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Autore Discussione: CLAUDIO TITO.  (Letto 75289 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Ottobre 21, 2009, 09:26:09 am »

ECONOMIA

RETROSCENA.

Il Cavaliere per ora cede. "Ma a marzo serve una soluzione"

Il Cavaliere teme che le mosse del suo ministro puntino al "dopo"

E Giulio minaccia le dimissioni "Se non mi difendi me ne vado"

di CLAUDIO TITO


"O blocchi subito le polemiche oppure io non posso più stare qui". Di buon mattino Giulio Tremonti aveva letto la prima pagina di "Libero" e aveva capito che qualcosa stava accadendo. Poi era stato avvertito della contestazione in corso tra molti dei "big" del Pdl. Quell'evocazione del "posto fisso" stava insomma scatenando un pandemonio. E il ministro solo in parte se lo aspettava. Allora ha alzato il telefono e ha chiamato Silvio Berlusconi. Minacciando a chiare lettere le dimissioni.

I rapporti tra i due, del resto, sono ormai quelli di due "separati in casa". I "duelli" in consiglio dei ministri si ripetono quasi ogni settimana. Non è la prima volta che il superministro agita l'addio. Lo ha fatto anche nell'ultima riunione di governo. "Preparate le valige - è il refrain che Tremonti ripete come un mantra ai suoi collaboratori - perché tanto da qui ci cacciano". Domenica scorsa, poi, visitando la Fiera del Tartufo a Pecorara, in provincia di Piacenza, si era lasciato andare ad una espressione simile: "Non vedo l'ora di andare in pensione...". Berlusconi, invece, lo segue "con sospetto". Non sopporta quelle riunioni dell'Aspen Institute con tanti, "troppi", esponenti dell'opposizione. Compresa quella fissata per il prossimo 23 novembre a Lecce.

Stavolta, inoltre, le parole del capo dell'Economia sono state colte come una "invasione di campo, una provocazione". Come l'ennesimo tentativo di uno strappo" al di là del merito della questione. Ieri, infatti, la tensione era altissima. Tremonti temeva "l'accerchiamento". Il titolo in prima pagina del giornale diretto da Maurizio Belpietro ha fatto scattare il campanello d'allarme al ministero dell'Economia. E in effetti, il colloquio tra "Silvio e Giulio" non è stato affatto distensivo. "Non capisco - è stato il ragionamento del Cavaliere fatto ad Arcore con i fedelissimi - perché se ne è uscito in questo modo proprio ora. C'è qualcosa dietro?". Il capo del governo teme il tentativo di imporre un'agenda "dialogante" con il centrosinistra. Dopo un giro di consultazioni con Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, alla fine ha deciso di ridimensionare con una nota ufficiale la polemica scoppiata nel centrodestra. Ma solo per evitare che "Giulio faccia colpi di testa". Durante la sessione di bilancio, mentre la Finanziaria fa il suo corso in Parlamento, sarebbe troppo rischioso aprire un buco nella gestione della politica economica.

Eppure il "caso Tremonti" resta aperto. Basti pensare che la scorsa settimana, poco prima dell'ultimo consiglio dei ministri, il premier si era sfogato con il sottosegretario Letta - alla presenza di altri ministri - invocando una "soluzione definitiva". Una formula che tutti hanno interpretato come la richiesta di un vero e proprio allontanamento.

E già perché i fattori del conflitto tra Presidenza del consiglio e Via XX Settembre si stanno moltiplicando. Per ultimo lo scudo fiscale. Secondo il Cavaliere è stato confezionato in modo da "penalizzare le banche e il risparmio". Non solo. Il premier ha chiesto di utilizzare subito il gettito proveniente dai capitali "scudati". Ma la risposta è stata un secco "niet". "Non siamo in grado di affrontare altre uscite - è la posizione di Tremonti - non possiamo non tenere conto dell'andamento dei nostri conti pubblici".

Ma quel che più sta facendo montare la rabbia del Cavaliere, è la linea del confronto con il centrosinistra. Una ragnatela di contatti che per il premier sta diventando troppo fitta. Il dialogo con D'Alema, i rapporti con Casini, il feeling ritrovato con Gianfranco Fini. Un quadro che fa aleggiare su Via del Plebiscito uno spettro: che sia già iniziata la corsa al "dopo-Berlusconi". E che anche "l'amico Giulio" si stia attrezzando. Anche perché nella "campagna del dialogo" sta entrando perfino la Cgil di Guglielmo Epifani.

Sospetti che presto potrebbero gonfiarsi. I riflettori verranno puntati sul prossimo convegno organizzato, attraverso Tremonti, dall'Aspen Institute. Il 23 novembre, a Lecce, si terrà infatti un incontro dal titolo "Nuovi paradigmi di progresso e capitalismo". Con una lista di ospiti piuttosto indicativa. I "mediatori" sono Giuliano Amato e lo stesso ministro. Tra gli invitati non c'è nemmeno un esponente del Pdl. C'è però Massimo D'Alema e Guglielmo Epifani. Nel campo della maggioranza c'è solo un leghista, Giancarlo Giorgetti. Poi una sfilza di imprenditori e boiardi di Stato, di banchieri e professionisti. Il direttore generale del Tesoro Grilli e il presidente della Banca Popolare di Milano Ponzellini, l'Ad della Cassa Depositi e Prestiti Verazzani e il presidente di Rcs Marchetti, il garante Catricalà e l'ad di Vodafone Colao, il capo di Fasteweb Parisi e il presidente della Lega delle Cooperative Poletti. Un analogo seminario, tenutosi l'8 ottobre scorso, aveva mandato Berlusconi su tutte le furie.

Forse, allora, non è un caso che di recente si sia attivata la diplomazia di Palazzo Chigi. Contattando alcune cancellerie europee per porre sul tappeto la candidatura dell'Italia alla presidenza dell'Eurogruppo. Una poltrona disponibile a marzo e idonea al ministro dell'Economia. E marzo sarà il mese più adatto per un eventuale "rimpasto". Dopo le regionali qualche altro ministro potrebbe lasciare l'esecutivo per un "Governatorato".

© Riproduzione riservata (21 ottobre 2009)
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« Risposta #46 inserito:: Ottobre 22, 2009, 10:26:26 am »

L'europarlamentare Pdl nega ogni responsabilità nell'inchiesta su appalti e favori in Campania

"Oggi mia moglie deciderà sulle dimissioni. Massimo rispetto per i magistrati, ma ci difenderemo"

Mastella: "Attacco vergognoso io e Sandra non ci arrenderemo"

di CLAUDIO TITO


ROMA - Fugge via dall'Europarlamento non appena gli comunicano la notizia. Destinazione Roma e poi Ceppaloni. Per abbracciare la moglie, perché "i sentimenti vengono prima di tutto". Nega Clemente Mastella. Nega di essere invischiato in questa storia di posti regalati e abuso d'ufficio, di favori e di appalti. Perfino di sostegni elettorali dai clan. Ma non esclude che, come per l'inchiesta che lo ha costretto nel gennaio 2008 a dimettersi, anche sua moglie Sandra possa decidere di farsi da parte. Tutto resterà sospeso fino ad oggi. L'ex Guardasigilli, oggi deputato europeo del Pdl, è convinto che si risolverà tutto come due anni fa: "In un nulla di fatto". E avverte: "Noi non ci arrenderemo". Viene raggiunto al telefono un paio d'ore dopo che la notizia rimbalza dal capoluogo campano.

Clemente Mastella come si sente? L'inchiesta colpisce duro sua moglie ma tocca anche lei.
"Sono sereno. Non ho paura di niente".

Dove si trova? È tornato a Roma?
"Sto rientrando dalla sessione dei lavori parlamentari a Strasburgo, mi trovo a Parigi in transito ma sto tornando di corsa a Roma per raggiungere mia moglie. Perché prima di ogni cosa ci sono i sentimenti e poi tutto il resto. Però in questa vicenda ci sono delle cose che davvero non funzionano. Che mi risultano alquanto oscure".

A cosa si riferisce?
"Mi ha chiamato mia figlia stamattina presto da Roma. E mi ha detto che dentro casa mia sono arrivati all'alba quattro carabinieri. Stavano là dentro senza alcun permesso. Mi chiedo: cosa facevano? Cosa cercavano? Sono stati lì tre ore. Dalle 6 alle nove di mattino. Capite che shock per mia figlia? Ho dovuto ricordare loro che sono un parlamentare e che esistono certi limiti. E che quella era una violazione. Mi hanno solo risposto che stavano lì per attendere ordini".

Che tipo di violazione, onorevole Mastella?
"Quella è una violazione di domicilio. Una cosa inaccettabile.

A questo punto sua moglie che farà?
"Sandra è tranquilla. Semmai, è amareggiata. Ma noi abbiamo tutti la coscienza a posto. Sappiamo di non dover temere nulla".

Ma si dimetterà dalla presidenza del Consiglio regionale campano?
"Non posso escludere niente. Su questo, però, non mi faccia dire niente. Domani (oggi, ndr) faremo una conferenza stampa a Napoli. E lì saprete tutto.

Lei cosa si aspetta e soprattutto come intende muoversi?
"Io sono assolutamente sereno. Andremo in tutte le sedi opportune a difenderci. Non ci arrenderemo. Nessuno può dire che io sono contro i magistrati. Nessuno può dire che io mi sia mosso contro le prerogative che sono proprie della magistratura. E continuerò a comportarmi in questo modo, difendendo i nostri diritti nel massimo rispetto".

Ma lei si è fatto un'idea di questa inchiesta? Si parla di raccomandazioni, di liste di clienti, perfino di corruzione.
"Assolutamente no. Mi sembra tutto impossibile".

Ritiene che questa inchiesta sia legata a quella che due anni fa l'ha costretta alle dimissioni da ministro?
"Temo che tutto nasca da lì. Anche se quella ormai è una vicenda superata. Mi chiedo: anche il governatore Antonio Bassolino è coinvolto nelle indagini?".

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« Risposta #47 inserito:: Novembre 27, 2009, 11:13:42 am »

Berlusconi furibondo e allarmato per le voci su un suo coinvolgimento nelle inchieste di mafia

"Io non tratto né con l'opposizione né con altri soggetti"

"Stavolta non mollo per un avviso"

Il Cavaliere deciso ad andare avanti

di CLAUDIO TITO


"SE qualcuno pensa che si debba trattare su queste vicende, allora sappia che io non negozio. Né con l'opposizione, né con qualunque soggetto ritenga di potermi ricattare.
Io andrò avanti comunque. In un modo o in un altro". Da giorni Silvio Berlusconi è letteralmente infuriato. È convinto di trovarsi sotto un assedio che diventa sempre più asfissiante.

