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Autore Discussione: CLAUDIO TITO.  (Letto 81239 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Aprile 19, 2012, 05:01:03 pm »

RETROSCENA

La road map di Monti per il dopo voto "Serve un programma di otto anni"

L'avvertimento del Professore ai partiti: "lo spread non dipende solo dall'economia, i mercati vi valutano".

Il premier dice: "Il post elezioni non mi riguarda".

I timori di Berlusconi

di CLAUDIO TITO

"IO HO solo fatto un discorso di verità". La ripresa non è vicina. I tempi per rimettere in carreggiata l'Italia sono lunghi, anzi "lunghissimi". E il lavoro è appena "cominciato". Dall'osservatorio di Palazzo Chigi, Monti disegna un quadro di interventi e di emergenza che va ben oltre la primavera del 2013.

Il Def (il Documento di economia e finanza) e il Pnr (il Programma nazionale di Riforme) sono per loro natura elaborazioni che tratteggiano interventi a lunga scadenza. Ma per molti, soprattutto per i leader che sostengono l'attuale esecutivo, sembrano in primo luogo predisporre la base per una "permanenza" del Professore anche dopo le prossime elezioni. "Il dopo non mi riguarda", ripete ossessivamente il capo del governo. Vuole allontanare ogni sospetto che la sua azione sia mirata a costruire un "futuro politico". Sa bene che la reazione dei partiti non sarebbe un buon corroborante per l'azione dell'esecutivo. Eppure la tentazione di lasciare inalterato l'attuale quadro istituzionale - almeno nei suoi principali vertici - si sta sempre più affacciando in una parte della "strana coalizione". Basti pensare all'operazione che sta conducendo Pier Ferdinando Casini: un nuovo partito che metta insieme il Terzo polo, esponenti del mondo imprenditoriale e sindacale, e uomini dell'attuale "governo tecnico". Una formazione che appare fatta su misura per l'ex rettore.

Di sicuro, però, Monti non ha alcuna
intenzione di candidarsi alle prossime elezioni. Discendere in campo in una competizione tra parti opposte. Nella sua agenda non c'è posto per una "corsa" in rappresentanza di uno schieramento. Nello stesso tempo è consapevole che quanto accadrà il prossimo anno non può essere indifferente al programma del governo, anzi in parte dipenderà da come si muoverà in questi mesi l'inquilino di Palazzo Chigi. "Lo spread - ha spiegato il Professore in questi giorni a tutti i suoi interlocutori, anche ai segretari di partiti ricevuti martedì sera a Palazzo Chigi - non dipende solo dai dati della nostra economia. I mercati guardano anche a cosa accadrà dopo". Una frase che ha lasciato con il fiato sospeso alcuni dei partecipanti al vertice. E del resto, il Professore ha fatto notare che l'affidabilità italiana dipende anche dalla riforma dei partiti. Non solo. Al suo staff ha rimarcato che il Def agisce secondo una "logica pluriennale" e che "i partiti dovrebbero approvare una forte mozione per vincolarsi a questo schema". Con l'obiettivo di tranquillizzare gli investitori internazionali e dare continuità all'azione di risanamento avviata dallo scorso novembre.

Una strada che ha fatto scattare il campanello d'allarme soprattutto nel Pdl. Silvio Berlusconi - spalleggiato dalla componente più agguerrita degli ex An - ha cominciato a organizzare un fuoco di sbarramento. Sparando alzo zero anche verso il ddl anticorruzione e la riforma Fornero. "Sta lavorando per il dopo. Lui insieme a Passera", si è sfogato il Cavaliere con i fedelissimi. Persino il blocco del Beauty contest è stato interpretato come una tappa di un percorso che va oltre il 2013. Anche perché l'ex presidente del Consiglio teme che un eventuale "Monti due" non sarebbe propriamente "tecnico" ma sostenuto da una maggioranza politica. Con due architravi: il Pd e il Terzo polo. E diversi esclusi: il Pdl, l'Idv di Di Pietro e la Lega targata Roberto Maroni. Non è un caso che il giorno dopo il vertice, il segretario del Popolo delle libertà Alfano abbia tirato fuori dal cappello un vecchio refrain berlusconiano: "Basta tasse". E non è nemmeno un caso che da qualche giorno il leader dell'Idv stia in privato esprimendo un sogno: ricomporre la foto di Vasto, candidando alla premiership "una come Rosy Bindi". Una mossa che punta a mettere in difficoltà il capo del Pd, Pierluigi Bersani.

"Ma il dopo - insiste Monti - non mi riguarda". Anche se negli ultimi giorni lo stesso presidente del consiglio ha seguito con preoccupazione i tanti distinguo emersi nella sua maggioranza. A cominciare dalla fibrillazione che sempre più spesso accompagna i rapporti con il Pdl. Fattori - secondo i Colonnelli berlusconiani - che possono in qualche sospingere il governo non tanto verso la crisi ma nella "palude" della inazione. E quindi approdare alla fine della legislatura senza un potenziale concorrente "tecnico". Un pericolo che ha scosso non poco il Professore. "Convoco i vertici - ha spiegato ai suoi uomini - per dare indicazioni e per raccogliere suggerimenti: perché i voti in Parlamento non li porta la cicogna". "Ma - ha puntualizzato - siamo noi a fissare l'agenda, siamo noi i "driver"". Anche per questo intende velocizzare l'approvazione della riforma del lavoro e modificare le linee guida con cui quel provvedimento è stato comunicato. Puntando sull'idea che in Italia è stato trasferito lo "standard della Germania".

Ma il punto resta sempre lo stesso: quali scelte compiranno gli elettori e il sistema politico nella primavera del 2013. E se ancora ieri il Fondo monetario internazionale ha confermato che il prossimo anno l'Italia sarà ancora in deficit, il Programma nazionale di Riforme del governo non è molto più ottimista. "Il Pnr - si legge nel documento messo a punto da Monti - è una tappa che deve ripetersi ogni anno fino al 2020" e "fissare obiettivi di lungo termine è una carta da giocare per stimolare l'opinione pubblica". E ancora: "L'esperienza di questo governo nasce sotto il segno dell'urgenza" e "non tutti i problemi sono stati risolti con lo sprint di quest'ultimo anno. Molto resta da fare". Accenti che per molti rappresentano ormai le prime stazioni di un percorso che non si conclude tra un anno. E chi sa se nell'incontro "privato" e senza intermediari con Benedetto XVI, si sia parlato anche del futuro dell'Italia?

(19 aprile 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/04/19/news/monti_programma_anni-33550315/
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« Risposta #106 inserito:: Dicembre 07, 2012, 04:27:19 pm »

La trincea di Monti dopo l'attacco del Pdl: "Ci sfiducino, si assumano la responsabilità"

Berlusconi punta far saltare incandidabilità e processo Ruby.

Il Pd non voterà altri provvedimenti "antipopolari" senza che il Pdl faccia altrettanto. Il Quirinale pensa al voto il 10 marzo

di CLAUDIO TITO

"Se vogliono la crisi, ci sfiducino. Si assumano la responsabilità di far cadere il governo e di far schizzare lo spread". Mario Monti edifica l'ultima linea Maginot del suo governo. Concorda ogni mossa con Giorgio Napolitano per rispondere all'attacco di Silvio Berlusconi. E stabilisce con il presidente della Repubblica la linea di condotta per impedire che le "truppe" del Pdl aggirino la "linea".

Prendere tempo, sfidare il centrodestra sul piano istituzionale. E blindare il percorso che solo pochi giorni fa il capo dello Stato aveva tracciato per arrivare alle elezioni: scioglimento delle Camere il 10 gennaio e voto il 10 marzo, se possibile con l'election day. "Perché non basta una semplice astensione per provocare una crisi di governo. Ci sfiducino e soprattutto si prendano tutta la responsabilità di mandare al macero alcune delle leggi più importanti".

La rottura tra il premier e il Cavaliere, del resto, è ormai definitiva. E va oltre il rapporto politico. Si tratta di una frattura anche personale: "Avete visto quanti insulti?". L'ultimo contatto tra i due, infatti, non è stato affatto sereno. Tutto concentrato sul decreto legislativo che prevede l'incandidabilità dei condannati. Ieri mattina improvvisamente il telefono è diventato rovente. La tensione ha subito improvvisamente un picco. Mancavano poche ore al Consiglio dei ministri
e gli "ambasciatori" dell'ex premier avevano trasformato quel testo in un vero e proprio ricatto.

Le parole del ministro Passera piuttosto critiche nei confronti di Berlusconi sono solo un pretesto per far salire la temperatura prima al Senato e poi alla Camera. Il Professore a quel punto parla con il ministro. Che poco dopo lascia contrito Palazzo Madama: "La cosa più importante è che il Senato abbia approvato il decreto Sviluppo". Ma l'allarme scatta anche sul Colle. I dati della Borsa di Milano e del differenziale tra Btp e Bund tedeschi ricominciano a trottare: verso il basso i primi e verso l'alto i secondi. Napolitano chiama quasi tutti i leader, a cominciare da Bersani e Casini. I contatti con il ministero del Tesoro diventano costanti.

La preoccupazione, però, rapidamente diventa un'altra. Perché le trattative con gli esponenti del Pdl non si limitano alla definizione del decreto legislativo dell'esecutivo. Dietro quel testo, spicca dell'altro. Ben più decisivo per il capo del centrodestra. E tutti lo capiscono in un batter d'occhio. L'obiettivo di Berlusconi è quello di ottenere in un colpo solo almeno quattro risultati: affondare l'incandidabilità, archiviare la riforma elettorale, strappare l'election day. E in ultimo sperare che anticipando la campagna elettorale, possa contare sul ricorso sistematico al legittimo impedimento per il processo Ruby. Una tattica processuale, dunque, finalizzata a evitare la sentenza prima del voto. Il suo incubo, infatti, è quello di ritrovarsi già a fine dicembre o inizio gennaio una condanna che trasforma la campagna elettorale in una corsa ad handicap.

Il tutto condito dalla possibilità di licenziare con un gesto della mano le polemiche intestine sulle primarie e di costruire la propaganda del partito sulla critica al governo Monti, sull'attacco all'Unione europea e soprattutto sul rifiuto dell'Imu. L'imposta sugli immobili che proprio in questi giorni gli italiani stanno pagando. "Dobbiamo prendere le distanze da Monti - ripeteva ieri il leader del Pdl - solo così possiamo recuperare il terreno perduto". E l'astensione a Montecitorio e Palazzo Madama mirava appunto ad avere la certezza di uno scioglimento in tempi brevi più che a una classica crisi di governo. "Alla Camera - si è sfogato Berlusconi - Monti non arriva a 316. Un anno fa mi aveva detto che non si può governare se non si hanno 316 deputati. Ecco, allora Monti non può governare".

Una strategia che è risultata subito piuttosto chiara al Qurinale. Che oggi ascolterà le ragioni del segretario Alfano. Ma la posizione di Napolitano è piuttosto ferma. Al momento - dicono - non c'è stato alcun atto istituzionale che imponga l'apertura di una crisi. Il presidente del Consiglio non è stato sfiduciato. Quindi allo stato vale il calendario già previsto: scioglimento delle Camere intorno al 10 gennaio e voto il 10 marzo. Compatibilmente con le sentenze del tar, election day con le regionali. Se per il Lazio non sarà possibile, si terranno prima le elezioni per scegliere il dopo-Polverini e tutte le altre a marzo. "Sono gli altri - è il ragionamento che l'inquilino del Colle ha fatto a tutti i suoi interlocutori - a doversi pronunciare". Anche perché se questo è l'iter, non avrebbe senso provocare una crisi in questi giorni per anticipare di una settimana l'indizione delle urne. Senza contare che da tempo il capo dello Stato aveva chiesto a tutti i rappresentanti della "strana maggioranza" di arrivare in primavera con un governo non dimissionario: per affrontare due delicati vertici europei e un grappolo di aste di titolo di Stato.

Non a caso il Pdl in serata inizia a frenare. Alfano assicura che il decreto Sviluppo e la Legge di Stabilità non correranno alcun pericolo. Ma nel piano del Cavaliere, la crisi è solo una eventualità, pronto a concretizzarla se le garanzie richieste non verranno fornite. Il cuore di tutto, però, non è la sfiducia ma tutto il resto: far votare la Lombardia insieme alle nazionali, far risorgere il Porcellum e far saltare di fatto l'incandidabilità che, essendo un decreto legislativo, dovrà ricevere obbligatoriamente il parere delle commissioni di Camera e Senato. Ma con lo scioglimento in tempi brevi, quel parere non verrà mai espresso.

Nello stesso tempo il clima di "pre-crisi" apre un fronte anche negli altri due partiti della "strana maggioranza". Pd e Udc non vogliono essere solo l'estremo presidio della Linea Maginot in chiave montiana. "Noi siamo responsabili e vogliamo arrivare a fine legislatura - ha spiegato il segretario democratico Bersani sia a Napolitano, sia al premier - ma non possiamo accettare che mentre il Pdl prende le distanze e inizia la campagna elettorale, noi sopportiamo da soli il peso di sostenere l'esecutivo". Un modo per dire chiaramente che lo strappo berlusconiano non è più componibile. Soprattutto il Pd non accetterà di votare altri provvedimenti senza condividerne l'impopolarità anche con il Popolo delle libertà: "Non ci sono altre maggioranze". Ma i democratici coltivano anche un desiderio: aprire le urne il prima possibile. Per incassare il successo delle primarie.

(07 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/07/news/monti_trincea-48238895/?ref=HREA-1
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« Risposta #107 inserito:: Dicembre 19, 2012, 11:40:17 pm »

Monti, quattro liste per federare il centro: "Non starò fermo, è problema morale"

Il premier oggi vede Montezemolo e chiude la porta a Berlusconi.

Nella piattaforma  programmatica ci saranno una serie di  clausole "anti-Cavaliere".

L'ipotesi di quattro liste: Udc, Fli, transfughi del Pdl e montiani doc, con dentro il presidente Ferrari e vari ministri.

Bersani: "Noi siamo obbligati a parlarci. Tra prendere alle elezioni il 51% o il 49%, io preferisco il 49%. Non voglio fare tutto da solo" 

di CLAUDIO TITO


"MOLTI mi definiscono tentato. Tentato di fare una lista, tentato di candidarmi. Di certo non cadrò nella tentazione di stare fermo, di rimanere immobile nel mio scranno di senatore a vita nell'aspettativa o nella speranza di ricevere qualcosa". L'annuncio ufficiale probabilmente ci sarà alla fine della settimana. Dopo le dimissioni e lo scioglimento delle Camere. Ma ieri, Mario Monti ha di fatto già tratto il dado.

Il professore ha parlato con diversi esponenti del costituendo "blocco di centro". Ne ha saggiato le intenzioni e le disponibilità. Ha visto Franco Frattini, ha parlato con Luca Cordero di Montezemolo che oggi incontrerà di persona e ha iniziato a stendere i primi passaggi della "piattaforma" programmatica con la quale dare il via all'operazione-candidatura. Una svolta che ora contempla la possibilità di dar vita ad una "Federazione" di partiti e forze politiche centriste. Quattro liste così suddivise: quella dell'Udc, quella di Fli, quella dei fuggitivi del Pdl (Frattini e Pisanu) e quella strettamente "montiana" con il presidente della Ferrari, alcuni ministri "tecnici" come Riccardi e Passera e solo esponenti della società civile. Il tutto racchiuso in una coalizione il cui "capo politico" - come prevede la legge elettorale - sarebbe dunque il presidente del consiglio.

