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Autore Discussione: Massimo Nava Danimarca e Ungheria, l’onda populista che avanza in Europa  (Letto 2037 volte)
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« inserito:: Giugno 25, 2015, 07:43:20 pm »

VENTO DEL NORD
Danimarca e Ungheria, l’onda populista che avanza in Europa
Budapest dimentica l’agosto dell’89 quando istituì il primo campo profughi per accogliere i tedeschi dell’Est. Le elezioni danesi, appena concluse, sono state fortemente condizionate dal tema dell’ostilità ai migranti

Di Massimo Nava

All’indomani dell’annuncio, da parte dell’Ungheria, di un piano per costruire una barriera per arrestare l’immigrazione, un’altra barriera - non fisica, ma di forte significato politico - salta fuori dalle urne in Danimarca, con l’affermazione del Partito del popolo, un nuovo segnale del seguito di movimenti populisti in tutto il Vecchio Continente. Il fatto che ciò avvenga nei Paesi ricchi e di solida tradizione democratica come in quelli in difficoltà economiche conferma che la paura dell’«invasione», reale o percepita, è parte del nostro vissuto e condiziona l’agenda politica delle nostre democrazie. L’immagine simbolo dei profughi aggrappati agli scogli di Ventimiglia resta confinata nel pietismo senza seguito. Quasi rimossa.

I migranti, respinti fisicamente o dalla politica condizionata, hanno un terribile nemico, la mancanza di memoria storica, di riferimenti al passato che potrebbero favorire una valutazione meno emotiva dei fenomeni.

Da 26 anni, gli ungheresi ricordano «il giorno dell’accoglienza». Era il 14 agosto del 1989, quando venne allestito il primo «campo profughi» per migliaia di tedeschi dell’Est in fuga dal regime della Rdt, la Germania comunista. In poche settimane, ne arrivarono decine di migliaia che si sarebbero riversati nella Germania occidentale. Qui, all’accoglienza, si sommava la solidarietà attiva di offerte di lavoro e ospitalità. Tre mesi prima, il 2 maggio, le autorità ungheresi, con il beneplacito di Mosca, avevano deciso di aprire la Cortina di Ferro, i 350 chilometri di filo spinato e campi minati che separavano il Paese dal mondo libero. Si abbattevano le statue dei gerarchi e ricompariva quella di Sissi, l’imperatrice d’Austria, a simboleggiare un ideale romantico di appartenenza al cuore dell’Europa.

Quella decisione fu storicamente più significativa dell’abbattimento del Muro di Berlino, perché la gloriosa notte del 9 novembre fu la conseguenza logica dello sgretolamento di un sistema.

Sarebbe utile un bagno di memoria oggi, nel momento in cui l’Ungheria europea decide di alzare un nuovo Muro per respingere le migrazioni dai Balcani e in sostanza rinchiudersi, in una spirale di nazionalismo ideologico sparso a piene mai dai suoi nuovi leader. È fondamentale che se ne ricordino ungheresi e danesi, e con loro le generazioni di europei nate dopo il Muro. Certo, l’esercizio della memoria non risolve i problemi dei nostri giorni né moltiplica i centri di accoglienza. Ma dovrebbe stimolare un sussulto di responsabilità e coraggio, rispetto al rimpallo di polemiche e rifiuti a ogni livello, dall’Europa fino ai più piccoli municipi.

Allora, nessuno in Europa era spaventato dall’«invasione», mentre la grande maggioranza accarezzava un sogno di libertà e un ideale di Continente riunificato nella democrazia, con istituzioni comuni e una stessa moneta. Gli «invasori» erano in parte disperati, molti si lasciavano dietro tutto, ma venivano accolti. Vien da chiedersi, forse perché erano bianchi, di religione cattolica o ortodossa? O forse che la fuga da un regime comunista meriti più solidarietà che la fuga dalla fame e dalla guerra?

Allora non si facevano troppi calcoli economici sul costo dell’«invasione» e, se si facevano, si guardava anche al tornaconto dei nuovi mercati. Un leader lungimirante come il cancelliere Helmut Kohl decise di colpo che il marco dell’Ovest valeva un marco dell’Est, un cambio economicamente folle, ma con enormi conseguenze storiche. La riunificazione tedesca, la nuova Europa, l’euro.

Oggi la lungimiranza è venuta meno. L’agenda della politica è dettata dalla paura dei movimenti xenofobi, dal rigurgito nazionalista, dai calcoli contabili che ostacolano persino decisioni al ribasso. L’atteggiamento verso le migrazioni è speculare alla gestione tentennante e senza sbocco della crisi greca: narrazione contabile, senza vedere il rischio catastrofico della Grexit.

La rappresentanza «politica» della solidarietà e della società civile, peraltro ancora capace di forti slanci, sembra lasciata a Papa Francesco. Il ricatto populista sul contingente impedisce di osservare con maggiore consapevolezza il medio periodo, ossia i flussi demografici, il «bisogno» di più immigrazione per garantire il nostro modello di sviluppo.

Certamente i danesi non costruiranno barriere fisiche come gli ungheresi. Ma hanno già cominciato ad alzare nuovi steccati culturali, sociali e politici. Del resto, senza che nessuno l’abbia notificato, il modello Schengen è stato abbattuto a Ventimiglia.

mnava@corriere.it
19 giugno 2015 | 08:11
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_giugno_19/danimarca-ungheria-l-onda-populista-che-avanza-europa-bd1b8764-1648-11e5-9531-d169a57fe795.shtml
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