Una condizione che il premier chiama a chiare lettere "accerchiamento". "È saltato l'equilibrio costituzionale dello Stato", è la versione fornita nel documento approvato dall'Ufficio di presidenza del Pdl. Sta di fatto che il capo del governo è ormai convinto di subire un attacco concentrico portato da più "nemici": dall'opposizione, da alcuni dei suoi alleati (a cominciare da Gianfranco Fini), da settori dell'imprenditoria, dai magistrati e soprattutto da quelli che negli ultimi giorni definisce "altri soggetti".

Una "battaglia" da combattere con tutte le armi: a partire dal provvedimento per il processo breve e dalla legge costituzionale per il nuovo Lodo Alfano.
Del resto, le voci che da luglio si inseguono sul suo potenziale coinvolgimento nelle inchieste di mafia sono arrivate anche a Palazzo Chigi. Tutti i suoi più stretti collaboratori lo hanno messo in guardia sulla possibilità che il capitolo giustizia si arricchisca di un'altra pagina. E così, l'altro ieri ad Arcore, le riflessioni su questo punto sono diventate via via più allarmate.

Ma l'elemento di maggiore preoccupazione riguarda proprio quegli "altri soggetti" che corrono sulla direttrice Palermo-Firenze. "Soggetti" che il presidente del consiglio, anche nelle riunioni più private, si rifiuta di specificare. Ma con i quali non intende scendere a patti: "Io non tratto con nessuno, se tratto ora poi devo farlo con tutti e su troppi piani".

Una linea che sta guidando pure i rapporti burrascosi con i partner della coalizione, con i magistrati e con l'opposizione. Non a caso, è stato proprio Berlusconi a chiedere ieri all'ufficio di presidenza del Pdl l'approvazione di un documento che mette sul banco degli imputati la magistratura ordinaria e quella "alta" della Corte costituzionale. Gli incubi di nuove implicazioni in azioni giudiziarie stanno dettando i tempi delle scelte del Cavaliere. "Se anche mi mandassero un avviso di garanzia - è sbottato con i fedelissimi prima a Villa San Martino e poi ieri a Palazzo Grazioli -. Io andrò avanti come se nulla fosse. Di certo non farò come nel '94. Stavolta non mi farò da parte".

Nella cena con i "Club del buongoverno", ha provato a sdrammatizzare con una barzelletta raccontata ("Un bambino chiede al papà siciliano: "perché Einstein è morto?" Troppo sapeva..."), eppure considera le prossime scadenze come una sorta di "battaglia all'ultimo sangue". Il processo breve e il Lodo Alfano da inserire nella Costituzione.
Chiede tempi strettissimi. Il primo provvedimento - è la sua formale istanza - dovrebbe essere approvato entro il 25 gennaio.

Una data che viene considerata a Via del Plebiscito una sorta di spartiacque per il futuro delle inchieste che lo riguardano. Ma soprattutto è la data entro la quale il Cavaliere vuole sapere se la sua coalizione è in grado di sostenerlo o meno. È il limite entro il quale ha ancora forza la minaccia del voto a marzo con le regionali: "O si risolvono i problemi oppure li risolveranno gli italiani". Tant'è che i "messaggeri" del premier hanno sondato il presidente della Camera sulla possibilità di convocare l'Aula per il voto finale sul processo breve subito dopo le feste natalizie, ossia il 7 gennaio. Un pressing che prende il via dai dubbi sul comportamento del presidente della Repubblica e dello stesso Fini. "Se Napolitano non firma la legge e temo che non lo farà - ha avvertito il premier - la ripresentiamo in Parlamento così com'è. E dobbiamo votarla in una settimana. A quel punto dovrà promulgarla".

Le altre "attenzioni", Berlusconi le riserva ai partner di governo. La tensione è altissima. Non si fida di Fini e nemmeno di Tremonti. Anzi, a palazzo Chigi sono ormai convinti che ci sia un asse tra i due: il no congiunto al taglio dell'irap e alla fiducia sulla Finanziaria ha ulteriormente alimentato i dubbi. L'inquilino di Montecitorio ieri ha telefonato al presidente del consiglio prima del vertice Pdl per ammorbidire i toni: "Evita lo scontro. Non mi mettere in condizione di risponderti negativamente".
Ma Berlusconi non ha raccolto il consiglio. Anzi ha ingranato la marcia per arrivare allo "show down".

"Ora - ha spiegato ai suoi - devono stare tutti dietro di me. Si deve fare il processo breve e il lodo Alfano. Chi non ci sta lo dica subito. In questo caso si va a votare". Un segnale lanciato anche verso il ministero dell'Economia. Quel "no" alla riduzione delle tasse lo ha fatto infuriare. Lunedì scorso, poi, il suo umore è diventato ancora più nero quando gli hanno riferito che molti sindaci - compresi i leghisti (ad esempio quelli di Varese e Novara) - sono pronti a scendere piazza contro l'esecutivo per i tagli ai comuni. Una manifestazione senza precedenti. Per di più il feeling mostrato da Tremonti con il centrosinistra lo innervosisce da tempo. "Se facesse l'accordo con l'opposizione - ripete da tempo il titolare del Tesoro - risolverebbe anche i suoi guai". "Ma si scordino tutti - è esploso ieri mattina Berlusconi - che io mi metta a trattare pure con la sinistra. Mi dicono che posso ottenere una tregua dialogando con la sinistra sulle riforme. Ma questa è un'emergenza e io non tratto. Con nessuno. Piuttosto, meglio andare a votare".

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« Risposta #48 inserito:: Dicembre 15, 2009, 04:06:08 pm »

Il provvedimento, preparato da Paolo Romani, è atteso già al consiglio dei ministri di giovedì

Il tetto di raccolta abbassato al 12%.

Il decreto colpisce soprattutto il tycoon australiano

Nuova battaglia Mediaset-Murdoch il governo taglia la pubblicità a Sky

di CLAUDIO TITO


ROMA - Un anno fa, era stata la volta dell'Iva per gli abbonamenti alla pay-tv, portata di colpo al 20%. Adesso la sfida tocca i tetti di raccolta pubblicitaria. E' l'ennesima battaglia della guerra tra Mediaset e Sky, tra "Silvio e Rupert". La tv di Murdoch - che oggi potrebbe infilare spot sui suoi canali per il 18% di ogni ora - dovrà scendere al 12. Un taglio che, pur riguardando tutte le emittenti a pagamento, anche Mediaset Premium, colpisce in primo luogo il gruppo del tycoon australiano.

Il governo, dunque, ha predisposto un altro affondo per arginare la tv satellitare. Lo schema di decreto legge - messo a punto dal viceministro Romani - può approdare in Consiglio dei ministri questo giovedì (a meno che l'incidente al premier non porti al suo rinvio). Il tutto inserito in un provvedimento che recepisce la nuova direttiva Ue sulla "Tv senza Frontiere". Per ora è una bozza, ma Palazzo Chigi accende il disco verde per renderla definitivo.

E' un insieme di norme congegnate, insomma, per accogliere le indicazioni europee. Ma diversi articoli sono dedicati alla quantità di pubblicità in onda sui canali non gratuiti. "La trasmissione di spot - si legge - da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non può eccedere il 12% di una determinata ora d'orologio". Un limite che non riguarda solo Sky ma anche Mediaset Premium o i canali presenti sulla piattaforma satellitare ed editi da altri soggetti come Disney, Fox, Discovery, Rcs, De Agostini.

Al momento, però, Mediaset Premium non supera ancora il tetto del 12% e quindi non subisce alcuna contrazione. Il danno, semmai, si concentra proprio sulla "parabola" di Murdoch e in particolare sulla programmazione sportiva (le partite di calcio) e il cinema. Senza considerare che il rapporto tra la raccolta di Mediaset Premium e Sky è di circa 1 a 10.

Non solo. Gli ideatori del provvedimento, hanno pensato a un ulteriore beneficio. Imporre il tetto del 12% rappresenta un modo efficiente per evitare una sorta di "cannibalizzazione interna": si evita che i canali in chiaro di Mediaset siano danneggiati non solo dalla competizione con Sky ma anche da quella con le reti a pagamento dello stesso gruppo Berlusconi. L'operatore che già raccoglie quasi il 60% della pubblicità tv, in qualche modo è in condizione di conservare il primato.

Contemporaneamente, se il tetto per la Rai rimane quello già stabilito del 12% - nessun beneficio per Viale Mazzini che copre ampiamente la sua raccolta - per le private il limite viene reso più elastico: queste emittenti potranno trasmettere fino al 20% di spot, telepromozioni e televendite - durante una giornata - senza che la legittimità di questo mix di pubblicità sia più messo in discussione (come invece avviene oggi).

Quel tetto (il 20%) e quel mix vengono definitivamente legittimati, ed anzi l'affollamento potrà spingersi fino al 22% nelle ore di maggiore ascolto.
Su molti altri aspetti, le scelte del governo vanno in direzione di una più ampia liberalizzazione: passa da 45 a 30 minuti il tempo minimo di trasmissione per l'inserimento di uno spot nei film. Spuntano pure delle "innovazioni" che agevolano in modo particolare le reti in chiaro.

Durante gli eventi sportivi - si legge al comma 2 dell'articolo 37 - le interruzioni (si pensi alle pause durante le partite di calcio) possono ospitare non solo spot (come fa Mediaset) ma anche televendite. E nei programmi per bambini di durata superiore a 30 minuti le interruzioni pubblicitarie salgono da una a due.

In un comma di sole quattro righe del Titolo II, si introduce un'ulteriore novità relativa ai permessi per la trasmissione via parabola. "L'autorizzazione ai servizi audiovisivi o radiofonici via satellite - si legge nel testo - è rilasciata dal Ministero". In sostanza le tv satellitari devono essere autorizzate dal governo e non più dall'Autorità per le Comunicazioni. In questo modo, si fa dipendere dall'esecutivo l'ingresso nel mercato tv di nuovi "competitor". Basti pensare al caso di "Cielo", la rete digitale di Murdoch che ancora attende il placet ministeriale.

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« Risposta #49 inserito:: Dicembre 20, 2009, 03:51:15 pm »

L'ex presidente del Consiglio è in prima linea per guidare il delicato organismo parlamentare di vigilanza.

L'attuale presidente, Rutelli, sta per dimettersi

D'Alema alla commissione per i servizi segreti

Il Pdl: nell'opposizione è il più autorevole


di CLAUDIO TITO

ROMA - "Sicuramente è il candidato più autorevole che l'opposizione possa presentarci". Di chi si tratta? Di Massimo D'Alema. E la candidatura riguarda la presidenza del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti.

