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Autore Discussione: CLAUDIO TITO.  (Letto 75337 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Gennaio 12, 2011, 06:36:33 pm »

L'INTERVISTA

Fini: "Paese fermo e governo paralizzato serve patto di salvezza nazionale"

Fini: "Mi appello a maggioranza e opposizione. Non mi dimetto. Se la maggioranza riterrà di non poter governare si assumerà la responsabilità delle elezioni.

Io e Casini staremmo insieme". Il federalismo: "Decreto importante ma il fisco municipale non è il cuore del problema"

di CLAUDIO TITO


UN PATTO di salvezza nazionale. Per tirare fuori dalle secche un Paese "fermo e sfiduciato". Gianfranco Fini esce dal silenzio in cui si era trincerato dopo la "sconfitta" del 14 dicembre. È appena tornato dalle vacanze nei mari delle Laccadive. Abbronzato, seduto nel suo studio a Montecitorio descrive le incapacità di Silvio Berlusconi nell'affrontare le emergenze: un governo "paralizzato". Ma il presidente della Camera vuole superare lo scontro dei mesi scorsi. "Per il bene dell'Italia", dice. E rivolge la sua proposta a tutti: "maggioranza e opposizione". Al centro del suo ufficio c'è la foto di Napolitano, quella del Papa e le immagini delle tre figlie. Sulla scrivania un posacenere. E un pacchetto di sigarette. Segno che gli scossoni politici hanno forse fatto naufragare il tentativo di smettere di fumare. L'Italia è sul punto dell'"asfissia" e ha bisogno di "convergenze tra maggioranza e opposizione". Una proposta da sottoporre a "tutti, non solo al governo": al Pdl, alla lega e al Pd. Le elezioni ora sarebbero "una prospettiva rischiosissima". "Perché la situazione, rispetto al 14 dicembre, non è tanto cambiata".

Quella giornata è ancora una ferita aperta per lei?
"Ho preso atto di una sconfitta politica".

Anche di alcuni tradimenti?
"Il tradimento è una categoria che non dovrebbe appartenere alla politica. Comunque alcuni hanno fatto
delle scelte che vanno rispettate anche se non ne colgo le ragioni politiche".

Ora, però, sembra essere tornati al punto di partenza.
"Nel voto del 14 c'è sicuramente la conferma che Berlusconi gode della maggioranza al Senato e alla Camera. Ciò che oggi si può fare seriamente è avanzare proposte per il prossimo futuro. Io vorrei iniziare l'anno con un auspicio: spero che nei prossimi mesi si compia un salto di qualità complessivo nel dibattito e nell'azione politica. E questo deve riguardare le forze della maggioranza e quelle dell'opposizione".

In che senso?
"Ci si può dividere nel dire che gli ultimi sei mesi del 2010 non hanno rappresentato un successo per nessuno? Non credo. Sarebbe invece molto pericoloso continuare a pensare che i prossimi sei mesi saranno come i precedenti. Il rischio è che si ampli la frattura con l'opinione pubblica. Si percepisce il senso di repulsione nei confronti della politica. Questo accade perché il Paese è fermo e sfiduciato. C'è l'incubo dell'abisso".

Pensa a una sorta di patto di salvezza nazionale?
"faccio notare che la ripresa economica è lontana. La metafora di Tremonti è stata felice: un videogame in cui se uccidi il mostro, ne compare subito un altro. Noi non riusciamo a innestare la marcia. E questo determina una sfiducia complessiva, non solo nel governo. Molti degli interventi del capo dello Stato - che io condivido e con il quale c'è sempre stata sintonia - hanno sottolineato proprio questo aspetto".

Le proteste dei giovani contro la riforma Gelmini ne erano un'espressione?
"Certo. Ma la sfiducia nel domani va al di là della riforma. Nell'insicurezza scattano i meccanismi di autodifesa individuale. Ad aggravare la situazione ci sono alcune conflittualità storicamente irrisolte: quella tra nord e sud, tra le parite iva e i lavoratori dipendenti, tra precari e garantiti, tra giovani e anziani. O la politica, complessivamente, comprende che stiamo affrontando un tornante difficilissimo oppure i fossati si acuiranno".

Ma lei e Fli siete usciti dal governo per questo. Ora cosa pensate di fare?
"Se si condivide questo approccio di sano realismo, allora ci possono essere convergenze per le forze di maggioranza e opposizione. Le opposizioni non si possono riparare dietro la logica del tanto peggio, tanto meglio. Sarebbe una logica sfascista. Così come per la maggioranza la logica dell'"andiamo avanti, non c'è alternativa"".

Ma lei pensa davvero che Berlusconi lo possa accettare? O pensa ad un altro governo?
"Questo non mi compete, lo decide il premier. La mia riflessione è rivolta a tutti e non solo al governo. Vivacchiare è negativo per tutti. Fermo restando i ruoli, della maggioranza e dell'opposizione, è un dovere proporre soluzioni per evitare l'asfissia".

Ha pensato di dire queste cose direttamente al presidente del consiglio?
"Io faccio un'intervista a un importante giornale per parlare con tutti. Voglio uscire da quello che proprio Berlusconi chiama il teatrino della politica. E non userò nei confronti del premier una sola espressione polemica".

I giornali del Cavaliere, però, non sono stati teneri. Le hanno attribuito anche una relazione con una escort.
"È solo fango. Non so da chi diffuso. Non ho mai conosciuto quella signora e chiunque affermi il contrario ne risponderà in tribunale".

Le hanno chiesto anche le dimissioni.
"Mai prese in considerazione. Mi si possono contestare posizioni politiche ma non l'incapacità di rappresentare la Camera e l'imparziale gestione dei lavori d'Aula".

L'asse con Casini è saldo?
"Certo. L'ho visto anche stamattina".

Lei si rivolge anche al Pd?
"Io parlo a chi è in Parlamento. Opposizione e governo".

Bersani e D'Alema, però, le hanno chiesto qualcosa di più. Immaginano un cartello per sconfiggere Berlusconi.
"Le alleanze non si fanno in ragione delle sommatorie di sigle. Ma sulla condivisione di alcuni progetti. E comunque le elezioni non sono vicine".

Se non ci fosse la consapevolezza generale di cui parla, l'alternativa sarebbero le elezioni anticipate?
"Una prospettiva rischiosissima per l'Italia. In campagna elettorale non si fanno le riforme. Se poi la maggioranza riterrà di non poter governare, spiegherà il perché agli italiani e se ne assumerà la responsabilità. Ma sia chiaro che Futuro e libertà e il Polo della nazione non temono le urne".

Più che il voto a Palazzo Chigi stanno cercando di strappare qualche deputato per andare avanti e qualcuno chiede ai centristi di "entrare" in squadra.
"È tempo sprecato. Certo, c'è il tentativo di guadagnare dei singoli, ma non ci riusciranno. E se poi lo scarto anziché di tre parlamentari diventasse di cinque, cosa cambierebbe? Continuerebbero a vivacchiare. Ma in questa situazione non si può vivacchiare e l'opposizione non si può limitare a dire valuteremo di volta in volta. Sarebbe un gioco di rimessa, e invece bisognerebbe disegnare un impianto di regole condivise".

Regole condivise in due anni di legislatura?
"Siamo entrati nel 2011, il 150. mo anno dell'Unità d'Italia. Si può fare una riflessione su cosa significa essere italiani? Sui vizi del nostro sistema bipolare - di cui resto un convinto sostenitore e su questo Casini sarà d'accordo - che ha reso possibile l'alternanza ma non ha innovato sul piano della cultura politica?".

Ma l'emergenza sembra soprattutto economica in questa fase.
"E infatti ridurre le spese e tenere sotto controllo i conti pubblici è necessario ma non sufficiente".

Un limite di Tremonti?
"Di tutto il governo. Sarebbe ingeneroso dire che è colpa di Tremonti o pensare che si diverte a tenere sotto schiaffo i ministri. È il deficit di dibattito interno al Pdl che ho denunciato un anno fa. Anche l'Ue ha chiesto politiche riformatrici, che rilancino l'economia. Siamo in ritardo".

Il ministro dell'Economia la accuserà di essere uno spendaccione.
"Non ci si può dividere tra chi vuole la spesa facile e i rigoristi. Sarebbe più lungimirante individuare progetti strategici. Cito sempre la Germania, non per la Grosse Koalition ma per la cultura politica condivisa che indica gli investimenti nella ricerca e nella tecnologica come strategici".

Quindi i tagli lineari sono stati un errore?
"Sono l'esatto opposto. Sarebbe più utile una "Grande Assise" dell'economia e del lavoro con 100 teste pensanti in grado di trovare soluzioni. Nel nostro Paese c'è una miscela esplosiva: la giusta flessibilità nel mercato del lavoro si unisce però a un tasso di precarietà altissimo e a un livello retributivo tra i più bassi d'Europa. L'Italia è impoverita. Il ceto medio sta scomparendo. Il 45% della ricchezza delle famiglie è in mano al 10% degli italiani".

Tutto questo con il governo in carica?
"Noi cerchiamo di farlo. Avanziamo soluzioni, proposte. Il mio auspicio è che non sia solo un'iniziativa di parte. Poi, certo, non si risolve tutto dalla sera alla mattina".