Certo i dettagli sono ancora da definire. Non è infatti ancora esclusa l'ipotesi della "Lista unica". Sta di fatto che il ragionamento
ascoltato da tutti gli interlocutori del Professore, è stato ieri per la prima volta piuttosto netto. "Non cadrò nella tentazione di restare fermo perché mi pongo il problema morale di dare un contributo al Paese anche se dovrò pagare in termini personali". Il premier teme infatti di dover affrontare gli attacchi del Pdl. La propaganda televisiva di Berlusconi che è già scattata negli ultimi giorni. Ma anche il nervosismo di una parte del Pd. Che in queste settimane ha sempre suggerito di mantenere una linea di neutralità.

Eppure la linea del confronto con il segretario democratico, Pierluigi Bersani, non si è affatto interrotta. Entro venerdì ci dovrebbe essere un altro lungo faccia a faccia tra i due per mettere sul tavolo tutte le opzioni e per tentare una strada "concordata". "Noi - gli aveva detto il leader pd l'altro ieri - siamo obbligati a parlarci. Per il presente e per il futuro". Nella stessa occasione ha fatto notare come i ruoli possano essere complementari. "Tu rassicuri i mercati e Bruxelles, io posso garantire sul piano sociale i sindacati".

E in effetti "Mario e Pierluigi" sembrano comunque destinati a organizzare un percorso comune in una qualche forma. Sempre lunedì scorso, il capo dei democratici lo aveva invitato a "non dare il nome" alle liste che si formeranno al centro. Ma la questione è rimasta in sospeso. E del resto che ci sia la necessità di un nuovo colloquio, lo prova il fatto che la sintonia non è totale anche se il rapporto personale non si è incrinato. Non a caso il segretario continua a ritenere che l'alleanza con i moderati non sarà eludibile. Nei suoi progetti il dopo-voto vedrà come prima tappa il dialogo con i centristi. "Tra prendere alle elezioni il 51% o il 49% - spiega Bersani - io preferisco il 49%. Non voglio avere la "tentazione" di fare tutto da solo".

Ora, però, il disegno di Monti sta assumendo un profilo un po' diverso rispetto a quello immaginato dai democratici. Secondo i vertici di Largo del Nazareno rischia di connotarsi come una sfida diretta. Che può compromettere le future alleanze e assegnare un diverso equilibrio istituzionale. Un chiaro riferimento all'elezione del prossimo presidente della Repubblica prevista per il prossimo aprile. Sebbene, ai piani alti di Palazzo Chigi, molti fanno notare che nella "corsa" verso il Quirinale troppe volte "chi è entrato Papa è uscito cardinale".

Tant'è che nei contatti che ieri ha avuto Monti, l'ipotesi di utilizzare la formula "Per Monti" - quella sconsigliata da Bersani - ha accompagnato tutte le riflessioni. Che si presenti una "Lista unica" o si allestisca una "Federazione" di quattro movimenti, in ogni caso nei simboli figurerà quella scritta: "Per Monti". Una soluzione, del resto, che venne adottata in circostanze analoghe nel 1996 dal Ppi che inserì nel suo simbolo due parole "Per Prodi". Nelle ultime ore sta prendendo quota l'opzione federativa. Casini non sarebbe favorevole, preferirebbe la soluzione "unitaria". Ma per gli altri, a cominciare dal capo di ItaliaFutura si tratterebbe di un modo per evitare imbarazzi ai diversi protagonisti e per "pesarsi" nelle urne.

Basti pensare, ad esempio, che nei giorni scorsi è stato esplicito il veto montezemoliano nei confronti di Gianfranco Fini. Casini quindi presenterebbe la sua Udc, il presidente della Camera il Fli, i trasfughi del Pdl una lista "montiana" che veda solo quelli come Frattini, Pisanu e Mauro che da tempo hanno dichiarato il loro addio a Berlusconi, e infine i "montiani doc". Montezemolo (che dovrebbe essere capolista in tutte le circoscrizioni) e Riccardi, Passera e Olivero. Neanche un politico al loro interno al punto che non sanno come "recuperare" Nicola Rossi, senatore ex Pd.

Di tutto questo proprio Montezemolo parlerà oggi a Roma con il Professore. Un incontro fissato per studiare le prossime mosse in vista dell'annuncio definitivo che potrebbe esserci domenica prossima: dopo le dimissioni (venerdì) e lo scioglimento delle Camere (sabato). Anche se potrebbero essere dei ritardi se dovesse slittare l'approvazione della Legge di Stabilità o se venisse richiesto a gran voce un "passaggio" in Parlamento del governo per verificare l'esistenza o meno di una maggioranza prima di interrompere la legislatura.

Di sicuro l'intera operazione si costruisce su una vera propria "conditio sine qua non": Berlusconi e i berlusconiani che non si sono pentiti per tempo devono rimanere fuori. Basti pensare che la piattaforma programmatica in gestazione prevede almeno tre punti che connotano il documento in chiave "anti-Cavaliere". Non solo. È prevista anche una sorta di "clausola anti-Brunetta" in base alla quale gli esponenti del "Nuovo centro" dovranno impegnarsi a non attaccare i paesi europei (a cominciare dalla Germania), difendere l'euro e tutelare l'Ue.

Che i tempi della discesa in campo siano comunque ormai stretti, lo conferma anche l'ultimo colloquio che ieri c'è stato con il presidente della Repubblica. Nei giorni scorsi le tensioni non sono mancate e il premier ha cercato di ricomporre tutti i dissidi. E forse diradare le ombre sul decreto "taglia-firme" per presentare le liste con l'assicurazione che nessuno formerà una "componente politica" nei gruppi misti di Camera e Senato per evitare di raccogliere le sottoscrizione al momento di depositare il simbolo "Per Monti".
 

(19 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/19/news/monti_quattro_liste_per_federare_il_centro_non_star_fermo_problema_morale-49058425/?ref=HREA-1
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« Risposta #108 inserito:: Febbraio 11, 2013, 11:50:06 pm »

Pdl assente ai Patti Lateranensi: ultimo strappo con la Chiesa

Né Alfano né Berlusconi parteciperanno al ricevimento di domani.

Da Bertone-Bagnasco stop a Silvio: l'asse tra Segreteria di Stato e Cei vede favorevole anche l'Appartamento papale. Ma Ruini e i conservatori: centrodestra male minore

di CLAUDIO TITO

L'ULTIMO strappo tra i vertici della Chiesa italiana e il Pdl si è consumato proprio in queste ore. Con uno sgarbo che Segreteria di Stato e presidenza della Cei considerano poco digeribile.

Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, infatti, dopo aver disertato il concerto con il Papa, non prenderà parte nemmeno al tradizionale ricevimento che celebra l'anniversario dei Patti Lateranensi. Ci sarà Mario Monti, in qualità di presidente del consiglio, e il leader Udc, Pier Ferdinando Casini. Pierluigi Bersani, invece, presente al concerto con Benedetto XVI ha fatto sapere per tempo di non poter partecipare all'appuntamento.

A meno di un cambio di programma dell'ultima ora da parte di Alfano (che comunque verrebbe considerato tardivo dal punto di vista dei rapporti "politici"), domani pomeriggio nella sede dell'Ambasciata italiana presso la Santa Sede non ci sarà quindi nessuno dei "big" del Pdl. Non essendo previsto neanche Silvio Berlusconi. Non mancherà l'"ambasciatore" del Cavaliere, Gianni Letta, ma si tratta comunque di una lesione nei contatti tra Chiesa e centrodestra mai così evidente. Anzi, la "fotografia" nei saloni di Palazzo Borromeo dei cosiddetti "colloqui in piedi" senza una "presenza berlusconiana" non ha di fatto precedenti dal 1994. Del resto l'allontanamento delle attuali gerarchie ecclesiastiche dai rappresentanti pidiellini negli ultimi due anni è stato progressivo.

Eppure la "foto" di domani è anche il frutto di un ultimo scontro che si sta consumando all'interno della Conferenza episcopale italiana e con la Segreteria di Stato. Una battaglia che in questo caso vede alleati Tarcisio Bertone, numero uno della Curia, il presidente della Cei Angelo Bagnasco e l'Appartamento papale. Sull'altro fronte la "destra curiale" che sul versante della Cei si basa sull'asse cosrtuito da Ruini con il Patriarca di Venezia Moraglia e all'interno del Vaticano sulla convergenza tra il prefetto della Congregazione per il Clero Mauro Piacenza e monsignor Balestrero.

L'ultimo affondo della "corrente" ruiniana, infatti, c'è stato in occasione delle formazione delle liste elettorali. Secondo Don Camillo, il Cavaliere resta il "male minore" e lo strumento per conseguire un "risultato utile", al punto di benedire nel Lazio il patto tra Francesco Storace e Eugenia Roccella. "Berlusconi - va ripetendo da settimane - i voti ancora ce li ha". L'ipotesi di un'intesa tra il centrosinistra e la lista di Monti viene considerata "inappropriata". Non a caso, proprio i "bracci armati" di Ruini - a cominciare da Monsignor Fisichella - avevano chiesto a gennaio ai rappresentanti di Scelta Civica e al leader centrista Casini di mettersi alla guida di un nuovo centrodestra cercando di replicare una sorta di "Operazione Sturzo". Con l'obiettivo, appunto, di rendere impossibile la successiva alleanza con lo schieramento di Bersani in virtù dei "valori non negoziabili".

Una linea contestata dall'asse Bertone-Bagnasco. Entrambi, infatti, considerano la presenza del Cavaliere nella corsa elettorale un ostacolo insormontabile sia a causa delle vicende Noemi e Ruby, sia per l'immagine internazionale dell'ex premier. Dopo le tensioni piuttosto vistose dei mesi scorsi, quindi, tra Segreteria di Stato e Cei è stata siglata una sorta di "tregua operosa". Resa plasticamente visibile alla presentazione alcune settimane fa del libro "La porta stretta" che raccoglie le prolusioni del presidente della Cei. Un patto che, secondo gli uomini più vicini ai vertici episcopali e della Curia, si basa anche sui nuovi orientamenti dei credenti praticanti. L'attivismo "ruiniano", infatti, non sembra aver preso piede tra i cattolici di base se si considera il recente sondaggio pubblicato dal mensile Jesus: Pd e Scelta Civica sono in cima alle loro preferenze e il centrodestra scivola sempre più dietro. Anzi, tra quelli che un tempo votavano per il Cavaliere emerge la tentazione-Grillo. Per di più i "valori non negoziabili" non vengono considerati un criterio fondamentale per le scelte politiche. La disposizione verso il superamento del "rapporto esclusivo" con il centrodestra sta diventando quindi il perno di quella ricucitura di rapporti tra Bertone, Bagnasco e l'Appartamento papale. Basti pensare all'appello lanciato pochi giorni fa proprio dal capo della Cei che tutti hanno interpretato come un ulteriore stop al Cavaliere: "Gli italiani hanno bisogno della verità delle cose, senza sconti, senza tragedie ma anche senza illusioni. La gente non si fa più abbindolare da niente e da nessuno".

Ma questa scelta viene appunto criticata dalla componente "ruiniana" e dai conservatori. Al punto di tentare un accordo con l'ala più conservatrice della Chiesa. Non è un caso che di recente sia partita un'offensiva diplomatica con il Cardinale Piacenza (che aspirava alla successione di Bertone in Segreteria di Stato), con Moraglia (Patriarca di Venezia), e con l'arcivescovo di Ferrara Luigi Negri (vicino a Cl) e monsignor Balestrero (Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati). A loro è offerta una sponda per creare un nuovo rapporto di forze. Si tratta di uno scontro che dentro la Curia richiama alla memoria il vecchio duello tra Papa Montini, Paolo VI, e l'arcivescovo Roberto Ronca, esponente della destra romana e della corrente più tradizionalista di Coetus Internationalis Patrum. Ma soprattutto ha aperto con un certo anticipo la scacchiera per il futuro Conclave.

Sta di fatto che in questa fase Bertone e Bagnasco non intendono accettare l'idea di una nuova concessione a Berlusconi ne giustificare alcune sue gaffe con il pricipio della "contestualizzazione". I vertici della Cei, prima di optare per l'addio definitivo, avevano chiesto proprio ad Alfano - ottenendole - garanzie sulla necessità che Berlusconi non sarebbe ricandidato come guida. Assicurazioni che poi sono state smentite. Le differenze tra il Segretario di Stato e il presidente della Cei riguarderanno semmai la gestione delle scelte per il dopo voto. Ma al momento c'è un anello che li unisce: guardare al dopo-Berlusconi.

(11 febbraio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/02/11/news/pdl_assente_ai_patti_lateranensi_ultimo_strappo_con_la_chiesa-52371294/
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« Risposta #109 inserito:: Aprile 04, 2013, 05:25:37 pm »

Pd, parte l'offensiva di Renzi: "Subito al voto, io sono pronto"

Il sindaco di Firenze esce allo scoperto: "Troppo tempo perso, meglio votare. Pronto a correre per le primarie".

Poi ammette: "So che sarebbe meglio tacere, ma ormai esiste un problema Paese"

di CLAUDIO TITO


"SI STA perdendo tempo. È chiaro a tutti. A questo punto io sono per votare. Dopo di che, Bersani decida cosa fare. Se vuole fare un accordo con Berlusconi o con qualcun altro, lo faccia". Matteo Renzi rompe gli indugi.

Matteo Renzi rompe gli indugi. La tregua che era stata siglata dopo le primarie dello scorso autunno è ormai saltata. La battaglia è tornata in campo aperto. E il duello è ancora con Pierluigi Bersani. Che, a suo giudizio, ha deciso di "surgelarsi" dopo la "non-vittoria" alle ultime elezioni. La "nuova" corsa per la premiership sembra allora riaprirsi: "Io mi voglio candidare".

Il patto di non belligeranza con il segretario pd dopo il voto dello scorso febbraio è dunque già archiviato. La crisi di governo che al momento si sta rivelando senza sbocco è per il sindaco di Firenze una "perdita di tempo" che sospinge il Paese "sull'orlo della fine". Soprattutto è stata gestita in modo sbagliato. "Pierluigi - insiste scandendo le sillabe - prenda una decisione. Non si può stare fermi in attesa che ottenga l'incarico". Prima il tentativo del leader democratico, poi l'istituzione dei "saggi", quindi l'attesa per l'elezione del nuovo capo dello Stato. Tutti elementi che l'ex rottamatore non riesce a digerire: "La clessidra è agli sgoccioli, serve credibilitàpolitico-istituzionale". Così, subito dopo aver partecipato alla cerimonia organizzata dalla Cgil della "avversaria" Susanna Camusso per i 120 anni della Camera del lavoro, si lascia andare ad un lungo sfogo. Anche con i militanti dello stesso sindacato. Pure con loro non nega nulla delle sue intenzioni. "Bersani decida. Vogliono fare un accordo, lo facciano. ma prendano una decisione".

La situazione però sembra in stallo a causa dei risultati elettorali. Perché punta il dito contro il segretario? "Non possiamo dire un giorno "Berlusconi in galera" - scuote la testa - e il giorno dopo proporgli la guida della Convenzione per le riforme o come l'hanno chiamata. Che messaggi lanciamo? Incomprensibili. La sensazione è un'altra: che si continua a traccheggiare. Ma il Paese non se lo può permettere".