Sebbene nel Pd sia scoppiata una vera e propria baraonda, per le parole dell'ex ministro degli Esteri sull'"utilità di certi inciuci", il suo nome è iniziato a correre in modo sempre più insistente nei canali informali di comunicazione tra governo e centrosinistra. Al punto che uno dei ministri "competenti" conferma l'esistenza di una trattativa in corso e la approva.

La successione a Francesco Rutelli, infatti, dovrebbe presto trasformarsi in una emergenza. Il leader dell'Alleanza per l'Italia è intenzionato a lasciare l'incarico di Palazzo San Macuto già questa settimana. Il 12 dicembre scorso aveva annunciato: "in settimana le dimissioni irrevocabili". Una scelta programmata dopo aver dato l'addio al Pd, che ricopriva quell'incarico in qualità di maggior partito d'opposizione.

Se dovesse emergere una convergenza forte sul "successore", il passo rutelliano assumerebbe ancora maggiore velocità. Sta di fatto, che il nome di D'Alema è diventato ormai il primo della lista per la "corsa" alla presidenza del Comitato. "Tutti i 'sospetti' - spiega ancora un ministro che ha un rapporto diretto con il Copasir - ricadono su di lui. Ha tutti i requisiti indispensabili per questo ruolo. È forse l'unico. Speriamo ne abbia voglia".

Del resto, la pratica è ormai da tempo nelle mani di Gianni Letta. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio - che in questi giorni sta vestendo i panni di "vicepremier plenipotenziario" - ha messo il dossier in bella vista sulla sua scrivania. Ne ha parlato con i leader del centrosinistra - in particolare con il nuovo segretario dei Ds, Pierluigi Bersani - e anche con quelli del centrodestra.

La figura di D'Alema, come ex ministro degli Esteri ed ex presidente del Consiglio, viene considerata la più adatta per guidare una commissione bicamerale, che esercita la supervisione dei nostri 007. E avrebbe ricevuto il benestare anche dei presidenti dei due rami del Parlamento: Renato Schifani e Gianfranco Fini. "Bersani e D'Alema - diceva giovedì scorso l'inquilino di Palazzo Madama - in questi giorni sono stati apprezzabili".

E forse non è un caso che nei giorni scorsi, dopo l'aggressione a Piazza Duomo, Berlusconi abbia espresso più di una lode nei confronti dell'esponente democratico. "Si è comportato in modo corretto - si è lasciato andare con i fedelissimi -. Con lui si può sempre parlare". Tant'è che il nome dell'ex premier è risuonato pure nella cena di ieri sera ad Arcore, tra il Cavaliere e lo Stato maggiore del Carroccio.

I lumbard lo considerano un interlocutore privilegiato per le riforme. Si è accennato anche all'ipotesi del nuovo ruolo. Nessun approfondimento, però, a causa dell'assenza del ministro degli Interni, Roberto Maroni, che con il Copasir ha un rapporto di diretta competenza.

La "carta-D'Alema", fino ad ora, è stata tenuta coperta. In primo luogo perché il capo del Governo, pur considerando positivamente l'opzione, vuole precise garanzie su come verrà interpretato l'incarico all'interno del Comitato. Ma soprattutto perché non tutti nell'opposizione sono intenzionati ad accendere il disco verde per Massimo.

Nella minoranza democratica, infatti - da quando Rutelli ha fondato l'Api - sono spuntate diverse "rose" di candidati. Da Arturo Parisi a Enzo Bianco, fino a Walter Veltroni. Ma di fronte ai dubbi formulati dalla segreteria di Largo del Nazzareno, di recente era stata pure avanzata un'alternativa: quella di far cadere la preferenza sul "più esperto" degli attuali commissari.

Ossia su Emanuele Fiano. Un modo per sbarrare la strada a "concorrenti" imposti dall'alto. Ma non ha fatto presa né su Bersani, né sui rappresentanti del Governo. Berlusconi e Letta preferiscono un parlamentare con "autorevoli" esperienze all'interno dell'esecutivo.

"Se D'Alema andava bene per fare Mr. Pesc - dicono i fedelissimi del Cavaliere - può andare bene pure per il Comitato sui servizi. Senza contare che a Palazzo Chigi vedono con paura la possibilità che per il "dop-Rutelli" si affacci Antonio Di Pietro. Anche l'Italia dei Valori, infatti, sta reclamando la medesima poltrona: i "dipietristi" lamentano di essere stati esclusi da tutte le commissioni di garanzia e anche dal Consiglio di amministrazione della Rai.

Il segretario del Pd, però, dopo la bocciatura di D'Alema alla Commissione europea, non ha mai nascosto in privato di condividere l'esigenza di individuare un altro incarico di prestigio. Per l'ex premier, si era fatto avanti di recente anche il Pse offrendogli, in occasione dell'ultimo congresso di Praga, la presidenza del "Global progressive forum", la fondazione dei socialisti europei. Ma a questo punto, la guida del Copasir sta diventando la via più facilmente percorribile.

(20 dicembre 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #50 inserito:: Gennaio 09, 2010, 12:18:24 pm »

"Dialogo col Pd? I problemi sono altri". Il premier con un segno in faccia dopo l'aggressione

"Nel 2010 la riforma tributaria, la riforma della giustizia e poi delle istituzioni"
 
Il ritorno di Berlusconi "Due aliquote nella riforma fiscale"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "Sogno una vera riforma tributaria. Come quella che avevamo immaginato nel '94. Con due sole aliquote. E adesso stiamo studiando tutte le possibilità per realizzarla". Silvio Berlusconi sta concludendo il periodo di convalescenza a Villa San Martino. Dal 13 dicembre, dopo il ricovero in ospedale, è rimasto nella sua residenza di Arcore. Per smaltire i postumi dell'aggressione a Piazza Duomo. Ora prepara il rientro alla "piena" attività politica. Giocando contemporaneamente le tre "carte" che a suo giudizio dovranno segnare il 2010: la riforma fiscale, quella della giustizia e infine i correttivi alla Costituzione.

E l'ordine non è casuale. Perché, spiega conversando con Repubblica, il primo passo è proprio la "riorganizzazione" del sistema fiscale. Recuperando il "vecchio" progetto del 1994. Quello che portò alla vittoria elettorale dell'allora Polo delle libertà: due sole aliquote, al 23% e al 33%. Un disegno che adesso preferisce chiamare "riforma tributaria" per far capire che non riguarderà solo gli scaglioni Irpef, ma l'insieme dell'imposizione. Sebbene il cuore dell'intervento governativo si concentrerà proprio sul taglio delle tasse per le persone fisiche.

 "Da lunedì sarò a Roma e riprenderò a fare tutto quello che serve", annuncia cercando di smussare le polemiche di questi giorni. Comprese le incomprensioni con gli alleati. I rapporti con Gianfranco Fini, le diatribe sul probabile ampliamento della squadra di governo, il difficile confronto con l'opposizione, sembrano interessarlo poco seduto sul divano della sua villa. "Sono rimasto qui per recuperare - sbuffa accennando ad un sorriso - e invece mi fanno lavorare. Ma adesso sto bene. Ho ancora un piccolo segno in faccia. Ancora si vede. Mi dicono che andrà via. Purtroppo, invece, ho perso un dente".

Per un momento si ferma. Vuole cambiare discorso. Poi riprende a parlare con un tono di voce divertito: "Mi fanno lavorare lo stesso. Oggi dovevo fare solo una riunione di venti minuti... ne esco adesso, dopo due ore. A pranzo, poi, avevo già avuto un lungo incontro con il ministro Tremonti. Con lui ho esaminato proprio le possibilità che abbiamo per la riforma tributaria". Un disegno ripescato in questo mese di "inattività" ad Arcore. Una pausa intervallata solo da qualche breve "visita" a Lesmo per ispezionare i lavori di costruzione dell'Università del pensiero liberale. E una in Costa Azzurra per trascorrere l'Epifania con la figlia Marina. Ieri, invece, oltre al vertice con il titolare del Tesoro è stato continuamente al telefono per essere aggiornato su quanto sta avvenendo a Rosarno. Il sottosegretario Letta e il ministro degli Interni Maroni lo hanno tenuto informato. "Di questo però - premette - non mi faccia dire niente. Voglio aspettare".

Ha, però, già in mente un'agenda di appuntamenti e interventi da lunedì in poi?
"Credo che si debba in primo luogo riprendere il lavoro ordinario del governo. Da lunedì sarò a Palazzo Chigi e riannoderò tutti i fili. Ho intenzione in primo luogo di incontrare il presidente della Repubblica. Parlerò con tutti i ministri e mi confronterò con i gruppi parlamentari e gli organismi dirigenti della maggioranza".

Anche per risolvere i problemi emersi in questi giorni nel centrodestra? C'è stata qualche incomprensione con Fini.
"Ma no, non c'è alcun problema. Non c'è bisogno di questo. Vedrete".

E allora di cosa c'è bisogno?
"Ci sono delle emergenze. Come la riforma tributaria, la riforma della giustizia e la riforma istituzionale".

Proprio il 6 gennaio scorso una sua frase sul taglio delle tasse ha scatenato un bel po' di polemiche.
"Guardi, con Tremonti stiamo studiando una riforma tributaria. Un progetto che avevamo indicato già nel 1994. Noi vogliamo un sistema che dia ordine, che sia meno confuso. Che non obblighi i contribuenti a rivolgersi al commercialista per pagare le tasse. Serve una semplificazione complessiva".

Nel '94, però, lei propose due aliquote irpef: una al 23% e una al 33%.
"Sì, con il ministro dell'Economia stiamo studiando tutte le possibilità per arrivare alla fine a questo sistema. Sarebbe più razionale. Di certo, non abbiamo alcuna intenzione di aumentare le tasse. Ecco, questa è l'unica cosa impossibile".

E sulla giustizia? Sulle altre riforme? È ancora possibile coltivare il dialogo con l'opposizione e in particolare con il segretario del Pd Bersani per le altre riforme?
"Il problema non è il dialogo, il problema non è questo".

E qual'è?
"Sono le riforme che interessano il Paese. Noi stiamo uscendo da una crisi economica che ci è venuta addosso. Una crisi davvero straordinaria che non ha colpito solo noi. Un crollo da cui ci stiamo risollevando, anche prima degli altri. E dobbiamo fare in modo che tutti escano da questa situazione. Il 2010 è l'anno in cui possiamo uscire definitivamente dalla crisi".