Intanto vi aspettano delle scelte da cui dipende la sopravvivenza dell'esecutivo. Come il voto sul federalismo.
"Quel decreto è importante, ma il prossimo - quello sulle Regioni - è la vera sostanza. Il fisco municipale non è il cuore del problema. Le scelte sulle regioni saranno determinanti. Non dobbiamo perdere il complesso dei problemi".

Ma voi cosa farete?
"Vedremo. In quel testo ci sono degli aspetti non so se voluti. I comuni, ad esempio, avranno meno entrate. L'Ici si paga solo nei luoghi dove non si risiede. Verificheremo alla fine se Calderoli troverà un'intesa con Tremonti sui saldi".

E la mozione di sfiducia a Bondi?
"Non è una questione cruciale, ma deciderà il coordinamento del Polo della Nazione".

L'alleanza con Casini è strategica?
"Se si votasse, staremmo insieme. Ci sarebbe una competizione con tre soggetti e non con due. Fli comunque farà un congresso a febbraio. Abbiamo un'idea del centrodestra diversa da Berlusconi e Bossi. Senso delle Istituzioni, dello Stato, dell'etica pubblica, della legalità. Fli si muoverà con la sua identità insieme all'Udc, all'Api, all'Mpa e ai Liberaldemocratici. E anche nel Pdl tanti condividono questi ragionamenti".

Molti dicono che il leader di questo schieramento è Casini e non lei.
"Mi fanno ridere. Qualcuno - soprattutto nel Pdl - ha una scarsa considerazione di me e di Casini. Pensano di farci litigare".

Sui temi etici una qualche differenza, però, c'è.
"Quando si presenterà il problema, lo risolveremo con un solo principio: la libertà di coscienza. Questa è la regola nei partiti democratici. Questa è una vera concezione liberale che altri ignorano".

Lei si sente un uomo di destra o di centro?
"I valori restano quelli di destra. Servirebbe però un libro per spiegare cosa si intende nel 2011 per destra, centro o sinistra. Sono categorie del secolo scorso. Se poi per destra si intendesse il prevalere della finanza sull'economia reale, allora non sarei di destra... altri ci si riconoscerebbero più facilmente".

C'è chi usa il caso Fiat come bussola.
"Marchionne è il segno di quanto l'Italia è in ritardo. Ho tirato un sospiro di sollievo quando ho sentito il segretario della Cisl Bonanni dire che senza le fabbriche non ci sono nemmeno i diritti dei lavoratori".

Se fosse un operaio di Mirafiori lo voterebbe l'accordo?
"Senza dubbio. Il problema è che la politica è assente. ha delegato tutto alle parti sociali anche sulla rappresentanza. Bersani ha fatto bene a dire che si discute e poi l'esito del referendum si rispetta. Nessun paese occidentale si trova in questa condizione".

(12 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/12/news/gianfranco_fini-11117108/?ref=HREA-1
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« Risposta #76 inserito:: Gennaio 28, 2011, 11:32:00 am »


di CLAUDIO TITO

Il premier, la casa di An per coprire il Rubygate

Silvio Berlusconi vuole "coprire" mediaticamente il Rubygate. E lo fa scaraventando nello scontro politico la vicenda della casa di Montecarlo un tempo proprietà di Alleanza nazionale. Oggi il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha riferito al Senato che le carte trasmesse dalle autorità dell'isola caraibica di Santa Lucia sono originali. E ora sono a disposizione della procura di Roma. In base a quei documenti, quindi, l'immobile monegasco sarebbe ora di proprietà di Giancarlo Tulliani, cognato del presidente della Camera. Le opposizioni hanno abbandonato per protesta l'aula di Palazzo Madama. Ma al di là dei contenuti della relazione esposta dal titolare della Farnesina, il Pdl sta provando a organizzare un contrattacco mettendo sul tappeto lam richiesta di dimissioni di Fini. Pe rispondere così all'ultma ondata di carte sulla vicenda Ruby.

I verbali depositati ieri alla Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio stanno mettendo in difficoltà l'intero centrodestra. Il governo si presenta paralizzato dall'inchiesta. E anche i prossimi appuntamenti più delicati, come il voto sul federalismo, appaiono decisamente condizionati dall'immobilismo dell'esecutivo. Il premier non intende per ora assumere provvedimenti. L'idea di fare un passo indietro in favore di un altro esponente della maggioranza non appartiene al novero delle opzioni prese in considerazione dal Cavaliere. Il capo del governo ha incontrato lo stato maggiore del suo partito proprio per ribadire questo concetto e organizzare la controffensiva.

Il segertario del Pd Pierluigi Bersani, intanto, invita la Lega e il Pdl a far dimettere Berlusconi. Un appello che, come previsto, sta cadendo nel vuoto. I democratici, poi, sono alle prese con le primarie di Napoli. I sospetti su brogli a vantaggio di Cozzolino stanno scatenando una tempesta. Anche lo scrittore Roberto Saviano ha chiesto di annullare il risultato. Per ora Bersani ha annullato l'Assemblea nazionale del Pd in un primo momento convocata proprio a Napoli per domani e dopodomani.

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« Risposta #77 inserito:: Febbraio 04, 2011, 06:13:57 pm »



di CLAUDIO TITO

Il "no" del Quirinale il dilemma della Lega

Il "no" del Quirinale al decreto legislativo sul federalismo municipale ripropone il dilemma che ha assillato la Lega in questi giorni. Rompere o ingoiare un altro rospo per andare avanti. Per il momento Umberto Bossi sembra deciso a imboccare la strada della mediazione. Il colloquio con il presidente della Repubblica è il segno che il leader lumbard non intende in questa fase inasprire i toni. Sta di fatto che lo stop del Colle impone tempi decisamente più lunghi al provvedimento per il fisco municipale. Un ritardo che rischia di riflettersi in modo esplosivo nella base del Carroccio e anche nei suoi vertici. Anche perchè, in questo modo, la Lega non potrà presentarsi alle prossime amministrative di maggio sventolando la bandiera del primo decreto federalista. Il testo, infatti, dovrà riprendere il suo iter parlamentare. E il rischio di elezioni anticipate torna a scuotere la magggioranza.
Anche il Pdl cerca di non drammatizzare la scelta di Napolitano. Del resto sia Berlusconi, sia Letta avevano ieri avvertito il Senatur sui problemi connessi al decreto legislativo. Il premier è semmai più preoccupato dallo sviluppo dell'inchiesta su Ruby. Non solo aleggia il fantasma delle foto delle cene a Arcore, ma la prossima settimana i pm dovrebbero chiedere il giudizio immediato. Non a caso il presidente del consiglio, prima di prendere parte al consiglio europeo di Bruxelles, ha di nuovo attaccato i giudici definendo l'Italia una "Repubblica giudiziaria".
Il centrosinistra torna a chiedere un passo indietro a Berlusconi ed esorta la maggioranza a ritirare il decreto sul federalismo. Questo sarà anche il cuore della relazione che oggi pomneriggio il segretario Pd, Pierlui Bersani, leggerà all'Assemblea nazionale del suo partito.

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« Risposta #78 inserito:: Febbraio 10, 2011, 05:05:47 pm »



di CLAUDIO TITO


Il premier fa retromarcia sulle intercettazioni

SIlvio Berlusconi fa retromarcia sul decreto per le intercettazioni. Dopo la polemica a distanza di ieri sera tra Palazzo Chigi e il Quirinale, oggi il presidente del consiglio ha deciso di tornare sui suoi passi. Ha capito che il capo dello Stato non avrebbe firmato un provvedimento d'urgenza di questo tipo. Considerato anche che un testo - predisposto dalla maggioranza - giace da tempo in Parlamento. E quindi non si giustificherebbe in alcun modo un decreto.
Una difficoltà che il sottosegretario Letta e il ministro della Giustizia Alfano avevano intuito già ieri. Non è quindi un caso che stamani il Cavaliere abbia deciso di rinunciare all'incontro con Napolitano. L'occasione era offerta dalla cerimonia per la "Giornata del Ricordo". Ma sul Colle a ricordare le vittime delle foibe è salito il solo Letta. Il rapporto tra il presidente della Repubblica e il capo del governo sembra però di nuovo compromesso. Anche perchè tutti gli interventi di Berlusconi appaiono dettati da uno sforzo opposto a quello del Colle, impegnato ad abbassare i toni e a evitare contrapposizioni radicali tra maggioranza e opposizione.
Il centrodestra, dunque, resta invischiato nelle polemiche sulle inchieste di Milano. La decisione sul giudizio immediato dovrebbe arrivare entro martedì prossimo. E il presidente del consiglio sta vivendo l'attesa come un vero e proprio assalto. Si sente perseguitato dai tutti i imagistrati. Anche dalla Corte costituzionale, accusata di cancellare le leggi che la sua maggioranza predispone proprio per fronteggiare i pm. Su questo, però, ha respinto ogni accusa il presidente della Consulta De Siervo che riferendosi direttamente agli attacchi del premier, li ha definiti "gravemente offensivi".
I prossimi dieci giorni, quindi, saranno ancora decisivi per la vita del governo e per la prosecuzione della legislatura. Lo spettro delle elezioni anticipate torna a agitare i sonni del centrodestra.