Lei ha una ricetta diversa? "O facciamo un accordo o si vota. Ma evitiamo di perdere altro tempo. Se si decide di votare, si vada a votare. Ma non possiamo assistere al teatrino del più grande partito italiano che chiede a qualcuno di dargli i voti per far nascere il governo e poi precisa alla stessa persona "ma io con te non parlo"".
Scusi, ma crede davvero che si possa votare a giugno? "Certo, si può votare a giugno. Se poi Bersani riesce a fare un governo, bene. Se riesce a fare le larghe intese, bene. Ma si faccia qualcosa". E se le urne si indicono a giugno c'è il tempo per organizzare le primarie? Il calendario non sembra darle ragione. "Ma se si vuole, si possono convocare anche in tempi brevi. Se si vuole, certo. E io sono pronto a candidarmi alle primarie. Il punto, però, è un altro".

Quale? Il Sindaco di Firenze ricorre alle le stesse parole usate nella sua città con gli iscritti della Cgil e anche con la Camusso con la quale ha parlato riservatamente al termine della manifestazione di ieri mattina. "C'è un Paese che sta morendo. Mi chiedo: le vedono le aziende che chiudono? Li vedono i giovani disoccupati. Eppure anche il tanto odiato New labour inglese aveva quella parola, "Lavoro", al centro del suo programma. Oggi rischiamo con questa indecisione di far affondare la Repubblica democratica fondata sul lavoro sulle rendite o su chi pensa di potersi permettere altri ritardi". "Io so - ammette - che così facendo sto mettendo un paletto negli occhi del Pd.

Lo so che sarebbe meglio stare in silenzio, me lo dicono tutti. Ma io non faccio politica per questo. Sono stato zitto e buono fino ad ora, ma non posso nascondere che esiste un problema-Paese. E non posso nascondere che il mio partito deve chiarire un percorso. Ma vi rendete conto che stiamo ancora con il governo Monti che deve rinviare il decreto per i debiti della Pubblica Amminstrazione? È possibile? Per me no". Ne ha parlato anche con il segretario della Cgil? "Certo, e mi ha detto che avevo ragione". "Anche se - aggiunge sorridendo - ho messo il maglioncino blu come Marchionne".

La Camusso, in realtà, non è mai stata una sua sostenitrice. "Lo so, ma questo non cambia i termini dell'emergenza. Che deve impegnare tutti. Per questo io ho detto: Signori cari, basta anche con il finanziamento pubblico dei partiti. Poi ho tirato fuori l'elenco di chi mi ha finanziato, l'ho reso pubblico. Non l'ha fatto nessun altro. E su questo discorso molti bersaniani sono disponibili, ne sono sicuro. Il mio è un discorso molto semplice: bisogna recuperare un minimo di serietà. Non si può stare fermi in attesa che Bersani ottenga l'incarico. In attesa del nuovo presidente della Repubblica. È ridicolo rimanere con un incaricato surgelato. Facciamo qualcosa: il governo del presidente, le larghe intese, o si vada a votare".

E se il sindaco fiorentino si rilancia nella corrida delle primarie, quale alleanza proporrà? "Quella di centrosinistra, non c'è dubbio". Ma perché ha deciso di chiedere le urne a giugno? "Berlusconi vuole il voto a giugno proprio per non dare spazio a me. Noi possiamo sfidarlo. Se corro io, lui è difficoltà. Basta vedere i sondaggi. Allora mettiamo la palla a terra e ragioniamo. Individuiamo un percorso serio per il Paese. Altrimenti ci fottono. Ma quando dico queste cose, mi sembra di sognare. Anzi di vivere un incubo. Mi sembra incredibile che non si capisca la crisi terribile che vivono gli italiani. Solo i sindaci se ne accorgono? E allora non me ne frega niente di stare zitto, io non sto zitto se l'Italia va a rotoli".

Quando si parla di centrosinistra si intende anche Scelta Civica di Monti? "No. I voti non si trasferiscono, non te li regalo nessuno. O li pigli o non li pigli. La gente o vota Renzi o vota Berlusconi". O Beppe Grillo. "E infatti non ho proposto l'abolizione del finanziamento pubblico per caso. L'avevo già fatto e ora sembra che sia stato lui a chiederlo. Ma mica possiamo stare qui ad aspettare che Grillo ci prenda per il sedere. A me non va che sia lui a dirci cosa dobbiamo fare. Non mi faccio dettare l'agenda da lui". E quindi? "Quindi diciamo cosa abbiamo già fatto. Ho scritto un tweet con i risparmi del comune: meno 8 milioni per l'affitto delle sedi, giunta dimezzata, meno Irpef, Imu al minimo". Però lei fino allo scorso anno ha condotto la campagna elettorale sulla "rottamazione". Cambierà registro? "Questo Paese ha bisogno di cambiare, di crescere. Sto preparando un "Job act", un piano per l'occupazione. Il lavoro è al primo posto".

(04 aprile 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/04/04/news/renzi_governo-55902948/?ref=HREA-1
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« Risposta #110 inserito:: Giugno 01, 2013, 04:56:04 pm »



Berlusconi: "Non può decidere Adriano".

Ora Galliani rischia, Barbara pronta a scalzarlo

La figlia dell'ex premier punta al posto di ad e a un ruolo per Maldini. Il Cavaliere irritato con il dirigente ma non vuole umiliarlo.

Anche Gianni Letta e Malagò in campo per il trasferimento del tecnico a Roma: il n.1 Coni informò Pallotta del via libera del Cavaliere

di CLAUDIO TITO
   
   

ROMA- "Mi dispiace per Adriano, ma devo dare ragione a Barbara. Non può essere lui a scegliere chi allena il Milan".
I rapporti tra Silvio Berlusconi e Galliani, l'amministratore delegato del Milan, non hanno mai toccato una fase tanto negativa.

Il loro sodalizio è noto. La sintonia calcistica anche. Ora però qualcosa sta cambiando. Si sa, il Cavaliere considera la squadra rossonera non solo un brand o una semplice passione sportiva, ma qualcosa di più. Un vero e proprio marchio da spendere anche in politica. Una sorta di vestito della popolarità e dell'immagine vincente da indossare quando serve. Per questo ha sempre considerato il Milan un "suo" strumento. E per questo, stavolta, l'ex premier non riesce proprio a digerire quella che definisce una "impuntatura di Adriano". Ossia la conferma di Massimiliano Allegri.

Negli ultimi giorni infatti, Berlusconi ha fatto sapere - anche a parlamentari e ministri del Pdl - che non può accettare che "il mio Galliani decida opponendosi a me. Le sue ragioni sono immotivate. È tempo di cambiare". A Milanello, insomma, lui vuole Clarence Seedorf.

Eppure dietro il braccio di ferro su Allegri e il calciatore olandese c'è qualcosa di più. Non si tratta solo di scegliere chi dovrà guidare il team del Diavolo. Ma di stabilire un nuovo assetto dirigenziale nella società AC Milan. Perché lo scontro apparentemente "sportivo" nasconde una problema "familiare". Ossia Barbara Berlusconi. La figlia del Cavaliere, membro del cda, vuole crescere in azienda. Sa che quando si definirà la causa di divorzio tra il padre e la madre Veronica Lario, i giochi anche nell'impero berlusconiano saranno sostanzialmente fatti. E lei ha chiesto di entrare a tutti gli effetti ai vertici del gruppo, con un incarico apicale. E reclama un segno di discontinuità anche al Milan. Sostanzialmente l'obiettivo è prendere il posto di Galliani come amministratore delegato. Sul nome di Allegri, dunque, si sta giocando una partita ben più alta: chi la vince, prende anche il controllo societario.

Basti pensare a quello che è accaduto circa tre settimane fa. In un incontro super riservato ad Arcore tra il Cavaliere e Gianni Letta - senza l'attuale Ad rossonero -, l'ex premier ha chiesto al suo plenipotenziario di intercedere con la Roma e soprattutto trasmettere un messaggio: "Potete trattare Allegri". Letta, allora, - per evitare di esporsi in prima persona - ha chiamato il presidente del Coni, Gianni Malagò, pregandolo di fargli questa cortesia: "Puoi far sapere tu ai vertici dei giallorossi che il presidente è favorevole al trasferimento di Allegri nella Capitale?". Detto, fatto. In un colloquio a Milano con James Pallotta, il presidente americano dei giallorossi, Malagò riferisce tutto. In realtà, i romanisti avevano avviato il negoziato con il tecnico livornese già da febbraio. E dopo il via libera di Berlusconi il rapporto si è intensificato.

Ma nessuno aveva fatto ancora i conti con Galliani. Il quale è consapevole del fatto che perdere il game sull'allenatore equivale a rinunciare al controllo del Milan. Anche perché nel disegno di Barbara, la struttura dirigenziale andrebbe rivoluzionata. Lei si occuperebbe della società dal punto di vista finanziario e del marketing ("su questo siamo indietrissimo - è la sua accusa - , abbiamo una gestione rivolta al passato") e Paolo Maldini, lo storico terzino rossonero, avrebbe il compito di seguire la parte calcistica con la carica di vicepresidente. Galliani, quindi, perderebbe sia la poltrona di ad sia quella di vicepresidente vicario.

Lo scontro, però, è appena iniziato. E nessuno ancora sa come andrà a finire. Il Cavaliere è intenzionato ad accontentare la figlia. Ma preferirebbe una "successione soft". Soprattutto non vuole rompere così con un "uno degli amici della vita". "Però - è il refrain pronunciato in questi giorni anche davanti ad alcuni parlamentari del centrodestra - deve capire che non può contrapporsi a me. Io resto convinto che Allegri sia un incapace. Ci ha fatto perdere almeno uno scudetto. Ha liquidato Pirlo che poi ha fatto vincere alla Juve due scudetti, ha litigato con tutta la vecchia guardia. Con Inzaghi, con Gattuso. Io voglio cambiare e Clarence è l'ideale". E quando il Cavaliere dice "ideale" non si riferisce solo alla dimensione sportiva. Seedorf può diventare una sorta di "Nuovo Marchio" del berlusconismo. Un modello rinnovato anche dal punto di vista "politico": giovane, colto, poliglotta, simbolo del multiculturalismo e di un'Italia multirazziale. Anche per questo la Roma aspetta e spera. Pallotta e Baldini sanno che il loro principale alleato è Berlusconi. L'accordo con Allegri è ormai raggiunto. Va però siglata anche la tregua tra Barbara e Adriano. O consumata la battaglia finale.

(01 giugno 2013) ©Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/sport/2013/06/01/news/berlusconi_non_pu_decidere_adriano_stavolta_galliani_rischia_barbara_pronta_a_scalzarlo-60106063/?ref=HRER2-1
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« Risposta #111 inserito:: Luglio 09, 2013, 05:17:22 pm »


Matteo Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il Pd"

"Voglio un partito moderno e leggero e non un castello di capicorrente"

di CLAUDIO TITO


Matteo Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il Pd" Renzi durante la campagna elettorale per le primarie
"TANTI amministratori, tanti sindaci, tanti militanti ripongono nel Pd le loro speranze. E chiedono a me di mettermi in gioco. A loro dico: dobbiamo costruire un Pd moderno, aperto, pensante non pesante. Perché solo il Pd può fare uscire l'Italia da questa crisi". Matteo Renzi è pronto a scendere in campo. Vuole aspettare la convocazione ufficiale del congresso e la definizione delle regole, ma la road map è già disegnata. E si chiuderà con la convocazione il 27 ottobre di una "Quarta Leopolda", la convention "renziana" che nel 2011 battezzò i "rottamatori" e nel novembre 2012 fu la molla per lanciare l'ultimo sprint in vista delle primarie contro Pierluigi Bersani.

Fino a quel momento, il sindaco di Firenze vuole costruire un network di alleanze che faccia perno sui sindaci e rappresentanti della base. E non certo sui capicorrente: "Simboli di un partito che non esiste ma resiste". E con una precisa assicurazione: "Teniamo fuori il governo da questo dibattito. Enrico sarà più forte se il Pd sarà più forte. L'importante è che non si preoccupi di durare, ma di fare. Abbia come punto di riferimento le idee di Andreatta e non il tirare a campare di Andreotti".

Tutti si chiedono se si candida.
"Ma le sembra normale che un partito serio passi il tempo a parlare di quello che farò io da grande? ".

Non sarà serio, però per molti il futuro del Pd e anche quello del governo dipende da questa scelta.
"C'è qualcuno nel partito che mi vuole invischiare in questo surreale dibattito sulle regole e sugli organigrammi. Anche no, grazie! Così si perde l'occasione di dare una risposta alla crisi italiana. Il Pd è l'unico partito in grado di fornire una risposta. Grillo ha bruciato la sua chance, Berlusconi pensa a ad altro che agli italiani. Noi siamo gli unici a poter fare uscire l'Italia dalle secche".

Insomma le condizioni perché accetti la sfida ora ci sono.
"Il traghettatore del Pd, ossia Guglielmo Epifani, ci faccia sapere la data del congresso e delle primarie. Per statuto devono avvenire entro il 7 novembre. Non ci si candida per sapere qual è il responsabile organizzativo del territorio in Umbria, ma se si cattura una speranza e se si sfrutta il talento degli italiani. Su questo abbiamo molte proposte".

Cioè?
"Intanto faremo un'altra Leopolda il prossimo 27 ottobre. Perché' è fondamentale che si torni alle idee".

Se lei organizza un'altra Leopolda è per sostenere la sua candidatura.
"Le candidature verranno presentate prima. Ma è vero che io sono a un bivio: tra la voglia di ricandidarmi a Firenze dove credo di essere riuscito a imprimere un cambiamento nella città, ma che ha bisogno di altri 5 anni per consolidarsi; e la consapevolezza di rappresentare una speranza per molti. So che tanti amministratori, sindaci dirigenti pongono su di me questa speranza. Mi spingono a candidarmi. Allora io dico: voglio un Pd in cui vinca la leggerezza, che sia libero da certe burocrazie simil-ministeriali. Che invece di essere pesante, sia pensante".

Ce l'ha con D'Alema?
"No, stavolta no. Ce l'ho con chi privilegia il dibattito sugli organismi rispetto alle idee".

È vero che le ha proposto di candidarsi alle europee?
"Sì. D'Alema parte dal presupposto che non devo fare il segretario. Ma non devo fare neanche il sindaco. Devo fare tra qualche anno il candidato premier designato dal partito. Per questo immagina Strasburgo come luogo dove acquisire esperienza internazionale. Mi piace pensare che sia un ragionamento serio e non lo considero un trappolone. Semplicemente non sono d'accordo: non faccio questa battaglia per sistemarmi da qualche parte. Ma per affermare una diversa idea d'Italia".

Il segretario deve o non deve essere anche il candidato premier?
"Mi atterrò alle regole. Quando saranno chiare e soprattutto quando si conoscerà la data del congresso, allora parleremo di cosa fare. Il punto per ora è un altro".

