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Autore Discussione: M5S : i nodi del dopo CASALEGGIO...  (Letto 21114 volte)
Arlecchino
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« Risposta #15 inserito:: Luglio 24, 2016, 11:56:33 am »

“I grillini deformano la realtà di quel che avviene a Gaza per pregiudizio e ignoranza”
L’ambasciatore israeliano Gilon: rigurgiti antisemiti. “D’Alema ossessionato da noi, Renzi è un grande amico”

23/07/2016
Francesca Schianchi
Roma

«Italia e Israele condividono il Mediterraneo, che non è solo un mare ma anche una cultura. Ho lavorato qui con tre governi, con tutti abbiamo avuto ottimi rapporti». Arrivato a fine mandato, alla vigilia della sua partenza da Roma, l’ambasciatore israeliano Naor Gilon fa un bilancio dei suoi quattro anni nel nostro Paese. 

Qua e là in Europa si assiste ancora oggi a rigurgiti di antisemitismo. In Italia che situazione ha trovato? 

«Nonostante tutti i governi si siano sempre espressi in modo forte e chiaro contro l’antisemitismo, qualche elemento ancora c’è anche in Italia: come ha detto l’ex presidente Napolitano, si tratta di un tipo nuovo, che si definisce anti-sionismo, contrario alla politica di Israele, ma in realtà è spesso basato sull’antisemitismo».

A cosa pensa? 
«Ad esempio c’è un giornale italiano, Il Fatto quotidiano, che propone spesso teorie della cospirazione e usa i rapporti con Israele come elemento per attaccare i politici, come se Israele fosse il male assoluto e il Mossad ancora di più. Ci sono anche politici italiani che parlano la stessa lingua».

Chi? 
«E’ chiaro a tutti chi considera l’unica democrazia del Medio Oriente come il male assoluto, usandola a fini di politica interna».

Lei ha avuto polemiche con Massimo D’Alema. 
«Per me chi rappresenta il Pd è il suo segretario, Matteo Renzi, che è un grande amico di Israele».

 
Ma qual è il problema con D’Alema? E’ troppo critico con Israele? 
«Deve chiedere a D’Alema della sua ossessione per Israele».

Che rapporti ha avuto in questi anni con le forze politiche italiane? 
«Ottimi, con tutti i partiti. Abbiamo appena inaugurato l’Associazione di amicizia interparlamentare Italia-Israele, a cui hanno già aderito circa 150 onorevoli. Di tutti i partiti tranne uno».

Quale? 
«Il Movimento Cinque Stelle».

Ha conosciuto qualcuno dei suoi esponenti? 
«Il mio staff ha incontrato Di Maio, e io alcuni parlamentari della Commissione Esteri come Di Stefano e Di Battista». 

Come li ha trovati rispetto a Israele? 
«Ho avuto l’impressione che in parte siano animati da pregiudizi, e in parte ci sia un’ignoranza della realtà. Da lì è nata l’idea di una visita a Israele».

Una delegazione M5S ha fatto questa visita la settimana scorsa: ma si sono lamentati perché non li avete lasciati entrare a Gaza. 

«Non dovevano sorprendersi: già qualche giorno prima li avevamo avvertiti via mail. Hanno avuto molti incontri, seri e importanti: mi dispiace che abbiano scelto di fare uscire sulla stampa italiana la parte negativa più di quella del dialogo».

Non avete dato il permesso perché, avete spiegato, Gaza è controllata da Hamas, «organizzazione terroristica ostile a Israele». Di Stefano sottolinea però che Hamas ha vinto libere elezioni. 

«Sì, ma meno di due anni dopo ha preso il controllo della zona con la violenza contro il governo legittimo di Abu Mazen. Mi ha sorpreso per esempio anche che chiedano di ritirarci dal Golan».

 
Perché? Anche la Ue non riconosce le alture del Golan come israeliane... 

«Nella parte siriana del Golan c’è Isis che ammazza i dissidenti e quelli che si oppongono. Vogliamo rischiare che i terroristi controllino anche la parte del Golan israeliano?».

Di Maio ha annunciato che, se vincerà il M5S, riconosceranno la Palestina. Sarebbe un problema per voi? 

«Tutti i governi israeliani dagli accordi di Oslo in poi hanno accettato il principio di due popoli e due Stati. Ma ci si può arrivare solo attraverso negoziati diretti tra Israele e l’Autorità palestinese: se creiamo un Paese debole, rischia di diventare un covo di Daesh. Creare un altro Paese instabile sarebbe un problema per il mondo intero, e per Israele un vero suicidio».

L’M5S dice riconoscimento senza condizioni. Siete in pieno disaccordo? 
«Sicuramente sì. Il riconoscimento deve avvenire dopo un processo e dopo che i palestinesi hanno mostrato la loro capacità di controllare il Paese».

La preoccupa che l’M5S possa andare al governo? 
«No, noi lavoriamo con tutti tranne con gli antisemiti. E abbiamo esempi in altri Paesi di persone molto critiche con Israele all’opposizione, che al governo hanno cambiato idea, come Syriza in Grecia. Come recita un detto israeliano, le cose che si vedono da una posizione, si vedono diversamente da un’altra». 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/07/23/italia/politica/i-grillini-deformano-la-realt-di-quel-che-avviene-a-gaza-per-pregiudizio-e-ignoranza-meMiLZpc7Gd5fGmvA05ZmO/pagina.html
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« Risposta #16 inserito:: Ottobre 01, 2016, 06:18:45 pm »

Pizzarotti è pronto a lasciare i Cinque Stelle
Lunedì il sindaco di Parma annuncerà l’uscita dal Movimento: “Troppi giochi di potere”.
Ancora tensione sui nuovi assessori della Raggi. Grillo: “Anche io avevo la tessera del Pd”


01/10/2016

Federico Pizzarotti è pronto a dire addio ai 5 Stelle. Manca ancora la conferma ufficiale ma, secondo indiscrezioni, all’inizio della prossima settimana il primo cittadino di Parma dovrebbe convocare una conferenza stampa per annunciare l’uscita dal Movimento.  
 
Salvo ripensamenti dell’ultimo minuto, la decisione dovrebbe riguardare lui ma anche gran parte dei consiglieri comunali a partire dal capogruppo Marco Bosi. Non è escluso che nello stesso appuntamento Pizzarotti sciolga anche la riserva sulla sua ricandidatura alla carica di primo cittadino di Parma. La città emiliana andrà al voto per l’elezione di sindaco e consiglio comunale proprio nel 2017 e Pizzarotti potrebbe ripresentarsi.  
 
Pizzarotti per ora si limita a rispondere via Facebook a un suo sostenitore che lo invitava a trovare un modo per rappacificarsi con i vertici del Movimento: «Loro i danni, la sospensione eterna e io devo trovare una soluzione»? E arriva anche l’ennesima bordata contro un Movimento in cui c’è chi ha sostituito i rapporti umani con «i giochi di potere» e chi sale «sul carro dei vincitori». Pizzarotti cita Cesena 2010, la Woodstock 5 Stelle. «Chi è arrivato dopo, salendo sul carro del vincitore, nemmeno sa cosa voleva dire essere del Movimento».  
 
