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Autore Discussione: Ma davvero tutto può spiegarsi con i “crimini del comunismo”?  (Letto 2220 volte)
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« inserito:: Ottobre 28, 2007, 11:55:21 pm »

24/10/2007 (8:10) - LA RABBIA ANTICLERICALE

Spagna, il martirio dei santi peccatori
 
Beatificazione di massa, decisa dal Papa, per 498 sacerdoti e laici uccisi nella Guerra civile.

Ma davvero tutto può spiegarsi con i “crimini del comunismo”?

GIOVANNI DE LUNA


Nei tre anni (1936-1939) in cui infuriò la guerra civile spagnola la violenza non risparmiò nessuno e le efferatezze furono distribuite a piene mani da entrambi i contendenti. Perché ci si uccida tra spagnoli e spagnoli (ma anche tra italiani e italiani, tra francesi e francesi) occorre un surplus di ferocia rispetto alle guerre «normali» tra Stati. Fu così anche in Spagna. In generale, però, il «terrore rosso» fu - almeno in linea di principio - condannato e represso dalle autorità civili e militari, dalla direzione e dai quadri del Partito comunista spagnolo, così come dalle istituzioni dirigenti degli anarchici della Federazione anarchica iberica (Fai) e della Confederazione nazionale del lavoro (Cnt). Da parte dei franchisti, invece, il massacro dei «rossi» rientrava in una sorta di missione civilizzatrice come quella che aveva ispirato le crudeltà delle spedizioni coloniali in Marocco. Le truppe spagnole schierate con Franco avevano stroncato la resistenza marocchina mediante stragi e esibizioni dei cadaveri.

Nella Spagna della guerra civile questa tecnica di combattimento divenne un progetto politico: «Dobbiamo uccidere, uccidere e uccidere...», diceva Gonzalo de Aguilera, l'addetto stampa di Franco, «il nostro programma consiste nello sterminio di un terzo della popolazione maschile spagnola. Così il paese sarà ripulito e ci difenderemo dal proletariato». La Chiesa spagnola appoggiò senza riserve questo tipo di guerra, interpretata come una nuova Cruzada contro gli infedeli. I franchisti presero l'abitudine di gettare i nemici nelle «discariche» delle fosse comuni; in Galizia, nelle Asturie, in Andalusia decisero anche di non registrare all'anagrafe i morti repubblicani, mettendoli così simbolicamente al bando dalla nazione. Non a caso usavano il termine limpieza, in cui c'è proprio la metafora del cadavere=rifiuto da smaltire. Contemplando questi scempi (ai quali si adeguarono anche i repubblicani), George Bernanos amareggiato osservava: «La guerra di Spagna è una fossa comune. La fossa comune dove imputridiscono i principi veri e quelli falsi, le intenzioni buone e quelle cattive». Oggi, quelle fosse comuni vengono riaperte insieme a ferite che il tempo non riesce a sanare. È una memoria inquieta quella della Spagna, una memoria che sta trovando un suo approdo legislativo con la «Legge sulla Memoria Storica» che condanna il franchismo e intende ridare dignità alle vittime attraverso la dichiarazione di nullità dei processi franchisti e l'esumazione dei cadaveri dei repubblicani sotterrati anonimamente in fosse comuni. Il provvedimento suscita tutte le perplessità che accompagnano da sempre la pretesa di uno Stato di sancire per legge una verità storica. In Spagna, però, si tratta ora di recintare una memoria pubblica fondata sulla libertà e sulla democrazia che non può non fare i conti con la dittatura e la tirannia del regime franchista.

In questo senso, tutto politico e molto poco ecclesiastico, bisogna leggere la scelta della Chiesa di beatificare 498 sacerdoti e laici uccisi dai repubblicani negli anni 30: una cerimonia di massa con più di un milione di fedeli che saranno trasportati a Roma. Perché questa imponenza, questo gigantesco rito collettivo? Certamente la violenza anticlericale fu parte integrante della ferocia di quella guerra: circa 6800 tra preti, frati, monaci e suore furono uccisi. Da dove scaturì quella rabbia?

Veramente tutto può spiegarsi con i «crimini del comunismo»? Puntualmente, in molti episodi di crudeltà, sembra piuttosto emergere l'utopia millenaristica e contadina del «mondo alla rovescia»: Cristi, Vergini, santi venivano decapitati, accecati, trascinati per i piedi lungo le strade, prima di ardere nei falò, o essere condotti nella stalla o nel porcile, camuffati con abiti burleschi, messi di sentinella con scope o bastoni. Altre volte il popolo si abbandonava a carnevalesche parodie di riti liturgici, processioni farsesche, pantomime di episodi evangelici. Ci fu molta spontaneità popolare accanto a una forte impronta di lotta di classe.

In questo senso c'è un episodio significativo da raccontare: il 12 agosto 1936, dal villaggio di Vallecas furono prelevati 300 detenuti franchisti per essere fucilati; arrivati in aperta campagna, furono divisi in gruppi di 12 e così fecero anche i miliziani: 12 fucilatori per 12 fucilati. A un certo punto la macabra sequenza si interruppe; uno dei prigionieri mostrò le sue mani callose da lavoratore; i fucilatori guardarono le mani dei fucilati, li riconobbero come fratelli di classe e li risparmiarono; in compenso, nel primo gruppo di 12 era stato riconosciuto il vescovo di Jaèn: quando fu dato l'ordine di fare fuoco, tutti e 12 i miliziani spararono sul sacerdote che cadde crivellato di colpi mentre gli altri 11 restarono illesi.

Si avvertì insomma il peso di una cultura popolare anticlericale profondamente radicata, dovuta alla particolare posizione temporale costantemente mantenuta dalla Chiesa cattolica spagnola, sempre identificatasi con il potere e con l'oppressione, sempre legata agli interessi dei proprietari terrieri e degli strati più ferocemente reazionari. Su queste complicità la «beatificazione di massa» può stendere il velo della santificazione ma non quello dell'oblio.

da lastampa.it
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