Il ministro Tremonti, però, in questi mesi ha sempre frenato su questo punto. Ha sottolineato lo stato di salute dei nostri conti e in particolare i rischi connessi all'aumento del debito pubblico.
"E infatti dobbiamo procedere con attenzione. Sappiamo che ripartiamo ogni anno con 8 miliardi di interessi passivi. Una cifra impressionante. Noi, però, sappiamo che a questo punto non torneremo indietro. Ma forse le ho detto pure troppo".
 
© Riproduzione riservata (09 gennaio 2010)
da repubblica.it
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« Risposta #51 inserito:: Febbraio 06, 2010, 11:44:57 am »

IL RETROSCENA.

Silenzio da parte italiana sulle presunte trame in cambio di uno stop ai giudizi morali sul presidente del Consiglio

Governo e Santa Sede alle grandi manovre Berlusconi offre un patto di non belligeranza

di CLAUDIO TITO

ROMA - Un patto di non belligeranza. Una pace lunga tutta la legislatura tra gerarchie della Chiesa e Governo. Poggiata su un solo architrave: l'archiviazione definitiva e "senza conseguenze" del caso Boffo. Senza far sprofondare nel polverone mediatico i vertici della Segreteria di Stato. Nel giro di cinque mesi gli interessi del Vaticano e di Silvio Berlusconi sembrano di nuovo convergere. E si sono materializzati in una telefonata che all'inizio di questa settimana ha messo in contatto il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, con Palazzo Chigi. Un colloquio che ha avuto un unico argomento: la conclusione "immediata e senza conseguenze" della querelle aperta a fine agosto con l'editoriale di Vittorio Feltri sul Giornale.

Il filo che univa il presidente del consiglio e i vertici d'Oltretevere cinque mesi fa si era ingarbugliato. La vicenda dell'allora direttore di Avvenire era deflagrata in un campo di sospetti. Tanti gli interessi che univano la Curia e la presidenza del consiglio, pesanti invece i distinguo che separavano il Cavaliere da una parte ancora influente dei vescovi italiani: quelli che facevano capo alla Cei, al cardinal Ruini e a Angelo Bagnasco. Convinti, questi ultimi, che l'affondo del quotidiano di casa Berlusconi fosse la risposta alle lettere critiche pubblicate da Avvenire.
Ora, però - racconta chi frequenta gli ovattati corridoi vaticani - nel contatto telefonico con Bertone è stata concordata una nuova linea: ristabilire un "corretto" rapporto nelle relazioni tra Chiesa italiana e governo, saldando un'intesa che possa reggere agli urti della legislatura e arrivare agli appuntamenti cruciali del 2013: ossia al prossimo voto politico e all'elezione del nuovo presidente della Repubblica.

Proprio per questo, negli ultimi quindici giorni, il premier ha messo in campo tutti suoi ambasciatori per ottenere il massimo risultato dalla "archiviazione" del "caso Boffo". "Io sono sempre stato dalla loro parte - ha raccontato in settimana il capo del governo - e non c'è bisogno di conferme da questo punto di vista. Però non voglio più che mi si accusi o mi si faccia la morale". Il primo passaggio allora si è consumato nel colloquio riservato (il 20 gennaio scorso) con Camillo Ruini, l'ex presidente della Cei e prelato ancora potente nelle gerarchie ecclesiastiche. Il secondo con la telefonata che ha messo in contatto la Segreteria di Stato e Palazzo Chigi. Due conversazioni che si sono concentrate sulle polemiche scatenate dalla pubblicazione sul "Giornale" del dossier Bobbo, rivelatosi poi falso; e sulle rivelazioni circa il ruolo della Segretaria di Stato e del direttore dell'Osservatore romano, Giovanni Maria Vian. Il pranzo "chiarificatore" tra Vittorio Feltri e Boffo, infatti, ha messo in allarme gli ambienti più vicini al governo della Santa Sede. Il rischio che il nome di Vian e, soprattutto, quello di Bertone possa essere esplicitato in una sede pubblica - ad esempio in occasione della convocazione a fine mese di Feltri davanti all'Ordine dei giornalisti - ha provocato un vero sussulto nelle stanze di San Pietro. Un timore recapitato ai vertici dell'esecutivo italiano.

Poche ore dopo, negli uffici d'Oltretevere, è stata letta con un sospiro di sollievo la precisazione di Feltri di mercoledì scorso: "Non conosco né Bertone, né Vian". Una puntualizzazione, però, che ancora non lascia tranquilli. Anche perché manca un ulteriore tassello per chiudere il "caso". La "tregua" tra ruiniani e bertoniani, infatti, non riesce a prendere forma. La richiesta avanzata dai primi - fa notare chi ha parlato con i due "contendenti" - di "pareggiare" il conto con il "siluramento" di Vian, al momento è stata respinta. Motivazione: negli uffici della Segreteria di Stato, nessuno riesce a prevedere la reazione del "licenziando". Il sospetto di una risposta scomposta con il convolgimento esplicito dei piani alti del Vaticano fa ancora premio sulla volontà di una "tregua". Tant'è che negli ultimi giorni è stata persino valutata un'altra opzione: quella di aprire la trattativa per concedere il "riscatto" a Boffo con un altissimo incarico nella galassia editoriale della Cei. La paura di un coinvolgimento ufficiale della Segreteria di Stato, insomma, mette il Cavaliere nell'insolita condizione di accedere al confronto in una posizione di forza. Anzi, in questa fase si sente addirittura al centro della "mediazione" in corso tra le "correnti" cardinalizie.

Non a caso il faccia a faccia di due settimane fa con Ruini - spiega chi frequenta il mondo della Conferenza episcopale - si è concentrato su questi aspetti. Ricostruire un dialogo anche con i vescovi italiani e massimizzare il profitto della battaglia tra i due fronti della Chiesa. Anche perché, il presidente della Cei Bagnasco - a differenza di Bertone il cui incarico alla segreteria di Stato non ha scadenze - dovrà tra poco più di due anni chiedere a Benedetto XVI il secondo mandato quinquennale.

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« Risposta #52 inserito:: Febbraio 07, 2010, 06:33:02 pm »

IL RETROSCENA.

Silenzio da parte italiana sulle presunte trame in cambio di uno stop ai giudizi morali sul presidente del Consiglio

Governo e Santa Sede alle grandi manovre Berlusconi offre un patto di non belligeranza

di CLAUDIO TITO

ROMA - Un patto di non belligeranza. Una pace lunga tutta la legislatura tra gerarchie della Chiesa e Governo. Poggiata su un solo architrave: l'archiviazione definitiva e "senza conseguenze" del caso Boffo. Senza far sprofondare nel polverone mediatico i vertici della Segreteria di Stato. Nel giro di cinque mesi gli interessi del Vaticano e di Silvio Berlusconi sembrano di nuovo convergere. E si sono materializzati in una telefonata che all'inizio di questa settimana ha messo in contatto il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, con Palazzo Chigi. Un colloquio che ha avuto un unico argomento: la conclusione "immediata e senza conseguenze" della querelle aperta a fine agosto con l'editoriale di Vittorio Feltri sul Giornale.

Il filo che univa il presidente del consiglio e i vertici d'Oltretevere cinque mesi fa si era ingarbugliato. La vicenda dell'allora direttore di Avvenire era deflagrata in un campo di sospetti. Tanti gli interessi che univano la Curia e la presidenza del consiglio, pesanti invece i distinguo che separavano il Cavaliere da una parte ancora influente dei vescovi italiani: quelli che facevano capo alla Cei, al cardinal Ruini e a Angelo Bagnasco. Convinti, questi ultimi, che l'affondo del quotidiano di casa Berlusconi fosse la risposta alle lettere critiche pubblicate da Avvenire.
Ora, però - racconta chi frequenta gli ovattati corridoi vaticani - nel contatto telefonico con Bertone è stata concordata una nuova linea: ristabilire un "corretto" rapporto nelle relazioni tra Chiesa italiana e governo, saldando un'intesa che possa reggere agli urti della legislatura e arrivare agli appuntamenti cruciali del 2013: ossia al prossimo voto politico e all'elezione del nuovo presidente della Repubblica.

Proprio per questo, negli ultimi quindici giorni, il premier ha messo in campo tutti suoi ambasciatori per ottenere il massimo risultato dalla "archiviazione" del "caso Boffo". "Io sono sempre stato dalla loro parte - ha raccontato in settimana il capo del governo - e non c'è bisogno di conferme da questo punto di vista. Però non voglio più che mi si accusi o mi si faccia la morale". Il primo passaggio allora si è consumato nel colloquio riservato (il 20 gennaio scorso) con Camillo Ruini, l'ex presidente della Cei e prelato ancora potente nelle gerarchie ecclesiastiche. Il secondo con la telefonata che ha messo in contatto la Segreteria di Stato e Palazzo Chigi. Due conversazioni che si sono concentrate sulle polemiche scatenate dalla pubblicazione sul "Giornale" del dossier Bobbo, rivelatosi poi falso; e sulle rivelazioni circa il ruolo della Segretaria di Stato e del direttore dell'Osservatore romano, Giovanni Maria Vian. Il pranzo "chiarificatore" tra Vittorio Feltri e Boffo, infatti, ha messo in allarme gli ambienti più vicini al governo della Santa Sede. Il rischio che il nome di Vian e, soprattutto, quello di Bertone possa essere esplicitato in una sede pubblica - ad esempio in occasione della convocazione a fine mese di Feltri davanti all'Ordine dei giornalisti - ha provocato un vero sussulto nelle stanze di San Pietro. Un timore recapitato ai vertici dell'esecutivo italiano.

Poche ore dopo, negli uffici d'Oltretevere, è stata letta con un sospiro di sollievo la precisazione di Feltri di mercoledì scorso: "Non conosco né Bertone, né Vian". Una puntualizzazione, però, che ancora non lascia tranquilli. Anche perché manca un ulteriore tassello per chiudere il "caso". La "tregua" tra ruiniani e bertoniani, infatti, non riesce a prendere forma. La richiesta avanzata dai primi - fa notare chi ha parlato con i due "contendenti" - di "pareggiare" il conto con il "siluramento" di Vian, al momento è stata respinta. Motivazione: negli uffici della Segreteria di Stato, nessuno riesce a prevedere la reazione del "licenziando". Il sospetto di una risposta scomposta con il convolgimento esplicito dei piani alti del Vaticano fa ancora premio sulla volontà di una "tregua". Tant'è che negli ultimi giorni è stata persino valutata un'altra opzione: quella di aprire la trattativa per concedere il "riscatto" a Boffo con un altissimo incarico nella galassia editoriale della Cei. La paura di un coinvolgimento ufficiale della Segreteria di Stato, insomma, mette il Cavaliere nell'insolita condizione di accedere al confronto in una posizione di forza. Anzi, in questa fase si sente addirittura al centro della "mediazione" in corso tra le "correnti" cardinalizie.