Intanto a Roma resta alta la tensione dopo che ieri la sindaca Virginia Raggi ha nominato Andrea Mazzillo e Massimo Colomban assessori al Bilancio e alle Partecipate. Alcuni membri del direttorio pentastellato non nascondono la delusione parlando a microfoni spenti di nomine «fate per disperazione». Anche tra la base lo scetticismo dilaga, così Beppe Grillo decide di scendere in campo per difendere Raggi. Da Mirandola, dove inaugura una palestra ricostruita anche grazie ai fondi del M5s, risponde ai cronisti che gli chiedono un commento sul nuovo assessore Andrea Mazzillo, ex candidato del Pd: «Non sarà mica un reato, anch’io ho avuto la tessera del Pd, non ve lo ricordate? La presi ad Arzachena (Sassari)». In realtà grillo si riferisce a un episodio del 2009, quando il comico tentò di partecipare alle primarie del partito democratico, ma gli fu impedito per mancanza di requisiti: Grillo, infatti, aveva chiesto la tessere in comune in cui non era residente.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/01/italia/politica/pizzarotti-pronto-a-lasciare-i-cinque-stelle-86gpQYwytwl6FOX7L9eZmI/pagina.html
« Ultima modifica: Ottobre 05, 2016, 12:24:24 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #17 inserito:: Ottobre 05, 2016, 12:23:47 pm »

Pizzarotti lascia il Movimento 5 Stelle
Strappo del sindaco di Parma: «Da uomo libero non posso che uscire»

03/10/2016
Franco Giubilei
Parma

Federico Pizzarotti lascia i Cinque Stelle: «Non sono io ad essere cambiato, è il movimento. Non ho scelta», annuncia il conferenza stampa il sindaco di Parma, che era stato sospeso da Beppe Grillo la scorsa primavera dopo l’apertura di un’inchiesta per abuso d’ufficio, indagine chiusa con l’archiviazione un paio di settimane fa. 

«Sono passati 7 anni dalla “Carta di Firenze” e dalla giornata entusiasmante al teatro Smeraldo, quando il Movimento 5 Stelle è nato. Io c’ero, ero lì a prendermi le mie responsabilità di cittadino. Da allora tante cose sono cambiate», è la premessa di Pizzarotti. Poi il primo cittadino di Parma, davanti ai giornalisti, motiva lo strappo: «Sono sempre stato un uomo libero, da uomo libero non posso che uscire da questo Movimento 5 Stelle, da quello che è diventato oggi e che non è più quello che era quando è nato. Non sono cambiato io, è cambiato il Movimento. Io sono l’unico a essere rimasto critico. Una volta si diceva che il M5S non voleva avere un capo politico, ora si dice che va bene un capo politico».

Ora la prospettiva che interessa a Pizzarotti è quella nazionale. Il primo cittadino di Parma ancora non scioglie la riserva sulla sua eventuale ricandidatura alla carica di sindaco della città emiliana (la «Stalingrado grillina», copyright di Beppe Grillo) per le amministrative del 2017, ma con lo strappo odierno riapre la partita del simbolo. I consiglieri comunali non sembrano per ora disposti a cambiare nome al gruppo: nonostante l’addio a Grillo vogliono continuare a chiamarsi «Movimento 5 Stelle». Una mossa anche in risposta al gruppo, oggi di opposizione, formato dai dissidenti Nuzzo e Savani che, contro il sindaco, si erano staccati dalla maggioranza formando il gruppo «Movimento 5 Stelle Parma». Insomma il caos regna sovrano in Comune e sembra ormai chiaro che servirà un intervento della dirigenza nazionale a 5 Stelle per sbrogliare la matassa di chi può, davvero, utilizzare il simbolo del movimento. L’ultima mossa di Pizzarotti per imbrigliare ancora di più Beppe Grillo. 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/03/italia/politica/pizzarotti-lascia-il-movimento-stelle-AhKOg96IowDc4PgiCsmddL/pagina.html
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« Risposta #18 inserito:: Ottobre 05, 2016, 12:26:17 pm »

Pizzarotti lascia il Movimento Cinque Stelle: “Consumato da arrivisti ignoranti”
Strappo del primo cittadino di Parma: «Da uomo libero non posso che uscire. Mi spiace per gli attivisti.
Di Maio? I lobbisti sono diventati di moda. Addio streaming, ormai le decisioni vengono prese nelle segrete stanze»


03/10/2016
Franco Giubilei
Parma

Federico Pizzarotti lascia il Movimento 5 Stelle: «Non sono io ad essere cambiato, ma loro. Non ho scelta», annuncia il conferenza stampa il sindaco di Parma, che era stato sospeso da Beppe Grillo la scorsa primavera dopo l’apertura di un’inchiesta per abuso d’ufficio, indagine chiusa con l’archiviazione un paio di settimane fa. «Si dovrebbero vergognare per non aver preso una decisione. Avrebbero potuto espellermi», dice.

«Sono passati 7 anni dalla “Carta di Firenze” e dalla giornata entusiasmante al teatro Smeraldo, quando il Movimento 5 Stelle è nato. Io c’ero, ero lì a prendermi le mie responsabilità di cittadino. Da allora tante cose sono cambiate», è la premessa di Pizzarotti. Poi il primo cittadino di Parma, davanti ai giornalisti, motiva lo strappo: «Sono sempre stato un uomo libero, da uomo libero non posso che uscire da questo Movimento 5 Stelle, da quello che è diventato oggi e che non è più quello che era quando è nato».
 
L’affondo di Pizzarotti è durissimo: «Non sono cambiato io, è cambiato il Movimento. Io sono l’unico a essere rimasto critico. Una volta si diceva che il M5S non voleva avere un capo politico, ora si dice che va bene un capo politico». Poi le bordate contro alcuni suoi colleghi: «È mancata la coscienza critica, l’ho esercitata solo io, e quindi vengo visto come disturbatore. In tante parti d’Italia siamo stati consumati da arrivisti ignoranti che non sanno cosa vuol dire amministrare: vogliamo governare e poi non si dialoga con nessuno. Questo non vuol dire governare».

Pizzarotti lamenta le decisioni prese nelle «segrete stanze». Il M5S «è passato dal mettiamo in streaming tutto al mettiamo in streaming niente. Penso alla mancata diretta dell’incontro sulle Olimpiadi». Poi tira in ballo Di Maio: «Penso ai suoi errori, i lobbisti sono diventati di moda». «Quanti ne abbiamo persi in questi anni? Nel tempo sono stati abbandonati dai cosiddetti talebani, persone oltranziste che giustificano tutto e il contrario di tutto solo in base a un processo sul blog». Il sindaco dice di rispettare Virginia Raggi, ,a «io sono stato messo in croce per molto meno».
Ora la prospettiva che interessa a Pizzarotti è quella nazionale. Il primo cittadino di Parma ancora non scioglie la riserva sulla sua eventuale ricandidatura alla carica di sindaco della città emiliana (la «Stalingrado grillina», copyright di Beppe Grillo) per le amministrative del 2017, ma con lo strappo odierno riapre la partita del simbolo. I consiglieri comunali non sembrano per ora disposti a cambiare nome al gruppo: nonostante l’addio a Grillo vogliono continuare a chiamarsi «Movimento 5 Stelle». Una mossa anche in risposta al gruppo, oggi di opposizione, formato dai dissidenti Nuzzo e Savani che, contro il sindaco, si erano staccati dalla maggioranza formando il gruppo «Movimento 5 Stelle Parma». Insomma il caos regna sovrano in Comune e sembra ormai chiaro che servirà un intervento della dirigenza nazionale a 5 Stelle per sbrogliare la matassa di chi può, davvero, utilizzare il simbolo del movimento. L’ultima mossa di Pizzarotti per imbrigliare ancora di più Beppe Grillo.
 