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« Risposta #79 inserito:: Febbraio 14, 2011, 03:52:34 pm »

IL RETROSCENA

Il Colle, Ruby e Bossi gli incubi di Silvio

Il timore di una condanna nel processo Ruby e l'incognita sulla reazione del Carroccio.

Anche il possibile rinvio a giudizio del premier destinato ad appesantire il clima.

Per il senatùr, il destino della legislatura" si deciderà in questa settimana"

di CLAUDIO TITO


C'è un filo invisibile che lega le parole pronunciate nel weekend da Umberto Bossi e gli avvertimenti di Giorgio Napolitano.
Un filo che sta scuotendo l'intera maggioranza e che mette in allarme il presidente del Consiglio. "Si decide tutto questa settimana", avverte il Senatur. E il messaggio è arrivato per direttissima anche a Silvio Berlusconi. Perché le riflessioni del suo "miglior alleato" più che una minaccia rappresentano una constatazione.

Che in queste ora sta prendendo le forme di una delle norme del codice penale: "L'interdizione dai pubblici uffici". Una pena accessoria che trasforma i sogni del Cavaliere in incubi. Che fa materializzare il fantasma delle elezioni anticipate o "peggio di un governo tecnico". I suoi legali e lo stesso presidente del Consiglio si sono ormai fatti la convinzione che se il processo per il "Rubygate" arriverà a sentenza, allora già in primo grado i magistrati la accompagneranno proprio con l'interdizione dei pubblici uffici. Compresa la presidenza del Consiglio. "È chiaro che l'obiettivo dei magistrati è questo  -  si è sfogato l'altro ieri il premier con un fedelissimo -. In quel caso cosa faremo? Come si comporteranno i leghisti? Cosa accadrà nel gruppo dei Responsabili? Dobbiamo opporci, fare di tutto per impedirlo. Sarebbe un golpe inaccettabile". Alla fine, però, il capo del governo lascia i suoi interrogativi
senza risposte. Quesiti che possono aprire un varco verso le elezioni anticipate. La paura che si é fatta largo a Palazzo Chigi, infatti, ora sta condizionando le mosse di tutti. Del Pdl e, soprattutto, della Lega. Per questo la previsione di Bossi è suonata a Via del Plebiscito come un campanello d'allarme. E il filo invisibile che unisce la Lega al Quirinale si presenta agli occhi del premier come un pericolo costante.

Perché al di là delle rassicurazioni ufficiali, il campo del Carroccio è quanto mai in movimento. E il Senatur è deciso a coglierne tutti i segnali. A interpretare i malumori della "pancia" lumbard e a recepire le "prudenze" dei dirigenti. Ma con una certezza: il possibile rinvio a giudizio del premier sul caso Ruby, non potrà risultare indifferente. "Per ora  -  spiega in queste ore il ministro delle Riforme  -  io sono in grado di tenere i miei. Se il federalismo va avanti, nessuno si potrà lamentare. Ma se nella palude anche il nostro progetto si blocca allora tutto cambia. E dovrò capire se qualcosa cambia anche nel caso in cui Silvio venisse condannato in tempi brevi".
Berlusconi conosce i dubbi dell'alleato. Con l'amico Umberto ha riparlato anche negli ultimi due giorni. È sicuro che "non ci saranno tradimenti". Ma si è anche reso conto che il feeling maturato tra lo stato maggiore leghista e il Quirinale può provocare sviluppi imprevisti. Soprattutto alla luce di quel che accadrà a Milano nei suoi quattro processi. Senza contare che il successo delle manifestazioni di piazza di ieri costituiscono, a suo giudizio, un tassello dello stesso mosaico cospirativo. "Una protesta senza senso  -  ha commentato vedendo le immagini di Piazza del Popolo  -  mi vogliono far passare per un mostro. Tutte falsità, è già campagna elettorale. Fanno i bacchettoni con me e poi sono i primi a combinarne di tutti i colori. Io sono un uomo separato e sono libero di fare quello che voglio a casa mia. Vogliono farmi dimettere e basta".

Mai come in questo momento, dunque, il partito delle elezioni anticipate è stato così forte. Con l'intera opposizione  -  da Bersani a Fini  -  pronta a scendere in campo per le urne. Anche la scelta elettorale del leader Fli  -  che si è tenuto in contatto con Napolitano  -  sta sortendo l'effetto di modificare gli equilibri tra il partito "del voto" e quello del "non voto". Anche perché è proprio il presidente della Repubblica a vedere le urne come una possibile soluzione alla "paralisi" che condiziona l'attività del governo. E allora quel "si decide tutto questa settimana", sta riecheggiando nelle orecchie del Cavaliere come un monito. Le difficoltà con cui procede l'iter del decreto Milleproroghe  -  al cui interno spiccano diverse misure di spesa cui Berlusconi tiene molto - e i "no" di Giulio Tremonti ad allentare i cordoni della borsa hanno assunto nei ragionamenti di Berlusconi tutta un'altra configurazione. Per non parlare dei giudizi taglienti (la cui asprezza è arrivata fino ai piani alti di Palazzo Chigi) del ministro dell'Economia sui provvedimenti per dare una scossa all'economia e per rilanciare il Sud. Fattori che hanno di nuovo illuminato i sospetti sul titolare di Via XX Settembre. Sulla possibilità che faccia parte del ristretto numero di "carte di riserve" pronte all'uso in caso di emergenza.

Quell'emergenza evocata, appunto, per ben due volte tra venerdì e sabato scorso dal capo dello Stato. Il "filo" che unisce il Quirinale, la Lega, il presidente della Camera e l'intero arco delle opposizioni, allora, per Berlusconi è qualcosa di più di una semplice sintonia istituzionale. Così come le conseguenze del rinvio a giudizio per il caso Ruby stanno assumendo tutta un'altra configurazione nelle riflessioni del Cavaliere. In cui lo scioglimento del Parlamento è un'opzione, ma l'altra è la nascita di un nuovo governo. "Qualcuno pensa ancora che si possa formare un esecutivo tecnico. Quella sì sarebbe una porcata".

Non a caso anche ieri i toni con cui il presidente del Consiglio ha in privato commentato le mosse del Colle non sono stati per niente accondiscendenti. "Vuole sciogliere le Camere anche se ho la maggioranza? Ci provi e vediamo come va a finire. Finché ho i numeri, nessuno può imporre le elezioni". La nota con cui ieri i capigruppo del Pdl hanno ricordato e difeso il lavoro dell'esecutivo, del resto, era diretta proprio al presidente della Repubblica. Sebbene sia sotto gli occhi di tutti, la sostanziale inattività dell'esecutivo e del Parlamento. Basti pensare che l'aula di Montecitorio da tempo si riunisce per non più di 2-3 giorni a settimana. E il motivo è piuttosto semplice: l'assenza di provvedimenti da discutere.

Ma i "numeri" invocati dal presidente del Consiglio possono rivelarsi un'incognita. Soprattutto se il "giudizio immediato" della procura di Milano in relazione alle accuse di concussione e prostituzione minorile si chiuderà con una condanna e con "l'interdizione dai pubblici uffici".

(14 febbraio 2011) © Riproduzione riservata
da repubblica.it/politica
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« Risposta #80 inserito:: Marzo 28, 2011, 04:35:26 pm »

di CLAUDIO TITO

Il Cavaliere risale sul predellino



Silvio Berlusconi risale sul predellino. Questa volta lo fa non per imprim,ere una svolta politica alla sua azione. Ma per difendersi dai processi fuori dalle aule di giustizia. Il presidente del consiglio stamani ha preso parte all'udienza preliminare sul caso Mediatrade.

Ma lo ha fatto facendo precedere il suo ingresso in Tribunale da una lunga intervista a "Mattino Cinque", la trasmissione in onda su Canale 5. Il Cavaliere ha contestato tutte le accuse, ma soprattutto ha confermato il vecchio teorema secondo cui sarebbe in corso un complotto tra i giudici e i "comunisti" per "eliminarlo". Ha attaccato i pm e anche la Corte costituzionale che ha bocciato la legge sul legittimo impedimento costringendolo così a presentarsi davanti ai magistrati.

Chiusa l'udienza preliminare, Berlusconi ha salutato i fans convocati davanto il Palazzo di Giustizia.  E' salito sul predellino della sua automobile e ha ringraziato i suoi supporter annunciando che parteciperà anche alle prossime udienze. Ma lo ha fatto soprattutto per contrapporre alle toghe il sostegno dei suoi elettori.

Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, intanto, dal palco della direzione del suo partito attacca il premier accusandolo di voler solo "resistere" ai processi. E avverte la Lega che se voterà altre "leggi ad personam" allora verrà anche meno il via libera dei democratici al federalismo. Il leader Pd, poi, cerca di fermare l'emorragia interna ripetendo che la presenza di "diverse aree" nel partito sono una "ricchezza".

Nel centrodestra, però, si sta aprendo un altro fronte: quello "libico". Le perplessità della Lega sull'intervento armato si stanno rafforzando a causa del pesante flusso migratorio dalle sponde africane verso Lampedusa e la Sicilia. E mercoledì prossimo si terrà a Palazzo Chigi un vertice per affrontare l'emergenza.

da - repubblica.it/politica/
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« Risposta #81 inserito:: Aprile 01, 2011, 10:27:52 pm »

IL RETROSCENA

L'allarme del Quirinale "Così non si va avanti"

Si riaffaccia l'ipotesi elezioni. Berlusconi: "Meglio delle figuracce di questi giorni".