E qual è?
"Io voglio un partito che non sia terra di conquista per correnti, ma che sappia conquistare i voti di chi non ci ha votato prima. Nel 2008 il Pd ha raccolto circa 12 milioni di voti, nel 2013 10 milioni. Anche alle amministrative abbiamo vinto perché il Pdl ha perso più voti di noi. Vogliamo recuperare un elemento di entusiasmo oppure no? E lo possiamo fare con una discussione su chi prenderà il posto di Stumpo? Ecco, io non voglio più parlare di queste cose".

Quindi si candiderà a prescindere dalle regole?
"Aspetto la data e di sapere se c'è una comunità di persone che crede che questo sia un progetto serio e non una fisima del sindaco di Firenze. Guardi, la mia immagine è quella del David. Può essere scontata ma quell'opera non è solo l'emblema della bellezza e della libertà civile. Michelangelo, quando gli chiesero come era riuscito a fare quella statua, rispose: basta togliere il marmo in eccesso. Ecco dobbiamo togliere quel che è in eccesso".

Tipo?
"La burocrazia, l'eccesso di potere dello Stato, il fisco, gli ostacoli che non aiutano i volontari del terzo settore. Un esempio: l'alimentare italiano ha una quota di export di 31 miliardi, ma ne importiamo per circa 35. Non siamo capaci di vendere ciò che abbiamo. Altro esempio: in questi giorni in tutti i comuni italiani sono arrivate camionate di moduli come il 730 per le dichiarazioni dei redditi. È normale che si vada avanti così e che non si possa risolvere tutto in un click? Il Pd parli di futuro, non di un'idea novecentesca dell'appartenenza".

Ecco un'altra botta ai capicorrente.
"L'ho detto e lo ripeto: se mi candido, lo faccio indipendentemente da loro. A me interessa il voto dei volontari delle feste dell'Unità e quello dei delusi di Grillo o della Lega, non delle correnti organizzate. Non vado dietro a patti tra maggiorenti. Questo Pd non esiste, resiste. Ai caminetti romani rispondo sempre con un "no grazie". Non farò scambi di poltrone".

Se il nuovo segretario sarà anche il candidato premier, ci sarà una spinta a votare subito?
"Il governo va tenuto fuori. Dobbiamo dare una mano a Letta per fare cose significative. Voglio aiutarlo anche sulla legge che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti".

In che senso?
"C'è un tentativo di modificare la sua proposta, che può non essere il massimo ma almeno è un punto di partenza. Bisogna bloccare quel tentativo. So che in Europa il finanziamento delle forze politiche esiste quasi ovunque, ma solo da noi è stato - per così dire - male utilizzato. I nostri stanno facendo un ottimo lavoro in Commissione per vigilare su questo tema. Questo sarà il primo passo per un partito che non concentri l'appartenenza solo sul tesseramento. Forse si può unire il social network al porta a porta. Serve qualcosa di nuovo".

Si spieghi meglio.
"L'adesione può assumere forme diverse. Nel 2013 serve un partito aperto. Basta con l'idea novecentesca dell'appartenenza. Dobbiamo renderlo moderno sapendo che non si discute solo nelle sezioni, che si fa politica anche in rete o nei luoghi del volontariato. A questo proposito c'è un documento di Goffredo Bettini molto interessante. Ci dovremmo spiegare perché in alcune zone d'Italia sono stati più i votanti alle primarie che alle elezioni".

Secondo lei qual è il motivo?
"Che il partito si è chiuso in un castello. Quando lo apri, arriva più gente. Per questo bisogna partire dai sindaci. Possono dare una mano. Il Pd così può essere il luogo delle nostre speranze e non delle singole ambizioni".

Scusi, torno alla domanda precedente. Molti credono che il nuovo segretario rischia di spingere il governo verso la crisi.
"E allora che facciamo? Non eleggiamo il segretario così Franceschini è più tranquillo? Ci facciamo dare la linea da Brunetta e Schifani così non litighiamo? Al contrario io credo che Letta abbia bisogno di un Pd forte. Il governo ha tutto da guadagnare, se fa le cose. Letta ha chiarissimo che serve un Pd forte. Esiste un mondo ex democristiano preoccupato in primo luogo di rinviare. Senza polemica nei confronti della fu Balena Bianca, ma il governo deve decidere se il suo obiettivo è solo durare. Io tifo per questo governo. Ma un conto è se punta a durare "andreottianamente" e un altro se scommette sulle idee "andreattianamente". Non cambia solo una vocale, ma il modo di guardare al futuro. Ed Enrico sa bene la differenza tra Andreotti e Andreatta".

Ma l'Imu, ad esempio, lei l'abolirebbe?
"Questa discussione è la dimostrazione che in Italia si guarda il dito e non la luna. La presa di posizione di Berlusconi è legittima anche se troppi dimenticano che con i suoi governi la pressione fiscale è salita. Se il patto è toglierla, togliamola. Ma ci deve essere un disegno, altrimenti si trasforma in un assalto alla diligenza. Possiamo finalmente semplificare il fisco in Italia? Ridurre il peso dello Stato? Rendere più semplice il rapporto tra Agenzie delle Entrate e piccole imprese?".

Alle ultime primarie l'allora segretario Bersani indicò Papa Giovanni XXIII nel suo pantheon ideale. Lei metterebbe Papa Francesco?
"Bergoglio sta sorprendendo tutti e ne sono felice. Da cattolico sono anche contento che si torni a prestare attenzione al messaggio evangelico di Gesù. Spero che tra gli effetti di questo papato ci sia un aiuto alla Cei ad essere più coraggiosa nella formazione politica e più distante dagli scontri tra i partiti".

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/09/news/renzi_tutti_mi_chiedono_di_candidarmi_cos_cambier_il_pd-62648241/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_09-07-2013
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« Risposta #112 inserito:: Luglio 12, 2013, 07:38:32 pm »


Epifani: "Non ci siamo piegati a Berlusconi.

Ora stop agli strappi o è meglio lasciare"

di CLAUDIO TITO



"Preoccupato? È chiaro che sono preoccupato". Il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, non nasconde le difficoltà che il governo e il suo partito stanno vivendo in questa fase.

Gli strappi del Cavaliere, gli imbarazzi della base democratica e le divisioni emerse nel partito sono tessere di un mosaico mai definitivamente completato. Anzi con l'avvicinarsi della sentenza in Cassazione per il processo Mediaset che potrebbe sancire l'uscita dalla politica per Berlusconi, quelle stesse tessere sembrano rimescolarsi di nuovo. "Per questo serve un chiarimento - dice Epifani - se il centrodestra tira ancora la corda, per noi vengono meno tutti gli spazi di agibilità". Però, avverte, sul sostegno "responsabile" al governo Letta c'è "la stragrande maggioranza del Pd". E anche le polemiche sulla sospensione dei lavori in Parlamento sono "esagerate". "Lì abbiamo vinto noi e non loro. Brunetta aveva delle pretese eversive e noi lo abbiamo stoppato".

Tutto infatti nasce dal voto di mercoledì sulla sospensione dei lavori. A molti non è andato giù che il Pd abbia accettato la richiesta del Pdl.
"Ma quel che è accaduto l'altro ieri è stato descritto in modo esagerato".

Perché esagerato? I Gruppi democratici hanno detto sì, con alcune eccezioni, alla sospensione dei lavori parlamentari.
"È stato esagerato perché tutto nasce dalle parole di Brunetta, quelle sì al limite dell'eversione. Quando si chiede di bloccare le Camere per tre giorni, si minaccia l'Aventino, le dimissioni in blocco, allora certo la risposta non può che essere ferma. Al Senato, però, Schifani ha motivato tutto in modo diverso. Si è limitato a chiedere di far discutere il gruppo. E poi c'è un altro aspetto".
 
Quale?
"Non è vero che non si è lavorato, lo si è fatto fino alle 17 dando il tempo, dopo, per le loro riunioni".

Ammetterà che la base del suo partito non l'ha presa così.
"So bene che l'atteggiamento di Brunetta era grave e inaccettabile, ma è stato respinto. Anzi, abbiamo vinto noi. Lui voleva tre giorni di Aventino e ha avuto solo il tempo di una riunione".

La protesta dei militanti non si concentra sulla semplice sospensione dei lavori ma sul motivo che ha indotto il Pdl ad avanzare quella richiesta. Ossia l'attacco alla Corte di Cassazione, hanno definito i magistrati dei banditi.
"Lo so bene. Ma questo vale per loro, non per noi. Il punto è che loro vivono una fase di grande incertezza e difficoltà e qualcuno è tentato dalla logica del tanto peggio tanto meglio. Se un capogruppo, come ha fatto Schifani, ci dice "abbiamo bisogno di riflettere", è chiaro che l'oggetto diventa il loro bisogno di parlare più che la sentenza del processo Mediaset".

Proprio lei però dice che così non si può andare avanti. Quindi qualche problema c'è?
"Se si sgombra il campo dalle discussioni sterili, è chiaro che per noi stare in questo governo è possibile se ci sono margini di agibilità. Questa è una maggioranza con partiti di schieramenti diversi. Allora se ogni giorno qualcuno tira la corda, pone un ultimatum, tenta uno strappo, è chiaro che diventa più difficile anzi impossibile stare insieme. E poi c'è questa spada di Damocle del 30 luglio".

Ma non è che quella sentenza peserà più sul Pd che sul Pdl?
"Per noi la questione è semplice, sentenza o non sentenza: se ci fanno lavorare per affrontare la crisi di questo paese, bene. Altrimenti basta".

Magari i militanti del centrosinistra vi potrebbero dire "non si può stare con un condannato".
"Si certo, lo capisco. Ma questo era anche due mesi fa. Allora io dico: bisogna distinguere le condanne personali dal fatto che quel partito ha preso otto milioni di voti. E poi, se proprio vogliamo dirla tutta, il processo che pone a noi i problemi maggiori è quello di Napoli. Se si accerta che ha comprato i nostri per far cadere Prodi... Comunque se davvero ci sarà la condanna Mediaset - e io su questo non sono in grado di avanzare giudizi - loro non staranno fermi".

Per il momento Berlusconi ha confermato che non vuol far cadere il governo.
"Sta seguendo i suggerimenti di Coppi. Per ora".

Ma quando lei parla di chiarimento, cosa intende?
"Ad esempio, oggi hanno lavorato tutti, hanno lavorato le commissioni e l'aula. È stata approvato il testo per le riforme e la nuova legge sul reato di voto di scambio politico-mafioso. La verifica deve essere nei fatti".

Eppure in questi due giorni davanti a un Pdl frastornato, il Pd si è presentato a dir poco diviso.
"Condivido il documento firmato da 70 senatori che difende il lavoro del Parlamento e del governo. È chiaro che in un partito come il nostro le posizioni legittime come quelle di Civati o della Bindi non verranno mai meno ed è anche giusto. Però vorrei far notare che nell'ufficio di presidenza del gruppo della Camera, tutti avevano convenuto sulla scelta e poi qualcuno non l'ha votata in aula".

Sembra quasi che sia in corso un confronto tra "governisti" e "partitisti".  Fabrizio Barca parla di dorotei nel Pd.
"La vera discussione nel partito è un'altra. È tra chi ritiene che si debba sostenere questo governo perché al momento è l'unico possibile e chi pensa che si debba dare un taglio e tornare subito al voto. Ma la stragrande maggioranza è per appoggiare Letta. Se il documento del Senato venisse presentato alla Camera, otterrebbe un numero di firme ancora superiore".

Nonostante la strana maggioranza?
"Certo, perché quasi tutti capiscono che allo stato non c'è alternativa. Ogni altra soluzione è più difficile e viviamo una crisi economica terribile. Probabilmente ci aspetta il peggior autunno degli ultimi sei anni. E i sondaggi danno ragione al governo. Io vado in giro per il Paese e vedo che le persone sono per Letta. Su questo non mi sbaglio. Quando la crisi morde, la gente ha bisogno di attaccarsi ad una speranza".

Quindi quanto dovrebbe durare questo esecutivo?
"Non so quanto durerà, ma dipende dalle cose che fa. Vorrei sottolineare che il presidente del consiglio in poco tempo si è conquistato una grande credibilità internazionale".

La durata dipenderà più dal Pdl o dal Pd?
"Il nodo è il Pdl. Nei tantissimi comuni e regioni che governiamo, la maggioranza non è quella di Roma. Qui non ci sono i numeri. Quindi dipenderà da quel che farà Berlusconi".

Se staccasse la spina, voi potreste tentare un'intesa con Grillo?
"A me pare difficile, semmai con loro si può cambiare la legge elettorale. Ma sarebbe solo una extrema ratio".

DA - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/12/news/epifani_non_ci_siamo_piegati_a_berlusconi_ora_stop_agli_strappi_o_meglio_lasciare-62831105/?ref=HRER3-1
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« Risposta #113 inserito:: Luglio 22, 2013, 06:16:43 pm »


Matteo Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il Pd"

"Voglio un partito moderno e leggero e non un castello di capicorrente"

di CLAUDIO TITO


Matteo Renzi: "Tutti mi chiedono di candidarmi, così cambierò il Pd" Renzi durante la campagna elettorale per le primarie
"TANTI amministratori, tanti sindaci, tanti militanti ripongono nel Pd le loro speranze. E chiedono a me di mettermi in gioco. A loro dico: dobbiamo costruire un Pd moderno, aperto, pensante non pesante. Perché solo il Pd può fare uscire l'Italia da questa crisi". Matteo Renzi è pronto a scendere in campo. Vuole aspettare la convocazione ufficiale del congresso e la definizione delle regole, ma la road map è già disegnata. E si chiuderà con la convocazione il 27 ottobre di una "Quarta Leopolda", la convention "renziana" che nel 2011 battezzò i "rottamatori" e nel novembre 2012 fu la molla per lanciare l'ultimo sprint in vista delle primarie contro Pierluigi Bersani.

Fino a quel momento, il sindaco di Firenze vuole costruire un network di alleanze che faccia perno sui sindaci e rappresentanti della base. E non certo sui capicorrente: "Simboli di un partito che non esiste ma resiste". E con una precisa assicurazione: "Teniamo fuori il governo da questo dibattito. Enrico sarà più forte se il Pd sarà più forte. L'importante è che non si preoccupi di durare, ma di fare. Abbia come punto di riferimento le idee di Andreatta e non il tirare a campare di Andreotti".

Tutti si chiedono se si candida.
"Ma le sembra normale che un partito serio passi il tempo a parlare di quello che farò io da grande? ".

Non sarà serio, però per molti il futuro del Pd e anche quello del governo dipende da questa scelta.
"C'è qualcuno nel partito che mi vuole invischiare in questo surreale dibattito sulle regole e sugli organigrammi. Anche no, grazie! Così si perde l'occasione di dare una risposta alla crisi italiana. Il Pd è l'unico partito in grado di fornire una risposta. Grillo ha bruciato la sua chance, Berlusconi pensa a ad altro che agli italiani. Noi siamo gli unici a poter fare uscire l'Italia dalle secche".

Insomma le condizioni perché accetti la sfida ora ci sono.
"Il traghettatore del Pd, ossia Guglielmo Epifani, ci faccia sapere la data del congresso e delle primarie. Per statuto devono avvenire entro il 7 novembre. Non ci si candida per sapere qual è il responsabile organizzativo del territorio in Umbria, ma se si cattura una speranza e se si sfrutta il talento degli italiani. Su questo abbiamo molte proposte".

Cioè?
"Intanto faremo un'altra Leopolda il prossimo 27 ottobre. Perché' è fondamentale che si torni alle idee".