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« Risposta #19 inserito:: Ottobre 10, 2016, 12:17:05 pm »

Cinquecento ex espulsi M5S: “Subito un’assemblea di iscritti”
Uno dei leader dei ribelli: il nuovo regolamento di Grillo è nullo come il precedente
I napoletani
Guidano assieme ai romani la protesta. «Abbiano raggiunto 500 aderenti, le richieste spuntano come funghi in tutta Italia»

09/10/2016
Federico Capurso
Roma

Ritrovare l’unità interna, abbandonare i personalismi, fare quadrato. I Cinque stelle annuiscono silenziosi agli incessanti messaggi di pace di Beppe Grillo mentre una nuova guerra interna è alle porte.

Il terreno dello scontro è l’approvazione delle modifiche al «Non statuto» e al regolamento. In sostanza, la “Costituzione” del Movimento e l’impianto di leggi che regola la vita all’interno del partito. Lo smantellamento del direttorio e l’istituzione dei probiviri, cui verrà affidato il compito di sancire le espulsioni, sono i due punti nevralgici intorno ai quali si consuma la feroce lotta pentastellata per il potere.

«L’aspetto più triste è vedere fazioni (ormai non si sa più neppure quante siano esattamente) che si danno battaglia con frasi fatte e ripetute a pappagallo e uno stuolo di offese personali imbarazzanti - scrive la senatrice del M5S Elisa Bulgarelli su Facebook -. Se “serrare i ranghi” significa “pensiero unico”, si sbaglia direzione». E il sentimento di livore reciproco che da mesi infiamma il gruppo di parlamentari grillini, si riflette ormai anche nella base. Sotto il Vesuvio, tra gli attivisti espulsi e poi reintegrati dal tribunale di Napoli, si accende il focolaio più intenso del malcontento. L’obiettivo dichiarato dai ribelli partenopei è quello di ottenere da Grillo la convocazione della prima assemblea nazionale degli iscritti al Movimento, per evitare, spiegano, «l’ennesima scelta calata dall’alto, segno sempre più evidente di una forte deriva antidemocratica». Vogliono «offrire una via d’uscita dal cul-de-sac in cui Grillo si è infilato».

La rivolta dei Masanielli pentastellati raccoglie in meno di due giorni 500 iscritti al Movimento e si propaga rapidamente in tutta Italia, da Roma a Milano, da Lecce a Verona.

«C’è il rischio che anche questo regolamento sia dichiarato illegittimo dal tribunale», mette in guardia Luca Capriello, avvocato e capofila degli attivisti napoletani in subbuglio. Il punto, spiega Capriello, è che «il regolamento contrasta con lo statuto. Perché se, per citare un singolo caso, nello statuto si sostiene che nel Movimento sono bandite le formazioni intermedie di qualsiasi natura, nel regolamento viene invece previsto un capo politico, dei probiviri e, prima di questo, era previsto un direttorio». La questione si snoda poi intorno alla votazione online. Per rendere legale il nuovo regolamento, è necessario il raggiungimento di un quorum fissato dalla legge a due terzi degli iscritti. Il problema è che un registro ufficiale degli iscritti non esiste. Solo la Casaleggio associati possiede il numero di account del blog. Nel 2012 si parlava di 130 mila iscritti. Oggi potrebbero essere più di 400 mila. L’alternativa ad un primo congresso di partito, difficilmente organizzabile, «sarebbe quella di resettare tutto: sciogliere le associazioni che si rifanno al Movimento cinque stelle e ricominciare da capo», spiegano gli attivisti. Anche ricorrendo a vie legali. Strada che non piace però a Federico Pizzarotti, che si defila: «I temi legalesi non mi appassionano».

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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/09/italia/politica/cinquecento-ex-espulsi-ms-subito-unassemblea-di-iscritti-gQRkUMH11odA8bh0jhbhbN/pagina.html
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« Risposta #20 inserito:: Febbraio 13, 2017, 12:51:01 pm »


Attacco alla stampa: Di Maio contro i cronisti del caso nomine, ma su Marra e polizze non dà risposte
La denuncia del vicepresidente della Camera all'Ordine dei giornalisti: "Ricostruzioni indegne, gettano discredito sul M5S". Ma restano i dubbi sul suo ruolo nella vicenda del Campidoglio

Di CARLO BONINI
08 febbraio 2017

AVVENTURANDOSI su un terreno a lui non congeniale, i fatti, se non addirittura ostile, non fosse altro per il deficit di memoria che lo affligge ogni qual volta è chiamato a ricostruire circostanze e rispondere a domande che interpellano la sindaca Virginia Raggi e il suo fu "cerchio magico" (Raffaele Marra, Salvatore Romeo, Daniele Frongia), Luigi Di Maio accusa di mistificazione chi ha firmato le cronache di Repubblica sulla vicenda e ne chiede l'esemplare punizione disciplinare all'Ordine dei Giornalisti sulla base di quattro capi di incolpazione.

Repubblica avrebbe scientemente omesso:
1) Che la Raggi non ha preso un soldo nella storia delle polizze sulla vita che Salvatore Romeo le aveva intestato "a sua insaputa".
2) La precisazione della Procura secondo cui nella vicenda delle polizze non si ipotizza alcun reato.

E ancora: Repubblica avrebbe falsamente dato conto:
3) Che le polizze assicurative, accese con fondi di origine non chiara, fossero una possibile contropartita per sigillare un patto politico.
4) Di illazioni diffamatorie relative a un incontro di Raffaele Marra e Luigi Di Maio che accredita il vicepresidente della Camera quale "garante politico" dell'allora vicecapo di gabinetto oggi detenuto a Regina Coeli per corruzione.

L'EDITORIALE -  Calabresi: I nuovi potenti e l'informazione
Le prime due circostanze sono semplicemente non vere. Per il semplice motivo che Repubblica non ha mai né affermato, né lasciato intendere che Virginia Raggi abbia "preso soldi". Né ha omesso di riferire, quando ne ha avuto contezza, che l'origine del denaro utilizzato per accendere le polizze fosse stata accertata come lecita.

I nostri articoli 'sotto accusa' Segreti e ricatti / Cade pedina

La terza circostanza merita qualche fatto e argomento in più e si tira dietro qualche domanda a cui - Repubblica ne è certa - Di Maio vorrà rispondere pubblicamente con la stessa solenne enfasi e dovizia di particolari spesi per la sua denuncia. Che la vicenda delle polizze - come abbiamo raccontato - fosse e resti tutt'ora circostanza di interesse "penale" nell'inchiesta per abuso a carico di Virginia Raggi e che avesse, quando è emersa, due sole plausibili spiegazioni (fosse cioè l'evidenza di un "rapporto privatissimo" ma dalla ricaduta e dai costi pubblici tra la Raggi e Romeo o, al contrario, di una traccia che portava a una costituency elettorale della sindaca non dichiarata) è dimostrata da due circostanze. La prima: le polizze sono state oggetto di una contestazione alla sindaca durante il suo interrogatorio di giovedì scorso. La seconda: sono oggetto della nuova contestazione di abuso di ufficio a carico di Salvatore Romeo e della stessa Raggi perché resta da capire se possano essere state o meno il presupposto della nomina dello stesso Romeo a capo della segreteria della sindaca.