Cicchitto scarica le colpe sulla piazza. Richiamo alla responsabilità anche sugli immigrati 

di CLAUDIO TITO


Il livello di allarme ha superato ogni limite. Lo scontro tra maggioranza e opposizione rischia di paralizzare l'attività del Parlamento.
Il percorso del governo diventa sempre più accidentato. Giorgio Napolitano è appena tornato dal suo viaggio degli Stati Uniti.
E subito deve fare i conti con una situazione politica incandescente. La rissa alla Camera con il ministro della Difesa la Russa a far da protagonista. Il blitz della maggioranza per l'ennesima legge ad personam a favore del Cavaliere. L'emergenza immigrati che sta mettendo a repentaglio l'immagine del Paese. Il capo dello Stato è preoccupato. Avverte che il quadro rivela aspetti di gravità senza precedenti.

Chiama al Quirinale tutti i capigruppo e senza giri di parole gli spiega che così non si può andare avanti. Lo fa rispettando il suo ruolo istituzionale. Non vuole forzature. Tant'è che prima di tutto avverte il suo interlocutore diretto a Palazzo Chigi: Gianni Letta.
Il sottosegretario viene informato della intenzione di svolgere una "ricognizione diretta". Una procedura "istituzionale" ma inevitabile. Ieri quindi l'incontro con gli esponenti del Pdl, poi con quelli del Pd e infine con quelli dell'Udc. Sfilano Cicchitto, Franceschini con la Finocchiaro, Casini con D'Alia. Oggi, invece, sarà il turno della Lega e di Futuro e libertà.

Una convocazione in tempi rapidi, segno che la preoccupazione sul Colle ha toccato punte altissime. Per Napolitano, del resto, non si tratta di una semplice udienza. Le sue parole non sono mirate solo a comprendere lo stato dei rapporti politico-parlamentari alla Camera e al Senato. Stavolta il presidente della Repubblica vuole avvertire che un clima di questo tipo è dannoso per tutti. Richiama al "senso di responsabilità". Anche se nei tre incontri svoltisi nello studio Alla vetrata, i toni sono ben diversi nei confronti dei rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione. Proprio a New York, il capo dello Stato aveva rinnovato un invito alla responsabilità e al dialogo sulle riforme, a cominciare dalla giustizia. Appelli ignorati.
La scenata di La Russa a Montecitorio è stata quindi la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Uno spettacolo indecoroso che per il Quirinale rappresenta in questa fase la prova che così non si può più andare avanti. Cresce il timore che l'esecutivo in questo contesto navighi a vista, nell'impossibilità di affrontare le emergenze: a cominciare da quella che il ministro degli Interni Maroni ha definito l'"esodo di immigrati" fino alla gestione del conflitto libico e all'urgenza che ancora minaccia l'Europa alla luce del pericolo-bailout per il Portogallo. Il capogruppo del Pdl Cicchitto prova a sdrammatizzare e a riversare le colpe sull'opposizione. Ha fatto riferimento all'"aggressività delle manifestazioni di piazza". Ma le argomentazioni non convincono Napolitano.

Sul Colle hanno ancora ben presente i recenti incontri con i rappresentanti del governo sulla riforma della Giustizia e le garanzie fornite sul dialogo e sull'intenzione di non procedere con colpi di mano. Così come non è sfuggita la reazione avuta dal sottosegretario agli Interni Mantovano dopo la decisione del Viminale di trasferire a Manduria, in Puglia, da Lampedusa oltre tremila immigrati. Senza trascurare le indecisioni sulla linea da tenere su Gheddafi e le differenze con la posizione della Casa Bianca emerse proprio durante il suo viaggio negli Stati uniti. Tutti elementi, insomma, che stanno facendo impennare la tensione.

Nei colloqui non è mai stata evocata esplicitamente la possibilità delle elezioni anticipate. Eppure tutti i capigruppo hanno avuto la sensazione che i discorsi di Napolitano fossero simili a quelli messi nero su bianco lo scorso 12 febbraio scorso. Quando la presidenza della Repubblica fu costretta a rilasciare una nota ufficiale per esortare a "uno sforzo di contenimento delle tensioni in assenza del quale sarebbe a rischio la stessa continuità della legislatura".

E in effetti che tutto possa precipitare improvvisamente è diventata di nuovo un'eventualità che nell'agenda di Palazzo Chigi ha preso piede. Berlusconi è infuriato. Ce l'ha con La Russa e con Cicchitto. È scoraggiato per la gestione dei lavori parlamentari. ma vuole andare avanti. "Possiamo arrivare fino alla fine, a Montecitorio supereremo quota 330". Eppure, sebbene il suo progetto primario sia questo, la subordinata sta cominciando a rispuntare. "Se dobbiamo fare figuracce come queste - si è sfogato ieri - allora meglio andare a votare a ottobre". Dopo aver incassato il conflitto di attribuzione sul processo Ruby e la prescrizione breve. Del resto, ammettevano i capigruppo del Pdl dopo l'incontro al Quirinale, "è chiaro a tutti che se le aule di Camera e Senato fossero sempre così, non si potrebbe andare avanti". Ma proprio in vista di questi due appuntamenti, il clima diventerà infuocato. E le manifestazioni di piazza si moltiplicheranno.
 
E il centrosinistra si appresta a scendere in piazza martedì e mercoledì prossimi davanti a Montecitorio per contestare le ultime leggi ad personam della maggioranza.

(01 aprile 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #82 inserito:: Aprile 03, 2011, 11:35:18 pm »

INTERVISTA

Alfano: "Non ci fermeremo su nessuna legge il Pd vuole solo far cadere Berlusconi"

Il Guardasigilli: "In piazza per difendere la riforma costituzionale. Per piazza intendo comizi per le amministrative e piazze televisive, spiegherò le norme.

Approvazione entro l'estate". Legge ad personam? "Non si applica ai processi in corso, per il premier nessun beneficio".

Responsabilità dei giudici: "Chi sbaglia paga"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "Il voto sul conflitto di attribuzione? Certo che ci sarò, sempre che Fini mi permetta di votare". Il Guardasigilli Alfano è in partenza per  gli Usa. Incontrerà l'omologo americano Eric Holder, e terrà una conferenza alla Hopkins University. Ma vuole prendere parte al primo dei voti ad alta tensione previsti per martedì: il conflitto di attribuzione, che mira a bloccare il processo Ruby.
Subito dopo ci sarà quello sul processo breve con la discussa norma sulla prescrizione. Due appuntamenti cui non vuole rinunciare. "Noi - conferma senza dubbi - su questo terreno andiamo avanti" e il Pd decida se confrontarsi sulla riforma costituzionale rinunciando al tentativo di "far cadere Berlusconi": "Hanno paura di perdere le prossime elezioni" e sanno che in quel caso sarà la "fine" della loro attuale classe dirigente.

Scusi Ministro, ma quando ha presentato la riforma costituzionale della giustizia auspicava un confronto con l'opposizione. Quell'apertura sembra svanita.
"Invece è in campo. La nostra tabella di marcia prevede che subito dopo Pasqua inizi l'esame della legge. La approveremo alla Camera entro l'estate. E io lavorerò per un confronto serrato con l'opposizione. Oltre che in Parlamento ci batteremo nelle piazze".

È pericoloso evocare la piazza per far passare una riforma costituzionale.
"Pure lei si mette a strumentalizzare? Contro chi dovremmo
agitare la piazza? Contro il governo guidato da noi o contro il Parlamento nel quale siamo maggioranza? Oppure vuole che cancelliamo la piazza dal vocabolario politico? Mi riferisco alle piazze per i comizi, alle amministrative. Mi riferisco alle piazze televisive. Vogliamo spiegare la riforma e rendere l'opinione pubblica consapevole della sfida che abbiamo davanti".

E pensa di intavolare una trattativa essendoci di mezzo il conflitto di attribuzione che può paralizzare il processo Ruby e la prescrizione breve che può fa saltare il caso Mills?
"Finché si discute del conflitto di attribuzione e del processo europeo (il processo breve ndr), i democratici hanno un bel dire che non possono fare la riforma con noi perché siamo brutti e cattivi. Quando ci si troverà nelle commissioni di fronte a un ragionevole testo di riforma costituzionale, allora saranno chiamati a pronunciarsi nel merito e con serietà. E finalmente capiremo il loro disegno in materia di giustizia".

In campo, però, c'è l'ennesima legge ad personam che lei aveva giurato di evitare.
"Capisco l'artificio retorico di chi in Parlamento e sui giornali sostiene che il sottoscritto aveva promesso di non fare leggi ad personam ma, per quanto astuta, la considerazione è fraudolenta".

Perché?
"Perché io ho detto, e lo ripeto, che la riforma costituzionale non si applica ai processi in corso e infatti non ci sarà alcun beneficio per Berlusconi. Questa è la sacrosanta verità e basta leggere l'articolo 17 del ddl per verificarla. Se poi l'onorevole Paniz presenta un emendamento per gli incensurati, non si può affermare che equivale a tradire gli impegni assunti. È solo un pretesto grande come una casa per chi non vuole fare la riforma costituzionale".

