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Autore Discussione: PRODI: "NEL PAESE L'ARIA E' IRRESPIRABILE"... (quindi?).  (Letto 4923 volte)
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« inserito:: Giugno 16, 2007, 06:13:12 pm »

PRODI: "NEL PAESE L'ARIA E' IRRESPIRABILE"
 

Per il presidente del Consiglio Romano Prodi nel Paese l'aria si e' fatta "irrespirabile".

Alla precisa domanda dei cronisti a Boretto nel Reggiano, sul fiume Po, dove il premier si e' recato per cercare soluzioni urgenti sul fiume, ha risposto cosi' a chi gli domandava se l'aria si e' fatta irrespirabile nel paese a causa dei rapporti con l'opposizione: "Esatto, irrespirabile. Ma si va avanti tranquilli. Pero' non e' un bene per il nostro Paese". Riferendosi poi a quanto gia' detto nel corso della mattinata, in merito al clima politico e al rilancio del Paese, Prodi ha aggiunto: "Non e' che le cose siano staccate, ma si puo' lavorare con dei progetti di lungo periodo solo se c'e' la possibilita' di respirare e di dialogare". 

"Tutti abbiamo le nostre resistenze: ma le resistenze, sommate alle resistenze, stanno producendo la paralisi", ha detto nel corso del suo intervento. Prodi ha poi spiegato che "la conflittualita' politica rende governo e parlamento lontani dai grandi progetti per il futuro: dobbiamo assolutamente recuperare questo".

Dal fiume Po, che ha bisogno di aiuto per tornare ad essere il grande fiume del passato, Prodi ha detto che occorre imparare "una lezione di responsabilita'". "Tutto quello che ho cercato di fare in questi anni, governo, Partito democratico, e' cercare di dare al Paese una governabilita' di lungo periodo: per questo ho speso tante energie ad oppormi invano ad una legge elettorale che impediva al Paese di fare un salto in avanti. L'ho sentita in modo addolorato - ha detto ancora Prodi - come una legge che ci riportava indietro, che ci impediva di sedere con altri Paesi a pari condizioni.

Questo - ha concluso - e' il dramma dell'Italia di oggi. Le nostre industrie si vanno rafforzando ma non c'e' il senso del futuro, tutto e' accorciato. Di fronte a un fiume il senso del futuro - ha voluto ribadire - e' indispensabile per rimetterlo a posto". 

(AGI) - Boretto (Reggio Emilia), 16 giu. -
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 16, 2007, 10:22:24 pm »

16/6/2007
 
Il circolo vizioso
 
ENZO BETTIZA
 
Immaginiamo l’Italia di questi tempi mesti osservata con sguardo distaccato da uno straniero sufficientemente informato per cogliere, senza eccessi e pregiudizi pedanteschi, quello che accade o non accade nella penisola.

Lo colpirebbe anzitutto la situazione di stallo e di confusione rissosa in cui, dopo quindici anni sprecati di Seconda Repubblica, versa la classe politica nel suo insieme. Vedrebbe un governo che non governa, un’opposizione che non si oppone, un’economia che non produce e non distribuisce benessere. Non capirebbe perché nessuno osa ritoccare una Costituzione antiquata e perché, al contrario di quanto avviene in tutti i sistemi costituzionali ed elettorali delle maggiori democrazie occidentali, soltanto in Italia s’invocano le regole del maggioritario e del bipolarismo e poi si battono le strade deviate di un sistema proporzionale impazzito e anarcoide.

L’occhio dello straniero avveduto non potrebbe non notare che la fungaia di partiti e partitini, già troppi a sinistra, minaccia di espandersi anche al mitico centro che tanti vorrebbero occupare con o contro tanti altri. Stupirebbe perciò nel constatare che, mentre governanti e oppositori fingono di aspettare il toccasana di una riforma elettorale, non passa giorno senza che qualcuno annunci o adombri il parto spontaneo dell’ennesimo partito italiano. Ma c’è di più. C’è il paradosso di due grandi partiti di governo che dichiarano di non essere più quelli che erano e si sciolgono, di fatto, pur continuando a governare.

Non s’era mai visto in Occidente, nemmeno nella nervosissima Francia, dove i giochi sono per ora finiti, uno spogliarello ideologico e politico di tale entità compiuto dai piloti di una macchina difettosa, ma ancora comunque in pista. Fondare un partito da postcompromesso storico senza un fondatore vero, senza un leader immediatamente visibile e riconosciuto, affidato alla guida di un direttivo provvisorio e litigioso di quarantacinque persone che dovrebbero redigere le regole di una prossima assemblea costituente: ce n’è abbastanza per lasciare senza parole anche il più benigno e indulgente degli osservatori. La girandola dei nomi, quasi tutti virtuali, intorno al trono democratico è tale da confondere le idee perfino nella testa smaliziata degli analisti italiani. Figuriamoci gli stranieri.

