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Autore Discussione: Altman: «Scienziati, sporchiamoci le mani: la politica ha bisogno di noi»  (Letto 5274 volte)
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« inserito:: Gennaio 18, 2008, 03:14:12 pm »

FESTIVAL DELLE SCIENZE DA LUNEDÌ A ROMA

Una Terra in gioco

L'appello di Altman: «Scienziati, sporchiamoci le mani: la politica ha bisogno di noi»


Gli scienziati che in diversi campi lavorano su argomenti teorici hanno come unico strumento la scrittura. È tutto molto semplice, almeno in apparenza. Quegli scienziati che fanno invece esperimenti lavorano in laboratorio. Il laboratorio potrebbe essere l’intero mondo, o lo spazio, oppure anche un modesto sgabuzzino. È sempre stato così e così continuerà ad essere. Ma se si chiede che cosa studieranno gli scienziati nel futuro — diciamo tra dieci o vent’anni —, rispondere può essere difficile, se non impossibile. Se si ritornasse all’inizio del ventesimo secolo e si facessero le stesse domande, ci si troverebbe esattamente nella stessa situazione: neanche allora si aveva idea di quel che il futuro avrebbe riservato. Ci sono state, certo, persone che hanno avuto idee abbastanza azzeccate, anche se restavano prive della capacità tecnica di spiegare in dettaglio come le loro intuizioni, seppur basate su principi fisici, potessero poi funzionare. Erano gli scrittori di fantascienza.

Jules Verne ci ha dato un quadro della vita nei sottomarini, con tanto di palombari che camminavano sui fondali dell’oceano. Ha anche ben prefigurato un viaggio sulla Luna, ma in questo caso sapeva solo vagamente quali problemi comportasse far superare a un razzo la forza di gravità della Terra. Oltre ad aver «inventato» l’uomo invisibile, H.G. Wells ha descritto una guerra tra una cultura aliena e la popolazione terrestre, e anche in questo caso sappiamo poco di come ne considerasse la possibilità in termini strettamente scientifici. C’erano anche scienziati che riuscirono a vedere le potenzialità che la scienza stessa aveva in sé. Le loro idee brillanti sono alla base di buona parte della tecnologia attuale.

Guglielmo Marconi è uno di questi. Ancora giovane, capì che le onde radio potevano essere inviate a grande distanza e riuscì a dimostrarlo trasmettendo segnali tra il Canada e l’Irlanda. Wilhelm Roentgen, tuttavia, non sapeva come si sarebbe evoluta la diagnostica per immagini ed Ernest Rutherford e Niels Bohr non poterono predire la scoperta delle particelle subatomiche o il fenomeno della risonanza magnetica. Tutto ciò conferma che il futuro delle scoperte scientifiche non è prevedibile, anche se possiamo immaginare da dove potrebbero scaturire alcune nuove e importanti conoscenze. Un’altra domanda cruciale riguarda il ruolo che gli scienziati avranno nel contesto sociale. Come saranno usate le informazioni da loro raccolte? Ci sarà forse qualcuno che ordinerà loro quali informazioni raccogliere? (Una prospettiva, questa, assai poco allegra).

Prendiamo Albert Einstein, probabilmente lo scienziato più famoso del ventesimo secolo sia per i suoi stessi colleghi sia per la gente comune. La sua capacità di valutare con chiarezza problemi al di fuori della fisica e di parlarne con grande forza e decisione era cosa davvero notevole. Incontrava volentieri le personalità del suo tempo: c’è un’indimenticabile serie di fotografie che lo ritraggono con Charlie Chaplin quando erano entrambi all’apice della fama. Ma Einstein, insieme a un altro fisico, Leo Szilard, ha contribuito a indurre il governo degli Stati Uniti alla costruzione di bombe atomiche per giungere alla distruzione delle armate naziste durante la Seconda guerra mondiale. Alla fine la guerra fu vinta, ma le cose andarono in modo un po’ diverso da come si sarebbe potuto sperare. Se dovesse infatti esserci un’altra grande guerra in cui una delle parti utilizzasse armi atomiche, l’ambiente— e il nostro futuro—sarebbero gravemente minacciati. Resto comunque convinto che gli scienziati dovrebbero agire per incoraggiare i governi a utilizzare le loro competenze specialistiche nel prendere le decisioni che influiranno sulla nostra società.

Non credo che gli scienziati si debbano limitare solo a una consulenza scientifica: dovrebbero anche indicare qual è l’uso ottimale delle loro conoscenze. Negli Stati Uniti siamo stati incoraggiati a dare ai nostri rappresentanti politici le informazioni che abbiamo, e a spiegare come possano essere utilizzate proficuamente nel prendere decisioni politiche. Diciamo che lo «stallo» che negli ultimi 62 anni ha impedito un conflitto nucleare continua. Ma come possiamo affrontare i crescenti problemi ambientali che negli Stati Uniti sono stati messi in evidenza per la prima volta negli anni 50 dalla biologa e scrittrice Rachel Carson? Inevitabilmente i combustibili fossili si esauriranno. Ci vorranno 100 anni, forse più. O forse di meno, dato che i Paesi che hanno il controllo della maggior parte del nostro combustibile fossile contano su di esso per il loro sviluppo. Dobbiamo trovare un modo per rendere pulite le emissioni di questi combustibili, cosa che al momento è estremamente costosa, e cercare di non dover contare su di essi per il trasporto e il riscaldamento.

Possiamo usare l’energia idroelettrica, quella geotermica e il vento per il riscaldamento e altri usi, ma non per i trasporti. Anche l’energia nucleare per usi pacifici sarebbe accettabile se riuscissimo a trovare come smaltire le scorie. Hanno notevole importanza anche le modificazioni genetiche di batteri, utili a pulire gli scarichi industriali, o quelle effettuate sugli alimenti che possono dar da mangiare alle masse di persone affamate nel mondo. In Europa il cibo modificato geneticamente può far risparmiare agli agricoltori il costo della disinfestazione dagli insetti dannosi e garantire che alcuni prodotti commestibili (non le imitazioni a buon mercato che mantengono il colore ma non il sapore) rimangano freschi più a lungo, senza una costante refrigerazione e senza sprechi dovuti a un rapido deterioramento.

Il beneficio arrecato a tante persone è un argomento— sia di carattere biologico sia economico — a favore dell’uso dell’ingegneria genetica. E infine, come immaginare il futuro? Forse pieno di veicoli a energia elettrica e una popolazione di robot intelligenti al nostro servizio? Queste suonano come idee ridicole. La cosa importante, la vera certezza è che — se non distruggeremo prima il pianeta — la meravigliosa imprevedibilità della scienza ci fornirà nuove prospettive su come sfruttare l’idrogeno e in generale su come usare elementi in modi che in precedenza non erano stati presi in considerazione.
(Traduzione di Maria Sepa)

Sidney Altman
12 gennaio 2008

da corriere.it
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