Se lei organizza un'altra Leopolda è per sostenere la sua candidatura.
"Le candidature verranno presentate prima. Ma è vero che io sono a un bivio: tra la voglia di ricandidarmi a Firenze dove credo di essere riuscito a imprimere un cambiamento nella città, ma che ha bisogno di altri 5 anni per consolidarsi; e la consapevolezza di rappresentare una speranza per molti. So che tanti amministratori, sindaci dirigenti pongono su di me questa speranza. Mi spingono a candidarmi. Allora io dico: voglio un Pd in cui vinca la leggerezza, che sia libero da certe burocrazie simil-ministeriali. Che invece di essere pesante, sia pensante".

Ce l'ha con D'Alema?
"No, stavolta no. Ce l'ho con chi privilegia il dibattito sugli organismi rispetto alle idee".

È vero che le ha proposto di candidarsi alle europee?
"Sì. D'Alema parte dal presupposto che non devo fare il segretario. Ma non devo fare neanche il sindaco. Devo fare tra qualche anno il candidato premier designato dal partito. Per questo immagina Strasburgo come luogo dove acquisire esperienza internazionale. Mi piace pensare che sia un ragionamento serio e non lo considero un trappolone. Semplicemente non sono d'accordo: non faccio questa battaglia per sistemarmi da qualche parte. Ma per affermare una diversa idea d'Italia".

Il segretario deve o non deve essere anche il candidato premier?
"Mi atterrò alle regole. Quando saranno chiare e soprattutto quando si conoscerà la data del congresso, allora parleremo di cosa fare. Il punto per ora è un altro".

E qual è?
"Io voglio un partito che non sia terra di conquista per correnti, ma che sappia conquistare i voti di chi non ci ha votato prima. Nel 2008 il Pd ha raccolto circa 12 milioni di voti, nel 2013 10 milioni. Anche alle amministrative abbiamo vinto perché il Pdl ha perso più voti di noi. Vogliamo recuperare un elemento di entusiasmo oppure no? E lo possiamo fare con una discussione su chi prenderà il posto di Stumpo? Ecco, io non voglio più parlare di queste cose".

Quindi si candiderà a prescindere dalle regole?
"Aspetto la data e di sapere se c'è una comunità di persone che crede che questo sia un progetto serio e non una fisima del sindaco di Firenze. Guardi, la mia immagine è quella del David. Può essere scontata ma quell'opera non è solo l'emblema della bellezza e della libertà civile. Michelangelo, quando gli chiesero come era riuscito a fare quella statua, rispose: basta togliere il marmo in eccesso. Ecco dobbiamo togliere quel che è in eccesso".

Tipo?
"La burocrazia, l'eccesso di potere dello Stato, il fisco, gli ostacoli che non aiutano i volontari del terzo settore. Un esempio: l'alimentare italiano ha una quota di export di 31 miliardi, ma ne importiamo per circa 35. Non siamo capaci di vendere ciò che abbiamo. Altro esempio: in questi giorni in tutti i comuni italiani sono arrivate camionate di moduli come il 730 per le dichiarazioni dei redditi. È normale che si vada avanti così e che non si possa risolvere tutto in un click? Il Pd parli di futuro, non di un'idea novecentesca dell'appartenenza".

Ecco un'altra botta ai capicorrente.
"L'ho detto e lo ripeto: se mi candido, lo faccio indipendentemente da loro. A me interessa il voto dei volontari delle feste dell'Unità e quello dei delusi di Grillo o della Lega, non delle correnti organizzate. Non vado dietro a patti tra maggiorenti. Questo Pd non esiste, resiste. Ai caminetti romani rispondo sempre con un "no grazie". Non farò scambi di poltrone".

Se il nuovo segretario sarà anche il candidato premier, ci sarà una spinta a votare subito?
"Il governo va tenuto fuori. Dobbiamo dare una mano a Letta per fare cose significative. Voglio aiutarlo anche sulla legge che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti".

In che senso?
"C'è un tentativo di modificare la sua proposta, che può non essere il massimo ma almeno è un punto di partenza. Bisogna bloccare quel tentativo. So che in Europa il finanziamento delle forze politiche esiste quasi ovunque, ma solo da noi è stato - per così dire - male utilizzato. I nostri stanno facendo un ottimo lavoro in Commissione per vigilare su questo tema. Questo sarà il primo passo per un partito che non concentri l'appartenenza solo sul tesseramento. Forse si può unire il social network al porta a porta. Serve qualcosa di nuovo".

Si spieghi meglio.
"L'adesione può assumere forme diverse. Nel 2013 serve un partito aperto. Basta con l'idea novecentesca dell'appartenenza. Dobbiamo renderlo moderno sapendo che non si discute solo nelle sezioni, che si fa politica anche in rete o nei luoghi del volontariato. A questo proposito c'è un documento di Goffredo Bettini molto interessante. Ci dovremmo spiegare perché in alcune zone d'Italia sono stati più i votanti alle primarie che alle elezioni".

Secondo lei qual è il motivo?
"Che il partito si è chiuso in un castello. Quando lo apri, arriva più gente. Per questo bisogna partire dai sindaci. Possono dare una mano. Il Pd così può essere il luogo delle nostre speranze e non delle singole ambizioni".

Scusi, torno alla domanda precedente. Molti credono che il nuovo segretario rischia di spingere il governo verso la crisi.
"E allora che facciamo? Non eleggiamo il segretario così Franceschini è più tranquillo? Ci facciamo dare la linea da Brunetta e Schifani così non litighiamo? Al contrario io credo che Letta abbia bisogno di un Pd forte. Il governo ha tutto da guadagnare, se fa le cose. Letta ha chiarissimo che serve un Pd forte. Esiste un mondo ex democristiano preoccupato in primo luogo di rinviare. Senza polemica nei confronti della fu Balena Bianca, ma il governo deve decidere se il suo obiettivo è solo durare. Io tifo per questo governo. Ma un conto è se punta a durare "andreottianamente" e un altro se scommette sulle idee "andreattianamente". Non cambia solo una vocale, ma il modo di guardare al futuro. Ed Enrico sa bene la differenza tra Andreotti e Andreatta".

Ma l'Imu, ad esempio, lei l'abolirebbe?
"Questa discussione è la dimostrazione che in Italia si guarda il dito e non la luna. La presa di posizione di Berlusconi è legittima anche se troppi dimenticano che con i suoi governi la pressione fiscale è salita. Se il patto è toglierla, togliamola. Ma ci deve essere un disegno, altrimenti si trasforma in un assalto alla diligenza. Possiamo finalmente semplificare il fisco in Italia? Ridurre il peso dello Stato? Rendere più semplice il rapporto tra Agenzie delle Entrate e piccole imprese?".

Alle ultime primarie l'allora segretario Bersani indicò Papa Giovanni XXIII nel suo pantheon ideale. Lei metterebbe Papa Francesco?
"Bergoglio sta sorprendendo tutti e ne sono felice. Da cattolico sono anche contento che si torni a prestare attenzione al messaggio evangelico di Gesù. Spero che tra gli effetti di questo papato ci sia un aiuto alla Cei ad essere più coraggiosa nella formazione politica e più distante dagli scontri tra i partiti".

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/09/news/renzi_tutti_mi_chiedono_di_candidarmi_cos_cambier_il_pd-62648241/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_09-07-2013
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« Risposta #114 inserito:: Agosto 09, 2013, 04:47:16 pm »

Il "Piano B" di Epifani e Letta "Se insistono sul salvacondotto si può anche votare a novembre"

Il disegno delle "colombe" per deberlusconizzare il Pdl

di CLAUDIO TITO

"Cosa significa non farsi logorare? Rassegnare le dimissioni e non farsi licenziare. Se Berlusconi insiste, non perdere la faccia davanti agli elettori". In questi giorni Enrico Letta ha condensato in queste parole la sua linea. Con il gruppo dirigente del Pd è stato piuttosto esplicito. Una sintesi che rende bene il senso della "tregua armata" tra democratici e Pdl. Ma che rischia di saltare già nelle prossimesettimane. A settembre.

Quando lo scontro sul "salvacondotto" per Silvio Berlusconi si infiammerà di nuovo. E quando il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, metterà sul tavolo di Palazzo Chigi il patto che in queste ore ha solo preannunciato al presidente del consiglio: "Se il Pdl perde la testa, noi dobbiamo precederlo. Non possiamo commettere lo stesso errore di novembre scorso quando ci hanno lasciato da soli a sostenere Monti. Devi essere tu a staccare la spina". Ma quella dell'ex leader Cgil non è solo una constatazione, è anche un'offerta. Che prevede le elezioni in autunno.

Perché la ricerca di una "via d'uscita" per l'inquilino di Palazzo Grazioli diventerà sempre più l'unica questione che conta e che determinerà l'"agibilità politica" dell'esecutivo. E proprio per questo si staaprendo dentro il Pdl un confronto del tutto nuovo. Che non riguarda esclusivamente le esigenze personali di Berlusconi, ma la natura e la vita stessa del partito.

Con un interrogativo fondamentale: quelli che vengono definiti "colombe" riusciranno a separare il destino del partito da quello del Cavaliere? "Dobbiamo capire - spiega un ministro del Popolo delle libertà - se sarà possibile immaginare un centrodestra senza Berlusconi ". Una risposta positiva può salvare il governo, una negativa lo affonderà.

La "guerra" intestina sul fronte berlusconiano, però, è tutt'altro che scontata. Per questo il presidente del consiglio ha concordato con il segretario del suo partito una sorta di "Piano B". Una via d'uscita da imboccare rapidamente se le richieste del Cavaliere e del Pdl dovessero, appunto, superare il limite dell'"onore democratico". Provocando lo sdegno del "popolo della sinistra".

L'altro ieri sera, allora, il capo del governo ha riunito i suoi fedelissimi a Palazzo Chigi per preparare la direzione di oggi e per spiegare cosa potrà accadere alla fine dell'estate. "Se Berlusconi esagera, io non potrò che dimettermi", ha ripetuto. Ma il patto con Epifani va oltre questa considerazione. Se il centrodestra insisterà nel reclamare l'"agibilità politica" del suo leader, allora Letta non aspetterà di farsi travolgere dal ciclone delle prevedibili polemiche.

Entro settembre cercherà di prendere tutti in contropiede staccando lui - senza caricare il Pd di questa responsabilità - la spina al governo. Rivendicando dunque la scelta dinanzi ai militanti ed evitando il ripetersi dell'"effetto Monti": consentire cioè al Cavaliere di prendere le distanze dall'esecutivo e assumersi il meritodi aver messo la parola fine alle larghe intese. A quel punto per il centrosinistra si aprirebbe un'ultima finestra elettorale: quella di metà novembre.

Ma l'effetto, in questo caso, sarebbe doppio: sulla legislatura e sul congresso del Partito Democratico. L'asse Letta-Epifani-Franceschini chiederebbe infatti di accelerare solo sulle primarie per la premiership non potendo svolgere in tempi altrettanto brevi tutte le procedure congressuali: le assise slitterebbero insomma, e lo stesso presidente del consiglio potrebbe sfidare Matteo Renzi nella corsa alla candidatura per Palazzo Chigi.

Nello stesso tempo verrebbe separato il destino della premiership da quello della segreteria. Esattamente la soluzione che non vorrebbe il sindaco di Firenze il quale da giorni ripete: "Chi vince prende tutto. Presidenza del consiglio e partito". Ma è esattamente l'ipotesi su cui da tempo il gruppo"bersanian-epifaniano" sta lavorando per mantenere il controllo della "ditta".

Non solo. Il Pd sa che dovrà fare i conti con la riforma elettorale e la sentenza della Corte costituzionale sul Porcellum prevista a dicembre. Nello showdown prima del voto, proverà a compiere un estremo tentativo con il M5S di cambiare la legge elettorale. Un tentativo, però, chemolti già danno per disperato visti i continui ondeggiamenti di Grillo e le reiterate posizioni dei grillini a favore del sistema proporzionale. La linea democratica invece sarà quelladi rilanciare il ritorno al sistema maggioritario del Mattarellum.

Lo stato maggiore di Largo del Nazareno sta dunque già facendo i conti anche con la contrarietà del Quirinale alle elezioni anticipate. Il tentativo di accelerare sul riforma del Porcellum è una delle prime mosse. Per le prossime ore i capigruppo democratici si aspettano di essere convocati sul Colle per un incontro.

Dai contatti informali, gli stessi vertici del Pd hanno ricevuto assicurazioni sulla linea di Napolitano rispetto al "salvacondotto" berlusconiano. Una linea che esclude la presidenza della Repubblica da qualsiasi intervento. Esattamente quello che il Partito Democratico si aspettava. E che conferma il rischio concreto di un nuovo scontro a settembre.

Ma, appunto, questo è il "Piano B". Perché esiste un'ipotesi principale. Quella che vede il capo del centrodestra rassegnato alla pena detentiva e alla decadenza da senatore. Una prospettiva che sta provocando un vero e proprio sconquasso a Via dell'Umiltà. Il Pdl sta vivendo la sua più decisiva battaglia. I "falchi" come la Santanché e Verdini puntano a una nuova Forza Italia ancora "berlusconizzata".

Sperano di rilanciare Silvio, o in alternativa - se sarà incandidabile - di sostituirlo con Marina. E per questo hanno bisogno di stringere i tempi, conservare lostatus quo e tornare alle urne entro la prossima primavera. Le "colombe", come Quagliariello o Lupi, al contrario scommettono sui tempi lunghi. Sul governo Letta che vada avanti almeno fino al 2015 per organizzare il nuovo campo dei moderati. Vogliono un centrodestra "deberlusconizzato" e che coinvolga altri soggetti "centristi" come la Scelta civica di Monti, l'Udc di Casini e persino l'ItaliaFutura di Montezemolo che solo sabato scorso ha detto: bisogna "lavorare alla rifondazione di un'area liberale e moderna di centro destra".

Ma se le "colombe" avessero la meglio, il traguardo del 2015 diventerebbe probabilmente solo un primo step. Basti pensare a quel che è successo - prima che la Cassazione emettesse la sentenza su Berlusconi - nell'ultima riunione dei capigruppo della maggioranza con il premier. "Caro Enrico - ha detto Renato Brunetta - tu ci hai detto cosa vuoi fare fino al 2014. Ma sarebbe bene che ci dicessi cosa vuoi fare anche dal 2015 in poi".

(08 agosto 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/dal-quotidiano/retroscena/2013/08/08/news/il_piano_b_di_epifani_e_letta_se_insistono_sul_salvacondotto_si_pu_anche_votare_a_novembre-64459554/?ref=HRER1-1
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« Risposta #115 inserito:: Dicembre 04, 2013, 03:59:44 pm »

Via il Senato e doppio turno alle elezioni come in Francia: ecco il patto tra Letta e Renzi

Anche Alfano pronto all'intesa per svincolarsi da Berlusconi. Ieri una lunga telefonata tra il premier e il sindaco, sì ad un accordo di programma. Sarà abbandonata la Bicamerale dei 40. La giustizia esce dal pacchetto della nuova alleanza

di CLAUDIO TITO


UN PIANO in tre mosse per costruire l'architrave della nuova maggioranza che sostiene l'esecutivo Letta. Una svolta che contiene una potenziale rivoluzione per il nostro sistema politico e istituzionale.