La vicenda pone dunque ancora delle domande alla cui risposta Di Maio vorrà certamente portare il suo contributo:
a)   Come mai Salvatore Romeo non è stato in grado di spiegare per quale ragione avesse indicato quali beneficiari delle sue polizze vita la Raggi e altri militanti Cinque Stelle? A quel che se ne sa, in una delle due polizze intestate alla Raggi, secondo indiscrezioni di Procura, mai smentite, figurerebbe quale causale per l'indicazione della Raggi l'annotazione "relazione sentimentale". "Perché la stimavo", ha corretto Romeo, intervistato in tv.

b)   Se è vero che la Raggi venne indicata come beneficiaria delle polizze "a sua insaputa", per quale motivo, una volta nominato dalla stessa Raggi capo della sua segreteria, Romeo non sentì l'urgenza di avvisarla, posto l'evidente conflitto di interesse?

c) Chi dei "quattro amici al bar", tra luglio e dicembre 2016 (il 16 viene arrestato Marra), decideva le nomine in Campidoglio? Marra "a insaputa " di Raggi, Romeo e Frongia? Marra e Romeo a insaputa di Raggi e Frongia? O, come documentano le chat estratte dal cellulare di Raffaele Marra dopo il suo arresto, almeno tre dei quattro amici - Raggi, Marra e Romeo tutti appassionatamente insieme? È un fatto che per le nomine di Renato Marra (fratello di Raffaele) e per quella di Salvatore Romeo, la Procura ipotizza l'abuso di ufficio della sindaca (in un caso in concorso con Raffaele Marra, nell'altro con lo stesso Romeo).

E veniamo quindi alla quarta e ultima incolpazione mossa da Di Maio. Il vicepresidente della Camera ci accusa di "illazioni diffamatorie" perché ricordiamo il suo incontro, nell'estate scorsa, con Raffaele Marra indicandolo come il momento in cui si fece "garante politico" della permanenza in Campidoglio dell'allora neonominato vicecapo di gabinetto investito dalle prime ricostruzioni di stampa che ne illuminavano il passato di destra. Ebbene, a Di Maio dovrà evidentemente essere sfuggita (ma non è la prima volta che confonde ciò che legge. Non comprese i messaggi Whatsapp con cui veniva avvisato dell'iscrizione di Paola Muraro, allora assessore all'ambiente, nel registro degli indagati per reati ambientali. E tenne per sé la notizia per oltre un mese) la minuta ricostruzione che, il 9 settembre 2016, il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio e la cronista Valeria Pacelli dedicano alla figura di Raffaele Marra e a quell'incontro. Una ricostruzione, converrà Di Maio, che per la fonte giornalisticamente "cristallina" può essere considerata "autentica", "ex cathedra", diciamo pure.

Vediamo: "6 luglio (2016 ndr.). Marra chiede di parlare con Luigi Di Maio, che lo riceve nel suo ufficio alla Camera. L'ex finanziere gli porta il solito valigione di documenti con tutte le sue denunce e per un'ora e mezza gli illustra la sua esperienza nell'amministrazione regionale e capitolina. "Se non l'avrò convinta - aggiunge - ho qui pronta la lettera di dimissioni". Poi, mostra anche a Raggi e Frongia una dichiarazione della Procura secondo cui non ha procedimenti penali in corso, diversamente da altri 7 dirigenti comunali (indagati o imputati, eppure ai loro posti senza alcuna polemica)".

Dunque, il vicepresidente della Camera, il 6 luglio 2016, blocca le dimissioni di Marra e ne legittima il ruolo soprattutto agli occhi di quella parte del Movimento (stretta intorno alla Lombardi) che ne chiede l'allontanamento per il suo passato di "destra". Ma, del resto, a documentare la stima di Di Maio nei confronti di Marra, è anche una dichiarazione dello stesso vicepresidente della Camera del 1 luglio 2016 all'agenzia di stampa Ansa. Si legge: "Alla richiesta di un commento sulla nomina di Raffaele Marra a vice-capo di gabinetto, Di Maio risponde: "Chi ha distrutto questa città non fa parte della nostra squadra; chi in questi anni ha dimostrato buona volontà, competenze e storia personale, all'interno della macchina amministrativa, ci venga a dare una mano. L'ho detto in tempi non sospetti, la squadra non sarà legata al M5S ma sarà composta soprattutto da persone competenti che possono realizzare il programma del M5S"".

Dunque
e infine: vuole, può, spiegare il vicepresidente Di Maio quale ruolo politico ha avuto e ha nelle scelte politiche e amministrative della Raggi? In particolare nella scelta di quegli "amici al bar", a cominciare da Raffaele Marra, oggi scaricati come infidi sabotatori?

© Riproduzione riservata
08 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/08/news/attacco_alla_stampa_di_maio_contro_i_cronisti_del_caso_nomine_ma_su_marra_e_polizze_non_da_risposte-157815536/?ref=HRER2-1
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« Risposta #21 inserito:: Maggio 29, 2017, 08:59:40 pm »


Cinquestelle a caccia di classe dirigente
La strategia di Casaleggio e Grillo si snoda tra nomine, convegni e blog.
Docenti cattolici e ambientalisti, manager graditi ai poteri forti e grand commis
Beppe Grillo e Davide Casaleggio sono la coppia di reclutatori che sta analizzando curricula alla ricerca di persone competenti che possano essere messi dal M5S in punti chiave della burocrazia

Pubblicato il 28/05/2017 - Ultima modifica il 28/05/2017 alle ore 07:58

Giuseppe Salvaggiulo

«Il Movimento 5 Stelle dovrebbe scoprire la responsabilità nazionale e aggregare persone competenti». L’auspicio di Gustavo Zagrebelsky non è rimasto lettera morta. Da due mesi, a partire dal convegno di Ivrea per ricordare Gianroberto Casaleggio, il M5S cerca docenti, magistrati, imprenditori, manager, scienziati. Una «riserva repubblicana» spendibile in ministeri, Authority, istituzioni di garanzia, enti e aziende pubbliche. Il vincolo di militanza varrà per i candidati al Parlamento, non per la squadra di governo. Allo scouting lavorano Grillo, Casaleggio e una manciata di parlamentari su tre canali: nomine, convegni, blog.

L’errore da non ripetere 
Roma docet: senza élite non si governa. Dopo un anno, Virginia Raggi è ancora senza capo di gabinetto. Al Consiglio di Stato si ride ricordando il giorno in cui la sindaca bussò alla porta del presidente Pajno, come a un ufficio di collocamento, chiedendogli un giudice in prestito.

Memori di questo e altri pasticci, Grillo e Casaleggio hanno avocato le nomine nelle aziende municipali, Ama (rifiuti) e Acea (acqua, energia). In pochi mesi sono piovuti centinaia di curricula di manager. Per l’Acea le opzioni ideologiche del Movimento (acqua pubblica) rischiavano di incendiare i rapporti con i soci privati, i francesi di Suez e Caltagirone. Il giro di nomi per la presidenza è stato vorticoso. Un filone cattolico portava all’economista Leonardo Becchetti e al giurista Salvatore Sica. Emissari della borghesia romana pro Raggi sponsorizzavano altri due giuristi: Vincenzo Zeno Zencovich e Ugo Mattei. Il primo, romano con passato radicale e legami trasversali (assiste la Boschi su Banca Etruria), è il maestro di Pieremilio Sammarco, con cui la Raggi fece pratica legale. Mattei, torinese, padre del referendum sull’acqua (recentemente invitato a parlarne in Vaticano), intrattiene buoni rapporti anche con Chiara Appendino. 

Ma Grillo e Casaleggio hanno esautorato la Raggi (i francesi di Suez hanno trattato direttamente con i vertici) collocando alla presidenza Acea l’avvocato di fiducia Luca Lanzalone, genovese. Per l’amministratore delegato, esponenti romani del M5S (gli stessi che si fanno vedere al circolo canottieri Aniene) hanno chiesto consiglio ad Aurelio Regina, già vicepresidente di Confindustria, uomo di raccordo tra i poteri capitolini. Il prescelto è Stefano Antonio Donnarumma, manager noto (arriva dalla multiutility milanese A2A) e gradito a Caltagirone.