Non a caso il faccia a faccia di due settimane fa con Ruini - spiega chi frequenta il mondo della Conferenza episcopale - si è concentrato su questi aspetti. Ricostruire un dialogo anche con i vescovi italiani e massimizzare il profitto della battaglia tra i due fronti della Chiesa. Anche perché, il presidente della Cei Bagnasco - a differenza di Bertone il cui incarico alla segreteria di Stato non ha scadenze - dovrà tra poco più di due anni chiedere a Benedetto XVI il secondo mandato quinquennale.

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« Risposta #53 inserito:: Febbraio 18, 2010, 02:53:38 pm »

Berlusconi difende a spada tratta il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio

"Se toccano lui cade tutta una classe dirigente. Anche quelli di sinistra"

La rabbia di Gianni Letta "Sono stato ingannato"

di CLAUDIO TITO

ROMA - "Forse sono stato ingannato, ma mi sono sempre comportato in maniera corretta. Io e Guido siamo sempre stati corretti".
Gianni Letta difficilmente perde la pazienza. Ieri, però, Silvio Berlusconi e alcuni ministri per la prima volta lo hanno visto infuriato. Il caso Bertolaso, le inchieste sui lavori per il G8 della Maddalena e per la ricostruzione dell'Aquila stanno tenendo banco facendo impennare la fibrillazione in tutta la coalizione.

Anche il summit governativo che si è tenuto ieri a Palazzo Grazioli, si è concentrato sulla tempesta che si è abbattuta nelle ultime ore.
Ma l'elemento di assoluta novità riguarda appunto il sottosegretario alla presidenza del consiglio. Perché il timore che il temporale giudiziario possa investire pure lui, costituisce un fattore con il quale la maggioranza non si è mai confrontata. Un aspetto tanto straordinario da far ritirare fuori al premier l'ombra del "complotto". Il sospetto che dietro l'affondo giudiziario ci sia qualcosa di più di una semplice indagine.

Qualcosa che investe soggetti "non istituzionali". "Allora, deve essere chiaro a tutti - ha avvertito il Cavaliere - che Gianni non si tocca". E già, perché nelle ultime 48 ore, l'allarme a Palazzo Chigi è iniziato a suonare con sempre maggiore fragore. Un coinvolgimento del vero numero due della "squadra" costituisce un sorta di incubo. Che Berlusconi vuole interrompere rapidamente facendo capire - anche dentro l'alleanza - che "il dottor Letta è imprescindibile. Se cade lui, cade tutto". Anzi, "se vogliono colpire lui, vogliono colpire tutti.
Anche quelli della sinistra. Se davvero stanno così le cose, vogliono fare fuori un'intera classe dirigente".


Non a caso, per tutta la giornata di ieri, la paura ha attraversato anche i banchi di Montecitorio. Durante l'esame del decreto che riforma la Protezione civile, "peones" e "colonnelli" non hanno fatto altro che parlare della "vicenda Letta". Una scossa che si è infilata negli scranni del centrodestra per finire in quelli del centrosinistra. "È chiaro - è il monito di un autorevole ministro - che nessuno può dormire sonni tranquilli. Anche quelli dell'opposizione. Del resto, anche su di loro stanno facendo uscire lo stesso fango".

La tensione, però, sta mettendo a soqquadro soprattutto gli uffici della presidenza del consiglio. "Io comunque - ha ripetuto Letta al Cavaliere e a diversi esponenti dell'esecutivo - sono tranquillo. Non ho nulla di cui pentirmi. Abbiamo sempre agito rispettando la legge e facendo valere gli interessi del Paese. Ma...". Ecco, appunto esiste un "ma". Quello di essere stato "ingannato".

Dubbi che nelle ultime ore sono andati rafforzandosi. E che il capo del governo ha esposto ieri pomeriggio ai suoi fedelissimi in modo esplicito. "Come è possibile che in questi due anni i servizi segreti non ci abbiano avvisato di niente? Come è possibile che i Ros indaghino su di noi e non esca un solo fiato in un Paese in cui parlano tutti?". Se Letta non arriva a esprimere pubblicamente le stesse perplessità, lo fa dunque il premier.

Anche perché da maggio 2008 la delega a gestire i nostri 007 l'ha avuta proprio Letta.
Per Berlusconi, quindi, troppe coincidenze si sono concentrate nelle ultime settimane. L'incidente diplomatico di Bertolaso con gli Usa sugli aiuti ad Haiti, le manovre in corso su alcuni capisaldi della finanza e dell'industria italiana a cominciare da Generali, Mediobanca e Fiat. La linea editoriale del "Corriere" che per il premier rappresenta ancora il termometro dei cosiddetti "poteri forti". Tutti elementi che a Palazzo Cigi fanno sospettare la presenza di una "manina esterna" interessata a dettare le prossime scelte strategiche del "sistema Paese".

Tant'è che il presidente del consiglio ha chiesto a Letta cosa stia accadendo nei nostri servizi segreti e al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha reclamato spiegazioni sul comportamento del Ros. Quest'ultimo, con i giornalisti, si è limitato a osservare che "i carabinieri fanno il loro dovere".
Parole che con ogni probabilità, La Russa ha evitato di pronunciare davanti al premier. Se non altro per non rientrare nell'elenco dei "sospettati". E già, perché anche il sottosegretario ha iniziato a lamentarsi della presenza in questa "partita" di giocatori "amici".
Di ministri interessati a indebolirlo nella prospettiva della "successione berlusconiana".

In molti a Palazzo Chigi hanno ad esempio notato i silenzi di Giulio Tremonti, il gioco di sponda di Umberto Bossi e l'insistenza con cui Gianfranco Fini ha difeso il ruolo delle Camere. La "corsa" alla successione, però, innervosisce in primo luogo Berlusconi. "Deciderò io chi dovrà essere il mio erede. A tempo debito". E forse non è un caso che negli ultimi mesi proprio Letta abbia fatto sentire la sua voce in pubblico come non mai. In questa settimana per difendere se stesso e Bertolaso. Ma prima per non lasciare spazio ai "competitor".
 

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« Risposta #54 inserito:: Febbraio 24, 2010, 05:32:58 pm »

E' un tutti contro tutti.

Verdini e Bondi "fratelli coltelli", La Russa e Matteoli pure

"Disgustato" dalle lotte intestine, il presidente pensa a Scajola coordinatore

Berlusconi pronto a rivoluzionare il Pdl "Pentito della fusione con quelli di An"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "Mi sono pentito. Non c'è stata la fusione come la immaginavo io. Anzi, quelli di An hanno iniettato nel nostro partito il virus delle correnti. Forse si poteva studiare un'altra soluzione. Ma oramai dobbiamo fare i conti con quello che c'è". L'amarezza è quella del "fondatore". Di Silvio Berlusconi, che aveva progettato di costruire il "primo partito italiano" e di fare da levatrice ad un movimento politico di lungo periodo. Ora, però, quel "sogno" si è trasformato in un incubo. Che agita i suoi sonni in maniera tanto energica da fargli proclamare persino il "pentimento". Dopo il coinvolgimento del coordinatore Denis Verdini nell'inchiesta G8, la pentola del Pdl si è scoperchiata in un attimo. Con un tutti contro tutti che ha messo in mostra odi antichi e scontri recenti. Ha fatto nascere correnti e camarille. Basate su un solo presupposto: piazzarsi nel posto migliore in vista della "successione".

"Ma io - ha avvertito il capo del governo - non ho alcuna intenzione di mollare". Non solo. L'idea che qualcuno pensi al "dopo" lo fa letteralmente infuriare. "Sono disgustato. Così non si può andare avanti e se perdiamo le regionali , cambio tutto". E nella "rivoluzione" rientrerà anche il "triumvirato" Verdini-La Russa-Bondi. Tant'è che ieri il presidente del consiglio ha iniziato a sondare Claudio Scajola. "Faresti il coordinatore unico?". "Solo se continuo a fare il ministro", la risposta. Da qualche giorno, dunque, la sede del partito è attraversata dal fragore della lotta intestina. E i riflettori sono puntati su gli ex aennini. "Mi dicono - si è sfogato Berlusconi - che le loro correnti a livello locale stanno cannibalizzando tutto". I "finiani" addirittura stano pensando a far nascere dei "Club" nel nome del presidente della Camera. Ma non solo loro si muovono. Anche la galassia degli ex forzisti si è messa in azione. "Fratelli coltelli", è il motto più usato per descrivere il clima. E già, perché la guerra non è combattuta solo dagli uomini di Alleanza nazionale. A volte taglia trasversalmente le due componenti d'origine. Basti pensare che Verdini e Bondi sono soprannominati "parenti serpenti". Un tempo "amicissimi", adesso si odiano. Motivo? "Denis ha fatto asse con La Russa", emarginando il ministro dei Beni culturali. Oppure è sufficiente leggere le ultime intercettazioni di cui è stato protagonista ancora Verdini nell'inchiesta fiorentina. "Io - sibilava conversando nel 2008 con Riccardo Fusi spiegando le nomine ministeriali - a Scajola non glielo fò il vice... A Vito sì".

Con Verdini ce l'hanno in molti: "Non ci ha mai difeso e non è mai presente", è l'accusa che tutti i "peones" ripetono ad ogni piè sospinto. Ma un altro che nel Transatlantico di Montecitorio viene seguito con sospetto dai forzisti è il finiano Italo Bocchino. "Pensa di comandare con il gruppo dei napoletani", si sfoga un deputato piediellino del nord. Con Bocchino, anche Mara Carfagna si è fata un bel po' di nemici. Compreso il Cavaliere che non ha gradito la sua preferenza pubblica per Fini: "Dopo il Cavaliere vedo Gianfranco", aveva detto. E il gruppo forzista se l'è legata al dito. Così, non a caso, sono usciti dal congelatore due iniziative messe in campo qualche mese fa. I "Club della libertà" di Valducci e i "Promotori della libertà" della Brambilla. "Ho avuto il via libera del presidente", spiega il forzista della prima ora. I suoi Club serviranno a "fronteggiare quelli di An che si stanno impadronendo di tutto". I "Promotori" brambilliani, invece, saranno dei "raccoglitori di voto": andranno porta a porta a convincere gli elettori, come "I comitati civici" messi in piedi da Gedda nel '48. Sta di fatto che gli esponenti di Forza Italia non riescono a organizzarsi come quelli di Alleanza nazionale. Tante "microcorrenti" che fanno riferimenti a singoli ministri o plenipotenziari: Scajola, Pisanu, Valducci. Mai in grado, però, di fronteggiare la struttura dell'ex Msi. Non a caso da Palazzo Chigi è arrivato un via libera informale: "a questo punto strutturatevi pure voi".

