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Autore Discussione: Federica FANTOZZI. -  (Letto 18657 volte)
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« inserito:: Ottobre 26, 2007, 06:40:08 pm »

Massimo Brutti: «Quest’aula, teatro del bipolarismo di guerra»

Federica Fantozzi


Ai vecchi tempi sulle poltrone della sala Garibaldi, il cui immenso tavolo è ricoperto di quotidiani e riviste estere, sonnecchiavano i senatori più anziani e gli ex, in pensione, avevano la consuetudine di incontrarsi per due chiacchiere e un caffé. Diccì di lungo corso e antica data praticavano riti di partito e formule di governo nel mozzicone di corridoio quadrangolare che equivale al Transatlantico di Montecitorio. Erano i tempi in cui Palazzo Madama era il salotto della politica, un luogo «tranquillo e appartato» rispetto alla Camera, sede precipua dello scontro politico.

«Ormai è un ricordo del passato - sospira il senatore ulivista Massimo Brutti - Basta guardare la sala Garibaldi: è vuota». Effettivamente, per tutta la giornata di ieri, non un’anima si è affacciata o si è seduta attorno al tavolo dove si impolverano malinconici giornali di due giorni prima. «Se qualcuno osasse - sussulta Brutti - sarebbe tacciato di irresponsabilità. Uscire dall’aula è un problema». E si è vista proprio ieri l’ennesima bagarre della CdL contro Rita Montalcini, “colpevole” di essersi assentata per andare alla toilette.

Brutti, romano, docente universitario, è un veterano. Al giro di boa della quinta legislatura nella Camera alta. Dal ‘92: in 15 anni ha visto le sedute notturne e agostane, l’avvento degli uomini-sandwich come forma di protesta, i girotondi intorno al palazzone, fino all’insofferenza per i senatori a vita. «C’era un costume più disteso che si è interrotto con Tangentopoli. Il crollo della Prima Repubblica ha portato un irreversibile aumento di tensione». Secondo trauma nel ‘94, èra berlusconiana: «Colpiva il distintivo all’occhiello degli uomini di Forza Italia. Qui dove non si esibiva niente, era una cosa inusitata».

Comincia un’epoca nuova che si compirà nella scorsa legislatura. Prima, al massimo, c’era stato l’ostruzionismo su Maastricht da sinistra. Poi: «Le leggi ad personam hanno significato sedute notturne. Ricordo le notti in Commissione Giustizia perché il centrodestra aveva fretta di approvare la Cirami, che finì ai primi di agosto. Noi, per combatterla, facevamo i turni: il peggiore costringeva ad alzarsi dal letto alle tre di notte». In mezzo il quinquennio del centrosinistra, 1996-2001, migliore dell’attuale: «Anche se non avevamo una maggioranza particolarmente ampia e l’opposizione era dura, il clima restava più civile, meno pesante. Ora qualitativamente gli interventi sono scaduti. Mirano a prendere tempo, difficile che si impari qualcosa».

Palazzo Madama: la trincea, il fortino assediato, la linea maginot. I soprannomi si sprecano. Brutti sospira di nuovo. Parla al telefono dall’aula, mentre vota, mentre la seduta va avanti da ore: «Il problema sono i numeri. Creano l’ossessione della spallata con cui ci confrontiamo quotidianamente. I giorni centrali della settimana devi rinunciare a qualsiasi altro programma e sapere che potrai stare in aula anche 14 ore di fila».

Sapendo che ogni assenza è valutata, ogni malessere commentato, ogni errore foraggia retroscena. «Sì... scusi... Aspetti... Avevo votato rosso per sbaglio ma ho corretto in tempo». Dicevamo, appunto. «L’anno scorso avevo l’influenza. Per votare mi intabarravo in cappotto e sciarpa, una macchina veniva a prendermi, e per fortuna che abito vicino, zac, votavo e tornavo. Tutti i miei colleghi, se si ammalano, fanno così».

Giornate in aula: come ci si attrezza? «Lavoro, leggo cose leggere che richiedano poca concentrazione. Perché gli occhi devono essere ben aperti per evitare trappole». Stressante. «Molto. Arrivo a sera con il senso di un urlo continuo, di un rombo di fondo». È l’evoluzione del bipolarismo? «Ne è la caricatura, il deterioramento. È una condizione anormale del dibattito causata da questa legge elettorale e dalle continue notizie di compravendita di senatori. In parte Berlusconi le mette in giro apposta... Vedremo chi avrà il coraggio di confermarle».

Pubblicato il: 26.10.07
Modificato il: 26.10.07 alle ore 12.41  
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« Ultima modifica: Aprile 09, 2012, 10:46:07 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 14, 2007, 05:10:38 pm »

E Casini ringraziò Rutelli per i Dico spariti

Federica Fantozzi


Casini saluta le «sue eminenze».

Rutelli archivia i Dico: «Barra sulle priorità reali».

Ruini ascolta attento.


Nell'aula magna dell'università Lateranense si presenta il libro del rettore Rino Fisichella: "Nel mondo da credenti. Le ragioni dei cattolici nei dibattito politico italiano". La tesi: se i cattolici accettano di «ghettizzarsi» nella sfera privata, non pubblica e politica, si auto-marginalizzano. Ne discutono (con feeling) i "gemelli centristi" Rutelli e Casini.

Modera Lucia Annunziata, che rivendica la scoperta del «fascino mediatico» del monsignore, anche cappellano di Montecitorio.

In sala ambasciatori, «generali delle forze armate», studenti e parlamentari («le pecorelle»). I rutelliani Lusetti e la sottosegretaria Cristina De Luca. Animato crocchio di centrodestra in prima fila: i forzisti Nando Adornato, Angelo Sanza, Angelino Alfano, l'Udc Luisa Santolini, l'aennino Maurizio Gasparri. «Storace e la Santanché vi hanno ricompattato - Sanza si rivolge a Gasparri - Lo dico a te che sei il più berlusconiano dei finiani..». Lui annuisce. «Io sono per l'unità del centrodestra, chi non la vuole ci indebolisce». Si giudicano infondate le voci che Giovanardi starebbe per andarsene dall'Udc. Gasparri invita tutti domenica ad Assisi per il suo «Arcipelago», convegno di associazioni e fondazioni di destra. Un signore si gli avvicina: «Si ricorda la questione delle zucchine?» chiede, si spera in codice.

Sul palco Casini si accalora: «Qualcuno denuncia che la Chiesa interferisce, che mostra prepotenza nel partecipare al dibattito politico. Io ritengo l'inverso. Dobbiamo esserle grati per il ruolo di supplenza che svolge nella spaventosa assenza della politica». E: «Quando un prete per malinteso ecumenismo apre la canonica alle preghiere islamiche mi cadono le braccia. No ai luoghi polifunzionali di culto».

La Annunziata: «Mi pare che Casini ha recepito con entusiasmo il libro, ma era scontato. È più difficile per Rutelli». Ma il vicepremier «condivide», salvo parlare di «stimolo» anziché «supplenza». Annunziata insiste: «La scomparsa del ddl sui Dico è dialogo o fallimento?». Rutelli argomenta: «È nota la mia opinione sull'ordine delle priorità, prima una buona legge sulle famiglie, poi le convivenze. Bisogna tenere la barra sulle priorità reali del Paese». Casini si infila: «I Dico non esistono più perché non c'è una maggioranza, grazie anche a persone come Rutelli che con lungimiranza hanno liquidato il testo». L'interessato sfoglia gli appunti. Conclude: «Entrambi i poli dovrebbero far sentire i cattolici a casa propria, senza che debbano rinunciare a una virgola delle proprie convinzioni».

Battibecco Annunziata-Casini. Lei: «Al bar si parla dei leader della CdL che vanno al Family Day ma hanno certe situazioni...». Lui: «È una domanda stupida. Non era una piazza di santi, ma il relativismo etico è l'anticamera del nichilismo». Fisichella benedice la sala: «Posizioni partiticamente differenziate giungono a complementarità di visione perché si parla delle nostre cose».  

Pubblicato il: 13.11.07
Modificato il: 13.11.07 alle ore 10.05  
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« Ultima modifica: Settembre 27, 2011, 04:11:24 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 12, 2007, 06:39:00 pm »

Veltroni lancia la conferenza operaia del Pd

Federica Fantozzi


«Rompere il muro di silenzio attorno alle fabbriche e tornare a parlare con gli operai». Così Walter Veltroni annuncia per l’inizio del 2008 la conferenza operaia del Pd nel Nord Italia. E delinea le priorità del suo partito su lavoro e produttività: «La questione salariale va riaperta». Con detrazioni fiscali, incentivi mirati e controllo dei prezzi.