Se le scelte in Acea parlano al mondo industriale, quelle in Ama consolidano i rapporti con ambientalisti e cattolici. Come presidente e amministratore è stato designato Lorenzo Bagnacani. Manager emiliano già voluto da Pizzarotti e Appendino per le aziende rifiuti di Parma e Torino, arriva con l’imprimatur di Walter Ganapini, ambientalista storico stimato da Grillo. Anche gli altri due membri del Cda sono esperti del settore: Andrea Masullo è un esponente dell’ambientalismo cattolico romano; Emmanuela Pettinao della fondazione dell’ex ministro verde Edo Ronchi.

Lo scouting nei convegni 
Il secondo filone della caccia alla classe dirigente si snoda con convegni tematici. Qualche giorno fa alla Camera hanno dialogato con il M5S gli economisti Mariana Mazzucato (University College London, neokeynesiana stimata anche da D’Alema), Giovanni Dosi (Sant’Anna di Pisa), Pasquale Tridico (Roma Tre) e Corrado Spinella, fisico del Cnr. Ma agli osservatori più smaliziati non è sfuggito un altro nome: Paolo De Ioanna. Consigliere di Stato, capo di gabinetto di Ciampi e Padoa-Schioppa, figura di peso nei Palazzi romani. Poi c’è Vito Cozzoli. Alto funzionario della Camera (era capo di gabinetto allo Sviluppo Economico con Federica Guidi, rimosso da Calenda), alla presentazione del suo libro ha invitato Luigi Di Maio (unico a chiamarlo pubblicamente per nome). Evento ospitato in pompa magna dal Centro studi americani, di cui Gianni De Gennaro è presidente e Cozzoli consigliere (nel suo curriculum rapporti con il governo Usa); il direttore è Paolo Messa, consigliere di amministrazione Rai. 

Tra magistrati amministrativi e grand commis, sensori degli equilibri di potere, non mancano quelli stimati dal M5S. Come Sergio Santoro, già capo di gabinetto con Alemanno, e Oberdan Forlenza. Attenti ai segnali: in pochi giorni il Tar Lazio ha assestato un micidiale uno-due (Colosseo e musei) al governo Pd. Dal Consiglio di Stato (dove Renzi non è mai piaciuto) filtra un raffreddamento dei rapporti anche con Maria Elena Boschi. Le attenzioni del M5S verso i magistrati sono molteplici. Al convegno di Ivrea c’era Sebastiano Ardita, pm siciliano che con Piercamillo Davigo ha fondato la corrente togata Autonomia e Indipendenza. All’ultimo momento avevano dato forfait il procuratore di Milano, Francesco Greco, e il presidente dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone. Assenze scevre da pregiudizi, tanto che Cantone sarà protagonista del prossimo convegno del M5S, assieme a Davigo e a due magistrati antimafia siciliani: Nino Di Matteo (pm del processo Stato-mafia) e Gioacchino Natoli (fu pm del processo Andreotti, ora è distaccato al ministero della Giustizia).

Mercoledì alla Camera parleranno anche il presidente emerito della Consulta Ugo De Siervo e due membri degli organi di autogoverno dei magistrati amministrativi (Giuseppe Conte) e contabili (Giacinto Della Cananea). Sconosciuti al grande pubblico, non alle élite. Conte è docente a Firenze e allievo di Guido Alpa, storico presidente nazionale degli avvocati. Della Cananea, docente a Tor Vergata e presto bocconiano, è allievo di Sabino Cassese, ministro con Ciampi e poi giudice costituzionale.

Nel mondo giuridico sono state apprezzate le designazioni di Franco Modugno alla Corte costituzionale e Alessio Zaccaria al Csm. Giuristi seri e non carrieristi, chiamati dal M5S senza logiche di appartenenza. Modugno, emerito alla Sapienza, fu interpellato da un deputato grillino mentre guardava in tv una partita della Juve, di cui è tifoso sfegatato. Un suo allievo, Alfonso Celotto (docente a Roma Tre), è al lavoro per dare vita a un think tank indipendente con docenti e magistrati. Celotto è stato anche intervistato sul blog di Grillo, come il presidente emerito della Consulta Valerio Onida e altri esperti: dal fisico Valerio Rossi Albertini ai sociologi del lavoro Domenico De Masi e Giuseppe Della Rocca; dallo scienziato Guido Silvestri al politologo Alberto Aubert. Paolo Magri (direttore dell’Ispi, docente bocconiano e segretario italiano della Commissione Trilateral) è stato relatore al convegno di Ivrea.

Una squadra da costruire 
La caccia alla classe dirigente può avere esiti diversi. Quello minimalista: stabilire relazioni con le élite. Quello estremo: tenere in panchina i ragazzotti del Movimento (ambiziosi, non sempre adeguati) e schierare una squadra di governo qualificata e inattaccabile. I sogni proibiti si chiamano Tito Boeri, liberal bocconiano presidente dell’Inps nominato da Renzi con cui manifesta distanza; Tomaso Montanari, storico dell’arte e pupillo di Salvatore Settis, alfiere della gestione pubblica dei beni culturali e neo presidente dell’associazione Libertà e Giustizia; Davigo, Onida o Zagrebelsky. Alla base c’è un ragionamento che un dirigente pubblico, non privo di simpatie grilline, sintetizza così: «Finora il M5S, alla prova del governo, ha dimostrato di non determinare soluzione di continuità: se la città funziona, come Torino, continua a funzionare. Se è un disastro, come Roma, resta un disastro. Il punto, in vista delle elezioni nazionali, è che l’Italia assomiglia più a Roma che a Torino. Anche i grillini se ne sono resi conto».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/05/28/italia/politica/cinquestelle-a-caccia-di-classe-dirigente-qXxUfbI5idp2ugGzTRTy9N/pagina.html
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« Risposta #22 inserito:: Novembre 16, 2017, 08:47:51 pm »

I populismi europei e l'anomalia del Movimento 5 stelle
Il voto per il M5s non è stato il voto dei perdenti economici della globalizzazione, non il voto dei perdenti culturali, né quello delle periferie contro il centro, o quello degli esclusi contro gli inclusi

Di PIERGIORGIO CORBETTA
16 novembre 2017

Questo è un articolo dell'Atlante elettorale della Società Italiana di Studi Elettorali (Sise) che - in collaborazione con Repubblica - offre ai lettori una serie di uscite settimanali in vista delle elezioni politiche del 2018. La Sise promuove dal 1980 la ricerca nel campo delle elezioni, delle scelte di voto e del funzionamento dei sistemi elettorali. L'Associazione si avvale del contributo di giuristi, sociologi, storici e scienziati della politica, con l'obiettivo di favorire la discussione attraverso l'organizzazione di convegni di taglio accademico aperti anche al contributo di politici e commentatori.

Quanto sta accadendo nel nostro paese con il Movimento 5 stelle non è un fatto solo italiano. Un'ondata populista ha investito da qualche anno ormai le democrazie occidentali, e non accenna ad arrestarsi: il 25 ottobre nella Repubblica ceca le elezioni sono state dominate dal "Trump/Berlusconi ceco", il miliardario populista Andrej Babis, che a capo del partito dall'eloquente nome "Partito dei cittadini insoddisfatti" arriva a sfiorare il 30%, sbaragliando i partiti tradizionali.

Dieci giorni prima in Austria grande successo del Partito popolare ÖVP guidato dall'enfant prodige Sebastian Kurz, 31enne (trentun anni, avete letto bene), che ha spostato l'asse del partito nettamente a destra cavalcando la retorica del cambiamento. Un mese prima, il 24 settembre, abbiamo avuto in Germania l'avanzata dell'estrema destra xenofoba e euroscettica dell'Afd. E nel mese di maggio in Francia, per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, non sono andati al ballottaggio per il presidente nessuno dei due partiti storici, Socialista e Repubblicano. Un'onda lunga e spesso inaspettata: basti pensare ancora al successo di Donald Trump di un anno fa e a quello per la Brexit di qualche mese prima.
 