L'on Paniz, però, è un deputato del Pdl: bastava invitarlo a non depositare quell'emendamento.
"Per dirla con le parole che usa sempre il presidente del consiglio: visto il centinaio di provvedimenti a suo carico, non c'è norma in materia di giustizia che non lo coinvolga".

Non è la dimostrazione del conflitto di interessi?
"Secondo me, è il contrario. Gli altri hanno interesse al conflitto. Vogliono tenerlo sulla corda giudiziaria per logorarlo. Il punto, comunque, è che oggi è complicato parlare di queste cose. La controversia è troppo calda. Tra due o tre settimane, quando si entrerà nel merito della riforma costituzionale, questi argomenti avranno già perso peso".

Anche il presidente Napolitano vi ha invitato a sgombrare il campo da equivoci.
"Non è un caso che, insieme alla Lega e al relatore Pini, abbiamo rinviato la legge comunitaria che conteneva un intervento sulla responsabilità che, sebbene non esaustivo, avrebbe ottemperato alle indicazioni europee. Ne parleremo tra un paio di settimane. Per il resto, ho sempre orecchie attentissime per ciò che il capo dello Stato dice, per i suoi moniti e le sue preoccupazioni alle quali porgo sempre attenzione operosa anche quando non si vede e quando non ci sono dichiarazioni pubbliche in merito".

Quando ha presentato il testo di riforma costituzionale le critiche non sono mancate. La responsabilità civile dei magistrati non è un'intimidazione nei confronti dei giudici.
"Ho grande rispetto dei magistrati, di tutti quei magistrati che ogni giorno lavorano con senso del dovere e grande abnegazione. Costoro sono la grandissima maggioranza ed è per questo che categoricamente rifiuto l'idea che la riforma sia punitiva per i magistrati. Sulla responsabilità civile, non intervenire sarebbe un torto ai cittadini. Chi sbaglia, paga. Se un alto dirigente dello Stato commette un errore, se un giornalista diffama, se un medico sbaglia un intervento chirurgico, può essere citato direttamente. Perché no i magistrati? Non mi rassegno a un privilegio di casta".

Il centrodestra ha governato per quasi dieci anni degli ultimi 17 anni e il centrosinistra vi ha sempre accusato di varare norme volte a bloccare le toghe e a difendere il premier. Perché ora il Pd dovrebbe credervi?
"Intanto negli ultimi 14 anni abbiamo governato 7 anni ciascuno. Eppoi, il confronto non è una cortesia fatta a noi. Se lo vogliono, bene. Altrimenti, amen. Non dobbiamo noi meritare la loro buona grazia. Devono decidere loro se darsi un profilo schiacciato sullo status quo o se vogliono apparire riformatori. Sono stati contrari alla riforma costituzionale del 2006 con cui si dimezzava il numero dei parlamentari, sono stati contro la modifica dell'articolo 18, hanno criminalizzato la legge Biagi, e si sono opposti alla riforma dell'istruzione. Sono sempre contro, eppure qualche cosa di positivo ci sarà pure stata. Ci mettano alla prova con un confronto serio. Se poi risulteremo noi troppo rigidi o capricciosi, ne risponderemo agli elettori".

In attesa della riforma costituzionale, su tutte le altre leggi andrete quindi avanti?
"Non c'è un obbligo giuridico, né politico, né morale per sospendere l'attività. Abbiamo portato al Senato anche un provvedimento per diminuire l'arretrato civile, nell'ultimo consiglio dei ministri è stato approvato un testo sulla sussidiarietà e al prossimo ne formuleremo uno sulla responsabilità giuridica degli enti. Senza compromettere le iniziative di origine parlamentare come il processo di ragionevole durata o processo europeo (processo breve ndr)".

Ma queste sono tutte vostre iniziative.
"Propongo subito all'opposizione quattro temi da affrontare dopo la bagarre: lo smaltimento dell'arretrato civile, una seria ipotesi di depenalizzazione che elimini i reati considerati inutili, una più efficiente geografia giudiziaria e alcune proposte sul processo penale relative a formalismi che gli operatori ritiene superflui".

Ma lei è sicuro che possiate davvero andare avanti? Non rispuntano le elezioni anticipate?
"Non credo proprio. La maggioranza ora è meno ampia ma più coesa. Il programma di governo è chiaro e coerente con i cinque punti su cui abbiamo ottenuto la fiducia. Presto sarà pronto anche il disegno di legge che rinnova la forma di governo e di Stato".

Veramente il Quirinale ha paventato un rischio paralisi.
"A me non risulta. L'attività parlamentare negli ultimi mesi è stata significativa".

Certo il 2013 sembra un traguardo lontano.
"La verità è che le opposizioni hanno fretta di far cadere Berlusconi. È l'ultima occasione per la generazione di quelli che erano ancora comunisti quando è caduto il Muro di Berlino. In tanti oggi ai vertici avevano incarichi nel Pci del 1989. È la loro ultima chance. Dunque o fanno cadere subito il Cavaliere o, se perdono nel 2013, un'altra generazione di quarantenni sostituirà loro e quelli del Terzo Polo. Rischia di essere la fine di un'intera classe dirigente della sinistra".

Come la Lega anche lei chiede le dimissioni di Fini?
"Proprio giovedì ho vissuto sulla mia pelle una grave ingiustizia. Non mi è stato consentito di votare. Da dieci anni sto in Parlamento e non mi era mai capitata una cosa del genere. Non chiedo però le dimissioni di Fini: è un problema che appartiene alla sua coscienza. E mi pare l'abbia risolto... restandosene seduto dov'è".

Molti, anche Berlusconi, sostengono che nel 2013 sarà lei il candidato premier con il Cavaliere al Quirinale.
"Nel 2013 il candidato premier sarà Silvio Berlusconi. Il resto è fantapolitica. Non gioco al Fantacalcio, figuriamoci alla fantapolitica".

(03 aprile 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #83 inserito:: Aprile 07, 2011, 04:53:26 pm »

di CLAUDIO TITO

Immigrati, le paure di Berlusconi e Bossi


L'emergenza immigrati sta diventando il vero banco di prova per il governo.
Soprattutto in vista delle prossime elezioni amministrative. L'arrivo dei barconi dalla Tunisia e dalla Libia sta infatti mettendo a dura prova la maggioranza e mostrando tutte  le lacune dell'esecutivo. Silvio Berlusconi è preoccupatissimo proprio per il voto del 15 maggio. Teme che il calo della sua popolarità possa riflettersi anche nelle prossime elezioni locali. In particolare la corsa per il prossimo sindaco di Milano si sta trasformando in una sorta di test per la sua coalizione. La Lega di Bossi, anzi, ha già avvertito che in caso di sconfitta nel capoluogo lombardo, le conseguenze saranno pesanti sul governo.

Del resto anche i lumbard sono in difficoltà con il loro elettorato. La vicenda Lampedusa sta gettando una luce diversa sull'efficacia delle politiche leghiste. Non a caso proprio oggi, nei suoi interventi alla Camera e al Senato, il ministro degli Interni, Roberto Maroni, ha riversato parte della responsbailità sulla Francia. Accusata di coltivare un "atteggiamento ostile" nei confrotni dell'Italia. Sta di fatto dhe il Carroccio sta giustificando i permessi temporanei agli immigrati legali con il tentativo di favorire il loro trasferimento in Francia e in Germania.

 Nel frattempo a Montecitorio continua la battaglia sulla prescrizione breve. Tutta l'opposizione (Pd, Idv, Udc e Fli) sta mettendo in atto tutte le possibili forme di ostruzionismo per ostacolare il percorso parlamentare del processo breve. E in parte l'effetto è stato ottenuto: il voto finale sul provvedimento, infatti, è già slittato a mercoledì prossimo. Anche se l'obiettivo del centrodestra è di chiudere questa "partita" entro Pasqua con l'approvazione definitiva. Per poi concentrare le attenzioni su un altro disegno di legge contestato: la riforma costituzionale messa a punto dal Guardasigilli Alfano.

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« Risposta #84 inserito:: Aprile 11, 2011, 08:36:42 pm »

   
LA POLEMICA

Immigrati, monito di Napolitano "No a ritorsioni, l'Europa è una sola"

Preoccupazione al Quirinale dopo le frasi del premier e i malumori nella maggioranza contro Bruxelles.

"Il mio animo è per un impegno forte dell'Italia nell'Unione affinché il Paese persegua tenacemente una visione comune".

Il timore è quello di una frattura nella Ue, il pericolo di un passo indietro verso un riassetto di "separazione"

di CLAUDIO TITO


ROMA - In Europa serve una visione "comune" anche sull'immigrazione. Ma guai a perseguire atti di "ritorsione" o "linee di divisione". Con il rischio di una frattura nell'Unione europea. O il fantasma di un ritorno al passato, il pericolo di un passo indietro verso un assetto di "separazione" e il precipitare dell'Ue dentro il perimetro angusto della sola unione monetaria. Il conflitto in corso sull'emergenza immigrati 1 per Giorgio Napolitano si sta trasformando rapidamente in un allarme per il futuro dell'Europa. Si materializzano gli scenari più preoccupanti in un crinale scivoloso da cui devono allontanarsi tutti i partner, compreso il governo italiano.