Salari al centro. Veltroni delinea la politica del Pd su lavoro e produttività: «La questione salariale va riaperta in modo concreto». E nei primi mesi del 2008 il Pd terrà una conferenza operaia nel Nord «per rompere il silenzio intorno alle fabbriche». Nel giorno in cui ha discusso di perdita del potere d’acquisto e responsabilità dei freni allo sviluppo italiano con Montezemolo all’assemblea degli industriali romani, il segretario del Pd offre la sua risposta alle inquietudini degli operai della Thyssen (e non solo) che temono di venire dimenticati dalla politica appena spenti i riflettori. Anche se, giura Veltroni, la conferenza è stata decisa «prima della tragedia di Torino».

Alle difficoltà «di tante famiglie ad arrivare alla fine del mese», al rischio che «l’ascensore sociale si fermi», Veltroni propone subito una ricetta in cinque punti che ruotano intorno alla riduzione della pressione fiscale, al controllo dei prezzi, agli incentivi all’aumento di produttività. «Si tratta di usare la leva fiscale per appesantire le buste paga e alleggerire il peso alle imprese» spiega. Lavorando su detrazioni fiscali e incentivi mirati. Con una premessa: «Le responsabilità dei prezzi fuori controllo sono del governo precedente che non ha saputo gestire il passaggio dalla lira all’euro».

Ad illustrare le proposte, sotto il soffitto a travi del loft di piazza Anastasia, ci sono la giovane responsabile Economia del partito Alessia Mosca, il responsabile Economia Giorgio Tonini, l’ex ministro del Lavoro Tiziano Treu. Si tratta di defiscalizzare i salari di produttività (come già prevede il protocollo Welfare), rendere effettiva la parità salariale tra uomini e donne, facilitare la contrattazione decentrata che è compito delle parti sociali, aumentare la meritocrazia nella pubblica amministrazione, recuperare il fiscal drag (ma Treu precisa che avverrà nell’ambito di un più generale riordino delle aliquote in un secondo momento).

Tutti temi da sviluppare nella conferenza operaia che si terrà all’inizio del 2008 a Torino o Milano. Evento a cui Veltroni mostra di tenere moltissimo: «Si tornerà a discutere della condizione umana di chi lavora in fabbrica, a parlare con gli operai. Finora c’è stato un grande silenzio che va rotto, la fabbrica è diventata un luogo chiuso agli sguardi della società e queste barriere vanno infrante». Primo comandamento: «Lavorare in sicurezza. Non servono nuove leggi, basta applicare quelle esistenti a partire dalla 626». E l’attenzione del governo deve concentrarsi sui controlli: «Mille morti è una cifra inaccettabile per l’Italia».

Più in generale, si staglia l’orizzonte riformista del Pd. Per dirla con Tonini, «riformismo è coniugare la questione sociale del rischio povertà con quella economica della minore competitività del Paese». La strada sarà: continuare con le liberalizzazioni, controllare prezzi e imposte locali, lottare contro l’evasione fiscale, favorire il rinnovo dei contratti con le parti sociali, combattere la precarietà.

Mosca insiste sulla necessità di tutelare «giovani e donne, le categorie più deboli colpite dal minore potere d’acquisto dei salari». I dati mostrano che l’Italia è fanalino di coda in Europa nella crescita dei salari. Peggio di noi, negli ultimi anni, solo il Portogallo.

Pubblicato il: 12.12.07
Modificato il: 12.12.07 alle ore 13.21   
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« Risposta #3 inserito:: Dicembre 30, 2008, 04:42:12 pm »

Fini critico: dal governo troppi decreti. Più rispetto per il Parlamento

di Federica Fantozzi


«Non può esistere democrazia che non abbia rapporto equilibrato tra potere esecutivo e potere legislativo, vale a dire tra governo e Parlamento». Lo dice Gianfranco Fini, presidente della Camera nonché leader di uno dei principali partiti della maggioranza, An appena confluita nel PdL.

Nello stesso giorno il Parlamento rende noto il bilancio dei primi 8 mesi di attività: sono 44 le leggi approvate, di cui 24 di conversione di decreti legge e 13 di ratifiche di trattati. In tutti i casi si tratta di provvedimenti di iniziativa del governo. Per quanto riguarda la Camera dei Deputati: Montecitorio ha approvato 41 leggi di cui 22 di conversione di decreti legge. In generale ha varato 48 progetti di legge nessuno dei quali di iniziativa parlamentare. Non va meglio al Senato, dove una soltanto su 35 leggi approvate è di iniziativa parlamentare. Per il resto 24 sono di conversione di decreti legge e 9 di ratifica di trattati internazionali.

Non è la prima volta che la terza carica dello stato sottolinea l’eccessivo uso dei decreti legge da parte di Palazzo Chigi, suscitando già in passato l’irritazione di Berlusconi che sospetta dietro questo tentativo di smarcarsi ambizioni proiettate verso il Colle in concorrenza con le proprie.

Stavolta, durante le feste natalizie, Fini traccia un bilancio dei suoi primi mesi alla guida della Camera, augura un 2009 che smentisca le profezie più cupe sugli effetti della crisi e lancia un nuovo appello ai poli per un confronto serio sulle riforme nel quale il Parlamento resti centrale.

Agli allarmi di chi teme un Parlamento esautorato dei suoi poteri per l’eccessivo decisionismo del consiglio dei ministri, Fini risponde positivamente. Avverte che «non può esistere una democrazia che non abbia un rapporto equilibrato tra esecutivo e legislativo, cioè tra governo e Parlamento». Giusto insomma che «il governo sia in grado di governare e quindi gli siano garantiti tempi certi e corsie preferenziali per i suoi provvedimenti, ma bisogna far sì che accanto alle sue prerogative ci siano quelle del Parlamento che deve controllare, indirizzare ed essere centrale in ogni momento del dibattito».

Quindi, basta «dialogo» che «a volte non c’è peggior cosa di un dialogo tra sordi» e avanti con una «comune assunzione di responsabilità» e «volontà di prestare attenzione a ciò che dice l’altro». Non significa, chiarisce Fini, «essere d’accordo su tutto ma confrontarsi in modo serio e approfondito su alcuni grandi problemi che ha l’Italia come la crisi economica, le questioni che riguardano il futuro dei nostri figli come scuola e università, e il rapporto tra istituzioni come certo il potere giudiziario».

Infine, gli sforzi del Palazzo per venire incontro alle richieste di trasparenza e rigore provenienti dai cittadini: «È un dovere per il palazzo essere aperto e trasparente, una casa di vetro».
E la terzietà richiestagli non può tradursi nella rinuncia alle proprie opinioni: «Credo - spiega Fini - che si possa svolgere un ruolo necessariamente terzo e istituzionale senza rinunciarvi». A Berlusconi un messaggio chiaro per l’anno che sta per cominciare.


30 dicembre 2008

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« Risposta #4 inserito:: Giugno 19, 2009, 05:59:28 pm »

Yacht, donne e politica. Il mondo di «Cicci»

di Federica Fantozzi

Chi sono le ragazze sul Magnum di Berlusconi in procinto di trascorrere lo scorso Ferragosto a Villa Certosa? È caccia ai nomi delle foto pubblicate dall’"Espresso". "Dagospia" soffia sulle Papi-girls riprendendo l’articolo di Marco Lillo e Peter Gomez: «Due future stelline di reality, un’aspirante giornalista Mediaset, una giovane promessa PdL».

Quest’ultima, in camicetta bianca, somiglia molto alla neo-europarlamentare Licia Ronzulli. Lei, in partenza per Bruxelles, ha fretta: «Non ho tempo di rispondere alle sue domande». Ma dov’era a Ferragosto? «Arrivederci». Poi viene identificata Siria, concorrente saffica dell’ultimo Grande Fratello: «Non rilascio dichiarazioni - replica - Parli con Endemol». Smentisce invece di essere a bordo Susanna Petrone, da settembre conduttrice di “Guida al campionato” e in lizza per sostituire la Hunziker a Zelig.

È l’ultimo capitolo di una vicenda mediatica cominciata con il corso di politica "pret-à-porter" a via dell’Umiltà. E le studentesse - "starlet" di belle speranze, avvenenti dirigenti locali e fanciulle di ottima famiglia - falcidiate dall’ira coniugale. In un frullatore di gelosie incrociate, polpette avvelenate, registrazioni vere o presunte, rivelazioni clamorose e bocche cucite. Vedi la stanza di Arcore da cui “Papi Natale” attinge doni per le favorite, tra cui le chiavi di una mini nascoste in mazzi di rose. Anche se negli ultimi giorni qualcuna l’ha cambiata con un altro modello di auto perché da "status symbol" si va trasformando in carta d’identità. Certo, scrive Filippo Ceccarelli, «fra letterine, meteorine, gossipine, farfalline, gemelline, pare, anche montenegrine, e api regine, non ci si capisce più niente».