Le correnti, però, stanno facendo a pezzo anche i vecchi assetti. Ad esempio: i due "colonnelli" Ignazio La Russa e Altero Matteoli non si parlano più da quasi due anni. Il ministro della Difesa ha dato vita al "Correntone di Arezzo" con Gasparri e Cicchitto. Quello delle Infrastrutture preferisce restare autonomo e coltivare il rapporto solo con il premier. Non più con Fini. Tant'è che l'inquilino di Montecitorio, della vecchia squadra non si fida più. Non considera più "fedelissimi" La Russa e Matteoli e su Gasparri è andato addirittura oltre: nei giorni scorsi ha chiesto a Berlusconi di valutare la possibilità di rimuoverlo dall'incarico di capogruppo al Senato.
Anche Fini, dunque, inizia a piazzare le sue truppe. Tutti si muovono per il "dopo Berlusconi". A Palazzo Chigi, ad esempio, c'è chi imputa pure al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, di non essersi speso nella difesa della "squadra" sulle vicenda G8-Bertolaso-Letta. Il titolare del Tesoro, del resto, si è costruito un "plotone" di fedelissimi pronti a progettare un'altra "fusione a freddo": quella con la Lega. Per giocarsi la sua partita. E nel risiko complicatissimo del Pdl, Berlusconi ha dovuto aspettare un turno per "promuovere" il "suo" Gianni Letta a vicepremier.

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« Risposta #55 inserito:: Aprile 26, 2010, 03:44:01 pm »

L'INTERVISTA

Bersani: "Così riforme impossibili Berlusconi vuole solo le elezioni"

Il leader Pd: il governo non durerà altri tre anni. "L'opposizione deve essere pronta se ci sarà uno scivolamento

di CLAUDIO TITO


ROMA - In questa maggioranza "non ci sono le condizioni per affrontare le riforme". Anzi, Berlusconi utilizzerà il primo pretesto possibile per andare al voto.
Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, non crede affatto al dialogo offerto dal presidente del consiglio. A suo giudizio, non ha alcuna intenzione di compiere delle "scelte". Semmai, il premier è pronto all'ennesimo "strappo": perché questo governo "non potrà andare avanti così altri tre anni". Ma sulle urne "decide il capo dello Stato" e in quel caso non si può "indicare ora soluzioni a tavolino

Berlusconi ha colto l'occasione del 25 aprile per proporre un'intesa sulle riforme istituzionali.
"Sono parole apprezzabili. Il presidente del consiglio, però, ha scoperto solo di recente la solennità del 25 aprile. Ma più che questi messaggi, colpiscono le sue altalenanti contraddizioni: da mesi va avanti a strappi con i successivi aggiustamenti. Dobbiamo guardare ai fatti, le parole non servono".

In che senso?
"Negli ultimi 9 anni, sette sono stati governati dal centrodestra. E si è visto che la democrazia populista non è in grado di decidere. Non ci sono scelte in nessun campo. Né in economia, né sul terreno istituzionale. Un sintomo evidente è l'impennata orgogliosa di Fini. Una reazione che non è la malattia o la medicina della destra, ma è il sintomo di un malessere. Per questo è necessario uscire dalla chiacchiere".

Sta di fatto che stavolta il premier vi chiede collaborazione.
"Ma il loro modello di azione non è fatto per decidere. È costruito per accumulare il consenso, ma poi non lo usano per governare. Io ho insomma profonda sfiducia che si voglia mettere davvero mano a qualcosa di concreto. È evidente che in questa maggioranza non ci sono le condizioni per affrontare le riforme. Infatti, prima o poi, davanti alla difficoltà di decidere, Berlusconi prenderà un pretesto qualsiasi per accelerare in curva".

Accelerare verso dove?
"Verso le elezioni. O verso un qualsiasi tipo di strappo. La bozza Calderoli che altro era? Un'accelerazione per coniugare solo l'interesse del premier con quello della Lega. In Fini c'è questa consapevolezza. Lui stesso elenca alcuni nodi cruciali: il programma economico da aggiornare alla luce della crisi, il federalismo senza compromettere l'unità del Paese".

Anche il Quirinale, però, vi chiede uno sforzo bipartisan.
"Accettiamo l'appello del presidente della Repubblica. Noi, però, una proposta l'abbiamo presentata. Non conosco quella del Pdl. Fini gliel'ha chiesta. Aspetteremo, ma sono pessimista sulla possibilità che questo governo affronti temi cruciali".

Quindi non ci sono le condizioni per un dialogo.
"L'opposizione è davanti ad un nuova responsabilità. Bisogna stringere le maglie per una piattaforma che abbia il sapore di un'alternativa di governo. Dobbiamo essere pronti perché il Paese sta scivolando".

Per questo ha proposto il Patto repubblicano pure al presidente della Camera?
"Il patto repubblicano non esclude Fini, ma certamente non è rivolto solo a lui. Nella proposta c'è l'esigenza che le forze dell'opposizione sui temi cruciali della democrazia e delle priorità economiche e sociali si rivolgano in modo ampio alle forze sociali civiche e politiche che riconoscono l'esigenza di una svolta che avvenga nel solco della Costituzione".

Questo, però, è uno scenario possibile solo in caso di crisi del governo.
"Io voglio capire chi non accetta la deriva. Qualcuno mi ha accusato di fare tattica sulle alleanze, ma è esattamente il contrario. Voglio che siamo noi a interpretare le grandi esigenze sociali e a proporre una forma nuova e più efficiente di bipolarismo".

Ma se entra in crisi la maggioranza ci saranno le elezioni o ci sarà una soluzione intermedia con un governo tecnico?
"Quel che vedo è che non si potrà andare avanti così altri tre anni e non vedo scenari intermedi".

Qualcuno ha letto il Patto repubblicano come una premessa per un esecutivo di transizione.
"Niente di tutto questo. Non voglio sproloquiare su formule. Credo che, nell'impotenza del centrodestra, qualcuno possa dare uno strattone. Ma la sorte della legislatura non è in mano a un uomo solo, c'è anche il presidente della Repubblica".

Nel '95, quando entrò in crisi il primo governo Berlusconi, nacque l'esecutivo Dini.
"Ogni fase ha il suo schema, ma la storia non si ripete. Vedremo cosa accadrà. Non siamo in condizione ora di indicare soluzioni a tavolino e non abbiamo messo in moto movimenti per un cambio di maggioranza. Quando ho parlato di patto repubblicano, pensavo a cose più profonde. Ad esempio: si può tornare a votare con questa legge elettorale? Si può andare avanti con questo sistema dell'informazione. Possiamo proseguire senza affrontare la crisi economica? Che benefici ci ha portato questa curvatura personalistica della nostra democrazia?".

C'è chi - come il professor Campi - propone di riformare proprio la legge elettorale per poi tornare al voto. Si aspetta che il presidente della Camera opti per questa strada?
"Non arrivo a questo. Penso però, se sarà coerente, che dovrà sciogliere alcuni nodi fondamentali: i temi sociali, le norme sugli ammortizzatori sociali, la giustizia (basti pensare alle intercettazioni), il federalismo che è arrivato ai decreti attuativi. La palla, a quel punto, toccherà a Berlusconi. Se saprà risolvere i problemi, andranno avanti, altrimenti si porrà una questione di stabilità politica. Per quanto ci riguarda, il Paese si aspetta solo che lavoriamo a una piattaforma alternativa. E chi fino ad ora ha sonnecchiato dovrà accorgersi che a Palazzo Chigi non si decide niente".

E chi ha sonnecchiato?
"Ad esempio qualche rappresentanza sociale. Ho assistito all'ultima assemblea di Confindustria e ho notato un certo spaesamento e ho sentito stavolta parole nette dalla presidente Marcegaglia. C'è sempre meno fiducia. Basta pensare al federalismo: ne parlano continuamente ma poi il Tesoro non ci porta le tabelle. Senza numeri e soldi, questa operazione non esiste".

Ma in caso di voto anticipato, il Pd è pronto?
"Non lo vedo per domani ma certamente una fase di logoramento potrebbe portarci fin lì. Stiamo lavorando sul progetto Italia 2011 lanciato nell'ultima direzione. Da lì usciranno le nostre idee per l'alternativa".

(26 aprile 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #56 inserito:: Maggio 15, 2010, 12:27:04 pm »

IL RETROSCENA

Il Cavaliere e l'incubo di Letta "Qualcuno vuole coinvolgere Gianni"

Effetto negativo di Bertolaso sui sondaggi. Il premier: "Può ancora restare?"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "La "Lista Anemone" non è il vero obiettivo. Quei nomi non sono il bersaglio di questa inchiesta. A Perugia sperano di colpire qualcun altro...". La tensione è altissima. L'attesa che qualcosa possa ancora accadere paralizza ogni mossa. E Silvio Berlusconi, bloccato dall'influenza a Palazzo Grazioli, si presenta ai suoi interlocutori come un leone in gabbia. Assillato dai pronostici giudiziari. E così, seleziona i suoi colloqui. Misura i suoi incontri. Ma ai fedelissimi confida i dubbi che lo stanno tormentando. La paura che le indagini in corso a Perugia possano silurare i "piani alti" del governo. Non solo Claudio Scajola e Guido Bertolaso. Ma anche alcuni dei più stretti collaboratori del premier. Compreso Gianni Letta, il vero "braccio destro" del Cavaliere.

E già, perché è questo l'incubo che sta avvolgendo Via del Plebiscito: che le operazioni dei magistrati avvolgano altri ministri e "Gianni". Soprattutto Berlusconi ha iniziato a sospettare che la "lista di proscrizione", l'elenco dei lavori edili effettuati da Diego Anemone circolato negli ultimi giorni, sia solo una mossa tattica. Un diversivo per nascondere le vere intenzioni delle toghe perugine. Teme, insomma, che la procura umbra abbia come "target" finale proprio il sottosegretario alla presidenza del consiglio. Del resto, da giorni chi frequenta la procura sente parlare come un refrain di intercettazioni che non sono state ancora sbobinate. "Su di lui, però, - ripete l'inquilino di Palazzo Chigi - posso mettere la mano sul fuoco. È impossibile che si sia fatto coinvolgere in qualcosa di non chiaro. Gianni è trasparente e nessuno può sporcare la sua figura".

