Obama - è arrivata la notizia che "nessuna richiesta formale di udienza è arrivata al Pontefice". Ma per tranquillizzare gli ambienti cattolici il premier punta tutto sul testamento biologico all'esame a Montecitorio, che proprio giovedì scorso ha subito un'accelerazione da parte del Pdl.

(11 luglio 2009)
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« Risposta #44 inserito:: Ottobre 09, 2009, 12:25:41 pm »

Il retroscena. Il capo dello Stato chiede una "rete di sicurezza" e ottiene una tregua.

Fini: "Questa volta Silvio non lo capisco proprio"

Il Colle esige il chiarimento: basta strappi

Il premier: "Troppe istituzioni alla sinistra"


di CLAUDIO TITO

 ROMA - "Bisogna mettere un punto fermo". La tensione è altissima. Il rischio di uno conflitto istituzionale senza precedenti aleggia sul Quirinale e su Palazzo Chigi. Le bordate sparate l'altro ieri da Silvio Berlusconi contro il presidente della Repubblica hanno provocato una vera e propria crisi nei rapporti tra le massime cariche dello Stato. Napolitano è preoccupatissimo. Soprattutto non accetta che sia messa in dubbio la sua "correttezza" costituzionale. Nell'altra "palazzo", quello di via del Plebiscito, i toni sono ancor più aspri. La parola "complotto" viene ripetuta ossessivamente. E il Cavaliere pone un interrogativo ai suoi fedelissimi: "Perché, se abbiamo la maggioranza nel Paese, alcune istituzioni sono in mano all'opposizione?".

Il clima è pesantissimo. I canali di comunicazione tra Quirinale e governo sono praticamente interrotti. Di buon mattino, allora, Napolitano chiama prima il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e poi quello del Senato, Renato Schifani. Li convoca al Quirinale per un vertice straordinario. Obiettivo: dare atto che la più alta magistratura dello Stato ha agito nel "pieno rispetto" delle prerogative costituzionali. E poi tessere una "rete" di sicurezza che salvaguardi l'equilibrio tra le istituzioni. Il presidente della Repubblica, insomma, chiede un pronunciamento pubblico. Un "chiarimento" definitivo.

L'allarme scatta anche a Montecitorio. Le uscite di Berlusconi non sono piaciute a Fini. "Non si può attaccare il capo dello Stato in questo modo", si lamenta con gli "ambasciatori" del Cavaliere: "Silvio proprio non lo capisco. Ma come si fa a sparare in quel modo? Deve capire che non può attaccare così il presidente della Repubblica. Cosa ha in mente?". È d'accordo con Napolitano. Ma è Schifani a sollevare dubbi.

L'incontro sul Colle si trasforma in una trattativa difficilissima. Le posizioni tra i tre, in un primo momento, non sono convergenti. Del resto, proprio mentre i presidenti dei due rami del Parlamento salgano al Quirinale, Berlusconi continua a sparare alzo zero verso il Colle. È furibondo e anche davanti alla "colomba" Gianni Letta non riesce a trattenersi. "Anche io pretendo rispetto". E soprattutto butta là una domanda che lascia di stucco i suoi interlocutori: "Io sono eletto dal popolo. La maggioranza del paese è con noi, ma alcune della massime cariche dello Stato sono dall'altra parte. È possibile andare avanti così?". Il riferimento è chiaro: il Quirinale, la Consulta, il Csm.

Il vertice tra Napolitano, Fini e Schifani, dura oltre un'ora. In passato, i medesimi summit erano iniziati e finiti con una intesa totale. Così fu nel novembre del '93 quando Scalfaro convocò lo stesso Napolitano e Giovanni Spadolini per poi pronunciare il famoso "non ci stò" in seguito all'inchiesta sui fondi Sisde. E così fu anche nel 2002 quando Ciampi consultò Casini e Pera sulla crisi che si era aperta al vertice della Rai. Stavolta la seconda carica dello Stato presenta, in partenza, i suoi appunti.

A quel punto il presidente della Repubblica ripercorre punto per punto la vicenda. Rammenta che tutto nasce con il cosiddetto provvedimento "blocca processi" ideato dall'esecutivo. Ricorda l'intervento svolto a Torino nell'aprile scorso in riferimento ai "limiti che non possono essere ignorati nemmeno in forza dell'investitura popolare, diretta o indiretta, di chi governa". Soprattutto chiede di intervenire per far "ragionare" il capo del governo. Fini si schiera al suo fianco. Il presidente del Senato prende tempo. Non vorrebbe un comunicato congiunto. E comunque chiede di apportare dei correttivi. Si impunta sulla necessità di inserire un passaggio pure sul "risultato delle elezioni". Il confronto prosegue. Il presidente della Repubblica deve lasciare la riunione per un appuntamento non procrastinabile, cui prende parte pure Papa Benedetto XVI. Fini e Schifani restano al Quirinale per altri venti minuti a limare il testo e l'accordo viene trovato solo esplicitando il valore della "volontà del corpo elettorale".

La tregua alla fine viene siglata. Ma la pace è ancora lontana. In gran segreto, infatti, Schifani, lasciato il Quirinale, va a palazzo Grazioli. Spiega tutto a Berlusconi. Il Cavaliere si infuria ancora di più. Le sue sono parole di fuoco contro il presidente della Repubblica. "Sono io a pretendere rispetto - sbotta -. Forse ieri avrò pure esagerato ma è chiaro che c'è un complotto contro di me". Nell'ufficio di presidenza del Pdl molti evocano le elezioni anticipate. Il Cavaliere non li smentisce. Ma il suo "chiarimento", a questo punto, riguarda gli equilibri nelle più alte cariche dello Stato.

© Riproduzione riservata (9 ottobre 2009)
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