MI MANDA CICCI
«E come sta Cicci?» «Bene, magari è al governo». A "Tetris" era diventato un tormentone: se vogliamo una valletta - si erano detti gli autori del programma condotto da Luca Telese all’epoca su RaiSat Extra - deve essere una vera raccomandata. Detto fatto, avevano chiesto al direttore di rete che aveva chiesto al presidente di Raisat... e lei era sbucata fuori. Adriana Verdirosi: bella, bruna, spigliata, raccomandata da Cicci, entità misteriosa e mai svelata. Un ministro? «Chissà». È giovane? «Dentro sì». Sposato? «Non voglio saperlo». La sorpresa è arrivata quando hanno letto il suo nome tra le partecipanti al corso. «L’abbiamo invitata a fare campagna elettorale - rievoca Telese - Ha accettato. Poi, due giorni dopo, l’attacco di Veronica sul “ciarpame senza pudore” e non ha più risposto al telefono».

CUORI INFRANTI
Quelle che alle 16 erano in lista e alle 18 non più. Emanuela Romano, 28enne napoletana, alta e bruna, psicologa con master in marketing a Publitalia, impegnata nel comitato “Silvio ci manchi” è stata depennata nonostante il padre Cesare, artigiano di presepi, abbia minacciato di darsi fuoco sotto Palazzo Grazioli: «È tutto ricomposto - dice ora - Io sono un militante. Mi ero solo risentito per lo sgarbo». Come lei la 25enne Chiara Sgarbossa, ex miss Veneto ed ex meteorina di Emilio Fede, furibonda per l’inutilità delle pacche sulle spalle ricevute da La Russa al corso. E così racconta l’antefatto: «Avevo il contatto diretto con Marinella, la segretaria di Berlusconi. Una settimana dopo lui mi ha telefonato di persona, mi ha fatto tre domande. Sei laureata? Sì. Sai le lingue? Sì. Ci sono foto nude di te? No. Manda tutto a Marinella e vieni al corso».

CERCHI CONCENTRICI
Raccontano che nella piazza di Todi, avvistando da lontano due bionde che si sbracciavano il premier abbia gelato sindaco e consiglieri umbri: «Belle fighe circolano da queste parti». Imbarazzo: oltre che distanti, le signore erano anche "agées". È il bis del «posso palpare l’assessora» all’Aquila, il sequel di infiniti comizi e passeggiate. A Berlusconi piacciono le donne, come ad altri 50 milioni di italiani, dice chi lo difende. Si dibatte su: galanteria, voyerismo, satiriasi, priapismo indotto da pillole azzurrine o iniezioni.

Di certo, oltre a migliaia di fortunate che possono vantare complimenti, compresa la finlandese Tarja Halonen, esiste un più ristretto gruppo che frequenta Villa Certosa e Palazzo Grazioli. Dove il tavolo è sempre apparecchiato per 50. Ed esiste un cerchio ancora più riservato: quelle che vantano (o millantano) con il premier frequentazioni private, notti a palazzo, incontri ravvicinati. Come Evelina Manna, che in un’intercettazione lo rimprovera: «Non essere freddo con me».

L’ASSE PUGLIESE
E come Patrizia D’Addario, ex candidata alle Comunali di Bari ed escort d’alto bordo. Pugliese come Angela Sozio, la “rossa” delle sexy saune del GF riapparsa al congresso fondativo del PdL; come la neo-eurodeputata Angela Matera, e come Elvira Savino, la Tacco 12 di Montecitorio, coinquilina della somma reclutatrice Sabina Began.

La D’Addario però è una professionista, come le colleghe interrogate dai pm baresi: smistate da «Giampi», pagate migliaia di euro a notte. Non le uniche, forse, nel mucchio procace che ha trascorso Capodanni ed estati sarde rimborsate con diaria di 1500 euro più shopping libero. Un bel salto di qualità rispetto al borsello in cui uno degli assistenti di Berlusconi raccoglie, in ogni occasione pubblica, biglietti da visita e numeri di telefono delle fans adoranti.

19 giugno 2009
da unita.it
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« Risposta #5 inserito:: Novembre 21, 2010, 11:42:17 am »

Nelle mani degli inquisiti.

Le ombre su Governo e Pld

di Federica Fantozzi

Non è un «problema» per il governo, giura Matteoli. «De minimis...» glissa La Russa con un filo d’altezzosità. Nessuna tribolazione, assicura Berlusconi. Due ministri e un premier (troppo?) impegnati a sminare il già accidentato percorso della maggioranza derubricando il «caso Carfagna» a bega locale se non personale. Ovviamente sanno tutti che non è così. Per il Cavaliere il bel volto rabbuiato di Mara, il suo grido di dolore che «il partito è in mano agli affaristi», la tentazione di scendere in campo a Napoli non con gli amici-nemici futuristi ma (forse e peggio) con una lista civica, poneva un’alternativa del diavolo. Da un lato, il simbolo del berlusconismo del terzo secolo, la ministra sexy e competente che può sfatare la maledizione coniugal-politica delle veline uguale ciarpame.

Dall’altro, un sistema: il potente e ricchissimo Cosentino, le province e i comuni che controlla, il lucroso business di rifiuti e termovalorizzatori. Con crudezza: rischiare la titolare delle Pari Opportunità o quel manipolo di parlamentari fedeli al coordinatore campano che potrebbero costargli la sfiducia il 14 dicembre? Alla Spendibile (che non controlla divisioni) il premier ha preferito i Notabili e gli Intoccabili. In ogni caso, un gioco a perdere. Soldi e voti, affare e malaffare, cricche e inchieste. Ombre sgradevoli guizzano dietro governo e partito. Ecco perché, di fronte alle motivazioni della Corte d’Appello sulla condanna a Dell’Utri come «mediatore» tra la mafia e Berlusconi fino al 1992 consentendo ai boss di «agganciare» l’allora nascente «impero finanziario ed economico» del Biscione, il solito Matteoli sottolinea che «il caso non riguarda l’esecutivo perché il senatore non ne fa parte». Quasi a scacciare quel sospetto, rilanciato dai dipietristi, che alla fine Silvio sia stato «riacciuffato dal passato ed è l’inizio della fine».

Dell’Utri, Mangano lo stalliere-eroe, Cosa Nostra: storie vecchie, che riguardano Forza Italia che non c’è più, «trite e ritrite» si duole il bibliofilo siciliano, collezionista dei diari di Mussolini e animatore dei circoli del Buongoverno. Cosentino, la tesi dei pm che sia stato eletto dai voti dei clan camorristici, il presunto dossieraggio contro Caldoro, il passo indietro da sottosegretario: storie nuove, del PdL giovanissimo e già agonizzante. Dell’Utri e Cosentino: coinvolti (con Verdini) nell’inchiesta sulla P3 di Carboni, accusati di associazione a delinquere e violazione della legge che vieta le società segrete. Difeso a spada tratta da Berlusconi, il sottosegretario all’Economia dovette lasciare per il pressing di Fini, che aveva già archiviato la battaglia per la guida del partito e cominciava a intestarsi quella per la legalità.

Non a caso oggi il falco fliniano Granata commenta entrambe le vicende. A Carfagna dice: «Persona perbene, costretta dai vertici del PdL a vivere in ambienti discutibili nel contesto (campano) infrequentabile». A Berlusconi «imprenditore estorto», invece: «Non è un esempio di buone pratiche per gli italiani a cui chiediamo ogni giorno di non cedere e denunciare le pressioni estorsive delle mafie. Non è un esempio da seguire». Non a caso il ministro Maroni reagisce con «ferocia immotivata», parole di Saviano, al monologo televisivo in cui l’autore di Gomorra denuncia che la Lombardia è terreno di caccia per le organizzazioni criminali e «al Nord la ‘ndrangheta interloquisce con la Lega».

E se il titolare del Viminale depone le armi contro lo scrittore, Bossi non lo segue. Non a caso, quando i cosiddetti «cuffariani» di Sicilia minacciano apertamente di lasciare l’Udc in direzione PdL Casini lascia filtrare un commento sprezzante: «Mi libero di un peso. Tremavo all’idea di dover ricandidare alcuni impresentabili». Questione di immagine, non secondaria quando si teme l’avvicinarsi di una campagna elettorale: via i Totò Vasa Vasa, i Drago, i Mannino, via il partito siciliano che porta in dote guai vecchi e nuovi con la giustizia. Questione di immagine, appunto. E quella del PdL, tra bande d’affari e olezzo di munnezza e ombre tentacolari, al momento non splende.