Se poi dai vertici del mondo politico, talmente paralizzato da evocare uno stuolo di mummie enigmatiche anche nel fuoco degli scandali, lo sguardo si sposta altrove, che cosa vede? La spazzatura che inquina e deturpa con i suoi miasmi uno dei luoghi più sontuosi e un tempo più cari al turismo europeo, che sta abbandonando le coste italiane per quelle spagnole, greche e croate. Le dispute indecorose sull’alta velocità che rischiano di isolare e separare l’Italia dall’Europa. Le mafie che spadroneggiano per Palermo e le camorre per Napoli. Carità di patria indurrebbe quasi a tappare gli occhi allo straniero che contempla smarrito l’Italia da fuori, che vorrebbe ammirarla e percorrerla come una volta e purtroppo non ci riesce più. Credo che, nonostante i migliori sforzi mentali, l’europeo medio e sufficientemente colto fatichi davvero a comprendere l’autolesionismo italico, l’immobilismo italico, il profondo conservatorismo di almeno tre quarti della società italica. Per rimettersi in pari con l’Europa delle democrazie storiche, all’Italia non basterà invocare a vuoto la priorità di una politica risanatrice che non c’è e di una democrazia compiuta che non si vede: bisognerebbe, piuttosto, spezzare il circolo ormai vizioso tra chiacchiera velleitaria e regresso reale. Fare quello che l’Europa migliore fa senza abbandonarsi alla retorica europeista.

da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 27, 2007, 10:47:04 am »

Tra Cala Galera e Ansedonia l’immondizia è padrona

Troppo sporco, la gente va via

di Barbara Uloremi


  FENIGLIA. Ancora al mare tra i rifiuti. E la Capitaneria di porto - come avevamo anticipato nei giorni scorsi - ha segnalato il problema alla Procura. Ora è certa l’apertura di un’inchiesta.
 Anche ieri, infatti, nonostante un lieve miglioramento, fare il bagno nelle acque fra Ansedonia e Cala Galera voleva dire trovarsi con la faccia circondata da sacchetti di plastica e da immondizie di ogni genere.
 La rabbia di bagnanti e operatori economici ha continuato a montare, anche se con il vento di libeccio che soffiava energicamente da sud ovest, la situazione in Feniglia, almeno sulla spiaggia di fronte agli stabilimenti, sembrava essere un po’ migliorata. Tutto ciò grazie anche all’incessante lavoro dei bagnini.
 La condizione della spiaggia libera a metà fra Feniglia e Ansedonia era invece ancora critica. Il mare, nella zona di balneazione, si presentava inavvicinabile. Mamme che portano i loro bambini abitualmente negli stabilimenti di quella zona continuavano a rinfrescarli con l’acqua delle docce, prelevata con i secchielli, senza far avvicinare i piccoli alla riva: «C’è da prendere qualche fungo o infezione - dicevano alcune - ma come si fa? Fa caldo e i bambini non possono stare in casa».
 Intanto i gestori degli stabilimenti e dei parcheggi di tutta l’area hanno iniziato una stima dei danni.
 Un ex marinaio, che oggi lavora in una sosta camper, afferma: «Sono arrivati 25 camper in meno questo fine settimana, e la metà di quelli che c’erano se ne sono andati. Per esempio una famiglia di Firenze che doveva restare per altri dieci giorni ha deciso di tornare a casa, i componenti non ritenevano opportuno, con moglie incinta e ragazzini piccoli, di tuffarsi in quell’acqua». E aggiunge: «Sono andato a dare un’occhiata in spiaggia e sono rimasto allibito. Ho navigato tanti anni e ne ho viste di navi che portano immondizia; quelli sono rifiuti già trattati e una nave non ne accumula così tanti a meno che non sia un trasporto appositamente destinato».
 Un gestore racconta: «A un cliente ho dovuto dare i soldi indietro perché se ne è andato senza neanche bagnarsi i piedi; e ho perso molti abbonamenti quindicinali e tre clienti abituali e, anzi, oggi è un po’ meglio anche perché ho continuamente rimosso la spazzatura che arriva, ho trovato un tappeto di erba sintetica che sarà quasi 4 metri di lunghezza».
 I bagnini, qualche stabilimento più in là, confermano: «Effettivamente c’è stato un calo di almeno il 20% delle presenze e comunque anche stamattina è stato un macello, abbiamo levato una coltre di plastiche e materiali vari che invadevano la spiaggia». Un operatore dice di aver parlato con la Guardia Costiera: “Mi hanno assicurato - racconta - che le correnti che vengono da sud sono pulite. Probabilmente è una nave che ha scaricato a nord di Civitavecchia, ma proveniente da sud, perché io ho trovato bustine di zucchero di Catania e Trapani».
 Intanto Carabinieri e Guardia costiera proseguono le indagini per risalire alle cause che hanno portato tonnellate di rifiuti sull’arenile del tombolo di Feniglia.
 Ieri allo scopo di verificare la consistenza del fenomeno, la Guardia costiera ha fatto controlli in mare con la motovedetta e a terra con due pattuglie di uomini della Capitaneria di porto, mentre un elicottero della Guardia di finanza ha sorvolato la zona di mare compresa tra Porto S. Stefano e Capalbio confermando l’assenza di ulteriori inquinamenti in zona. Un’attività che proseguirà anche oggi.