A Budapest, dove il presidente della Repubblica ha partecipato al summit dei capi di Stato europei, il suo messaggio da questo punto di vista è stato chiaro. Ma le parole pronunciate sabato scorso a Lampedusa da Silvio Berlusconi ancora risuonano nelle sale del Quirinale e nelle Cancellerie continentali. La minaccia di far esplodere il progetto dell'Ue, sebbene non sia stata compresa pienamente da tutti gli alleati, sta comunque agitando il Colle. "Il mio animo - dice a chiare lettere a Repubblica - è per un impegno forte dell'Italia in Europa affinché il nostro Paese continui tenacemente a perseguire una visione comune e elementi di politica comune anche su questo tema
dell'immigrazione. Tutto questo senza nemmeno prendere in considerazione posizioni di ritorsione, dispetti, divisione o addirittura separazione".

Al Quirinale sono consapevoli che lo scontro in corso sui flussi migratori dall'Africa verso Lampedusa e verso l'Europa sta prendendo una piega non certo positiva. Del resto, proprio nel recente vertice ungherese il capo dello Stato ha potuto constatare le consistenti differenze nell'interpretazione del trattato di Schengen e della natura degli eventi di questi giorni. Difformità esplicitate, ad esempio, dal presidente tedesco Christian Wulff con cui Napolitano ha avuto un colloquio bilaterale. Ma le distanze non sono segnate solo da Berlino. Anche perché il vero pericolo che il presidente della Repubblica ha potuto osservare in questi giorni riguarda l'atteggiamento complessivo dei partner europei, di "tutti" i partner. Italia compresa. I quali, in questa fase, sembrano pesantemente condizionati da un vento populista che impedisce un approccio concreto alla questione immigrazione.

Basti poi pensare alle scadenze elettorali che la Cdu di Angela Merkel deve affrontare nei prossimi mesi in Germania o alla pressione che sta esercitando la destra di Marine Le Pen in Francia sulla presidenza di Sarkozy. Senza trascurare il sentiero stretto percorso dal ministro degli Interni italiano Maroni vincolato alle richieste della Lega e incalzato dalla base lumbard.

Tutti problemi, dunque, che stanno emergendo con fragore in tutte le riunioni europee. Il capo dello Stato li ha soppesati in prima persona nel summit di Budapest. Ma - è il timore degli uomini del Quirinale - rischiano di essere affrontati in Europa con misure provvedimenti mediocri o miserabili.

Anche l'improvvida minaccia del Cavaliere, che fortunatamente non è stata recepita pienamente a Bruxelles, non ha aiutato nella ricerca di misure davvero efficaci. Il ministro degli Esteri Frattini, invece, ne ha colto la dirompente pericolosità. È allarmato e sta cercando di ricomporre una situazione che potrebbe rivelarsi deflagrante. Ma, dicono sul Colle, tutti sono obbligati alla "responsabilità" evitando approcci "miopi e difensivi". Certo, lo stesso Napolitano è consapevole del fatto che le soluzioni giuridiche sono piuttosto complicate e la questione è decisamente "controversa". La possibilità, ad esempio, di assegnare i cosiddetti "permessi temporanei" è legata al verificarsi di eventi gravi. In Tunisia, in effetti, nessuno può negare la presenza di uno shock istituzionale. Ma questo può non essere sufficiente. E i Trattati richiedono, in queste circostanze, la presenza di una maggioranza qualificata. Che al momento non ha ancora preso corpo. Una situazione di cui oggi discuterà a Lussemburgo il ministro degli Interni Maroni. Il quale, però, continua ad essere convinto che la procedura adottata dal governo italiano sia adeguata. E anche la lettera perentoria della commissaria Malmstrom viene bocciata dal titolare del Viminale: "Fanno così perché sanno che abbiamo ragione. Sappiamo anche noi che Schengen non è "automaticamente" operativo e che si devono concretizzare determinati requisiti. Requisiti che verranno esauditi". "Il punto semmai - si è sfogato con i suoi Maroni - è che in questi sei mesi l'Europa dovrebbe trovare il modo per garantire soluzioni efficaci o viene mancare a suoi doveri".

Un clima di conflittualità complessiva, dunque, che colpisce il capo dello Stato. Infatti, a Budapest ha sollecitato tutti "a una visione più coesa e coerente, a una maggiore convergenza sul piano istituzionale in Europa". Naturalmente il suo richiamo contiene anche "elementi critici" nei confronti di tutte leadership nazionali, compresa quella di Roma. Si tratta di una critica, spiegano sul Colle, che "mira a una maggiore integrazione" da non confondere con posizioni politiche che "prendono le distanze dal progetto europeo". Per questo, avverte, l'impegno dell'Italia deve essere univoco nel "continuare tenacemente a perseguire una visione comune anche sull'immigrazione". Allontanando senza equivoci lo spettro di un futuro di "ritorsione, dispetti, divisione o addirittura di separazione".

(11 aprile 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #85 inserito:: Aprile 21, 2011, 05:59:05 pm »

L'ANALISI

La maggioranza senza freni

di CLAUDIO TITO

IN QUELLA che Silvio Berlusconi ormai chiama la "guerra" contro i magistrati, sembra tutto possibile. La maggioranza di centrodestra si presenta in Parlamento e all'opinione pubblica sollevata da qualsiasi freno inibitorio. Alla ricerca dell'arma più efficace per vincere la battaglia finale. La Costituzione e le basilari norme del diritto diventano così un intralcio da superare con repentine e fantasiose riforme.

E in questa affannosa rincorsa, il centrodestra non ha alcuna preoccupazione di quel che sarà l'assetto istituzionale del prossimo futuro. Anzi, la "casa comune" che ha ospitato l'intera collettività dal 1948 diventa un edificio da abbattere per ricostruirne un altro a immagine e somiglianza della sola maggioranza. Perché tutto è possibile. Diventa possibile persino che un singolo deputato della compagine berlusconiana decida di depositare una proposta di legge al fine di scardinare alla base la nostra Carta fondamentale. Per sovraordinare il Parlamento e quindi il potere legislativo a quasi tutti gli altri poteri dello Stato: a cominciare da quello giudiziario. I magistrati, il Csm, la Corte costituzionale, il presidente della Repubblica diventerebbero tutti soggetti alle dipendenze delle Camere. O meglio alle dipendenze della maggioranza eletta. Il bilanciamento su cui è costruito il nostro sistema costituzionale salterebbe in un colpo solo. E rischierebbe di trasformarsi in quella che Tocqueville definiva tirannide della maggioranza. Farebbe declinare in modo irreversibile il principio della separazione dei poteri che accomuna tutti i sistemi democratici dalla Rivoluzione francese in poi.

Certo, il disegno formulato da questo singolo parlamentare del Pdl non è stato avallato dai vertici del suo partito, né dalla presidenza del consiglio. Ma cresce nell'humus che si è formato negli ultimi mesi. Le parole e gli interventi del premier in qualche modo legittimano le iniziative più improvvide. Tutti si sentono titolati a trasformare in atti le sparate da comizio elettorale del capo del governo. Nel Pdl tanti si sono convinti di potersi poi giustificare con un semplice "lo dice anche lui". Del resto, anche i manifesti di Milano che equiparavano i pm alle brigate rosse non possono essere derubricati ad avventata campagna denigratoria di un ignoto politico locale. Rappresentano la pedissequa riproduzione dei giudizi espressi da Berlusconi. E nessuno può negare che dopo il recente richiamo del presidente Napolitano al rispetto della magistratura, l'unica voce muta è stata quella del Cavaliere. Un segnale che nel partito di maggioranza relativa tutti hanno recepito come un'autorizzazione preventiva a mettere nel mirino il Quirinale. A limitarne l'azione e l'autonomia. A minacciarne le prerogative. Come ha fatto l'onorevole Ceroni.

Non è un caso poi che proprio mentre questo sconosciuto deputato illustrava a Montecitorio la sua bozza di riforma costituzionale, a Palazzo Chigi mettevano a punto un altro stratagemma per difendere il premier dai suoi processi. La presidenza del consiglio ha deciso di sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta contro i magistrati milanesi impegnati nel processo Mediaset accusandoli di non aver rispettato il legittimo impedimento. Una mossa che in realtà punta a bloccare anche questo procedimento attraverso una "leggina" da approvare in tempi strettissimi. Che renda obbligatoria la sospensione dei processi in presenza di un conflitto di attribuzione. Senza aspettare la sentenza dei giudici costituzionali. Che, anche loro, figurano nella lista nera di Palazzo Chigi.

Nel giro di poche settimane, dunque, il centrodestra potrebbe conquistare la prescrizione breve per far saltare la causa Mills. Contestualmente far passare un emendamento che blocca il processo Ruby e, appunto, quello Mediaset. L'ennesimo escamotage per bloccare le inchieste che lo riguardano, dunque, ma anche l'ennesimo tentativo di compromettere i contropoteri che contraddistinguono ogni democrazia. Perché anche la leggina "blocca processi" è potenzialmente in grado di ridurre o arginare i poteri della Corte costituzionale e della Magistratura. Attraverso l'idea che governare equivalga a imporre il volere della maggioranza ad ogni costo.