21 novembre 2010
http://www.unita.it/news/italia/106096/nelle_mani_degli_inquisiti_le_ombre_su_governo_e_pld
« Ultima modifica: Settembre 27, 2011, 10:52:03 am da Admin » Registrato
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« Risposta #6 inserito:: Settembre 22, 2011, 04:09:42 pm »

Paura nel Pdl: «Finiremo tutti sotto le macerie»

di Federica Fantozzi


La battuta migliore, onestamente, la fa Pionati: «In effetti i leghisti avrebbero avuto difficoltà a spiegarsi con la loro base: fare arrestare un Romano tanto tanto, ma un Milanese...». Un gioco di parole sul voto di oggi e quello della settimana prossima sul ministro dell’Agricoltura che fotografa la situazione con nitidezza. È l’unico sprazzo di allegria in una pallida giornata di terrore a Montecitorio. Il toto Milanese impera: palline bianche e nere e grigie, braccio sinistro o destro, dito (indice) alzato o abbassato. Uno, due, ics. Franchi tirarori segnalati ovunque. Lo sport più diffuso è dare la colpa al proprio miglior nemico: Casini dice che voterà contro l’arresto, il Pd sotto sotto ha più da perdere che da guadagnare, i maroniani si sono allineati, etc etc. Fino a sintesi lapidarie del tutto opposte: «Tutti dicono che si salverà, dunque è chiaro che vogliono fregarlo».

Pericolo macerie
Al di là della sorte dell’ex braccio destro di Tremonti, che sia salvato o sommerso dai colleghi, in Parlamento il dopo Berlusconi è già cominciato. «La situazione è drammatica - racconta un senatore pisaniano - Servirebbe una transizione guidata, una soluzione soft. Il problema è che nessuno è in grado di curarne la regia. Tra i maggiorenti del partito ci sono troppi personalismi. Letta e Confalonieri, invece, Silvio non li ascolta più. Attenti perché qui il vero rischio è l’anarchia». Timore esplicitato dalle colombe ma condiviso dai falchi. «E se il sistema crolla come il muro di Berlino? - si preoccupa un berluscones - Sarebbe una devastazione». Osvaldo Napoli dà voce agli umori pidiellini più cupi: da Bersani e Di Pietro soffia «il vento gelido dell’irresponsabilità», una «furia distruttrice nei confronti del premier che coincide con un sentimento di cupio dissolvi». Pionati, ex infaticabile traghettatore di Responsabili ai tempi del “mercato delle vacche”, avvisa: «Dopo la festa di piazza, restano le macerie e cadono sopra tutti». In fondo, è la tesi di Berlusconi: nessuno sarà così stupido da segare il ramo su cui è seduto e questo governo arriverà al 2013. Quanto sia convincente, si vedrà presto. Qualcuno, nel Pdl, pensa ad un progetto che manca del tempo necessario a compiersi: un’immunità di tipo europeo per il capo del governo votata a tambur battente attraverso la doppia lettura parlamentare prevista per le riforme costituzionali. Di certo riscuote poca fiducia il suggerimento di Sergio Romano sulle colonne del Corriere: l’idea che il Cavaliere annunci le elezioni nel 2012 e gestisca la sua successione sul modello spagnolo di Zapatero. Una road map di breve durata che potrebbe aiutare la credibilità italiana ma che resta lontanissima dal pensiero di Berlusconi. Il premier si sarebbe presentato all’incontro con la Lega con un bluff: sono pronto al passo indietro se me lo chiedete voi. Solo per sentirsi rassicurato: l’asse del Nord magari scricchiola ma regge. E nell’animo del Cavaliere albergano propositi bellicosi: un’offensiva sui temi della giustizia e dello sviluppo distribuendo i temi tra i due rami parlamentari. Un tam tam mediatico per spiegare l’operato dell’esecutivo. E una nuova campagna acquisti per rimpolpare la maggioranza ed evitare brutte pagine come le cinque sconfitte in aula sul (non proprio fondamentale) provvedimento sul verde cittadino.

Monetine dal popolo viola
Ieri sera, una lunga riunione a Palazzo Grazioli con Alfano, Cicchitto, Verdini, e gli altri vertici del Pdl. Il premier vuole resistere a oltranza. Intenzione che suscita terrore puro nella sua maggioranza. Dopo Pittelli, anche Soglia ha salutato il gruppo. Due indizi faranno una tendenza? Intanto di fronte a Montecitorio il Popolo Viola sta organizzando una manifestazione e «raccogliendo le monetine» di craxiana memoria. L’ultimo non tenerissimo giudizio arriva dal politologo americano Luttwak: Berlusconi «bollito, Alfano «un servitore», Veronica una «patriota inascoltata. «Adesso bisogna vedere se Silvio decide di finire la sua esperienza a Piazzale Loreto...» sussurra non un esponente dei no global bensì un deputato della maggioranza. Evocando una fine ben diversa dalla transizione guidata.

22 settembre 2011
da - http://www.unita.it/italia/finiremo-tutti-sotto-le-macerie-1.334440
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« Risposta #7 inserito:: Settembre 27, 2011, 10:49:09 am »

L'ira di B.: «Di Tremonti non ne posso più»

di Federica Fantozzi

Giulio parla male di me in Europa, dice che ho peggiorato la manovra. È intollerabile. Ora basta. Devo riprendere in mano l’economia...». L’ira gelida di Berlusconi sul ministro assente è l’ultimo paradosso della maggioranza: si salva Milanese sul filo del rasoio ma si torna a parlare delle dimissioni di Tremonti.

Finisce peggio una giornata cominciata male. Alle nove del mattino, con una pila di fogli e tabelle sbattuta sul tavolo e un sorrisetto tirato di del premier. «Vi annuncio che Tremonti stamattina non sarà con noi». È cominciato così, di buon’ora, il consiglio dei ministri che ieri ha preceduto il voto parlamentare su Milanese.

All’ordine del giorno l’approvazione della nota aggiornativa del Def, il documento di programmazione economico finanziaria, messa a punto da Via XX Settembre. Solo che a discuterne con i colleghi il ministro Tremonti non c’è: è in volo per gli Stati Uniti. Assenza giustificata, per carità, la riunione del Fmi, ma non meno dolorosa per i colleghi. I quali, anziché un interlocutore in carne e ossa, si ritrovano tomi e faldoni consegnati belli e pronti per la ratifica. Quel che c’è bene, quel che non c’è pace. E Berlusconi ha espresso tutta la sua irritazione: «È un accentratore, non può comportarsi così. Deve venire qui e spiegarci le sue scelte: la politica economica si fa a Palazzo Chigi e non nel suo ufficio». Via via che scorrono le pagine e le cifre, il malcontento per la «prepotenza» di Tremonti si fa palpabile. L’umore della riunione vira al nero.

Diversi ministri tra cui Romani, Bernini, Carfagna, fanno delle rimostranze. Letta tenta invano di mediare. Il veneto Galan, che in passato ha polemizzato con Tremonti accusandolo di aver «commissariato» il governo, torna a parlare dell’esigenza di «collegialità» in un momento così difficile. In ordine sparso tornano concetti come lo spacchettamento del Tesoro, la riorganizzazione delle deleghe, la redistribuzione degli incarichi. In realtà, ciascuno è consapevole dell’impasse. Sarebbe un sollievo liberarsi dell’ingombrante Superministro. Però non possono. Ragionano di un depotenziamento che non sono in grado di portare a termine.

Ma certo, il vaso è colmo. Non basta lo sfogo di Berlusconi riferito da uno dei partecipanti alla riunione: «Se la situazione economica mondiale non fosse quella che è, con i mercati in fibrillazione e gli occhi delle agenzie di rating puntati addosso, le chiederei io le dimissioni di Giulio...».

Nel pomeriggio al vertice il premier rincara la dose: «Tremonti parla male di me in Europa, dice che ho peggiorato i conti. È ora di ragionare di dimissioni. E di riprendere in mano l’economia». All’ordine del giorno: dismissioni dei beni pubblici e privatizzazioni. A mandarlo fuori dai gangheri però pare sia stato un controllo dei voli: il ministro avrebbe preso un volo di linea Usa delle 11,10. Con un volo di Stato, è la tesi del Cavaliere, avrebbe potuto conciliare tutto.

I veleni filtrano a Montecitorio. L’assenza suscita commenti al vetriolo. Martino la considera «inelegante. Santanché, fedelissima del premier, scandisce alle agenzie: «Noi ci abbiamo messo la faccia, lui no. È umanamente vergognoso». Crosetto, il sottosegretario che definì «da psichiatria» la sua manovra, usa toni molto forti: «Il giudizio sul ministro l'ho già espresso, ora aggiungo quello sull’ uomo: la sua assenza è un forte indicatore del valore». Poi chiede una cabina di regia: «Considerata la totale assenza di idee di Tremonti e la mancanza di dialogo con il paese reale, serve un tavolo immediato e permanente a Palazzo Chigi». Il partito dei nemici di Tremonti è tornato. L’assalto finale è cominciato. Come finirà?