(26 giugno 2007)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 02, 2007, 10:37:21 am »

2/7/2007 (7:9) - INTERVISTA

"Non abbiamo capito il Nord"
 
Fassino: «Faremo di più per le medie imprese e il Lombardo-Veneto»

ANDREA ROMANO


Qualche giorno fa stavo passeggiando sotto i portici di piazza San Marco. Ogni tanto mi affacciavo a curiosare dentro qualche portone. Erano tutti perfettamente puliti, tranne uno: squallido, deprimente e pieno di cartacce. Era l’ingresso di un ufficio dell’amministrazione pubblica statale. L’ho trovata una perfetta rappresentazione dell’immagine umiliante che talvolta lo Stato italiano riesce a dare di se stesso alla società del Nord». In partenza per Pechino, con la prima delegazione ufficiale del Pse (Partito socialista europeo) in visita in Cina, Piero Fassino inizia dalla questione settentrionale per una riflessione sullo stato di salute del centrosinistra.

Pochi giorni fa, Veltroni che lancia da Torino la sua candidatura. Mercoledì prossimo, lo stato maggiore della politica italiana che torna sotto la Mole per il lancio della nuova 500. Esiste una «ricetta Torino» che il centrosinistra vuole prendere a modello per l’intero Nord Italia?
«Più che un modello, Torino è la metafora del cambiamento che l’Italia ha conosciuto in questi anni. La città è riuscita a superare un durissimo ventennio di crisi, dopo essere stata per quasi un secolo la perfetta factory-town. Ha fatto i conti con la fine della centralità assoluta della Fiat, con il venir meno delle certezze legate a quel modello di produzione e socializzazione, ha sofferto il prezzo della delocalizzazione e della crisi dell’indotto. Ma nel pieno di una crisi così difficile ha saputo trovare la via della trasformazione virtuosa».

Ma cosa c’entra, questo, con il centrosinistra?
«C’entra eccome, perché Torino è riuscita a passare nel nuovo secolo senza rinnegare la propria antica identità industriale anche grazie a uomini come Castellani e Chiamparino. Questo è esattamente quanto sta facendo la sinistra italiana dando vita al Partito democratico, come ha voluto sottolineare anche Veltroni: misurarsi con il tempo nuovo senza rinnegare la propria storia».

Tuttavia il caso Torino è diverso dal resto del Nord Italia, dove il centrosinistra registra una pesante sofferenza di consensi.
«Innanzitutto va sfatata l’immagine secondo cui il centrosinistra non riesce a rappresentare il Nord. In realtà, noi governiamo sei regioni su otto e la gran parte dei principali capoluoghi, da Torino a Genova a Venezia. Ma esiste certamente un problema con il Lombardo-Veneto, dove non abbiamo colto fino in fondo i valori dell’innovazione, del saper fare e dell’intraprendere che sono tanto diffusi nell’area. Non ci siamo riusciti perché non abbiamo riconosciuto fino in fondo la dignità del nuovo capitalismo molecolare che anche qui è riuscito a rinnovarsi. Per troppo tempo abbiamo guardato con sufficienza all’esplosione di piccole e medie imprese che nel Nord Est sono riuscite a riprendere la strada dell’export e della competitività, come se si trattasse di un fenomeno effimero».

E’ solo un problema di analisi socio-economica o anche di risposte politiche sbagliate?
«Non avere riconosciuto la novità del fenomeno ci ha impedito di far capire il senso di scelte politiche anche giuste. Verso le categorie degli artigiani e dei commercianti, ad esempio, è prevalsa una rappresentazione punitiva delle nostre politiche fiscali dominata dalla figura dell’evasore. Perché non è che scarseggino gli evasori, com’è ovvio, ma è mancato da parte nostra il riconoscimento dell’enorme fatica professionale che ogni giorno viene compiuta da quei settori produttivi. Analogamente dobbiamo fare di più su alcuni nodi programmatici concreti. Sulle infrastrutture, lo sblocco della Tav è stato un passo simbolico fondamentale per cominciare a rispondere all’enorme problema della saturazione del Nord. Sul fisco, dobbiamo andare oltre la percezione persecutoria delle nostre politiche di tassazione. Sulla pubblica amministrazione, tanto per fare un esempio, è del tutto evidente che a Varese sia impresentabile l’immagine di uno Stato che a Napoli tollera l’accumulo di montagne di immondizia. E infine sulla sicurezza, dove proprio il più alto livello di legalità che si registra al Nord rende più sensibile la percezione dei rischi di illegalità. Sono questi i temi che devono essere rimessi al centro della nostra politica. E deve farlo innanzitutto il Partito democratico».