Si tratta di un accordo che non prevede solo un asse tra il futuro segretario del Pd, Matteo Renzi, e il presidente del Consiglio. Ma si tratta di una piattaforma che coinvolgerà sia il leader dell'Ncd, Angelino Alfano, sia il capo di Scelta Civica, Mario Monti. La trattativa si trova già in una fase piuttosto avanzata e consumerà una prima tappa mercoledì prossimo, in occasione del discorso che il premier terrà in Parlamento per riconquistare la fiducia e ridisegnare il campo programmatico della coalizione dopo l'uscita di Silvio Berlusconi.

C'è un episodio che ha aperto la prima breccia ad un'intesa che molti definiscono "straordinaria". Ieri mattina, infatti, Letta e il sindaco di Firenze sono tornati a parlarsi dopo lo scontro degli ultimi giorni. Una telefonata lunghissima: per chiarirsi e per fissare i primi punti del "nuovo programma". Ma si è trattato anche di un colloquio in cui i due "ex duellanti" hanno convenuto sulla necessità di aprire uno squarcio nella paralisi che ha segnato il percorso delle riforme.

"Dobbiamo fare un salto in avanti - è stato il ragionamento di Renzi - dobbiamo essere in grado di dare un senso concreto a questo anno di legislatura. Altrimenti a maggio, alle europee, siamo finiti". "Mercoledì in aula - ha spiegato il premier - io farò un primo passaggio sui punti che concordiamo io e te". Il resto, verrà definito entro un mese. Per fare una sorta di "accordo alla tedesca", ossia l'intesa programmatica siglata a Berlino tra la Merkel e i socialisti dell'Spd per la nascita della Grosse Koalition.

Ma se sull'introduzione del monocameralismo - la sostanziale abolizione del Senato - le convergenze erano appurate da tempo, la svolta sul doppio turno di collegio alla francese è una assoluta novità. Non tanto per il Pd che ne ha fatto negli ultimi anni una bandiera, ma per il gruppo alfaniano. Già lunedì scorso proprio il vicepresidente del consiglio aveva lanciato un primo segnale: "Siamo per i collegi o per le preferenze. Il nostro obiettivo è superare il Porcellum. Non va bene qualsiasi sistema che non metta al sicuro il bipolarismo". Una pietra tombale dunque sul ritorno ad una legge proporzionale. Ma c'è di più. Gli esponenti del Nuovo centrodestra hanno cominciato a prendere in considerazione sempre più seriamente proprio il modello francese. Lo sta facendo in modo particolare il ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello.

A porre la questione negli ultimi giorni, però, è stato Dario Franceschini, titolare dei Rapporti con il Parlamento ed esperto di sistemi elettorali. "Non capite - ha chiesto con tono esortativo - che il doppio turno di collegio rappresenta il sistema che da a voi più centralità?". In sostanza, con i due turni ogni partito può presentarsi alle elezioni senza dover dichiarare preventivamente le alleanze. Per l'Ncd è l'occasione per liberarsi dall'abbraccio mortale di Forza Italia e di Silvio Berlusconi. "Il Mattarellum - ammette infatti Maurizio Sacconi, capogruppo alfaniano al Senato - ci farebbe tornare alle coalizioni imposte". E non è un caso che proprio il Cavaliere ieri sera ha annunciato: "Con il Mattarellum noi andiamo da soli". Un modo per dire che gli "scissionisti" o stanno con lui o niente.

Ma anche Anna Finocchiaro, presidente pd della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, fa un una riflessione analoga: "Dobbiamo aiutare Alfano a rosicchiare voti a Berlusconi. Con il Mattarellum lo ributtiamo tra le sue braccia". Con il doppio turno francese, invece, accade esattamente il contrario. L'Ncd può far valere la sua autonomia e poi scegliere al ballottaggio. In modo particolare se si introduce una piccola correzione rispetto alla legge francese: accedono al ballottaggio solo i primi due. Esattamente come avviene in Italia per i sindaci.

Tra i ministri del Nuovo centrodestra, allora, questa sta diventando qualcosa di più di una semplice opzione. Basti pensare a quel che ha detto Maurizio Lupi, titolare delle Infrastrutture, a un noto esponente renziano: "Potete chiederci tutto, ma dateci un anno di tempo". E già, perché il 2014 per loro deve essere il periodo della decantazione e della strutturazione sul territorio. Per poi tornare al voto, anche con il doppio turno.

Per il futuro segretario democratico, invece, si tratterebbe del modo migliore per connotare il prossimo anno come il vero cambio di passo. E per Letta si aprirebbe una strada più agevole per non fare precipitare tutto prima del semestre di presidenza Ue che prende il via il primo luglio 2014. In questo modo tirerebbe un sospiro di sollevo pure il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che da tempo si appella alle forze politiche per superare l'odioso Porcellum. E apprezzerebbe un'intesa anche in questi giorni, in cui la Corte costituzionale esamina il ricorso contro la legge ideata da Roberto Calderoli.

Renzi dunque si sta già giocando le sue carte. Quasi per piantare subito un paletto, potrebbe presentare - attraverso un suo deputato - un disegno di legge ad hoc sulla riforma elettorale che contenga in nuce l'accordo che si sta profilando.

Il mosaico, però, prevede anche un altro tassello: verrà di fatto abbandonata la Bicamerale dei 40. Il disegno di legge per l'istituzione della Commissione aveva già ottenuto il via libera in prima lettura. Ma quel testo sarà abbandonato su un binario morto per utilizzare solo la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione nella sua versione originale. E con ogni probabilità sarà eliminata dal patto "trilaterale" anche la riforma della giustizia. Troppe cose in un solo anno. Soprattutto sarebbe troppo divisivo un intervento consistente sull'ordinamento giudiziario. "Temo - ha ammesso Alfano nei giorni scorsi - che per la separazione delle carriere dovremo aspettare di vincere le elezioni".

Insomma il piano in tre mosse di Renzi e Letta sarà messo alla prova mercoledì prossimo e poi a gennaio. E se l'intesa reggerà all'urto della novità, allora nel 2014 partirà il treno delle riforme e probabilmente il governo assumerà anche la struttura e le sembianze della nuova maggioranza.

http://www.repubblica.it/politica/2013/12/04/news/via_il_senato_e_doppio_turno_come_in_francia_ecco_il_patto_tra_il_premier_e_renzi-72639745/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_04-12-2013
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« Risposta #116 inserito:: Febbraio 03, 2014, 04:27:02 pm »

Renzi, batteremo la nuova destra: "Non ho bisogno di Casini. Contro Berlusconi servono le idee. Io premier ora? Mi occupo di altro"
Governo fino al 2018 se fa riforme. Italicum non si tocca

di CLAUDIO TITO
   
Renzi, batteremo la nuova destra: "Non ho bisogno di Casini. Contro Berlusconi servono le idee. Io premier ora? Mi occupo di altro"
IL CENTROSINISTRA può vincere anche senza i centristi di Casini. La legge elettorale si può modificare solo con l’accordo di tutti. Il rimpasto lo deve decidere Letta e la legislatura può andare avanti se si fanno le riforme. Grillo si sta sgonfiando come un palloncino ma gli atti di questi giorni sono squallidi e squadristi. Il segretario del Pd Matteo Renzi rilancia.

È sicuro che la strada imboccata può portare a disegnare un nuovo assetto istituzionale e politico. Confermando il bipolarismo e restituendo al fronte progressista la chance di guidare il paese "senza larghe intese".
"Se vogliamo il bipolarismo - avverte -, non mi stupisce che Casini stia di là. Anzi io assegno all'Italicum la forza di aver salvato questo principio. E ha messo a tacere i cantori della Prima Repubblica".

Ma non teme che Berlusconi si rafforzi? Mette insieme tutti i centristi, riunisce un bel po' di listine e batte di nuovo il centrosinistra.
"Ma la nostra vittoria non dipende dal sistema di voto. Sarebbe il fallimento della politica se affidassimo il nostro successo alla legge elettorale e non alla qualità delle proposte e delle leadership. Vinci se affascini gli italiani con le tue idee, non se pensi di farti la legge su misura".

Lei quando si tornerà alle urne si presenterà da solo o con un'alleanza?
"È chiaro, con un'alleanza. Ma adesso siamo un passo indietro. C'è un accordo siglato da forze politiche diverse. Non accadeva dal 1993, ossia dalla fine della Prima Repubblica. Da quel momento le riforme le hanno fatte tutti a maggioranza. Riguarda anche il Senato e il Titolo V. Il dibattito non può essere allora come ci si presenterà alle elezioni. Anche se è evidente che faremo un'alleanza con forze di centro e di sinistra. Il punto però è impedire il potere di ricatto dei piccoli partiti".

Va bene. Ma prendiamo Sinistra e Libertà di Vendola. Perché dovrebbe allearsi con lei se sa di non arrivare al 4%?
"Dovranno fare uno sforzo per superare lo sbarramento. Sarebbe strano non muoversi in questa direzione. Di certo non è accettabile che chi prende una percentuale minimale poi faccia il bello e il cattivo tempo. Ricorda il 2006 e l'agonia del governo Prodi causato proprio dai partitini?".

Nel 2008 invece Veltroni ottenne un buon risultato di partito ma perse le elezioni inseguendo la vocazione maggioritaria.
"Se siamo credibili, prendiamo un voto più degli altri. Certo, se per farci paura basta uno starnuto di Casini, allora "Houston abbiamo un problema". Siamo il Pd, noi. Dobbiamo dire qual è la nostra idea di società. Non basta più essere contro Berlusconi. Dobbiamo salvare l'Italia e cambiarla a 360 gradi. E allora discutiamo se si fanno investimenti per la scuola e per la pubblica amministrazione. Parliamo della società, dei meriti e dell'uguaglianza".

Questo sembra uno slogan usato negli anni '80 da Claudio Martelli.
"Ma a un giovane che non sa chi sia Martelli, gli devi dire se vanno avanti i figli di papà o chi ha merito. Se non lo fai, allora è conservazione".

È un modo per rispondere anche a Grillo?
"Per la prima volta rincorre, è in difficoltà. Se la politica fa le cose che promette, lui si sgonfia come un palloncino".

Ora però c'è qualcosa di più, gli insulti, i libri bruciati, l'assalto alle istituzioni, la violenza. Non vede una strategia del caos, un disegno eversivo?
"Sono tutti atti tecnicamente squadristi. Alcuni di loro sono dei bravi ragazzi, ma quando scendono Grillo e Casaleggio la linea è chiara. Sperare nel fallimento e aizzare il caos. Adesso i teorici dello streaming e della trasparenza si sono ridotti a chiedere il voto segreto come un partitino da prima Repubblica. Dovevano rendere il palazzo una casa di vetro, ma scommettono sui franchi tiratori".

Nella prima Repubblica il presidente della Camera non avrebbe mai ricevuto quegli insulti.
"Che sono squallidi. Del resto quando il pregiudicato Grillo ha l'insensibilità di dire cosa fareste in macchina con la Boldrini... Detto questo il questore Dambruoso dovrebbe dimettersi, perché non bastano le scuse dopo quello che abbiamo visto. La presidente della Camera avrebbe potuto gestire meglio l'ultima settimana anche nelle calendarizzazioni. Ma questo non può giustificare la volgarità e lo squallore dei grillini".

Lei considera il bipolarismo un elemento fondamentale. Quindi la riforma elettorale non si tocca?
"Nessun sistema elettorale è perfetto e le correzioni sono sempre possibili. È fondamentale però salvaguardare il bipolarismo, appunto, e il ballottaggio. Ma nessuno può pensare di imporre le proprie modifiche agli altri. Si cambia solo se si è tutti d'accordo".

Eppure una parte del Pd vuole intervenire sul testo anche senza l'accordo di Forza Italia.
"Condivido nel merito alcune preoccupazioni della minoranza. Ma non posso non riconoscere che Fi ha fatto un passo avanti grandissimo accettando il ballottaggio. Non si può rischiare a colpi di emendamenti di far saltare tutto. Abbiamo fatto un accordo e non accetto piccole furbizie. Berlusconi per adesso ha mantenuto gli impegni e non sarà certo il Pd a venire meno alla parola data, visto che la nostra direzione si è espressa. Siamo un partito, non un club di liberi pensatori".

Magari i forzisti non ne sono così sicuri.
"Non si preoccupino della nostra compattezza. Il 92% del gruppo democratico era in aula al momento del voto sulle pregiudiziali di costituzionalità. Quelli di NCD il 68%, quelli di scelta civica il 57%. I deputati Forza Italia erano il 77%. Semmai mi preoccupa la loro compattezza".

In che senso?
"La Lega non ha partecipato al voto e Salvini continua a dire che non è interessato alla norma di salvaguardia regionale. Come pensano sia possibile che votiamo quell'emendamento se provoca tanto disgusto nel segretario leghista? Non sia mai che offendiamo la sua spiccata sensibilità".

Lei dice che va salvata l'Italia. Ma ci dovrebbe pensare anche il governo.
"Tocca al presidente del consiglio decidere cosa fare. Se pensa che questo governo vada bene, ok. Se pensa che non vada, dica cosa vuol cambiare e quali ministri vuole sostituire. Ma non si usi l'alibi del Pd per evocare un rimpasto o per mettere dei renziani. Questo schema mi inorridisce. Io sono il segretario del Pd e non dei renziani. Non voglio partecipare a vecchie liturgie da Prima Repubblica. Faccia lui. Non sarò mai un "vetero-cencelliano"".

Nel senso del manuale Cencelli?
"L'altro giorno nella mia stanza è venuto il capogruppo di Italia Popolare, una persona perbene come Dellai. Con lui si è presentato un deputato del suo schieramento e mi ha detto: "Se volete il nostro accordo, a noi cosa date?". Gli ho chiesto di uscire dalla stanza. Siamo al governo del Paese, non al mercato del bestiame. Io mi occupo di cose concrete, dei cantieri da aprire in mille scuole, della riforma di una pubblica amministrazione barocca, della necessità di non doversi rivolgere a un capo di gabinetto per sbloccare una pratica, degli investimenti stranieri su cui tutti devono riflettere".

Perché?
"In un anno il loro valore è dimezzato. Un Paese che non attrae è un Paese spacciato. Dobbiamo recuperare appeal. Farli venire e farli restare in Italia".

Proprio oggi Letta parla di una ripresa già avviata.
"Non ho letto le dichiarazioni del presidente del consiglio. Ci sono segnali di ripresa a livello internazionale, il Pil negli altri paesi cresce. È interessante per l'Italia non sprecare l'inizio di questa ripresa. Ma non c'è ripresa senza occupazione. C'è ancora molta strada da fare".

E Letta fino a quando andrà avanti?
"Basta con il quanto dura! E un governo, non un iphone. Questa legislatura può durare fino al 2018, ma deve affrontare con decisione i problemi veri".

Si arriva al 2018 anche se si fa un nuovo esecutivo e lei va a palazzo Chigi.
"Il problema non è il nome del premier, che per quel che mi riguarda si chiama Enrico Letta, ma le cose da fare. Io mi occupo di queste, non di altro".