23 settembre 2011
da - http://www.unita.it/italia/l-ira-di-berlusconi-basta-di-giulio-non-ne-posso-piu-1.334795
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« Risposta #8 inserito:: Ottobre 01, 2011, 04:42:50 pm »

Bossi, il ministro dal vaffa facile

Tutti appesi al suo dito medio

di Federica Fantozzi


Mercoledì 28 settembre, giornata complicata: attesa per il voto di sfiducia sul ministro Romano, tensione per il risiko delle nomine in Bankitalia, aspettativa per la situazione dei mercati finanziari, governo alle prese con decisioni importanti. Ore 14,53. Le agenzie battono un improvviso flash, indice di notizia importante: «Pensioni, Bossi alza il dito medio». Traduzione per gli stranieri: il ministro per il Federalismo nonché leader della Lega, secondo partito di maggioranza, esprime la sua contrarietà ad un intervento strutturale sulle pensioni che comporti tagli alle medesime. Gli italiani non hanno bisogno dei sottotitoli: al linguaggio gestuale dell’anziano capo padano sono abituati da tempo. Appesi a un dito medio. O a una pernacchia. Si attendono altri rumori molesti per diversificare il dissenso. Un accattivante modo di avvicinare la politica alla gente comune. Che mostra un’inquietante escalation.

Tre giorni prima, 25 settembre, durante un comizio a Somma Lombardo nel Varesotto, gli chiedono cosa ne pensi della proposta di legge elettorale di Alfano. Lui: «Non ne so niente, però la sinistra vuole cambiare sistema». E vai col dito medio, e pazienza se Alfano è il segretario del Pdl. 13 settembre, altra domanda sulle pensioni all’ingresso di Montecitorio, altro dito medio. 8 agosto, vertice a Gemonio con Tremonti, Calderoli e il Trota: foto di gruppo con dito alzato. Primi di aprile, ondata di immigrati a Lampedusa. La risposta istituzionale è un bel ditino.

Italia Futura, fondazione montezemoliana destinataria di una pernacchia personale, tiene un registro delle espressioni corporee dell’«amico (di Berlusconi) Umberto». Registra nell'autunno 2010: «20 pernacchie, 15 gesti dell'ombrello, 80 mosse del dito medio alzato, 90 grugniti di dileggio». 26 settembre 2010, tra le cucine della festa leghista di Alessandria: cade il governo? «Col cavolo». Ortaggio e dito medio. 11 settembre, Fini (insieme agli atlanti ufficiali) dice che la Padania non esiste? Dito medio. L’Economist sostiene che quel linguaggio la dice lunga sulle condizioni della politica italiana? Middle finger pure a loro. Bossi lo usa per salutare i fotografi alla cerimonia degli auguri padani a Villa Aurelia, per mostrare il suo gradimento all’inno di Mameli, per dribblare quegli «stronzi» di cronisti.

Il dito però ha i suoi vantaggi: il significato è chiaro, univoco, privo di ambiguità. Volete mettere quando invece articola che il governo arriverà fino al 2013 no, sì, di nuovo no, forse ma non ve lo dico, mia moglie lo sa ma non me l’ha detto, anzi me l’ha detto ma l’ho dimenticato, Tremonti ha una macchia di sugo sulla camicia, Calderoli ha la dentiera, la spigola è meglio della trota? Panico tra i giornalisti: trota minuscolo o maiuscolo? Panico nelle agenzie: dove serve il flash e dove no?

29 settembre 2011
da - http://www.unita.it/italia/governo-mercati-e-cronisti-br-appesi-al-dito-medio-di-bossi-1.336954
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« Risposta #9 inserito:: Novembre 12, 2011, 12:17:47 pm »

LO SCENARIO | Monti o elezioni?

Chi vuole cosa e perché...

di Federica Fantozzi


Governo del presidente o di unità nazionale? Snello esecutivo tecnico o ampio gabinetto con dentro politici e attuali ministri? Al voto subito o dopo che un governo “unitario” si è accollato la responsabilità di misure economiche lacrime e sangue? O meglio ancora la terza via: governo elettorale che vari le misure anticrisi e poi voto in primavera ed esecutivo politico pienamente legittimato ad attuarle? La situazione è confusa. Ecco chi vuole cosa. Con l’avvertenza che le posizioni in campo cambiano di ora in ora.

NAPOLITANO
Auspica la responsabilità di tutte le forze politiche per una «efficace e condivisa azione di governo». Il voto sarebbe una sciagura per lo spread: il Quirinale è dovuto intervenire per garantire ai mercati che le dimissioni di Berlusconi non sono una bufala e presto saranno «operative».

MONTI
L’uomo dei conti o il tecno-professore dei poteri forti? Ai posteri l’ardua sentenza. Se ce la fa a conquistare palazzo Chigi. A meno che arrivi un Dini a scipparglielo...

BERLUSCONI
Indeciso. Per indole vorrebbe votare (come molti dei suoi elettori). Se non altro per epurare i «traditori» dalle liste, suo chiodo fisso, e fare una bella campagna elettorale all’arma bianca. Ma i sondaggi lo sconsigliano. Confalonieri lo avverte che se il titolo Mediaset continua a scendere in pochi secoli ai figli non resterà più nulla. Poi deve capire se gli si spacca il Pdl e se Bossi lo abbandona. Preferirebbe un governo tecnico ma diversi suoi ministri premono per entrare a far parte dei “salvatori della patria”. In sintesi: cambierà idea ancora molte volte.

PDL
Spaccato a metà come una mela. I fedelissimi di Silvio, soprattutto se non hanno divisioni dietro, vogliono il voto: sanno che verranno premiati. È il caso di Rotondi, Brambilla, Gelmini, Romani. Quelli che invece hanno (o pensano di avere) un futuro puntano sul governissimo: Lupi, Scajola, Fitto, Frattini, Cicchitto Prestigiacomo. Anche Formigoni: il Cav lo vorrebbe ministro per regalare il Pirellone alla Lega. Lui, dopo aver scalpitato decenni per un posto di governo, stranamente adesso non vuole.

BRUNETTA E SACCONI
Vogliono il voto nel listino blindato. Con tutto quello che hanno combinato da ministri non esiste un Piano B.

ROTONDI
Il leader della neo-Dc è l’emblema della disperazione di questi giorni. Raccoglie firme contro il voto, va in trasferta ad Arcore, parla con tutti. Ha persino reso l’onore delle armi a Bocchino “vero vincitore”. Va capito.

FRATTINI
In pole per un ministero quota Arcore. Lui ci tiene molto, Silvio lo stima soprattutto per la fedeltà. Di questi tempi è già parecchio. Si è appena accorto, con notevole intuito, che al governo con lui si sono infiltrati dei fascisti.

SCHIFANI
Non pervenuto. Probabilmente ha una posizione chiara. Ma nessuno gliel’ha mai chiesta.

EX AN
Vogliono votare. Preoccupatissimi di non contare più: né politicamente né nelle liste. I più inferociti: Matteoli e l’eterea Giorgia Meloni. Fa eccezione Alemanno che, del resto, si smarcava pure prima. E La Russa che resterebbe volentieri su una poltrona ministeriale. Toglietegli tutto ma non le Maserati.

LEGA
Dice che vuole votare, ma un rigenerante periodo all’opposizione di un governo tecnico non dispiacerebbe. Bossi non ha rotto il cordone ombelicale con Berlusconi, Maroni non ha rotto quello con l’Umberto.

CASINI
Furbissimo. Vuole il governo del presidente senza entrarci. Se proprio deve, ci manderebbe Buttiglione (lo manda sempre il più lontano possibile). Con lo scippo reiterato di parlamentari chiave al Pdl - Bonciani, D’Ippolito, Carlucci - è il regista dell’Operazione Silvio A Casa. Guarda con occhio cupido al Quirinale. Ma sa che nulla è scontato.

RAO
Spin doctor del leader centrista, oculato dispensatore di tweet sulle diserzioni nel Pdl in tempo utile per i tg della sera. Nell’entusiasmo del momento è stato definito in Transatlantico “il nuovo Gianni Letta”.

PD
Si sacrifica. Politicamente gli converrebbe votare ma la situazione economica lo preclude. Vuole un governo snello, senza i ministri del Pdl (al massimo i sottosegretari). Se poi fa le riforme e dura solo fino a primavera, ancora meglio.

BERSANI
Si sacrifica pure lui. E chiede cravatte nuove. Non è impazzito: in codice vuol dire governo senza i ministri Pdl. Al momento il premier lo farà un tecnico: dovrebbe durare poco, ma c’è quel pregiudizio che i “poteri forti” quando si insediano tendono a mettersi comodi. Il voto adesso proprio non si può: e dire che gli avrebbe anche risolto il problema delle primarie.

RENZI
Vedi sopra. Senza primarie, gli toccherebbe saltare un giro. Quindi, si sacrifica un po’ meno.