Fatto sta che in un solo anno i consensi al governo Prodi si sono dimezzati, attestandosi oggi poco sopra il 25 per cento.
«Io sono convinto che il trend del consenso possa essere rovesciato, con misure come il nuovo contratto sul pubblico impiego, lo sblocco della Tav, l’aumento delle pensioni più basse, la riforma degli ammortizzatori sociali e il federalismo fiscale. D’altra parte è da molto tempo che sostengo l’esigenza di accompagnare l’adozione di scelte doverose ma pesanti, come quelle che abbiamo fatto l’anno scorso con una finanziaria di risanamento, all’apertura di una fase di innovazione e cambiamento necessaria a dare ossigeno al Paese».

Quindi, da oggi in poi tutto dovrebbe aggiustarsi?
«Penso che la legislatura possa durare fino al 2011, a patto di governare con la determinazione di queste ultime settimane, anche se non mi nascondo la nostra fragilità al Senato. Ma dobbiamo lasciar tempo e spazio anche a nuovi processi politici: la decisione dell’Udc di distanziarsi da Forza Italia e da An può essere l’inizio di un percorso. Analogamente, possiamo verificare con la Lega la possibilità di intese su fisco e autonomie. Non si tratta di ipotizzare nuove coalizioni, ma di costruire direttamente in Parlamento convergenze con forze che non fanno ancora parte della maggioranza, ma che non accettano più di essere un’opposizione pregiudiziale».

Lei ha detto che il sindaco di Roma è stato scelto non perché più bravo di altri ma «perché non ha le nostre ferite». Ma quali sono le ferite di Fassino? Cosa le ha impedito di candidarsi alla guida del Partito democratico?
«È innegabile che in questi anni io, D’Alema e altri dirigenti abbiamo combattuto un’aspra battaglia di prima linea, sia contro il centrodestra, sia nella maggioranza, confrontandoci con la sinistra radicale. Per il fatto di essere rimasto un passo indietro, impegnato a governare Roma, Walter risulta meno logorato di noi e quindi più accattivante, sia per l’elettorato del centrodestra che per quello della sinistra radicale. È un dato di fatto, anche se il mio profilo di riformista non è certo meno innovatore e moderno di quello di Veltroni».

In vista delle primarie per il Pd, alcuni esponenti Ds, come D’Alema, sembrano osteggiare la sua proposta di un’unica lista unitaria dei riformisti a sostegno di Veltroni.
«Io penso a una pluralità di liste regionali che siano rappresentative di diverse realtà territoriali, ma che uniscano i riformisti di tutte le aree politiche. Quello che non trovo convincente è la nascita di liste contrapposte, ispirate unicamente al desiderio di visibilità di questo o quell’esponente di partito o all’intenzione di misurare la forza di correnti o cordate personali».

E in questo percorso non vede alcuno spazio per un ritorno nel Pd di coloro che hanno lasciato i Ds?
«Non solo vedo questo spazio, ma auspico la possibilità che tornino tutti coloro che se ne sono andati sulla base di un pregiudizio. Non capisco perché, quando a Firenze io lavoravo per il Pd, stavo liquidando la sinistra, mentre oggi per Mussi e Caldarola va bene Veltroni che sostiene la stessa prospettiva da molti anni. La verità è che Mussi e altri non hanno mai digerito di essere stati sconfitti a Pesaro, hanno tenuto in piedi un’opposizione interna senza contenuti e alla fine hanno voluto compiere uno strappo pregiudiziale. Tornino pure tutti quelli che vogliono tornare, ma ammettano di essersi sbagliati su di me».

E cosa risponde a Macaluso che l’accusa di non aver compreso che Togliatti tacque di fronte a Stalin per salvare il Pci?
«Rispondo che non mi sfugge la grandezza di Togliatti come costruttore della Repubblica italiana, anche se questo non assolve i dirigenti del Pci dalla passività che ebbero di fronte allo stalinismo. E, in ogni caso, vorrei anche ricordargli che Stalin è morto nel 1953, il ventesimo congresso del Pcus è del 1956 ma, in questo mezzo secolo, a nessun esponente della generazione di Macaluso è venuto in mente di compiere un semplice atto di riparazione alla memoria dei tanti antifascisti e comunisti italiani trucidati dal terrore staliniano».

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