Pd, l’analisi: ‘Bassa fedeltà, poche tessere’.
Orgoglio di partito? Solo ai seggi
La partecipazione continua a calare, ma il partito di Renzi fa il pieno di voti.
E li prende ovunque: il 10% degli elettori è di destra
Di F. Q. | 9 dicembre 2015
Il weekend passato ha visto due giorni di “orgoglio Pd”: secondo gli organizzatori sono stati allestiti 2113 banchetti, con la partecipazione di oltre 30mila volontari e 5 milioni di volantini distribuiti. Ciò implicherebbe un banchetto ogni tre circoli del partito (erano circa 6.500 a inizio anno), un militante in piazza ogni dodici iscritti, e circa 2.400 volantini a postazione. Ma questo cosa ci dice dello stato di salute del partito di Renzi?
La mobilitazione crolla in tutta Europa
Se i circoli erano 7.221 nel 2009 ai tempi della fondazione, e sono ormai diminuiti di oltre mille unità, chi anima questi luoghi di partito? Abbiamo raccolto i dati degli iscritti ai Ds e Margherita, e poi dal 2009 i dati inerenti al Pd. Nel grafico, le colonne rappresentano invece i risultati elettorali conseguiti, oppure la media annuale dei sondaggi, con colori differenti a seconda dei segretari in carica (Veltroni-Franceschini, Bersani, Renzi).
I dati testimoniano un andamento ormai consolidato: un calo degli iscritti. Dagli 831.042 comunicati dal Pd nel 2009 ai 366.641 del 2014, la diminuzione è del 55%. Un leggero aumento (più 80.000 unità) si è avuto solo con il congresso 2013, secondo un trend tipico della Margherita, con l’aumento dei tesserati prima degli eventi della democrazia interna.
Questo delle tessere è comunque solo uno degli aspetti, e vede peraltro i democratici in buona compagnia: sul fronte della sinistra europea l’Spd tedesca l’anno scorso registrava 459.902 iscritti, il Labour inglese è intorno a 200.000 dal 2010, mentre il Partito Socialista francese ha 133.000 tesserati.
Da Berlinguer a Rignano
Restando in Italia, le cifre disponibili raccontano di poco più di 100.000 iscritti a Forza Italia, con la Lega a 122.000 mentre il Movimento 5 Stelle a giugno 2014 ne contava 87.654. La dinamica generale sembra aver a che fare, più che con le leadership contingenti, con un più radicato fenomeno di dissoluzione dei partiti come “corpi intermedi” in atto almeno da vent’anni.
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Il Pci, per esempio, non riuscì a eguagliare mai il picco di 2 milioni di iscritti raggiunto nel ‘56 neanche ai tempi di Enrico Berlinguer (dati Istituto Cattaneo). Negli ultimi anni, poi, il livello di fiducia e identificazione con i partiti è andato precipitando. Insomma: le scelte di voto, specie a livello nazionale, hanno sempre meno a che fare con l’appartenenza e l’adesione. Sembra passato anche il tempo della “fedeltà leggera”, quando la mobilità del voto esisteva, ma si esprimeva all’interno di uno stesso schieramento.
È anche per questo che, come evidenzia il grafico, l’andamento degli iscritti al Pd e il suo consenso elettorale sembrano rispondere a trend completamente differenti. D’altra parte, è vero che il Pd è diventato, specie negli ultimi anni, un soggetto con un bacino elettorale molto fluido.
La trasformazione dei “pigliatutto”
Su 100 elettori del Pd di Veltroni 23 si definivano di sinistra, 42 si definivano di centrosinistra e ben 31 di centro; ai tempi di Bersani, alle Politiche 2013, il quadro era cambiato, con 33 su 100 che si collocavano a sinistra, 51 a centrosinistra e appena 14 di centro (dati Itanes).
Nel 2014, quando Renzi sale a Palazzo Chigi, Demos misura ben il 10% degli elettori Pd che si dichiarano di centrodestra o destra (erano il 2% con Bersani), più un 11% di “esterni”, che rifiutano cioè di prendere posizione sul tradizionale asse sinistra-destra. Dato confermato dal sondaggio pubblicato in questi giorni dal Cise, che fotografa un 9,2% di elettori Pd di destra.
A queste evoluzioni sul profilo “ideologico” dell’elettore democratico si accompagnano cambiamenti anche dell’identikit sociale e demografico. Alle Europee del maggio 2014, quelle del trionfo renziano con il 40,8% dei voti, il Pd riesce a raccogliere – secondo l’analisi di Emg – il 31% dei consensi fra i lavoratori autonomi e il 42% fra le casalinghe. Due segmenti che avevano sempre premiato il centrodestra e in particolare Berlusconi. I dati di Ipsos di un anno fa confermavano l’appeal del Pd a guida Matteo Renzi presso gli imprenditori e i liberi professionisti, un tratto tutto all’opposto del Pd di Pier Luigi Bersani che, secondo le stime Lapolis, doveva molto del suo consenso ai pensionati e ai dipendenti pubblici.
Le comunali della Nazione
Questo parziale spostamento verso destra dell’elettorato Pd è confermato dagli studi del Cise di maggio 2015: il governo riscuote l’apprezzamento del 33,2% degli elettori che si definiscono di centro, e del 26,9% di quelli di destra. Per le riforme del Jobs Act l’apprezzamento sale al 37,8% per il centro e al 39,2% per la destra. In attesa di capire se davvero il Pd stia diventando il Partito della Nazione, il test delle Comunali di maggio ci dirà molto sulla capacità dei democratici di trovare candidati competitivi sul territorio e di mantenere una struttura organizzativa solida.
Di Andrea Piazza e Lorenzo Pregliasco (You Trend)
Da Il Fatto Quotidiano del 08/12/2015
Di F. Q. | 9 dicembre 2015
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