DI PIETRO
Non intende sacrificarsi. Monti gli evoca tecnocrati, banche e finanza. Il Pd va in pressing: non si può mica ignorare la situazione. Per i Democrats entrare in un esecutivo impopolare con il principale competitor elettorale che spara contro a palle incatenate sarebbe un incubo.

VENDOLA
Vedi sopra. Però più malleabile, ci sta ragionando. Magari un governo a tempo.

I PEONES
Frastornati. Abbandonati al loro destino. Si muovono come un gregge tra capannelli e trattative private. Si ripropone la dicotomia: quelli rimasti fedeli a Berlusconi vogliono le urne, i «traditori» o semplicemente gli ignoti sperano almeno di completare la legislatura. Tra questi, ovviamente, il partito del vitalizio: parlamentari di prima nomina in attesa della pensione.

SCILIPOTI
La vera vittima. Giustamente si lamenta: ma come, un anno fa tutti criticavano il “governo Berlusconi-Scilipoti” e adesso i vari Antonione, Bonciani, Stagno d’Alcontres sono i nuovi eroi? Un capro espiatorio degno di Daniel Pennac

CARLUCCI
È la Scilipoti del 2011. Donna simbolo della (forse) nuova era tecnocratica. Bionda, vaporosa, spietata. Per Silvio neppure una parola di rimpianto o gratitudine. Frase chiave. “Ho fatto la storia della televisione”. Lei, non lui.
11 novembre 2011
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« Risposta #10 inserito:: Novembre 19, 2011, 12:05:57 pm »

Ecco perché hanno «imbavagliato» Berlusconi

di Federica Fantozzi

BERLU IMBAVAGLIATO

«Hanno imbavagliato il Cav». Giuliano Ferrara mette on line la sua disapprovazione per la «non classe dirigente» fatta di «berluscones in fuga da ogni residua responsabilità». È successo che, nella riunione del gruppo giovedì, Berlusconi ha annunciato ai deputati che avrebbe preso la parola in aula. Dopo aver tuonato che il governo Monti è una sospensione della democrazia, che l’hanno subìto obtorto collo, che erano pronti a staccargli la spina, che la campagna elettorale a loro insaputa era cominciata, che bisognava prepararsi al voto primaverile. Nella notte, forse, ha scritto il discorso per l’emiciclo di Montecitorio. Ma non lo ha mai letto. Lo ha passato, come faceva con i compiti a scuola. Ieri mattina l’ex premier era assente al discorso del suo successore (salvo riprendersi la scena con spettacolari strette di mano).

A Montecitorio ha preso la parola il più soporifero Alfano, per assicurare morbidamente fiducia, senso di responsabilità, appoggio al governo di tregua. retromarcia notturna Alla spiegazione ufficiale, quella per cui parlavano i segretari Bersani e Alfano (però Casini si è ben guardato dal delegare Cesa) non credono nemmeno i diretti interessati. Il “giallo” sta tutto nella spaccatura, ormai arrivata a livello di guardia, tra falchi e colombe nel Pdl. A convincere il Cavaliere al mesto passo indietro sono state necessarie la moral suasion di Letta, fuori dal tecno-governo ma gran pontiere omaggiato da Supermario, la diplomazia di Frattini e il pragmatismo di Scajola. Ma a farlo ragionare ci si è messo lo stesso Alfano: senza un punto di equilibrio la maionese impazzisce e «qui salta tutto». Contro i bellicosi auspici di Ferrara, di Giornale e Libero, di Daniela Santanchè che ancora ieri strigliava i malcapitati parlamentari: «Questi qui li avete voluti voi, era meglio votare».

Contro i non pochi “pretoriani”, da Landolfi a Deborah Bergamini, secondo cui il 45% degli elettori azzurri non apprezza il «governo dei nominati». «Guarda Silvio, non si è mai visto un presidente del consiglio che vota a favore di chi gli ha tolto la poltrona. E poi, per Angelino sarebbe una delegittimazione» hanno insistito. Alla fine, il neo «imprenditore del partito» si rassegna. Insistere sulla linea dura avrebbe strozzato “Angelino” nella culla e sottoposto il Pdl a fibrillazioni devastanti. Commenta infatti Scajola, il cui gruppo in aula si è distinto nell’applausometro a Monti: «Il gesto di Berlusconi è stato fondamentale. Anche per trattenere i più esagitati di noi». Anche il dc Rotondi, assente al voto con Martino, ha reso merito al “Cavaliere muto”: «Ho apprezzato il passo indietro. È servito a valorizzare Alfano ed è stato segnale di grande discontinuità. La mia assenza è stata una mediazione: il no sarebbe stato un pessimo esordio e uno sgarbo a Berlusconi e Alfano».

Così, l’inquilino di Palazzo Grazioli si è adeguato: noi staccare la spina? Mai sognato. Del resto, Monti ha chiesto con garbo di rinnovare almeno l’abusata metafora clinica. A Berlusconi è rimasta la campagna elettorale, per ora sospesa insieme alla democrazia: web-tv di partito, gazebo capillari, nuovi organismi interni. Sono già partiti per le case di milioni di italiani gli opuscoli che magnificano l’attività dell’ex governo. Tra pasdaran e colleghi dai più miti consigli la disparità di vedute è totale. Prossimo round la manifestazione: Berlusconi la considera un’opzione (anche se non ha ancora fatto ordine sui progetti), Alfano, Scajola, Letta e diversi altri no. La decisione finale si annuncia cruenta. Sullo sfondo, una partita delicata e di lungo termine.

L’Opa che il Pdl vorrebbe, se le condizioni lo consentiranno, lanciare sul neo premier e sulla sua squadra. Lo ha fatto capire Alfano in aula: «Fiducia verso Monti, che ha ricevuto pubbliche congratulazioni anche dai vertici di partito e gruppo Ppe a testimonianza della sua collocazione culturale nell’ambito delle grandi famiglie politiche europee». Lo ha ventilato Berlusconi tendendo le braccia a Casini, Fini, al Vaticano. Lo dicono in molti sottovoce: «Monti fa parte della nostra famiglia, non lo lasceremo alla sinistra senza combattere». È l’operazione Scajola verso il grande Partito dei Moderati. È il tentativo a cui lavorano, separatamente, Cicchitto e Gianni Letta. Mentre Casini, oggetto di molti desideri, guarda e aspetta.

19 novembre 2011

da - http://www.unita.it/italia/ecco-perche-hanno-imbavagliato-berlusconi-1.354179
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« Risposta #11 inserito:: Novembre 20, 2011, 04:59:59 pm »

Ecco perché hanno «imbavagliato» Berlusconi

di Federica Fantozzi

BERLU IMBAVAGLIATO

«Hanno imbavagliato il Cav». Giuliano Ferrara mette on line la sua disapprovazione per la «non classe dirigente» fatta di «berluscones in fuga da ogni residua responsabilità». È successo che, nella riunione del gruppo giovedì, Berlusconi ha annunciato ai deputati che avrebbe preso la parola in aula. Dopo aver tuonato che il governo Monti è una sospensione della democrazia, che l’hanno subìto obtorto collo, che erano pronti a staccargli la spina, che la campagna elettorale a loro insaputa era cominciata, che bisognava prepararsi al voto primaverile. Nella notte, forse, ha scritto il discorso per l’emiciclo di Montecitorio. Ma non lo ha mai letto. Lo ha passato, come faceva con i compiti a scuola. Ieri mattina l’ex premier era assente al discorso del suo successore (salvo riprendersi la scena con spettacolari strette di mano).

A Montecitorio ha preso la parola il più soporifero Alfano, per assicurare morbidamente fiducia, senso di responsabilità, appoggio al governo di tregua. retromarcia notturna Alla spiegazione ufficiale, quella per cui parlavano i segretari Bersani e Alfano (però Casini si è ben guardato dal delegare Cesa) non credono nemmeno i diretti interessati. Il “giallo” sta tutto nella spaccatura, ormai arrivata a livello di guardia, tra falchi e colombe nel Pdl. A convincere il Cavaliere al mesto passo indietro sono state necessarie la moral suasion di Letta, fuori dal tecno-governo ma gran pontiere omaggiato da Supermario, la diplomazia di Frattini e il pragmatismo di Scajola. Ma a farlo ragionare ci si è messo lo stesso Alfano: senza un punto di equilibrio la maionese impazzisce e «qui salta tutto». Contro i bellicosi auspici di Ferrara, di Giornale e Libero, di Daniela Santanchè che ancora ieri strigliava i malcapitati parlamentari: «Questi qui li avete voluti voi, era meglio votare».