Nella continua "guerra" contro i pm, quindi, ogni leva viene attivata. E ogni equilibrio viene saggiato. Come se ci fosse il perenne bisogno di verificare la tenuta del sistema, di ricercarne i punti deboli su cui insistere o la crepa da divaricare definitivamente. Sebbene, allora, il conflitto tra poteri sollevato sulla vicenda Mediaset corra apparentemente su un binario affatto diverso rispetto alla proposta di modificare l'articolo 1 della Costituzione, in realtà si muove nello stesso contesto. Ceroni probabilmente, dopo qualche giorno di gloria, tornerà nel limbo dell'anonimato e - prendendo in prestito un'opera di Chagall - diventerà "Colui che parla senza dire nulla". Ma gli scatti che Berlusconi proverà da qui alla fine della legislatura non terranno contro del pericolo di incrinare il sistema costituzionale di questo Paese.

(21 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/21/
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« Risposta #86 inserito:: Maggio 19, 2011, 06:03:28 pm »

di CLAUDIO TITO

Bossi sigla la tregua ma solo fino al 30 maggio

"Il governo non può non fare nulla". Umberto Bossi lancia un avviso a Silvio Berlusconi e sigla la tregua. Che ha però una scadenza ben precisa: il prossimo 30 maggio, quando si conosceranno i risultati dei prossimi ballottaggi. L'incontro tra il Senatur e il premier è stato soprattutto questo. Con il leader leghista che chiede al premier un "cambiamento". E non si tratta di nominare Maroni o Tremonti al posto del Cavaliere. Per Bossi, il vero incubo è la palude che potrebbe aprirsi in questi due ultimi anni di legislatura. Una situazione che il Carroccio non può permettersi. Il governo allora deve dimostrare subito di essere in grado di cambiare marcia e soprattutto di non offrire più lo spettacolo dato ieri alla Camera con ben cinque votazioni che hanno registrato la sconfitta della maggioranza. Toccherà quindi al Pdl registrare i rapporti con i Rereponsabili che rappresentano adesso il vero punto debole della coalizione. Il tutto, però, dovrà essere messo alla prova dei ballottaggi: se la Moratti confermerà la sconfitta, per i lumbard la strada del "cambiamento" sarà obbligata. La base leghista già lo invoca. Come e in che termini è da stabilire, ma certo l'eventuale vittoria di Pisapia non consentirà a Berlusconi di lasciare le cose così come sono ora. Se al contrario la Moratti riuscirà a recuperare, allora il presidente del consiglio potrà contare su un periodo di relativa tranquillità.
Il Cavaliere non ha ancora deciso come affrontare questi ultimi 10 giorni di campagna elettorale. Con ogni probabilità eviterà di esporsi a Milano e a Napoli. Ma anche nel Popolo delle libertà la tensione sta salendo. E molte delle cosiddette "colombe" chiedono una correzione di rotta. Il centrosinistra, invece, punta a conservare il vantaggio conquistato domenica scorsa a Milano e a giocaresi tutte le chance per De Magistris a Napoli. Ma soprattutto si prepara alla sfida finale. Avvertendo che in caso di crisi, questa volta l'opzione del voto anticipato sarà prioritaria.

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« Risposta #87 inserito:: Giugno 07, 2011, 04:09:19 pm »

di CLAUDIO TITO

La sfida referendaria che scuote il governo


I referendum di domenica prossima si stanno sempre più trasformando nell'ennesimo test per il governo. Al di là del significato tecnico dei quattro quesiti, in realtà la sfida è tutta rivolta al presidentente del consiglio. L'eventuale raggiungimento del quorum, infatti, equivarrebbe a un altro schiaffo per il centrodestra. In questo senso, la decisione della Corte costituzionale di confermare anche la consultazione sul nucleare potrebbe rivelarsi un potente carburante per portare gli italiani al voto. Non a caso Berlusconi si è battutto - anche con un ricorso formale alla Consulta - per impedire che il quesito si tenesse. Il Cavaliere, quindi, sa che i referendum possono assesstare un altro colpo alla sua maggioranza. Che ieri è riuscita a ricomporre i cocci a Arcore dopo la batosta delle ultima amministrative.
Ma la tregua siglata ieri con Umberto Bossi e Giulio Tremonti non può ancora considerarsi definitiva. In primo luogo perchè il ministro dell'Economia non intende assecondare le spinte alla "defiscalizzazione" reclamata dal premier e ora anche dal Senatur. In secondo luogo perchè la base del Carroccio non è affatto tranquillizzata dalla linea accondiscendente di Berlusconi. Tra dieci giorni si terrà a Pontida il tradizionale raduno lumbard. E lì si capirà se la verifica prevista per fine giugno possa rivelarsi più cruenta. Non è comunque un caso che oggi il ministro Calderoli abbia depositato una proposta di legge di iniziativa popolare per trasferire i ministeri al nord. Una provocazione nei confrotni della componente "sudista" del Pdl. Ma soprattutto un modo per galvanizzare il popolo leghista che sarà chiamato proprio a Pontida a firmare l'iniziativa legislativa.
Prima di allora, però, si deve consumare il passgagio referendario. L'opposizione è convinta di poter assestare un'altro colpo al governo. E venerdì scenderà in piazza proprio per sostenere il Sì. E lo faranno in contemporanea in quattro città: Roma, Milano, Napoli e Palermo.


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« Risposta #88 inserito:: Luglio 01, 2011, 11:29:22 pm »

L'ANALISI

La politica del rinvio

di CLAUDIO TITO


QUESTO governo è ormai incapace di assumere decisioni. La sua maggioranza è troppo debole e confusa per segnare una linea netta. Ogni scelta diventa un compromesso al ribasso. Quel che è accaduto ieri in consiglio dei Ministri rappresenta plasticamente una coalizione che balbetta senza sosta. Sull'emergenza rifiuti a Napoli si è addirittura spaccata con il voto esplicitamente contrario della Lega al decreto sollecitato anche dal presidente della Repubblica. Sulla manovra economica ha rinviato di fatto ogni risoluzione al 2014: quando l'attuale Parlamento sarà ormai scaduto. E infine ha fatto slittare la designazione del successore di Mario Draghi alla Banca d'Italia.

Un esecutivo dunque condizionato dalle sue debolezze e da una alleanza che si sente precocemente esausta. Come se avvertisse in anticipo la fine della legislatura. Non si spiegherebbe altrimenti il clamoroso capitombolo in cui è incorso mercoledì scorso alla Camera sulla cosiddetta legge comunitaria. Un provvedimento delicato, svanito per le assenze di quasi sessanta deputati del centrodestra e che ora può esporre l'Italia a salatissime sanzioni da parte dell'Unione europea.

Ma a pagare la fragilità del governo è soprattutto la manovra economica. Che al momento si presenta come un contenitore vuoto. Un insieme di "desiderata" da realizzare successivamente. Il suo obiettivo principale sarebbe quello di rispettare gli impegni europei sul debito, che negli ultimi anni è
schizzato al 120 per cento. Eppure tutto viene rimandato al 2013-2014. Come una "maxi-rata" per l'acquisto di una vettura. Un modo per scaricare sul prossimo Parlamento e sul prossimo governo l'urgenza di misure draconiane per recuperare in due anni almeno 40 miliardi di euro. Proprio il contrario dell'appello alla "responsabilità" lanciato dal capo dello Stato. E sebbene il presidente del consiglio continui ad assegnare le colpe dell'esplosione del nostro debito sui governi della Prima Repubblica, dimentica che solo quattro anni fa il rapporto debito/pil si attestava al 103%. E che nel 1990 era stabilmente al 99%.

Il punto, comunque, è che tutti gli interventi annunciati sono coniugati al futuro e soprattutto non sono illustrati nei loro contenuti. Non si capisce su cosa inciderà il bisturi del risparmio e come verrà finanziato l'aiuto allo sviluppo promesso. Il governo assicura che ci sarà una graduale riduzione dell'Irap e che i giovani imprenditori saranno incentivati con un forfait fiscale del 5 per cento. Ma la copertura al momento appare ignota. Soprattutto se - come hanno ribadito il premier e il ministro Tremonti - non verrà aumentata l'Iva. Tutto sembra congelato in un equilibrio talmente precario da rendere ogni passo incerto. Anzi, tutto diventa solo futuribile. Come la riforma fiscale e quella previdenziale. Le tre aliquote irpef contenute nella delega entreranno in vigore entro tre anni. Ossia entro il 2014. Quando, appunto, questo governo e queste Camere non ci saranno più.

E la riduzione delle tasse verrebbe finanziata con una revisione del sistema delle detrazioni e delle deduzioni e con il recupero dell'evasione fiscale. Uno strumento, quest'ultimo, che venne criticato già in passato dal Quirinale per un motivo molto semplice: associa uscite certe e entrate incerte. Senza contare che la sforbiciata ai costi della politica non sono affatto immediati: riguarderà, appunto, la prossima legislatura. "Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani", ha detto Berlusconi preoccupato di non peggiorare il suo tasso di popolarità. In questo caso, però, non le ha messe per togliere ma neanche per aggiungere. Tutto è rinviato, tutto appartiene al futuro. Ma, come ammoniva John Maynard Keynes, "nel lungo periodo siamo tutti morti".