Diverse ricerche sono state effettuate da studiosi europei e statunitensi per interpretare questi fenomeni così simili fra loro, e le spiegazioni sono in estrema sintesi riconducibili a una tesi fondamentale: quella dei "perdenti della modernizzazione", nella duplice accezione dei "perdenti culturali" e dei "perdenti economici". Già a partire dagli anni '70 del secolo scorso, con la cosiddetta "rivoluzione silenziosa", si erano avviati profondi cambiamenti nella cultura occidentale (femminismo ed eguaglianza di genere, rivoluzione nei costumi sessuali, diritti dei gay ed unioni omosessuali...) che avevano prodotto disorientamento nei settori più tradizionali.

Più recentemente, le immagini televisive dei barconi dei migranti, gli attentati del terrorismo islamico, gli episodi di microcriminalità ricorrenti hanno generato nuove ostilità e nuove paure. Si tratta di una reazione di disorientamento culturale che - secondo le ricerche condotte - ha trovato la massima diffusione fra gli anziani, gli uomini, i meno istruiti, gli abitanti delle periferie, i meno abbienti.
 
Inutile dire che questa tesi dei "perdenti della modernizzazione culturale" - se può valere per gli elettori di Marine Le Pen o di Trump o dei partiti populisti di destra europei e forse anche, nel nostro paese, per gli elettori della Lega - non ha nulla a che fare con il caso italiano degli elettori del M5s, che, semmai, dovrebbero essere annoverati fra i "vincenti della modernizzazione culturale", per la loro età, la sintonia con il mondo delle nuove tecnologie, l'apertura sui temi etici progressisti.
 
Mentre questa spiegazione del successo dei partiti populisti - cara alla destra - fa capo a una linea interpretativa di tipo "psicologico" (disorientamento e paura), la seconda lettura, quella dei "perdenti economici della modernizzazione" - che è cara alla sinistra - vede il populismo generato dal disagio economico.

Secondo questa tesi, le trasformazioni delle società postindustriali hanno generato nelle società occidentali pochi vincenti e molti perdenti. Il collasso dell'industria manifatturiera, la delocalizzazione all'estero della produzione industriale, l'automazione che elimina posti di lavoro, l'indebolimento dei sindacati, la crisi di sostenibilità del welfare state, le politiche governative di austerità, sono tutti processi che hanno creato nuove condizioni di insicurezza economica e di deprivazione sociale, dalla minaccia della disoccupazione al rischio fallimento per le piccole imprese, dalla difficoltà a trovare lavoro per i giovani alla precarizzazione dei lavori esistenti. Nasce facilmente in questo quadro un diffuso atteggiamento di risentimento verso le élite dominanti e verso la classe politica, che rappresenta un terreno quanto mai fertile per l'appello populista.
 
Questa tesi, la cui applicazione al caso italiano dei cinque stelle appare più plausibile, non è riuscita finora a trovare un convincente riscontro empirico. L'Istituto Cattaneo, applicando a una massa rilevante di dati di sondaggio (27.000 casi) le categorie proposte da Luca Ricolfi dei "garantiti" (posto fisso), del "rischio" (dipendenti di piccole imprese, lavoro autonomo) e degli "esclusi" (disoccupati, lavoratori in nero, scoraggiati), ha trovato che le percentuali di propensi a votare per il M5s sono rispettivamente nei tre gruppi il 33%, 30% e 34%: valori di fatto statisticamente eguali.
 
Il voto per il M5s non è stato il voto dei perdenti economici della globalizzazione, non il voto dei perdenti culturali, né quello delle periferie contro il centro, o quello degli esclusi contro gli inclusi. Semmai è stato il voto (di una parte) di tutti questi. Un voto privo di radici sociali: potremmo forse dire con radici etiche.
 
Alle radici del successo del Movimento 5 stelle dobbiamo trovare altre spiegazioni, oltre a quella culturale e a quella economica. Il populismo trae alimento non solo da crisi economiche, ma anche da crisi politiche che possono essere indipendenti dal cattivo andamento dell'economia (corruzione, mancato funzionamento dello stato di diritto, inefficienza del governo, effetto deleterio dei grandi scandali sulla fiducia nelle istituzioni). E nel nostro paese la crisi politica ha preceduto quella economica (basti pensare all'implosione della Democrazia cristiana e al cambio di pelle del Partito comunista).
 
Il populismo italiano del Movimento 5 stelle rimane in Europa e nell'occidente un caso anomalo. Ha raggiunto livelli quantitativi non paragonabili con gli altri populismi europei; non ha assunto un connotato di destra come quasi dovunque è avvenuto (con la sola eccezione di Podemos in Spagna). Ma le incertezze interpretative sulla sua genesi e sulle motivazioni che l'hanno fatto nascere sono pari alle incertezze sul suo futuro politico.
 *Piergiorgio Corbetta è direttore di ricerca dell'Istituto Cattaneo di Bologna.

© Riproduzione riservata 16 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/16/news/l_anomalia_europea_del_movimento_5_stelle-181173904/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P10-S1.6-T1
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« Risposta #23 inserito:: Marzo 09, 2018, 05:07:43 pm »


Di Maio (M5S): «Il 10 aprile sul Def vedremo subito chi ci sta»
«Vogliamo agire da subito. Questa sarà l’occasione per trovare le convergenze sui temi con le altre forze politiche. Siamo già al lavoro su una proposta»

Di Emanuele Buzzi
Luigi Di Maio, il capo dello Stato Sergio Mattarella ha detto che serve responsabilità, voi che passi siete pronti a fare per venire incontro alle sue parole?
«Quello del capo dello Stato è un richiamo sacrosanto, in ballo c’è l’interesse del Paese che per noi viene prima di ogni cosa. Siamo stati votati da quasi 11 milioni di italiani e io personalmente sento tutta la responsabilità di fronte a questa apertura di credito da parte dei cittadini. Ricordo che siamo stati gli unici già in campagna elettorale ad assumerci la responsabilità di non lasciare l’Italia nel caos prodotto da questa legge elettorale voluta dai partiti».

Sareste disposti ad inserire in una vostra squadra di governo «tecnici» concordati con altre forze politiche?
«Non vogliamo parlare di poltrone, torno a ripetere che qui c’è in ballo l’interesse dei cittadini e con le altre forze politiche parliamo di temi, di punti di programma per cambiare in meglio la vita della gente. Ci dicano le altre forze politiche quali sono i loro punti e discutiamo per il bene dei cittadini e non per spartirci incarichi».

Quanti e quali sono i punti per un’eventuale convergenza?
«Vogliamo agire da subito. Entro il 10 aprile deve essere presentato il Def, il documento di economia e finanza che definisce le scelte di politica economica dei prossimi anni, e che dovrà essere approvato a maggioranza assoluta del Parlamento, quindi il Movimento sarà determinante. Questa sarà l’occasione per trovare le convergenze sui temi con le altre forze politiche. Siamo già al lavoro su una proposta che renderemo nota nei prossimi giorni. Se le altre forze politiche vogliono proporre altre misure che hanno al centro il bene dei cittadini, siamo pronti a discuterne».

Molti sostengono che la vostra prima scelta per un asse di governo siano i dem. È così?
«Lo scrivono i giornali, ma io ho sempre detto che parlo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa».