Contro i non pochi “pretoriani”, da Landolfi a Deborah Bergamini, secondo cui il 45% degli elettori azzurri non apprezza il «governo dei nominati». «Guarda Silvio, non si è mai visto un presidente del consiglio che vota a favore di chi gli ha tolto la poltrona. E poi, per Angelino sarebbe una delegittimazione» hanno insistito. Alla fine, il neo «imprenditore del partito» si rassegna. Insistere sulla linea dura avrebbe strozzato “Angelino” nella culla e sottoposto il Pdl a fibrillazioni devastanti. Commenta infatti Scajola, il cui gruppo in aula si è distinto nell’applausometro a Monti: «Il gesto di Berlusconi è stato fondamentale. Anche per trattenere i più esagitati di noi». Anche il dc Rotondi, assente al voto con Martino, ha reso merito al “Cavaliere muto”: «Ho apprezzato il passo indietro. È servito a valorizzare Alfano ed è stato segnale di grande discontinuità. La mia assenza è stata una mediazione: il no sarebbe stato un pessimo esordio e uno sgarbo a Berlusconi e Alfano».

Così, l’inquilino di Palazzo Grazioli si è adeguato: noi staccare la spina? Mai sognato. Del resto, Monti ha chiesto con garbo di rinnovare almeno l’abusata metafora clinica. A Berlusconi è rimasta la campagna elettorale, per ora sospesa insieme alla democrazia: web-tv di partito, gazebo capillari, nuovi organismi interni. Sono già partiti per le case di milioni di italiani gli opuscoli che magnificano l’attività dell’ex governo. Tra pasdaran e colleghi dai più miti consigli la disparità di vedute è totale. Prossimo round la manifestazione: Berlusconi la considera un’opzione (anche se non ha ancora fatto ordine sui progetti), Alfano, Scajola, Letta e diversi altri no. La decisione finale si annuncia cruenta. Sullo sfondo, una partita delicata e di lungo termine.

L’Opa che il Pdl vorrebbe, se le condizioni lo consentiranno, lanciare sul neo premier e sulla sua squadra. Lo ha fatto capire Alfano in aula: «Fiducia verso Monti, che ha ricevuto pubbliche congratulazioni anche dai vertici di partito e gruppo Ppe a testimonianza della sua collocazione culturale nell’ambito delle grandi famiglie politiche europee». Lo ha ventilato Berlusconi tendendo le braccia a Casini, Fini, al Vaticano. Lo dicono in molti sottovoce: «Monti fa parte della nostra famiglia, non lo lasceremo alla sinistra senza combattere». È l’operazione Scajola verso il grande Partito dei Moderati. È il tentativo a cui lavorano, separatamente, Cicchitto e Gianni Letta. Mentre Casini, oggetto di molti desideri, guarda e aspetta.

19 novembre 2011

da - http://www.unita.it/italia/ecco-perche-hanno-imbavagliato-berlusconi-1.354179
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« Risposta #12 inserito:: Dicembre 14, 2011, 06:57:26 pm »

Berlusconi, ecco il "piano B" dell'ex premier

Di Federica Fantozzi

14 dicembre 2011

Berlusconi non vuole lasciare Monti alla sinistra ma neppure voti a Bossi. Dunque, si muove su un doppio binario. Battaglia in Parlamento per gli emendamenti del cuore (liberalizzazioni delle parafarmacie, Ici e pensioni). Battaglia nelle piazze per non perdere quote di elettorato a favore della Lega. Già da gennaio: varata l’«amara medicina» della manovra, quando verrà meno quella che l’ex premier considera la “ragione sociale” del governo del Preside (come lo chiama Il Foglio).

Così il Pdl, mentre punta a intestarsi i ritocchi alle pensioni minime e le detrazioni all’imposizione sulla prima casa attendendo la fiducia sul maxi-emendamento (che probabilmente sarà posta già oggi), si prepara ad una campagna elettorale al grido di «l’Italia ci rimpiange» e «si stava meglio quando si stava peggio».

Il Cavaliere ha dato l’ordine di tendere la mano all’ex alleato padano. Gasparri e Quagliariello sono al lavoro per un emendamento comune sul federalismo che approda in Senato. L’obiettivo è mantenere un canale aperto con Bossi, con cui è convinto di poter sempre riattivare il feeling personale. Non a caso, ha derubricato a «tattica» la sortita del Senatùr che lo ha relegato «al governo con i comunisti» esplicitando, di nuovo, la fine dell’asse verde-azzurra. Mentre lo preoccupa di più l’atteggiamento aggressivo (anche sull’ipotesi di un’asta per le frequenze tv) di Maroni. L’eventualità di un Opa maroniana sul Carroccio segnerebbe davvero il destino dell’alleanza e, di conseguenza, la fine del Pdl.

Partito che ha già i suoi grattacapi. Tra i parlamentari il malumore è grandissimo. Vitalizi differiti, tagli degli stipendi, ma soprattutto il nuovo regolamento voluto da Alfano che vieta i doppi incarichi tra coordinatori locali e cariche amministrative o rappresentative (governatori, presidenti di provincia, sindaci o assessori di comuni con più di 15mila abitanti). Salvi per ora deputati e consiglieri regionali, ma fino alle prossime elezioni. Una discreta rivoluzione, se si pensa che oggi tutti i coordinatori regionali del Pdl siedono in Parlamento: dal lombardo Mantovani al campano Cosentino, dall’emiliano Berselli al piemontese Ghigo all’altoatesina Biancofiore. La fronda al nuovo segretario si annuncia inevitabile. Primo appuntamento ai congressi provinciali di fine gennaio.

Ma l’appuntamento vero è a primavera 2012. Quando andranno al voto 7 province e 28 comuni capoluogo. Poco meno di metà nel Nord Italia. Provinciali a Vicenza, Como, Belluno. Cambio di sindaco e giunta ad Alessandria, Asti, Cuneo, Monza, Verona, Gorizia, Parma, Piacenza, Lucca, Pistoia. A Verona non c’è partita: Flavio Tosi, secondo i pronostici, vincerebbe anche da solo. Altrove, insiste Berlusconi «senza di noi non si governa, e la Lega lo sa».

Può darsi. Ma finge benissimo che non sia così. Mostra i muscoli. Vuole usare Tosi come grimaldello per una campagna “secessionista”. Punta a far credere agli elettori che la Padania sta per diventare realtà (Bossi ha anche garantito che batterà moneta, altro che l’euro «kaputt») e loro la governeranno in perfetta autosufficienza. Un bluff, forse, ma pericoloso per Berlusconi. L’alternativa all’«asse del Nord» è Pdl un aperto ai centristi, quel Partito dei Moderati che piace a Scajola e Pisanu ma non dispiace nemmeno ad Alfano e Frattini. L’unico problemuccio di questa prospettiva è la rigidità di Casini: per dare la sua adesione, vuole archiviare «definitivamente» il berlusconismo. Con tutti i suoi annessi e connessi.

da - http://www.unita.it/italia/berlusconi-lavora-al-piano-b-il-voto-1.362473
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« Risposta #13 inserito:: Settembre 08, 2012, 09:54:52 pm »