(01 luglio 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #89 inserito:: Luglio 08, 2011, 10:05:15 am »

L'intervista

E il Cavaliere annuncia il ritiro

"Nel 2013 lascio, tocca ad Alfano"

Intervista al presidente del Consiglio. Che parla di tutto e tutti: "Avrei voglia di lasciare già adesso, ma non lo farò. Dopo Napolitano, al Quirinale andrà Letta. Tremonti? Il solo che non fa gioco di squadra. La P4 è solo fango e se la struttura Delta esistesse sarebbe una struttura di coglioni. La manovra la cambieremo in Parlamento"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "Ma quand'è che smetterete di attaccarmi? Provate a essere più equilibrati. Se ci riuscite". Silvio Berlusconi ha appena presentato il libro del "responsabile" Domenico Scilipoti. Esce dalla sala del Mappamondo alla Camera, dribbla le telecamere e alcuni parlamentari del Pdl in attesa di un colloquio. Ma davanti al cronista di Repubblica fa partire l'offensiva.

Attacca, per difendersi e difendere il suo governo. Si dice convinto che non ci saranno le elezioni anticipate e che le inchieste in corso che lo riguardano "finiranno nel nulla". Spara ad alzo zero contro i magistrati ("il partito dei giudici si sta preparando all'appuntamento elettorale del 2013"), sferza il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti ("è l'unico che non fa gioco di squadra") e blinda il cosiddetto Lodo Mondadori ("L'ha scritto il Tesoro e il Guardasigilli").

Soprattutto annuncia formalmente che tra 18 mesi il candidato premier del centrodestra non sarà più lui. Bensì Angelino Alfano, il nuovo segretario del Pdl. E la carta che il centrodestra giocherà per il Quirinale sarà invece quella di Gianni Letta.

Il premier è un fiume in piena.
Non si ferma nemmeno quando un paio di deputati del suo partito cercano di salutarlo. Si infila nell'ascensore che lo porta verso il tunnel "segreto" tra Montecitorio a Palazzo Chigi. E fa di tutto per mostrarsi sereno e deciso a proseguire la legislatura.

Lei dice
che dobbiamo essere più equilibrati, eppure contro di lei sembra ormai schierarsi tutto il centrodestra.
"Ma non è vero. Qualcuno cerca solo un po' di visibilità. Nient'altro".

Scusi, e i nervosismi della Lega?
"Guardate che l'intesa con Bossi è solidissima. E ho un buon rapporto anche con Maroni e Calderoli".

Le ipotesi di governo tecnico per sostituirla, però, non le tira fuori Repubblica.
"Non c'è alcuna possibilità che nasca un esecutivo del genere. Anche i leghisti, dove vuole che vadano? Tutti quelli che si staccano fanno una brutta fine. Pensate a Fini e Casini. Quelli del Fli ormai sono inesistenti. Il loro progetto politico - una volta fallito l'assalto del 14 dicembre - è il nulla. Ero solo io il loro obiettivo".

A questo punto il Cavaliere accelera il passo. La scorta lo aspetta alla fine del tunnel. Continua a parlare. Tra le mani una cartellina azzurra e il libro di Scilipoti "Il re dei peones".
 
Il suo patto con il Senatur sarà pure granitico, ma nel Carroccio non è per tutti così. Lì qualcosa si sta muovendo.
"Sono le nuove generazioni. È giusto. Capiscono che io e Umberto prima o poi dobbiamo essere sostituiti. E si preparano. Con una piccola differenza rispetto al Pdl: ci sono tanti giovani di valore come Reguzzoni o Cota, ma non hanno ancora trovato il successore di Bossi".

Vuol dire che invece il suo partito l'ha trovato e che lei verrà sostituito?
"Certo".

Non si candiderà alle prossime elezioni politiche?
"Assolutamente no. Il candidato premier del centrodestra sarà Alfano. Io, se potessi, lascerei già ora...".

A questo punto si ferma. Come se fosse indeciso: continuare a sfogarsi oppure no.
Davanti, la porta del suo studio. Un sospiro ed entra. Si siede su un divano giallo pallido. Un analcolico e qualche tartina al peperone sul tavolo. Lo interrompe il suo portavoce, Paolo Bonaiuti: "Non devi dire che ti dimetti...".

"Infatti non mi dimetto - ricomincia, ma con un tono più stanco -, però verrebbe voglia. In ogni caso alle prossime elezioni non sarò io il candidato premier".

Crede che la coalizione lo accetterà? E la Lega? Tremonti lo accetterà?
"Perché no? Ne ho già parlato. Credo che siano tutti d'accordo. Io farò la campagna elettorale e aiuterò Angelino. Farò il "padre nobile". Cercherò di costruire il Ppe in Italia. Ma a 77 anni non posso più fare il presidente del consiglio".

Le servirà l'aiuto dei centristi di Casini.
"Mah! Pier non ha ancora deciso. Ha due possibilità. O va da solo come Terzo polo o - come penso - farà un patto di apparentamento con noi quando saprà che il candidato premier non sono io. A sinistra non può andare perché altrimenti perde i due terzi dei suoi elettori. E la legge elettorale resta questa. Non se ne esce".

Se Alfano sarà il candidato premier, lei cercherà di andare al Quirinale?
Stringe gli occhi e scuote la testa. Si appoggia sullo schienale del divano e abbassa la voce: "Non è per me. Al Quirinale ci andrà Gianni Letta. È la persona più adatta. Anzi è una grande persona. È un buono e ha ottimi rapporti anche con il centrosinistra. Avrebbe anche i loro voti".

E questa doppia candidatura trova d'accordo pure Tremonti?
"Non lo so. Sa, lui pensa di essere un genio e crede che tutti gli altri siano dei cretini. Lo sopporto perché lo conosco da tempo e va accettato così. Ma è l'unico che non fa gioco di squadra".

E perché, secondo lei, lo fa?
"Non lo so. È carattere. Ma alla fine non può fare niente. Anche lui: dove va? Anche nella Lega hanno un po' preso le distanze".

Certo pure Brunetta non sarà tanto contento di come è stato apostrofato dal collega.
"Quel 'cretino' è emblematico. Brunetta, giustamente, parlava ai nostri elettori. Lui invece parla solo ai mercati".

Non vi siete spiegati nemmeno sulla norma "Salva-Fininvest".
"Era tutto chiaro".

L'ha fatta mettere lei nella manovra?
"Hanno fatto tutto Tremonti e Alfano. Io nemmeno la volevo. Ma resto dell'idea che sia un provvedimento sacrosanto".

Ma sembra costruita per la sua azienda.
"Niente affatto. La riproporremo in Parlamento. Anche perché, ne sono sicuro, i cinque magistrati della Cassazione ribalteranno il verdetto".

Per un momento recupera il sorriso di un tempo. Si gira ancora verso Bonaiuti e dice: "Paolo, hai visto Milanese (collaboratore di Tremonti, ndr)? Richiesta di arresto". Spalanca le braccia e non aggiunge altro. Cerca di cambiare discorso.

Lei dice che va tutto bene, ma ci sono tante inchieste che la riguardano e che vedono coinvolti diversi uomini del suo governo.
"Sa qual è la verità? È che il partito dei giudici si sta preparando alle prossime elezioni. Tutti cercano dei meriti per farsi candidare. La loro è semplice invidia sociale".

Nell'inchiesta P4, però, le prove ci sono. I documenti sono tanti e il quadro si presenta grave.
"È tutta roba che finirà nel nulla. Io poi in quell'inchiesta non sono proprio entrato. Quel Bisignani non l'ho mai conosciuto".

Non negherà il coinvolgimento di Letta?
"Sul dottor Letta posso mettere la mano sul fuoco. Nessuno è più limpido di lui. Gli dobbiamo essere grati, è un lavoratore instancabile".

Ma quell'inchiesta dice ben altro. Fa riferimento ad un uso illecito di notizie riservate.
"È solo fango e finirà nel nulla".

E anche la Struttura Delta sarebbe solo fango?
"Ma quale Struttura Delta. Se fosse vero, sarebbe una struttura di coglioni. Non hanno condizionato un bel nulla. La Rai ci è sempre stata contro. Le sembra che siamo mai riusciti a farci fare un favore dalla Rai? Nel Cda poi... meglio che non parlo".

È scontento anche della Lei, il nuovo direttore generale?
"Non la conosco e non mi intrometto".

Ammetterà che la manovra messa a punto da Tremonti non è affatto quella che voleva lei.
"Dobbiamo tenere conto delle circostanze".

Il Pdl è in rivolta, la Lega protesta. La riforma fiscale rischia di saltare e i soldi per finanziarla potrebbero essere utilizzati per saldare il debito.
"Sulle tasse andiamo comunque avanti. È chiaro che la situazione è difficile. Abbiamo cercato soprattutto di non mettere le mani nelle tasche degli italiani. Negli altri paesi lo hanno fatto. Hanno tagliato i dipendenti pubblici e i loro stipendi. Detto questo, la modificheremo: correggeremo il superbollo sulle autovetture e qualcosa sulle tasse la faremo".

E come convince Tremonti?
"Lui è preoccupato dei mercati, lo capisco. Ma io gli ricordo sempre che in politica il fatturato è composto dal consenso e dai voti. A lui il consenso non interessa, a noi sì. Quindi, fermi restando i saldi, noi la manovra la cambieremo in Parlamento".

(08 luglio 2011) © Riproduzione riservata
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