Quelli del premier sono solo sospetti, confessati però nelle ultime ore alla cerchia più ristretta del suo staff. Già in settimana, tra i corridoi di Montecitorio, erano circolate le voci circa il coinvolgimento nelle indagini di altri dicasteri. Adesso, però, lo spettro rischia di materializzarsi improvvisamente. Al punto che la strategia difensiva immaginata in un primo momento, è stata ritoccata in corsa. L'idea di un "Predellino morale" è stato per il momento rinviato. "A questo punto è chiaro che bisogna fare pulizia. Ma non posso farla ora, bisogna prima capire i veri obiettivi di questa indagine. E comunque voglio aspettare dei verdetti concreti e non quelle liste di proscrizione. Al momento bisogna stare fermi".

Eppure, l'idea di una "rivoluzione" nella sua strategia di lungo termine è ormai maturata. È emersa da quando sul tavolo del presidente del consiglio sono stati recapitati gli ultimi sondaggi. Che gli uomini del premier hanno sintetizzato con una battuta: "Effetto Bertolaso". Il coinvolgimento del capo della Protezione civile nelle "vicende immobiliari" ha provocato una sorta di effetto "boomerang" sulla popolarità e il gradimento dell'intero esecutivo. Tanto aveva contribuito a far impennare gli indici con gli interventi in Campania a L'Aquila, così sta determinando la pesante flessione. "Sulla casa - è l'amara riflessione di Berlusconi - gli italiani si arrabbiano davvero".

E infatti si è convinto che il sottosegretario per i grandi eventi non possa rimanere a lungo al suo posto. "Nessuna precipitazione. Ma quanto può rimanere ancora? Può ancora mettere la faccia sull'operato del governo?", ha chiesto il premier ai suoi. Un interrogativo posto l'altro ieri sera anche al diretto interessato. Al quale ha pure rimproverato quella conferenza stampa "improvvisata" a Palazzo Chigi, e "senza alcun senso politico". E forse non è solo un caso che proprio oggi arrivi nell'amministrazione della Protezione civile il successore designato: Franco Gabrielli.
Da tempo il Cavaliere si è quindi messo nell'ottica di "compiere dei sacrifici". Per evitare che la "valanga" giudiziaria investa anche lui. "Io non ho nulla a che vedere con chi ruba. Non ne ho bisogno". Non solo. A Via del Plebiscito, in molti temono che l'attuale situazione possa "paralizzare" la maggioranza e l'esecutivo per troppo tempo: una inattività che Berlusconi giudica "dirompente" per il centrodestra. Tant'è che lo stesso presidente del consiglio da qualche giorno non esclude più la possibilità che tutto precipiti verso le elezioni anticipate. Magari nella prossima primavera.

In quel caso, il "Predellino morale" diventerà il leit motiv della campagna elettorale. "Farò come nel '94: tutte facce nuove e giovani. Mi presenterò agli italiani come il campione del rigore etico". Utilizzando le urne come il lavacro della "nuova Tangentopoli". "Le prossime liste le farò io personalmente - ha avvertito -. farò piazza pulita. Ricandiderò solo una dozzina dei deputati e senatori uscenti. Tutti gli altri saranno "esordienti"". E lo stesso farà per i vertici del Pdl.
Ma sa anche che questa tattica ha bisogno ancora di un po' di tempo. Soprattutto non può oltrepassare un limite: quello che riguarda gli "amici di sempre". Quel gruppo di persone che rappresentano il centro dei suoi successi imprenditoriali e politici.

(15 maggio 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #57 inserito:: Maggio 27, 2010, 04:32:43 pm »

IL RETROSCENA

"Hanno tentato di farmi fuori" i sospetti del Cavaliere

Berlusconi teme un accordo contro di lui da parte di Tremonti, la Lega e i poteri forti. "C'è chi ha messo in gioco la fine del berlusconismo"

di CLAUDIO TITO


"C'E' QUALCUNO che stavolta sta giocando davvero contro di me". Trentasei ore vissute sull'onda dei sospetti. Ogni parola letta in controluce. E gli "alleati più leali" che si rivelano "non più affidabili". Per Silvio Berlusconi non si è trattato solo di discutere la manovra economica "più pesante della mia vita", ma anche di rivedere la gerarchia delle alleanze. Di allontanare i sospetti del "complotto". Riformulare le amicizie dentro il governo.

A cominciare dal rapporto con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e con la Lega di Umberto Bossi. E già, perché dietro ogni singola misura, si è giocato qualcosa di più di una semplice battaglia sui numeri. Come ha ripetuto ieri mattina lo stesso Cavaliere, "è stato messo in gioco il "berlusconismo"". E i protagonisti non sono stati solo il titolare del Tesoro e il sottosegretario Letta, Bossi e Gianfranco Fini. Secondo il premier, si sono improvvisamente attivate le lobby più potenti. Quei "poteri forti" che hanno cercato di coagularsi intorno ai protagonisti della vicenda. "Per farmi fuori, per preparare un altro governo, per profilare un'emergenza nazionale". L'ombra del "complotto", insomma, che ha innervosito il presidente del consiglio e che si è stesa persino sul "socio" più leale: il Senatur.

Da tempo, del resto, molti ministri hanno seguito il braccio di ferro tra Letta e il capo del Tesoro, come la rappresentazione plastica di un duello più ampio. Con il sottosegretario spalleggiato dall'uomo forte della finanza, Cesare Geronzi, una parte della gerarchia ecclesiastica e dai giornali d'area che in questi giorni hanno infatti agitato lo spauracchio di un esecutivo tecnico. Con Tremonti, invece, sostenuto dalla Lega, da alcune banche del nord, da una parte della Finanza cattolica che nel mondo tremontiano ha le sembianze di Ettore Gotti Tedeschi, presidente del potentissimo Ior, e da settori del centrosinistra. Uno scontro nel quale Berlusconi ha sempre svolto la parte dell'arbitro, ma che ora teme di non poter più controllare. "Forse - è stata la sua riflessione - qualcuno pensa di poter cambiare la posta".

Infatti, nonostante l'armistizio firmato in extremis, il capo del governo è stato durissimo con il ministro dell'Economia. "Giulio - ha ripetuto anche ieri sera il Cavaliere - ha costruito la manovra come se volesse smentire tutto quello che ho fatto in questi anni". Non solo. Tutti provvedimenti, a suo giudizio, sono stati concordati solo con i Lumbard, e in particolare con il ministro Roberto Calderoli, scatenando le ire di tutti gli altri dicasteri. Ma soprattutto il premier ha scorto un obiettivo ben preciso: "Hanno calcato la mano - si è lamentato - per mettere al riparo il federalismo fiscale. Pensano che l'Ue non accetterebbe la riforma federalista se prima non diamo garanzie sui conti. Ma i progetti della Lega non possono venire prima di tutto il resto". Il suo dubbio, dunque, è che il pacchetto "tremontiano" contenga in sé una sorta di "tesoretto" da utilizzare proprio per il federalismo fiscale. Sospetti che il titolare di Via XX Settembre ha respinto con decisione. Lo ha fatto l'altro ieri nell'ufficio di Berlusconi a Palazzo Chigi e lo ha ripetuto ieri prima della conferenza stampa congiunta. "Senza un intervento rapido, salta tutto: mi sono mosso su una linea molto delicata. Dopo quel che è accaduto in Grecia, dovevamo dare un segnale ai mercati. Lo faccio per il bene di tutti. Il mio rigore non ha altre ragioni se non la stabilità finanziaria del Paese e il suo futuro".

Eppure nella cena di martedì sera a Via del Plebiscito, Berlusconi ha sentito parlare l'intero stato maggiore leghista solo ed esclusivamente di federalismo fiscale. Ha ascoltato il Senatur definirlo "un'occasione da non perdere". Tant'è che proprio negli ultimi giorni ha provato ad accorciare le distanze con Fini. Una mossa tattica. Per frenare l'irruenza del Carroccio, ha rispolverato il "vecchio" alleato. "Se fate così - è stata la mossa compiuta con Bossi - cosa dico a Fini?". Ha persino incontrato l'odiato finiano Italo Bocchino e riesumato la commissione sui costi del federalismo suggerita dall'ex leader di An e che concluderà i lavori a fine giugno. Una sponda che stavolta Fini ha colto. Ma non per siglare la pace - "niente sarà più come prima" - bensì per dimostrare di avere ragione quando si lamenta che "il governo è a trazione leghista".

Sta di fatto, che fino al ritorno di Napolitano in Italia le misure verranno ulteriormente limate. Il premier ha imposto di alzare il tetto per la tracciabilità, ha elevare la soglia per imporre la tassa del 10% sugli stipendi pubblici (sopra i 150 mila euro) e ha reclamato di rinviare la cancellazione delle province. Tutti emendamenti che Tremonti sta apportando al suo testo. In più, ha imposto al suo ministro le parole d'ordine con cui presentare la manovra: "non siamo in recessione", "facciamo tutto per colpa della Grecia", "le tasse le abbasseremo". Ma il feeling tra i due sembra definitivamente rotto. E tutti se ne sono accorti martedì sera quando il Cavaliere, nella riunione a Via del Plebiscito, si è improvvisamente bloccato e lanciato un'occhiataccia di fuoco al ministro che gli sedeva accanto: "Giulio, perché scrivi quello che dico?". "Mi segno le barzellette che racconti".

(27 maggio 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #58 inserito:: Giugno 13, 2010, 08:55:20 am »

L'INTERVISTA

"La libertà di stampa va difesa più deboli le indagini dei magistrati"

Pisanu: governo di solidarietà nazionale per la crisi economica

di CLAUDIO TITO


ROMA - La legge sulle intercettazioni? Non deve "indebolire un prezioso strumento investigativo né limitare la libertà di informazione". La manovra? Potrebbe non essere sufficiente: serve un governo di "solidarietà nazionale", pilotato da Silvio Berlusconi ma allargato alle forze di opposizione, per affrontare l'emergenza. Beppe Pisanu non usa mezzi termini. Spera che il testo sugli ascolti cambi alla Camera. E avverte che questa fase presenta molte analogie con quella vissuta negli anni '70. "L'altro ieri - spiega - ho votato doverosamente la fiducia condividendo la necessità di bloccare sì gli abusi ma non il rischio di indebolire questo prezioso strumento investigativo e di limitare la libertà di informazione".

Eppure un bel po' di limiti alla stampa sono stati posti.
"Non ho difficoltà a riconoscere che la responsabilità della divulgazione di atti riservati debba essere attribuita a chi ha il dovere di custodirli e non a chi ha il diritto di pubblicarli".

Non c'è anche il rischio, a cominciare dal cosiddetto comma-Ghedini, di penalizzare la magistratura nella lotta contro la criminalità?
"Vedo diverse questioni tecniche e di buon senso che si possono ancora risolvere. Personalmente avrei preferito affrontare una discussione anche lacerante prima di arrivare alla fiducia".