Il Nord ha votato Lega, il Sud voi: crede che questa divisione territoriale possa pregiudicare eventuali intese?
«In realtà il M5S è l’unica forza nazionale che oltre al sud, dove abbiamo ottenuto risultati straordinari con punte del 75%, è anche ben radicata al Nord. Se guarda la cartina dell’Italia con le Regioni dove il M5S è la prima forza politica, vedrà una distesa gialla: siamo primi in Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria, Valle d’Aosta».


Tra due settimane si votano i presidenti delle Camere: a vostro avviso a chi dovrebbero andare in mancanza di una maggioranza di governo?
«Come ho sempre detto siamo disponibili al confronto con tutte le forze politiche anche sulle Presidenze delle Camere».

Sì, ma voi chi indicherete? Su che ramo del Parlamento punterete?
«È presto per fare nomi e non è ancora intercorso nessun dialogo».

Se non si troverà un accordo pensa che si debba tornare alle urne con questa legge elettorale?
«Sciogliere le Camere spetta al Capo dello Stato».

Quindi voi cosa farete?
«Noi, dal canto nostro, faremo tutti i passaggi istituzionali per garantire un governo al Paese».

E sempre se si tornasse a votare secondo lei il Movimento quanto prenderebbe?
«Se si tornasse a votare i partiti pagherebbero cara la loro irresponsabilità. Noi non avremmo nulla da perdere».

Teme un effetto transfughi dal suo gruppo come nella scorsa legislatura in cui avete perso il 25% degli eletti?
«Molti degli eletti della scorsa legislatura non hanno ceduto alle sirene degli altri partiti, semplicemente sono stati espulsi. In questa legislatura abbiamo triplicato il numero dei parlamentari, vedo un gruppo compatto sia alla Camera che al Senato. Saranno i protagonisti di questa legislatura».

Oggi incontrerà i nuovi parlamentari: è vero che annuncerete nuove regole per gli scontrini?
«Semplificheremo le procedure per continuare a donare ancora di più ai cittadini italiani».

C’è una forte aspettativa per il reddito di cittadinanza. In Puglia ci sono già le prime richieste. Lei non è preoccupato da tutta questa attesa?
«Questa è una fake news».

8 marzo 2018 (modifica il 9 marzo 2018 | 11:08)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/elezioni-2018/notizie/di-maio-m5s-il-10-aprile-def-d9088f16-2316-11e8-a740-dc76cebf8197.shtml
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« Risposta #24 inserito:: Marzo 10, 2018, 05:59:46 pm »

Dal palco show anti-giornalisti: “Giocano sporco, combattiamoli”
Il capo della comunicazione Casalino: “Avere una minoranza crea confusione”.
Di Maio: “Non mollate e sarete premiati come ministri e sottosegretari”

Pubblicato il 10/03/2018

FEDERICO CAPURSO, ILARIO LOMBARDO
ROMA

«Vedrete, dopo questo incontro, ci diranno che siamo una setta e che vogliamo tenere tutto nascosto», avverte Rocco Casalino, appena nominato capo della comunicazione dei grillini alla Camera. Certamente lo streaming è un ricordo molto lontano, preistoria del M5S. Ma La Stampa è riuscita comunque a vivere in diretta, dall’interno, la convocazione dei nuovi parlamentari all’hotel Parco dei Principi di Roma. È un racconto sulla grande paranoia del M5S verso i giornalisti e sull’ansia di Luigi Di Maio che il gruppo non tenga all’esordio nel Palazzo e che molti tra i debuttanti possano lasciarsi trascinare da altre tentazioni. 

Arrivati, i 5 Stelle vengono divisi in due stanze adiacenti, una per i deputati e un’altra per i senatori. Di Maio, eletto alla Camera, parla ai primi. Presenta la nuova capogruppo, Giulia Grillo, e il suo capo della comunicazione, Casalino. Di Maio chiede fiducia e compattezza, promette posti di governo, e avverte: «Cinque anni fa dicevano che il M5S era finito. Chi non ha tenuto ed è andato via non è stato rieletto, tranne in un caso, in un partito del 4% (Walter Rizzetto, ndr). E poi invece ci sono persone che hanno tenuto duro e magari oggi stanno per diventare viceministri, sottosegretari. Chi ci ha creduto verrà premiato». Il leader invoca «serenità e tranquillità» dai nuovi, li prega di «non mollare» perché teme, soprattutto se i tempi si allungheranno, i rischi di ammutinamento per frustrazione, molto più di com’è stato 5 anni fa. «Dobbiamo resistere alla pressione mediatica. Soltanto fidandoci l’uno dell’altro riusciremo ad arrivare dove vogliamo. Fidatevi dei parlamentari uscenti e della comunicazione. Me lo ha insegnato Gianroberto Casaleggio: Puoi fare tutto quello che vuoi ma se non lo comunichi bene non esiste. Per questo vi chiedo di seguire la squadra della comunicazione. Sono la linea del M5S».

«Non parlate con loro»
La persona che Di Maio introduce tra gli applausi è Rocco Casalino. Il suo ruolo, come appare all’intera platea subito dopo, sarà ancora più centrale. Quella che segue è una vera e propria lezione di comunicazione politica in salsa grillina. Per Di Maio il messaggio da consegnare ai nuovi parlamentari è semplice: «È fondamentale restare uniti - dice Casalino -. La cosa peggiore è esprimere posizioni diverse, perché disorientano e chi è a casa non capisce». 

La preoccupazione, come si denota dal silenzio imposto alle matricole del M5S mentre scendono dai taxi proprio di fronte alla porta dell’hotel (istruzioni, dello staff), è il rapporto con la stampa: «Noi abbiamo l’abitudine a prendercela con i giornalisti e facciamo bene ma è vero che la responsabilità è anche nostra». Casalino dice di averlo imparato dagli ultimi cinque anni: «Il giornalista vi usa come fonti anonime. E così crea un meccanismo psicologico per cui il parlamentare pensa “Io glielo dico tanto lui mi copre”. Scrive “fonte parlamentare” e noi passiamo settimane a smentire». Altra consapevolezza: «Non c’è nulla che si possa tenere nascosto con loro, che si possa fare segretamente, anche se siamo in tre. Esce tutto». E Casalino vorrebbe evitarlo. Come? «Non avete bisogno di rapportarvi con i giornalisti. Non vi fate fregare quando vi diranno “Dammi una notizia che sennò vengo licenziato” oppure “fammi guadagnare trenta euro”. Ci sono cascato anche io tante volte. Pensate sempre che il loro fine è di danneggiarci». Il giudizio è netto: «I giornalisti sono cattivi. Cercano di tirarci da una parte all’altra perché giocano una partita importante. Partecipano alla campagna elettorale in modo spudorato. Ma non è mai un attacco semplice. È sempre più sofisticato. Non fate il loro gioco sporco. Solo se siamo uniti riusciamo a combatterli. Non serve a nulla parlare con loro. Serve solo a spaccarci e a far dire che siamo divisi. Non abbiamo più bisogno di giornali e tv. Riusciamo ad arrivare a milioni di persone e già nel 2013 abbiamo preso il 25% senza la comunicazione tradizionale». Lo staff invierà istruzioni, assicura, anche sui social, per i quali è prevista una stretta: «Chiudeteli e aprite quelli ufficiali. Fate attenzione a cosa scrivete. Non entrate troppo nel politico. I giornalisti cercheranno cose vecchie, tipo le scie chimiche e altre cose imbarazzanti. Non c’è nessuna volontà di limitare la vostra libertà: siamo qui per proteggervi. Proteggiamoci tutti a vicenda». 