© Riproduzione riservata 03 febbraio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/03/news/renzi_batteremo_la_nuova_destra_non_ho_bisogno_di_casini_contro_berlusconi_servono_le_idee_io_premier_ora_mi_occupo_di_a-77561690/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_03-02-2014
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« Risposta #117 inserito:: Febbraio 06, 2014, 04:35:02 pm »

Il fronte trasversale a favore di Matteo: "Se Enrico non cambia passo tocca a te"
Il no del segretario: "Vada avanti lui". L'ipotesi del voto

di CLAUDIO TITO
   
Il fronte trasversale a favore di Matteo: "Se Enrico non cambia passo tocca a te"Il sindaco di Firenze Matteo Renzi

Il bivio ormai è lì davanti. Prenderà una forma visibile a tutti tra una decina di giorni. Subito dopo che la Camera avrà approvato la legge elettorale. Una biforcazione che segnerà il destino di questa legislatura. E che determinerà una vera e propria svolta. Per il governo e per il Pd. Si capirà se Enrico Letta potrà andare avanti o meno. Soprattutto si saprà se l'alternativa all'attuale presidente del consiglio saranno le elezioni anticipate o la formazione di un nuovo esecutivo. Guidato da Matteo Renzi. "Non esiste, deve andare avanti Enrico", si schermisce il sindaco di Firenze.

Eppure nella maggioranza e tra i leader della futura coalizione di centrosinistra il tam tam è già partito. Negli incontri riservati un po' tutti danno per scontata l'opzione del leader democratico. Anche se tutti sanno che l'operazione è contaminata da un livello di rischio molto alto. Il precedente del 1998, quello di Massimo D'Alema aleggia come un fantasma. Ne sono consapevoli Renzi e tutti gli interlocutori che negli ultimi giorni gli hanno ripetutamente chiesto di fare un passo avanti.

Il loro ragionamento è questo: se Letta non fosse in grado di compiere l’auspicato cambio di passo, sarebbe indispensabile correre ai ripari. Il rischio è che la legislatura vada avanti senza un vero segno di cambiamento. E che si arrivi al 2015 con un centrosinistra consumato e con una leadership logorata. Sia dentro il Partito Democratico sia tra gli alleati, si mettono in evidenza i richiami dell’Unione europea ad accelerare sulle riforme, a porre l’attenzione sul riassetto della Pubblica amministrazione e sulla riduzione dei tempi della giustizia. Questioni che marcherebbero un’inversione di tendenza.

Anche a Palazzo Chigi, poi, sono rimasti colpiti dagli attacchi sistematici mossi dalla Confindustria. L’associazione di Viale dell’Astronomia ormai quasi quotidianamente spara bordate contro il governo. Un clima che agita i sonni del presidente del consiglio. Senza contare che il prossimo 18 febbraio si terrà pure la manifestazione nazionale di ReteItalia (l’organizzazione che riunisce tutte le associazioni di imprenditori dalla Confindustria alla Confcommercio).

L’allarme, però, coinvolge tutte le forze che sostengono l’esecutivo. «Dovete anche capire - sono ad esempio le parole del leader Ncd, Angelino Alfano, ai suoi alleati - che voi così mi rispingete tra le braccia del Cavaliere ». Il vicepresidente del consiglio chiede ancora tempo. L’idea di varare la legge elettorale e poi sostanzialmente andare alle urne non lo convince. Quindi - è la sua valutazione - per dare sostegno alla legislatura «serve un impegno del segretario del Pd».

Eccola dunque la “staffetta”. I “montiani” di Scelta civica sono da tempo convinti che sia quella la carta da giocare. E nonostante le scaramucce di questi giorni anche il capo di Sel, Nichi Vendola, ha ammesso che «questa può essere una possibilità». Persino il “nemico” del Sindaco e capo della minoranza pd, Gianni Cuperlo, è ormai orientato in questa direzione. Per un motivo molto semplice: gli ex dalemiani pensano di riprendersi così il partito.

La road map immaginata in queste ore è quindi questa: verificare domani nella riunione della direzione democratica se il premier è in grado di organizzare un «rilancio». Aspettare il voto sulla riforma elettorale e subito dopo stabilire, davanti al bivio, quale strada imboccare. È chiaro che tutti considerano fondamentale il via libera all’Italicum. Qualsiasi mossa ha infatti un solo paracadute: la possibilità di tornare in ogni momento al voto con la riforma già varata. Anzi, proprio l’Italicum sarebbe la giustificazione per un nuovo governo che si configurerebbe come “costituente”: uno strumento per accompagnare le riforme. Certo, tra due settimane mancherebbe ancora il sì del Senato alla legge elettorale ma a quel punto nessuno - nemmeno Silvio Berlusconi - sarebbe interessato a far saltare un sistema che garantisce il bipolarismo e quindi la centralità di Forza Italia.

Non solo. A breve proprio il segretario pd dovrebbe schierarsi a favore di una modifica alla riforma che introduca, insieme alla norma “salva-Lega” anche una “salva-Sel”, che prevede il recupero del “miglior perdente” all’interno di una coalizione, ossia il primo partito che non supera lo sbarramento al 4,5% (e che probabilmente verrà abbassato al 4). Questo emendamento sarebbe una sorta di wild card a disposizione di Vendola per ricomporre il dissidio con i democratici e, nel caso, per rientrare nella maggioranza appoggiando un eventuale gabinetto Renzi. Si tratterebbe di una decina di voti in più al Senato in grado di irrobustire la maggioranza. Una pattuglia che per molti potrebbe ulteriormente infoltirsi con l’approdo di quei grillini dissidenti pronti a manifestarsi in occasione del voto sulla riforma elettorale.

Eppure, in tutti i colloqui si valutano anche i tanti ”contro” che sconsigliano la “staffetta”. In primo luogo è proprio Renzi a non volerne sapere. «Per me non esiste. Deve andare avanti Letta - ripete ad ogni piè sospinto - Deve essere lui a cambiare passo. Io resisto. E rimango dove sto». Il secondo ostacolo riguarda il Quirinale. Un nuovo governo deve superare il check in del Colle. E fino ad ora Napolitano non ha mai nascosto la sua preferenza a favore della continuità lettiana. Le controindicazioni, però, non sono solo queste. L’”effetto-D’Alema” potrebbe avvolgere l’intero disegno. Arrivare a Palazzo Chigi dalla porta di servizio e dopo aver fatto traslocare un esponente del proprio partito, può trasformarsi in un colpo letale. Bruciando l’ennesima leadership del centrosinistra. Senza contare che nessuno è in grado di prevedere la reazione di Silvio Berlusconi. «È chiaro - ragionava proprio nel week end il Cavaliere - che se nasce il governo Renzi, noi chiederemo di entrare». Un’ipotesi che fa letteralmente inorridire il sindaco. Il capo di Forza Italia però se fosse respinto, avrebbe le mani libere per far saltare il patto per abolire il Senato e rivedere il Titolo V della costituzione. In quel caso lo show down non farebbe altro che portare al voto anticipato. Un azzardo se non si modifica il ruolo del Senato. Anche con l’Italicum, infatti, restano altissime le probabilità di dover fare i conti con aula di Palazzo Madama di nuovo ingestibile ed esposta alla rinascita delle larghe intese.

Sta di fatto che il bivio resta. Domani il premier proverà a sfidare Renzi chiedendo in direzione subito l’impegno a formare un nuovo governo. Se Letta non convince il suo partito, dinanzi a Largo del Nazareno e a Piazza del Quirinale si ripresenterà la medesima biforcazione: voto o incarico a Renzi. E come dice il prodiano Sandro Gozi, ex funzionario della Commissione europea, «nulla impedisce di aprire le urne durante il semestre di presidenza dell’Ue. Da quando c’è il presidente permanente del Consiglio europeo, quello di turno è una sorta di assistente. E comunque è accaduto anche nel 1996». Quando nella corsa a Palazzo Chigi vinse Romano Prodi.

© Riproduzione riservata 05 febbraio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/05/news/il_fronte_trasversale_a_favore_di_matteo_se_enrico_non_cambia_passo_tocca_a_te-77728559/?ref=HRER1-1
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« Risposta #118 inserito:: Aprile 21, 2014, 11:25:23 pm »

Renzi: Ora aiuti alle famiglie e lotta alla burocrazia. "Via subito il segreto sulle stragi. Al voto nel 2018"

Intervista al presidenza del Consiglio. "Per fare tutto questo serve tempo, ma scommetto che questa legislatura durerà fino al 2018. E lo sa anche
Berlusconi, anche se in pubblico dice altro"

di CLAUDIO TITO
20 aprile 2014

IO VOGLIO RIDARE fiducia all’ Italia.
Voglio che a Bruxelles e nelle altri capitali dell’Unione si dica: "Ecco, finalmente l’Italia è tornata in Europa". Matteo Renzi traccia un bilancio di questi primi 58 giorni di governo. E rilancia. Mette nero su bianco la road map del suo esecutivo nei prossimi sei mesi. Da un nuovo intervento sulle tasse con il "quoziente familiare" da inserire nella delega fiscale alla riforma della giustizia, civile e penale. Mai più leggi ad personam. Ma anche interventi sui Tar perché "il loro sistema non funziona".

Dalle misure per la pubblica amministrazione con "l'identità digitale" che consentirà a tutti il disbrigo delle pratiche burocratiche da casa all'introduzione del principio della "total disclosure": la desecretazione dei documenti di alcune delle vicende più drammatiche della storia d'Italia come le stragi di Piazza Fontana, dell'Italicum e di Bologna. La base restano le modifiche alla Costituzione e la legge elettorale, per le quali il premier vuole rispettare i tempi fissati. Perché "vorrei un Paese moderno". Per questo "serve una rivoluzione" e soprattutto tempo: "Al voto ci torneremo nel 2018. Anche Berlusconi lo sa".

Intanto in molti sospettano che ci siano problemi di copertura al decreto Irpef approvato venerdì scorso.
"E' un falso problema. Siamo stati molto rigorosi. Merito di Padoan e Delrio aver seguito una linea prudenziale. Abbiamo abbassato la stima di crescita del Pil dall'1,1 del precedente governo allo 08, %. Se non lo avessimo fatto avremmo avuto 5 miliardi in più".

Eppure il nodo delle voci una tantum resta.
"Ci sono misure una tantum ma sono indicate anche quelle strutturali. Dopo accese discussioni sull'Iva e sull'evasione abbiamo sottostimato gli introiti ragionando in modo scrupoloso".

Beppe Grillo ha messo nel suo mirino lei e proprio il provvedimento di venerdì.
"E' divertente come un tempo. Fino a una settimana fa mi accusava di essere il governo della banche e oggi le sue dichiarazioni sono andate a braccetto con quelle dell'Abi. Fino a una settimana fa mi accusava di aver fatto inciuci con Berlusconi e oggi ripete le cose che dice Forza Italia. Lui urla, noi ragioniamo. Lui punta sulla rabbia, noi sulla speranza".

Le banche in effetti non hanno preso bene il decreto.
"Pagano le stesse tasse di tutti gli altri italiani, il 26%. Chiediamo solo di pagare le tasse come tutti. Nessuna crociata demagogica: io so che la banche sono importanti. Ma le regole valgono per tutti: non c'è qualcuno più uguale degli altri. Noi andiamo avanti ma per rendere tutto attuabile abbiamo bisogno di una condizione preliminare".

Ossia?
"Mantenere credibilità sui mercati. Sarà possibile se resta alta l'attenzione sulle riforme. Su tutte le riforme. Se ci riusciamo, allora, presto potremo allargare il taglio delle tasse agli incapienti, alle partita Iva e ai pensionati ad esempio. Ma per il momento faccio notare a chi mi accusava di fare solo televendite che abbiamo mantenuto le promesse. Come diceva Franco Califano, tutto il resto è noia".

Abbassare le tasse ulteriormente? Come? Già con la prossima delega fiscale?
"Piano piano sarà tutto più chiaro. Abbiamo messo la cornice del puzzle, per i tasselli abbiamo bisogno di qualche settimana. Ma la rivoluzione è appena iniziata, gli 80 euro (e l'Irap) sono l'antipasto. E mi fa ridere chi mi accusa di aver approvato quest'ultimo decreto per motivi elettorali. I soldi nelle buste paga degli italiani, arrivano dopo le elezioni, non prima. In ogni caso, la delega serve per cambiare il nostro Fisco ma  -  so che qualcuno si stupirà  -  la priorità non è il semplice abbassamento delle imposte. E lo dice uno che ha sempre tagliato le tasse, in Provincia con l'Ipt, in Comune con l'addizionale Irpef più bassa d'Italia e ora al governo con il bonus. No, la priorità è fare le cose semplici: dare certezze di tempi e procedure. La priorità fiscale è semplificare il sistema".

Scusi, ma questi sono slogan.
"Altro che slogan. Manderemo a casa di 32 milioni di italiani un modulo precompilato e con un clic faranno la dichiarazione dei redditi. Non è pensabile che per pagare le tasse ci voglia un esperto".

Quindi non una revisione delle aliquote?
"Non credo. Però, già nella delega, vorrei provare ad entrare in una nuova logica. Negli 80 euro che noi daremo da maggio, c'è un elemento di debolezza. Ottanta euro dati ad un single hanno un impatto diverso rispetto ad un padre di famiglia monoreddito con 4 figli. Dobbiamo porci questo problema".

Parla del quoziente familiare?
"Qualcosa del genere. Ne discuteremo con gli esperti e con la maggioranza. Ma l'Italia non si può permettere il lusso di trattare male chi fa figli".

Per qualcuno è una battaglia di destra.
"È un ritornello cui ormai sono abituato. Ma non sono d'accordo. È di destra dare più soldi a chi ha meno? Nessun rinnovo contrattuale sindacale ha mai dato ai lavoratori quello che abbiamo dato noi con il decreto Irpef. È di destra lavorare per la parità di genere? È di destra innovare la Pubblica amministrazione? È di destra stanziare 3,5 miliardi per la scuola e approvare le risorse per gli alluvionati? E se ero di sinistra che dovevo fare? L'esproprio proletario? La verità è che l'impronta del Pd in questa manovra è evidente. Compreso l'elemento etico di porre un tetto agli stipendi. L'equità sociale non si fa con i convegni, ma con le scelte di governo".

Anche la lotta all'evasione fiscale, però, presenta un carattere etico.
"Si ma non la si combatte con nuove norme. Serve la volontà politica. Ci si riesce se c'è la voglia di incrociare i dati, perseguire i colpevoli. Altrimenti si cade come spesso accade in Italia nel "benaltrismo". Lo spazio per contrastare l'evasione è ampio. Serve un uso massiccio della tecnologia".

Magari anche più controlli.
"È una logica parziale. Rafforza l'idea che l'Agenza delle Entrate è il nemico. E invece deve essere un partner, un amico. Naturalmente chi imbroglia e froda deve essere punito. Anche pesantemente. Ma per il resto l'Agenzia deve aiutare. La lotta all'evasione non si fa con i controlli spettacolari sul Ponte Vecchio. Siamo nel 2014. Lo Stato, se vuole, sa tutto di tutti. Rispettando la privacy, vogliamo finalmente fare sul serio? C'è solo bisogno di invertire la logica in tutta la Pubblica amministrazione".

In che senso?
"Lo Stato deve essere al servizio del cittadino. Troppi enti fanno troppe cose e male. Vanno ridotti e questo non vuol dire licenziare i dipendenti. Abbiamo ridotto le auto blu come nessuno ha mai fatto prima e gli autisti tornano a fare i poliziotti. Lo stesso criterio vale per gli altri".