Ma come si apportano le correzioni di "buon senso" a un testo blindato?
"La speranza è l'ultima Dea".

Ma davvero, come dice il presidente del consiglio, la sovranità è in mano ai pm e alla Corte costituzionale?
"La sovranità appartiene sempre al popolo che la esercita però attraverso le istituzioni democratiche".

Berlusconi, però, sostiene che è un inferno governare con questa Costituzione
"Mi pare che la polemica sia rivolta più alla complessità delle procedure e degli accordi politici che ai principi costituzionali. Il presidente Berlusconi sa benissimo, come tutti noi, che con questa Costituzione abbiamo fatto il miracolo economico e costruito la settima potenza industriale del mondo. Nella Parte Seconda ci sono alcune norme che vanno aggiornate. Ma taluni principi essenziali della Parte Prima non possono essere sovvertiti o modificati neppure con leggi di revisione costituzionale come ha stabilito una celebre sentenza della Consulta".

Il ministro dell'Economia vorrebbe un sistema in cui è lecita ogni cosa non espressamente vietata.
"Attenti all'anarchia. Dove non c'è regola, dicono in Toscana, non ci sono frati. E infatti il santo più generoso e rivoluzionario della storia, Francesco d'Assisi, si diede per prima cosa una regola".

E la manovra correttiva è sufficiente?
"Per ora basta. Ma in giro per il mondo si parla già di un "double deep", cioè di una seconda caduta, che ci costringerebbe a decisioni più severe. Peraltro lo stesso Tremonti dice che non siamo al punto più basso di un normale ciclo economico, bensì ad una svolta della storia. E questo, aggiungo io, dovrebbe comportare cambiamenti profondi negli stili di vita, nei modi di produrre, di consumare e anche di fare politica. Altrimenti come ci andiamo all'appuntamento con la storia? Con i fichi secchi di questa manovra?".

E come si va oltre i fichi secchi?
"Intanto bisognerebbe superare la logica dei tagli indiscriminati che, come la falce manzoniana, pareggia tutte le erbe del prato. E andare invece alla boscaglia degli apparati pubblici sempre più costosi e sempre meno utili".

Come le province?
"Certo, e come per tutti gli altri enti intermedi. Tra il comune e lo Stato basta la Regione. La società italiana è stanca di gabbie e gabbiette pubbliche che alimentano il sottobosco politico. Enti regionali, comunità montane, aree industriali, consorzi di bonifica, municipalizzate. Bisogna lasciare spazio alla creatività dei cittadini che si organizzano liberamente, alle istituzioni spontanee della società civile. Basti pensare all'enorme servizio a costo zero del volontariato italiano".

Ma può questo centrodestra affrontare un eventuale "double deep"?
"A condizione che abbia un'intesa di fondo con l'opposizione e con le grandi organizzazioni sindacali. Intendiamoci: qui non si tratta solo di fronteggiare la crisi economico-finanzaria. Ma di arginare e invertire la tendenza al declino generale del nostro Paese".

Negli anni '70, di fronte all'emergenza, nacquero i governi di solidarietà nazionale. È una soluzione?
"Non siamo agli anni di piombo. Però i problemi di governo non sono meno impegnativi".

E un uomo di rottura come Berlusconi può percorrere questa strada?
"Sì, finché gode di un così ampio consenso popolare, Berlusconi può essere la soluzione. Secondo me, tocca a lui lanciare alle forze politiche e sociali dell'intero Paese un appello ampiamente motivato per affrontare insieme l'emergenza e per superare insieme questo tornante della Storia".

Un altro governo sostenuto da Pd e Udc?
"Un governo o una larga maggioranza che comprenda quanti raccolgano questo appello e concorrano a definire un programma di solidarietà nazionale".

Con un tempo definito?
"Certamente sì, perché una volta cessata l'emergenza, come direbbe Aldo Moro, i due schieramenti tornerebbero a essere tra loro naturalmente alternativi".

Come presidente della Commissione Antimafia condivide la connessione tra le stragi di mafia del '93 e la nascita di Forza Italia?
"Il procuratore Grasso ha chiarito quella vecchia congettura escludendo simili legami. La sola cosa certa è che agli inizi degli anni '90 la mafia cercò di dar vita a un partito politico regionale denominato "Sicilia libera". Ma ancora oggi le relazioni delle mafie sono molte e vanno in tutte le direzioni".

Ossia?
"Ci sono stati e ancora ci sono legami inquietanti delle grandi mafie sia con la politica sia con il mondo degli affari, con logge massoniche ultrasegrete, interessi stranieri e pezzi deviati delle istituzioni. Su questi oscuri intrecci bisogna vigilare ancora oggi con scrupolosa attenzione".


(12 giugno 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #59 inserito:: Luglio 17, 2010, 10:46:22 am »

LA POLEMICA

Le condizioni di Fini per la tregua

"Non posso mollare sulla legalità"

Il "confondatore" del Pdl pianta i paletti nello scontro con Berlusconi. I sondaggi mostrano il segno meno per il governo. Il ddl intercettazioni rischia di imboccare la strada del binario morto, la Lega è sempre più innervosita. E il presidente della Camera si è convinto che sia il momento migliore per porre le sue condizioni


di CLAUDIO TITO


"UN'INTESA si può fare solo se è rivoluzionaria". Gianfranco Fini sa che Silvio Berlusconi questa volta cerca una tregua. Per il premier, è "l'unica soluzione". "Altrimenti - ripete come un mantra - tanto vale andare alle elezioni anticipate". Il "Cofondatore", però, pianta i suoi paletti. I sondaggi mostrano il segno meno per il governo. Il disegno di legge sulle intercettazioni rischia di imboccare la strada del binario morto, la Lega è sempre più innervosita dalla paralisi. E Fini, allora, si è convinto che questo è il momento migliore per alzare l'asticella e porre le sue condizioni.

Non a caso lunedì prossimo, Fini farà in modo di tendere ulteriormente la corda. Volerà in Sicilia e, a titolo non solo istituzionale, parteciperà alla cerimonia per commemorare il diciottesimo anniversario della strage di Via D'Amelio, dove persero la vita Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Prenderà parte alla fiaccolata e soprattutto rilancerà il tema della "legalità": tema su cui "non si può mollare". Un fattore che, a suo giudizio, nel Pdl presenta ancora aspetti deficitari. Anzi, ripetono in corso quasi tutti i finiani, "il vero punto debole è proprio la legalità". E ogni riferimento alle ultime vicende e all'inchiesta P3 è assolutamente voluto. Insomma, l'accordo è possibile ma deve modificare le basi su cui è stato gestito fino ad ora il partito. E deve essere centrato sulla "legalità".

Berlusconi, invece, - stretto nella guerra tra falchi e colombe, tra gli ex An e i "neo-forzisti" - gioca l'ultima carta. Boccia come una "manovra contro di me" l'inchiesta sulla P3. In consiglio dei ministri la liquida con una battuta: "Questa è la prima riunione presieduta da "Cesare" Berlusconi". Eppure, la tensione a Via del Plebiscito è altissima. Il Cavaliere cerca l'ultima chance. Scarta perfino la "mediazione politica" per affidarsi a un "esterno". Ossia a Fedele Confalonieri.

E già, perché nei giorni scorsi perfino Gianni Letta si era arreso dinanzi alle rigidità dei due co-fondatori. "A questo punto - aveva detto un paio di settimane fa a Fini - io alzo le braccia. Non posso più fare niente". Ma a riannodare i fili del dialogo ci ha pensato il presidente di Mediaset. Ed è stato lui, lo scorso week end, a prospettare al presidente del consiglio tutti gli aspetti negativi di una rottura. "Guarda - è stato il suo ragionamento - che ci rimettiamo tutti". E il pensiero è volato anche alle prossime sfide televisive con Sky che presto "scenderà" dal satellite per approdare al digitale terrestre. Discorso che - seppure indirettamente - Confalonieri ha fatto pervenire anche al presidente della Camera. "Si può trovare una soluzione, non serve rompere".

Ma soprattutto i consigli dell'amico hanno indotto il Cavaliere a riflettere sugli assetti della maggioranza: "È più pericoloso Fini o Tremonti? Bocchino o Bossi?". Perché il sospetto che il ministro dell'Economia stia erodendo la leadership berlusconiana è ormai un dato acquisito nello staff del premier. Tanto che persino la presenza del Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, alla cena di casa Vespa è stata letta come un segnale al titolare del Tesoro.

Sta di fatto che gli uomini di Fini si sentono rafforzati dalle "vittorie" ottenute, proprio sul fronte della "legalità": con le dimissioni di Brancher prima e di Cosentino poi. E infine con la legge per le intercettazioni che alla Camera verrà stravolta rischiando per di più di finire su un binario morto. Sono poi convinti che anche Denis Verdini, il coordinatore del Pdl, e Giacomo Caliendo, sottosegretario alla giustizia, verranno in tempi brevi posti sotto esame. Sebbene da giorni, proprio il Cavaliere vada ripetendo: "Io, Denis non posso mollarlo. Non posso proprio, sarebbe un errore".

Per questo i "finiani" non intendono mollare sul fronte della "legalità". Anche perché sono convinti che l'arma delle urne anticipate sia ormai spuntata. "L'accordo, allora, è possibile solo se è "rivoluzionario"". Negli incontri più riservati, infatti, l'obiettivo dichiarato dai fedelissimi del presidente della Camera, è quello di evitare le elezioni nel 2011 senza comunque chiudere un patto con il premier. Spostando l'appuntamento al 2012. Sicuri che il presidente del consiglio non abbia in questa fase la forza di imporre la fine della legislatura. "Berlusconi - sono i loro conteggi sulle forze in campo - può anche strapparci 4-5 parlamentari, ma se c'è la possibilità di un governo istituzionale, ne troviamo 30 dei suoi pronti a difendere la loro permanenza in Parlamento".

E forse non è un caso che ieri l'inquilino di Via del Plebiscito, abbia rilanciato il piano "quinquennale" del suo esecutivo. "Nessuno mi butterà giù. E comunque non si ripeterà un altro '94". Ma poi cerca di ridimensionare le richieste di Fini che a suo giudizio punterebbe a "ridisegnare" l'organigramma del Pdl e dei gruppi parlamentari: "Vorrebbe una struttura con due coordinatori, uno suo e uno mio. E vuole un vicecapogruppo vicario alla Camera e al Senato". Ma forse la tregua definitiva è ancora lontana.

(17 luglio 2010) © Riproduzione riservata
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