Minoranza, case e scontrini
Poi i ricordi, che valgono come ulteriore avvertimento ai possibili dissidenti. Per la prima volta viene usata la parola «minoranza». «È normale che ci possa essere una minoranza che crede che la sua sia la strada giusta ma visto che non ha la forza per cambiare la linea da dentro, si offre ai giornali. È un meccanismo che abbiamo vissuto negli anni passati. Hanno creato solo confusione». A un certo punto arrivano le domande. Una deputata: «Mi hanno invitata a un incontro sul ruolo delle donne. C’è anche una di un altro partito. Posso andarci?». «Evita». Altro dubbio: «Che facciamo con gli attivisti che ci stanno già contattando?». La risposta di Giulia Grillo dà l’idea di come sia cambiato il M5S: «Ricordatevi che ora siete parlamentari eletti, portavoce di un programma. Non siete nient’altro che questo». Ma la fiducia passa anche dalla scelta dei collaboratori: «Vi consiglio di sceglierli con cura, gente di cui si può fidare anche il M5S», dice Grillo che si raccomanda: «Cercate di essere sobri nella scelta della casa a Roma. Ricordatevi che siamo del M5S». Almeno ci sarà più flessibilità sulla rendicontazione delle spese e sui rimborsi: «Verrà semplificato il sistema. Non ci saranno più gli scontrini. Stiamo studiando un forfait». E qui scoppia un boato. L’applauso è liberatorio. 

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Da - http://www.lastampa.it/2018/03/10/italia/cronache/dal-palco-show-antigiornalisti-giocano-sporco-combattiamoli-QiXsZ3aUgt5mJbAygWq6DM/pagina.html
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« Risposta #25 inserito:: Marzo 12, 2018, 04:32:41 pm »

POLITICA
Luigi Di Maio: "De Gasperi diceva che politica vuol dire realizzare". L'appello per il governo citando il leader Dc

Il capo politico M5s cita la dottrina sociale della Chiesa: "Noi impegnati a realizzare bene comune"

 11/03/2018 11:38 CET | Aggiornato 3 ore fa

Il leader M5S Luigi Di Maio lancia un nuovo appello per la formazione del governo e cita le parole di ieri del presidente della Cei, cardinale Angelo Bassetti.

"Faremo tutto il possibile per rispettare il mandato che ci hanno affidato. Mi auguro che tutte le forze politiche abbiano coscienza delle aspettative degli italiani: abbiamo bisogno di un governo al servizio della gente", scrive Di Maio dal blog, sottolineando: "Non abbiamo a cuore le poltrone ma che venga fatto ciò che i cittadini attendono da 30 anni".

Scrive il capo politico M5s sul blog:
''Politica vuol dire realizzare'' diceva Alcide De Gasperi, ed è a questo che tutte le forze politiche sono state chiamate dai cittadini con il voto del 4 marzo. Più precisamente a realizzare quello che anche nella dottrina sociale della Chiesa viene chiamato ''bene comune'', che è ciò che noi in tutta la campagna elettorale abbiamo indicato come ''interesse dei cittadini''.

"Noi non abbiamo a cuore le poltrone, abbiamo a cuore che venga fatto ciò che i cittadini attendono da 30 anni e che ci hanno dato il mandato di realizzare con oltre il 32% di consenso", prosegue.

"Abbiamo messo al primo posto- aggiunge- la qualità della vita dei cittadini che vuol dire eliminazione della povertà (con la misura del reddito di cittadinanza che è presente in tutta Europa tranne che in Italia e in Grecia), una manovra fiscale shock per creare lavoro, perché le tasse alle imprese sono le più alte del continente, e finalmente un welfare alle famiglie ricalcando il modello applicato dalla Francia, che non a caso è la nazione europea dove si fanno più figli, per far ripartire la crescita demografica del nostro paese".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2018/03/11/luigi-di-maio-de-gasperi-diceva-che-politica-vuol-dire-realizzare-lappello-per-il-governo-citando-il-leader-dc_a_23382556/?utm_hp_ref=it-homepage
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« Risposta #26 inserito:: Marzo 12, 2018, 04:37:15 pm »

Prove di intesa centrodestra-M5s su presidenze.
Di Maio: no a esecutivo senza di noi.
Cei: governo sia al servizio della gente
Ok al dialogo, è in sostanza la posizione grillina, ma che almeno uno dei due rami del Parlamento vada ai 5 Stelle.
L'altro, con ogni probabilità, lo rivendicherà l'altro partito che ha vinto le elezioni, la Lega di Salvini.
Il presidente dei vescovi: "Gioia perché la gente ha votato"

Di ALBERTO CUSTODERO
10 marzo 2018

ROMA - Prove di dialogo, nel dopo elezioni, per un governo che nessuno dei tre schieramenti usciti dal voto può fare da solo. Forza Italia - con Renato Brunetta - apre a tutto campo, "non solo al Pd, ma anche al M5s". Intervistato da Avvenire, il capogruppo dei deputati forzisti auspica "il dialogo per le presidenze delle Camere". Su un eventuale accordo, replica il candidato premier M5s con un video su Facebook. "Noi siamo aperti al confronto con tutte le forze politiche - afferma Di Maio - ma chiaramente pretenderemo il riconoscimento del voto degli italiani che ci hanno indicato come prima forza politica del Paese".

Ok al dialogo, è in sostanza la posizione grillina, che con gli "oltre 330 parlamentari tra le due Camere" hanno "praticamente triplicato la forza parlamentare". Però almeno una presidenza deve essere targata 5 Stelle. L'altra, con ogni probabilità, la rivendicherà l'altro partito che ha vinto le elezioni, la Lega di Salvini. E già è partito il toto nomine: al Senato, in quota Lega, Roberto Calderoli, per Fi Paolo Romani, per il M5s Danilo Toninelli, per il centrosinistra Emma Bonino. Alla Camera, per il M5s Roberto Fico, per Fi Mariastella Gelmini, per i dem Dario Franceschini.

Diverso, più articolato il discorso relativo alla formazione dell'esecutivo, rivendicato sia dal M5s che dal centrodestra, mentre il centrosinistra conferma il proprio arroccamento all'opposizione. "In questo momento - dichiara Di Maio - il M5s è determinante. Un governo senza di noi non si può fare a meno che (e sarebbe un clamoroso insulto alla democrazia) non decidano di fare un governo con tutti contro di noi". "Ma in quel caso - minaccia - sarebbe la loro fine".

Brunetta, a proposito di possibili alleanze, sostiene che "se si parte dai programmi, più che dalle formule, si scopre che ci sono molte più cose che uniscono". "Il nostro programma - ricorda - è stato approvato col 37 per cento dei consensi. E lo mettiamo ora al centro del dibattito". Ma anche "il dibattito sul Def", sostiene, "da problema può diventare opportunità. Può diventare incubatore della maggioranza". Insomma, per raggiungere un eventuale accordo, "occorrerà partire dagli aspetti meno divisivi".

Intanto c'è una presa di posizione del presidente della Conferenza episcopale italiana, Gualtieri Bassetti che al futuro governo chiede "di essere totalmente al servizio della gente e di ascoltarla". "Chiedo di attuare - ha sottolineato Bassetti, durante la presentazione del volume di padre Enzo Fortunato "Francesco il ribelle" - quello che noi anche nella dottrina sociale della Chiesa chiamiamo il bene comune che è il bene di tutti. Sia un governo di gente retta che pensa ai poveri".

© Riproduzione riservata 10 marzo 2018

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/03/10/news/elezioni_politiche_2018_m5s_centrodestra_fi_lega_fdi_centrosinistra_pd_trattative_per_governo-190916479/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.5-T2
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