Quando si parla di riforma della Pubblica amministrazione non si capisce mai cosa ci guadagna il cittadino.
"Entro un anno daremo una "identità digitale" a tutti. Per capirci: daremo un pin a ogni italiano e userà quel codice per entrare in tutti gli uffici della pubblica amministrazione restando a casa. Tutti gli enti avranno un unico riferimento. Gli italiani non dovranno più fare file al comune o in circoscrizione o in un ministero per risolvere questioni banali. Cerco di spiegarmi con una metafora. È come se oggi funzionasse così: ciascuna amministrazione parla una lingua diversa e il cittadino deve pagare i costi di traduzione. Noi costringeremo tutti a parlare con una lingua sola".

Si potrà pagare una multa o prenotare una visita alla Asl?
"Tutto. Con quel pin potranno pagare le multe o le tasse, prenotare una vista all'Asl o disbrigare le pratiche della giustizia. Non si dovrà più perdere la testa dietro i burocrati. Ma c'è di più vorrei introdurre il principio della "total disclosure"".

Cioè trasparenza.
"Totale. Venerdì al Cisr  -  il Comitato per la sicurezza nazionale  -  accogliendo un suggerimento del sottosegretario Minniti e dell'ambasciatore Massolo, responsabile del Dis, abbiamo deciso di de secretare gli atti delle principale vicende che hanno colpito il nostro Paese e trasferirli all'Archivio di Stato. Per essere chiari: tutti i documenti delle stragi di Piazza Fontana, dell'Italicum o della bomba di Bologna. Lo faremo nelle prossime settimane. Vogliamo cambiare verso in senso profondo e radicale".

Forse, però, è il momento di una riforma della giustizia.
"A giugno, dopo le elezioni. Ascolteremo tutti e la faremo con la massima serietà. Lo spread che ci divide su questo versante con gli altri paesi è enorme. Iniziamo allora con il processo civile telematico".

Va bene la riforma della giustizia civile, ma ammetterà che quella politicamente più sensibile riguarda il processo penale.
"Anche quello, senza interventi ad personam che hanno segnato la sconfitta della politica in questi anni. C'è anche la giustizia amministrativa. Il sistema dei Tar non funziona come dovrebbe. Dobbiamo fare un riflessione anche su questo".

Ha cominciato tagliando gli stipendi ai magistrati.
"Stimo e rispetto la stragrande maggioranza dei magistrati. Sono dei servitori dello Stato, spesso straordinari. Ma continuo a non capire perché in fase di discussione di una legge, alcuni di loro debbano intervenire con un tono superficiale e minaccioso. Se vale il principio sacrosanto per cui le sentenze si rispettano e non si commentano, con quale logica loro intervengono sulla formazione delle leggi? Non è indispensabile che un giudice o un pm guadagni più di 240 mila euro l'anno. Non è un disastro sociale. Se l'Anm ci attacca per questo sono preoccupato per loro. Resta incredibile che chi guadagna 20 volte più dello stipendio medio degli italiani, si lamenti. È un attacco preventivo e ingiustificato. Mi hanno detto: guai ad attaccare i magistrati. Infatti non li attacco. Ma difendo il mio governo e la dignità dei dipendenti pubblici. Cosa dovrebbe dire un professore che guadagna 1300 euro al mese?".

Per fare tutto questo serve tempo.
"E infatti questa legislatura durerà fino al 2018. Ci scommetto".

Berlusconi mica tanto.
"Forse non in pubblico, ma secondo me lo sa anche lui. In ogni caso nel nostro Paese sta tornando la speranza. Adesso se riusciamo a sbloccare l'incantesimo, accadrà una cosa straordinaria: in Europa torna l'Italia autorevole e combattiva. A quel punto, le assicuro, ci divertiremo".

© Riproduzione riservata 20 aprile 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/04/20/news/intervista_renzi-84052427/?ref=HREC1-4
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« Risposta #119 inserito:: Agosto 06, 2014, 04:40:04 pm »

Renzi: "Mai più una legge ad personam per Berlusconi. Non ci sarà nessuna manovra"
Intervista al presidente del Consiglio: "Nel patto del Nazareno non ci sono scambi. Non ci sarà un autunno caldo, resteremo sotto il 3%.
Sono pronto al dialogo, ma basta discussionismo"


di CLAUDIO TITO
04 agosto 2014
   
Nessun accordo oscuro con Berlusconi, nel patto del Nazareno non c'è nulla che non sia stato trasferito negli atti parlamentari. E soprattutto non prevede alcuna "legge ad personam" per l'ex Cavaliere. Per consentirgli di ricandidarsi alle prossime elezioni scavalcando le norme Severino. Matteo Renzi respinge al mittente le critiche sulle riforme. "Sono sempre pronto al dialogo" ma basta con il "discussionismo". E basta con i "gufi professori" o con i "gufi indovini". Il referendum confermativo si terrà entro il 2016 ma a questo punto il dibattito è stato fin troppo lungo: "Ora si decide". Anche perché le riforme sono la precondizione per far ripartire il Paese.

"È vero - ammette - la ripresa è debole. Ma non siamo messi male e il prossimo non sarà un autunno caldo. La Troika non arriverà e se mai ci fosse bisogno di una manovra, non imporremo nuove tasse. E comunque rimarremo sotto il 3% nel rapporto deficit/pil".

Ma lei è proprio sicuro che questo sia stato il modo di migliore per realizzare le riforme? Non serviva una discussione più ampia?
"Intanto non le abbiamo ancora fatte. La nostra non è ancora una missione compiuta. C'è ancora una settimana di lavoro e quattro letture parlamentari. Di certo si è fatto un passo avanti anche grazie alla straordinaria dedizione dei senatori della maggioranza che hanno sopportato insulti ingiustificati. Si può fare sempre meglio, la controprova non esiste. Ma per me stiamo facendo bene. L'obiettivo di qualcuno non era fermare la riforma, ma fermare noi. Non ce l'hanno fatta. E con il referendum alla fine l'ultima parola sarà dei cittadini".

Ma non è solo questo. Forse il confronto poteva essere arricchito da un dibattito culturale più profondo, capace di preparare il terreno in modo più fecondo.
"Nessun tema è stato più discusso della riforma costituzionale: bipolarismo perfetto, poteri delle Regioni, iter delle leggi. Ci sono tomi e tomi, convegni e seminari. Sono trent'anni che facciamo dibattiti culturali, ora è venuto il momento di decidere: facciamo politica, noi, non accademia. E in politica alla fine si decide. L'Italia non si può più permettere di coltivare il culto del "discussionismo" fine a se stesso. Si può essere d'accordo o meno, ma non si può sostenere che non sia stata sufficiente la preparazione. Certo, c'è una parte dell'establishment che non sopporta il mio stile. Ma verrà il giorno in cui si potrà essere finalmente parlare delle responsabilità anche delle elite culturali nella crisi italiana: i politici hanno le loro colpe. Ma professori, editorialisti, opinionisti non possono ritenersi senza responsabilità".

Quindi il discorso è chiuso?
"No, ci sono ancora quattro letture. Ma nessuno può pretendere di porre veti. Non è possibile che o si è tutti d'accordo o ci si blocca".

Anche perché se le riforme si bloccano, si torna a votare.
"Con l'approvazione della riforma costituzionale, questa legislatura sarà intera. Questa riforma non è la chiave di tutti i problemi. Ma è il simbolo più forte. Dopo la sua approvazione, a settembre partono i 1000 giorni".

Scusi ma che c'entra la nuova costituzione con i 1000 giorni?
"Questo governo ha davanti a sé molte sfide, riassumibili in due grandi temi. Primo. Il ritorno della politica: riforme costituzionali, legge elettorale, politica estera nel Mediterraneo e in Europa, la sfida educativa con scuola cultura e Rai, la spending che è operazione politica non tecnica. Secondo. Un Paese più efficiente: fisco, giustizia, pubblica amministrazione, lavoro e SbloccaItalia. Il lavoro e già partito e i mille giorni saranno presentati entro il mese di agosto. Ma l'impianto complessivo possiamo costruirlo solo se c'è il passaggio preliminare delle riforme costituzionali ".

Quindi si vota nel 2018 oppure no?
"La data delle elezioni in Italia è decisa dal presidente della Repubblica. Che fa le proprie valutazioni sulla base della Costituzione e del lavoro dei parlamentari. La mia scommessa è che questa legislatura abbia una dimensione quinquennale".

Lei dice di essere aperto al dialogo. Allora cosa può cambiare del testo all'esame del Senato?
"Tutto quello su cui c'è la maggioranza. Questa non è una riforma imposta, ma costruita da un paziente lavoro di ascolto e dialogo ".

Così però è facile.
"Lo dice lei. Le opposizioni hanno dato vita a un ostruzionismo ingiustificato. Quando sento che si lamentano di Grasso, io dico che il presidente del Senato è stato troppo accondiscendente con le richieste delle opposizioni. Alcune scelte di Grasso ci sono parse sinceramente sbagliate. Ma non lo abbiamo attaccato perché abbiamo rispetto della seconda carica dello stato e delle istituzioni. Il "canguro " è uno strumento di decoro a meno che non si voglia davvero prendere sul serio gli emendamenti di chi ha proposto -  come il costituzionalista Minzolini -  di cambiare in Gilda il nome della Camera".

Ma è vero che siete pronti a trattare sulla base elettorale del capo dello Stato, sulle firme per indire i referendum e soprattutto sull'immunità?
"Noi siamo pronti a discutere di questo e di altro. Per esempio Ncd ha proposto di poter commissariare le Regioni che non tengono i conti in ordine. Importante è che sia discussione civile. I nostri senatori sono stati pazienti nel sopportare gli insulti, ora basta. Dialogo sì, insulti no".

Quando pensa che si possa tenere il referendum confermativo?
"Ragionevolmente tra il 2015 e il 2016".

Il dialogo vale anche per la legge elettorale?
"Certo. Ci siamo sottoposti anche allo streaming dei grillini che pure adesso pare preferiscano il modello Pinochet, una pagina di storia decisamente democratica secondo loro. Noi ci siamo. Però ci devono stare tutti i contraenti. Perché le regole si scrivono insieme ".

Quindi le modifiche riguarderanno le preferenze, le soglie di sbarramento e quella per accedere al premio di maggioranza?
"Sono i punti di maggior discussione. C'è anche chi vuole i collegi sulla base del Mattarellum. Vediamo. L'importante è tenere al tavolo tutti che ci vogliono stare. Sapendo però che l'Italicum per il PD è il sistema meno conveniente. Ma per me il più equilibrato e giusto".

Ma entro quanto tempo deve diventare legge?
"Non c'è urgenza per elezioni imminenti. Ma è urgente per non perdere la faccia coi cittadini. È calendarizzato dal primo settembre al senato per la seconda lettura".

E Berlusconi è fondamentale in questo percorso?
"Tutti siamo fondamentali. I numeri ci sono anche senza di lui ma dopo anni di riforme l'uno contro l'altro, ora si è affermato il principio di farle insieme. Mi sembra un passo in avanti nella cultura politica italiana".

Scusi, ma quello del Nazareno è davvero un patto scritto?
"Certo".

E cosa c'è dentro?
"Quello che legge negli atti parlamentari sulle riforme".

Troppo facile rispondere così.
"Ma vi pare che io firmi una cosa con Berlusconi e la metta in un cassetto? Questa è la tipica cultura del sospetto di una parte della sinistra. Io ho declassificato il segreto di stato per le stragi di questo Paese, e vado a nascondere un patto di questo tipo? C'è scritto quello che abbiamo messo negli atti parlamentari".

Cosa farebbe se Berlusconi le chiedesse di facilitare l'approvazione di una norma che gli permette di candidarsi alle prossime elezioni bypassando, ad esempio, la legge Severino?
"Non lo ha fatto, non credo lo farà. Del resto la Severino è una legge votata dal PdL e sono certo che sia finito il tempo delle leggi ad personam. Anche perché i percorsi giudiziari sono andati, con tutto ciò che sappiamo. Basta proporre passaggi impropri tra le riforme e le utilità del leader di Forza Italia. Dopo le riforme, torneremo ad essere divisi. Anzi, facciamo le riforme proprio per evitare in futuro di essere costretti a governare insieme".

Dopo le riforme, i 1000 giorni. Ma non sarà che a settembre le toccherà affrontare un autunno caldo?
"Sono convinto di no. Questa è una retorica che fa sbadigliare, È trita e ritrita. Gli editoriali agostani sono prevedibili come le occupazioni studentesche nei primi giorni di scuola. So bene che la ripresa è fragile, come dice Draghi. L'eurozona cresce meno degli altri. L'Italia non ha invertito la marcia e non la invertirà con la bacchetta magica. Ma la narrazione degli autunni caldi è un noioso deja vu".

Ma dovrete trovare 20 miliardi oppure no?
"Definire le cifre del 2015 è prematuro. Iniziamo col dire che non ci sarà manovra correttiva quest'anno, con buona pace dei Brunetta & company. Abbiamo un impegno di ridurre le spese di 16 miliardi, che vuol dire di circa il 2% della spesa. Cercheremo di mantenerlo. In ogni caso non toccheremo le tasse: tutti i denari che servono verranno dalla riduzione della spesa. Ecco perché non mi interessa il nome del commissario alla spending, ma la sottolineatura che la spending è scelta politica  -  non tecnica  -  che dipende dalla politica".

E l'Italia non supererà il 3% nel rapporto deficit/pil?
"Assolutamente no. E non siamo nemmeno messi male. Ci sono le condizioni per uscire dalla crisi. Io definisco gufi non quelli che parlano male di me: chi parla male di me o mi critica mi aiuta, spronandomi a fare meglio. I gufi sono quelli che criticano l'Italia e sperano che non ce la faccia. Ci sono i gufi professore, i gufi brontoloni, i gufi indovini. Anche se questi ultimi dopo il 25 maggio parlano di meno. Ma basta con questo clima di rassegnazione. I cittadini hanno ancora voglia di crederci. E io non mollo di un millimetro".

Va bene. Però lei deve rispondere anche ai numeri e a chi le fa notare che la crescita ormai s'avvia verso lo zero. Che gli 80 euro non hanno fatto ripartire i consumi, che probabilmente nel 2015 dovrà superare la soglia dell'1,8 nel rapporto deficit/pil fissato dal suo Def.
"Come sarà l'Italia a fine anno lo vedremo. A chi dice che gli 80 euro non hanno rilanciato i consumi, rispondo di aspettare i risultati consolidati. Ma si tratta di un fatto di giustizia sociale, il più grande aumento salariale degli ultimi anni. La crescita è negativa da tempo. Avviandosi verso lo zero darebbe segnali di miglioramento. Comunque per me il metro chiave è il numero degli occupati. Anche questo mese più cinquantamila. Ma non basta".

Ma il prossimo anno supereremo l'1,8% nel rapporto deficit pil?
"Dipende da come va. Ma di certo staremo sotto il 3%".

Non è che ci ritroviamo la Troika?
"Non in Italia. La Troika è la negazione della politica"

Molti dicono che con il rapporto con il ministro Padoan va malissimo.
"Non me ne sono accorto. Credo neanche lui".

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/08/04/news/intervista_renzi_mai_legge_salva_berlusconi-93071415/?ref=HRER3-1
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