Le condizioni di Monti ai partiti

08 settembre 2012

Federica FANTOZZI

Il partito di Mario Monti nel futuro dell’Italia? «Non me l’ha mai chiesto nessuno. Non ho mai riflettuto su questo tema» glissa il Professore intervistato dalla «Gazzetta del Mezzogiorno>». Proprio mentre «<Corriere della Sera>» e «Sole 24 ore>» danno voce da Cernobbio al partito trasversale che, da Nouriel Roubini a Romano Prodi passando per economisti e analisti finanziari, vorrebbe un Monti-bis in carne e ossa (altro che “agenda” attuata da altri dopo l’esito delle urne, altro che “modello” da perseguire: conta l’originale, diffidare delle imitazioni), il premier da Bari declina cortesemente: «Ci sono stati simpatici e non ricevibili inviti a continuare…».
Ieri per Monti è stato il giorno del sollievo, dopo oltre due mesi di ambasce: «Abbiamo evitato il tracollo dell’Italia e forse dell’Europa». La missione europea del «più tedesco tra gli economisti italiani» ha registrato, dopo diversi stop and go, un netto successo. La vittoria di Mario Draghi sui “falchi” del rigore, lo sfaldamento dell’asse nordico, l’isolamento del presidente della Bundesbank, la speranza per la moneta comune, rappresentano insieme una conferma e un viatico per l’azione del suo governo nato fisiologicamente con una vocazione transanazionale. Insomma, l’ossigeno per l’euro allarga i polmoni anche all’esecutivo. E se il premier stoppa l’ultima rincorsa di rumors sul suo futuro politico, ne approfitta per blindare i provvedimenti già messi nel cassetto. E per definire, da una posizione di forza, il perimetro della politica che lui spera verrà dopo le elezioni: «Spero che la stagione delle clientele sia finita – ha ragionato – Che la nuova maggioranza sia in grado di tenere la barra dritta». E’ solo il primo dei paletti che il premier detta ai partiti. Le condizioni per una continuità nel solco di Supermario.
Così Monti ha bastonato anche la politica troppo invasiva in settori come Rai e sanità, togliendosi diversi sassolini dalle scarpe: «Noi sentiamo forte il rapporto con la politica ma anche con i cittadini». La lotta all’evasione fiscale? «È una guerra per la civiltà». Estesa ad altri corollari “che sarebbe riduttivo considerare fenomeni economici e finanziari perché minano la fiducia verso lo Stato». Si rassegnino i commercianti che non vogliono installare il bancomat, gli esercenti che non rilasciano scontrini, i proprietari di case fantasma o affittate in nero, i falsi nullatenenti. Quanto alla situazione di Viale Mazzini: «Non se ne poteva neanche parlare, noi senza cambiare la legge abbiamo modificato la governance con nomine di buona qualità. Di pluralismo ne servirebbe di più».
Il rigore? «È parso eccessivo ma era necessario». E gli obiettivi sono stati centrati grazie ai sacrifici degli italiani e al sostegno della strana maggioranza. Si lascia andare persino a una battuta: «Con il Salva Italia abbiamo evitato Eat-Italy». Cioè che la speculazione si mangiasse l’Italia. Ma sulla crescita c’è poco da ridere. Il premier ha chiaro che è il passo successivo: «È l’obiettivo centrale del governo ma non si realizza senza interventi radicali sulle infrastrutture che non sono stati fatti per decenni». Imprescindibile un «cambiamento di mentalità». Nel Mezzogiorno, area «strategica» la carenza di servizi primari ai cittadini e alle imprese «lede» il contratto sociale. Il premier sottolinea: «Su un certo assistenzialismo nefasto voglio essere chiaro: la crescita non nasce nel Mezzogiorno o in qualsiasi altro punto nel mondo con i soldi pubblici pompati in un tubo da cui esce una cosa che si chiama crescita».
Monti precisa che «la crescita è frutto di un’economia che funziona, poi può giovare di interventi pubblici ma bisogna abituarsi alla competitività che però richiede infrastrutture. Al Sud queste servono, dai trasporti alla banda larga al ciclo dei rifiuti, altrimenti è difficile pensare allo sviluppo». E il Professore vuole andare avanti anche sul ddl anticorruzione, che dal primo giorno a Palazzo Chigi ha fatto sapere di considerare uno dei maggiori ostacoli agli investimenti di capitali internazionali in Italia. Avanti tutta, dunque. Cronoprogramma alla mano: per evitare di finire ricordati come il governo degli annunci a cui non hanno fatto seguito i relativi decreti attuativi. Monti, insomma, assicura che il governo andrà fino in fondo. Se la cava con una battuta, invece, su una sua eventuale permanenza a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni: «Potrei prendere in considerazione la Puglia per le vacanze. Che arriveranno abbastanza presto».
E il suo partito? Quell’ipotesi su cui non ha ancora riflettuto? Forse solo un avvertimento ai partiti dell’attuale maggioranza tentati, nell’imminenza di una campagna elettorale che si annuncia cruenta, a dismettere tentazioni di tradimento dell’«agenda» impostata dal tecno-governo. Oppure, il segnale che ha deciso di ascoltare le pressioni internazionali degli Stati preoccupati per il “dopo”. Accontentando contemporaneamente una parte della politicia italiana.

da - http://l-ora-delle-trote.comunita.unita.it/2012/09/08/le-condizioni-di-monti-ai-partiti/
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« Risposta #14 inserito:: Agosto 09, 2013, 05:10:26 pm »

Marina la Cavaliera spaventa i big Pdl...

Di Federica Fantozzi
27 giugno 2013


Fininvest smentisce: «Indiscrezioni senza fondamento». Ma il Pdl è in fermento. A Palazzo Grazioli è in calendario un tourbillon di incontri nei prossimi giorni. C’è chi giura che, luglio o settembre, il ritorno a Forza Italia è deciso. E il personaggio chiave dell’operazione è lei: Marina, la «cavaliera», la primogenita di Silvio che lo ha sempre difeso senza tentennamenti né imbarazzi, l’erede dinastica e forse, in futuro, politica.

La bionda e combattiva imprenditrice, una delle donne più potenti del mondo secondo Forbes, agita il partito suscitando l’entusiasmo senza riserve delle amazzoni (Daniela Santanché già vede i Kennedy italiani) ma anche le cautele di chi, come Brunetta, teme le «dinastie» e boccia come «poco plausibile un’investitura a carattere ereditario». Tiepida e piuttosto involuta anche la fidanzata di Berlusconi, Francesca Pascale: «Sono orgogliosa di essere amica di Marina e se facesse un passo in politica non sarebbe un errore, ma non credo che il padre sia così d’accordo, considerato quello che è successo a lui da quando è sceso in campo».

È la tesi delle colombe: «Il padre le vuole troppo bene per lasciarla scendere nella fossa delle belve». Lei stessa, dunque, si è chiamata fuori ribadendo che non intende impegnarsi in politica. Può darsi che sia davvero così, ma è difficile prevedere l’evoluzione del Pdl se a fine anno le cose precipitassero, con un leader interdetto in via definitiva. Ma anche prima, se nel Pd scendesse in campo Renzi: Marina potrebbe giocarsela alla pari per età, appeal mediatico e grinta. Resta, al momento, una exit stategy e, in fondo, una carta della disperazione. Da tenere coperta. Anche perché troppo destabilizzante. Così Alfano annacqua e stoppa: «Un cognome che è una garanzia. Marina è una leader ma aziendale. Berlusconi è in campo e si batte come un leone. È lui il leader dei moderati».

Paradosso vuole che, sopravvissuto almeno per il momento il governo, la pesantissima sentenza del Ruby-gate abbia riversato effetti immediati sulla tenuta del partito. La road map verso Forza Italia sembra davvero tracciata. La riunione dei gruppi per l’approvazione del bilancio e del rendiconto (opportunamente tenuta senza il Cavaliere) ieri si è trasformata in uno sfogatoio. Con Galan che invocava il ritorno all’ormai mitico «spirito del ‘94» e Verdini che gli dava ragione. «Qui parliamo di tecnicalità - ha tuonato l’ex governatore veneto - Ma bisogna discutere di idee, identità, rilancio». E Stefania Prestigiacomo: «Il Pdl è superato, oggi comincia la ristrutturazione per tornare a Fi». Lo stesso Alfano conferma l’accelerazione: «È un progetto irreversibile».

Ma nei molti i malumori, anche lui finisce nel mirino per la gestione del partito “distratta” dagli impegni di governo. Non è un mistero che i falchi invochino un approccio più aggressivo. Biancofiore, pur ringraziando il segretario che ha proposto di affidarle le deleghe della ministra Idem dimissionaria, gli chiede di impegnarsi per la Santanché vicepresidente della Camera (che il Pd non vuole votare). E un gruppo di parlamentari medita anche di raccogliere firme per affiancargli un vice. Il Cavaliere, di fronte a questi sommovimenti, resta freddo. Intanto, non ha apprezzato la manifestazione al grido di «siamo tutte puttane» organizzata da Giuliano Ferrara in piazza Farnese. «Una cosa è portare in piazza migliaia di persone da tutta Italia - pare abbia commentato - Così non serve...».

Anzi, questo il pensiero del leader, è controproducente dal punto di vista dell’effetto mediatico. Ma anche sui propositi bellicosi dei falchi a Palazzo Grazioli regna molto scetticismo. Il che non significa che l’esecutivo mangerà il panettone, ma che la tregua estiva è ormai nei fatti: «Che alternative mi offrite? - domanda Berlusconi a tutti gli interlocutori - Sapete che cosa succede se mandiamo Letta a casa adesso?». La risposta è scontata ed evoca fantasmi ormai noti. Una maggioranza alternativa con i Cinque Stelle. Un ritorno all’odiato Mattarellum per le prossime elezioni. Napolitano che non scioglie le Camere o, peggio, si dimette. Il pessimismo che alberga nel Cavaliere, la delusione nei confronti dell’inquilino del Colle che «non ha fatto nulla», lo portano a ridare corpo al suo peggior timore: «E se eleggessero Prodi presidente della Repubblica?».

Già, perché Silvio scherzando si paragona a Mandela, «anche lui in fondo è stato in carcere...», e si consola: «Mi stanno facendo diventare martire». Ma sa bene che anche nel Pd, la ferita della «carica dei 101« non si è rimarginata. E pende come una spada di Damocle, a meno di riforme in senso presidenzialista, sulla futura convocazione dei grandi elettori.

da - http://www.unita.it/italia/marina-berlusconi-silvio-pdl-erede-forza-italia-figli-cavaliere-mediaset-politica-brunetta-santanche-1.508010
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