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Autore Discussione: Enrico ROSSI. La Toscana per una nuova sinistra  (Letto 3238 volte)
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« inserito:: Giugno 06, 2015, 05:46:27 pm »

La Toscana per una nuova sinistra
Pubblicato: 01/06/2015 19:33 CEST Aggiornato: 02/06/2015 11:09 CEST

Enrico ROSSI

Il risultato elettorale toscano dimostra che il Partito Democratico può essere una comunità plurale e radicalmente alternativa alle destre. Renzi ha intuito per tempo il radicamento territoriale e i meriti di una sinistra di governo, e noi abbiamo conservato una visione e un pensiero indipendenti. Questo ci ha portato a conservare la nostra forza e a riscoprire il primato della politica come punto d'attacco per la crisi e i suoi effetti. Molti erroneamente pensano che la Toscana è una roccaforte, dove il voto sarebbe scontato. Non è così.

La crisi ha trasformato la società italiana e la Toscana è in Italia. In cinque anni sono accadute tante cose. Crisi industriali senza precedenti. Crollo dell'occupazione. Crisi finanziarie. La nostra strategia è stata un'azione d'urto per arginare e contenere gli effetti di questo arretramento sociale ed economico. Non abbiamo mai ceduto al principio della centralità del lavoro e della manifattura. Non abbiamo mai smesso di inseguire il patto tra capitale sano e lavoro. Tenendo insieme queste due forze abbiamo salvato la Toscana, mostrando capacità di resilienza. Così abbiamo contenuto il crollo del Pil, dell'occupazione e siamo stati in grado di aprirci sempre di più al mondo soddisfando con il nostro export una crescente domanda internazionale dei nostri prodotti.

Abbiamo seguito oltre 180 crisi aziendali. Tutto questo ha avuto il suo riscontro nelle urne. Gli elettori, pur nel considerevole calo dell'affluenza, ci hanno premiato. La città simbolo è stata Piombino, con il 60%. Città operaia, attraversata da una profonda crisi siderurgica, che abbiamo salvato con l'impegno nostro e del Governo; Piombino riassume il senso della sinergia tra noi e Renzi. Mi hanno chiesto più di una volta a quale corrente sono iscritto. Non credo alle correnti e personalmente dichiaro senza autocensure di appartenere alla tradizione comunista e berlingueriana, da cui provengo per formazione e che mi ha insegnato la lotta politica, l'arte del governo e la necessità imprescindibile della "connessione sentimentale" con i lavoratori, il territorio e i cittadini.

L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro recita il primo articolo della Costituzione. Se il lavoro viene meno, anche la democrazia entra in crisi. La campagna elettorale è stata lunga e a tratti faticosa. Intrecciata anche a impegni amministrativi. Ho seguito le crisi drammatiche di due aziende. La People Care e la Smith Bits. Due casi emblematici del capitalismo che distrugge il lavoro. Un call center con oltre 400 operaie esterne con contratti precari in scadenza e senza nuove commesse. Un'importante industria produttrice di punte escavatrici assorbita da un grande gruppo di servizi petroliferi che ha deciso in tronco di mandare a casa 250 operai specializzati.

Il contrario del patto tra capitale e lavoro. Anzi la rottura tra territorio e forze produttrici. Il modello toscano, se è lecito parlare di un modello, si è retto invece sulla fiducia e sulla integrazione tra forze produttrici. E i lavoratori hanno compiuto un grande sforzo caricandosi i costi della crisi ma operando responsabilmente per tenere in vita le fabbriche e le produzioni. Tutto questo dovrebbe ispirare una riforma del sindacato nella direzione della cogestione e della contrattazione decentrata. Non possiamo trascurare il nesso che corre nel paese tra la crisi della sinistra e la sofferenza del mondo del lavoro, della scuola, della sanità. Il debito pubblico e l'austerità continuano a deprimere spesa pubblica investimenti e servizi. Io stesso sono arrivato in ritardo a concepire un'ulteriore riforma del sistema sanitario regionale. Avrei dovuto farlo prima.

I servizi e il welfare sono i primi a correre rischi in questo ciclo di "stagnazione". Questo ritardo ha pesato in parte anche sul voto. Oltre alla crisi economica persiste un rischio di disgregazione dell'Europa sotto le spinte di opposti populismi e nuovi sovranismi, che però a differenza della troika e delle forze del 'concerto' (Francia, Germania per prime) intercettando il disagio dei 25 milioni di disoccupati (5 in Italia) sulle cui spalle crolla la capacità di tenuta del progetto unitario europeo. Anche in Toscana arrivano i venti di questa disgregazione che si legge nel risultato dei 5 stelle e della Lega.

La Lega inoltre sta ristrutturando la crisi della destra post-berlusconiana. Anche se in Toscana è mancata una vera sfida con antagonisti di peso, la destra, come altrove, ha colmato il suo vuoto di pensiero e di leadership moderata e presentabile virando bruscamente verso il populismo xenofobo e neo-fascista di Salvini. Le sue ruspette giocattolo, le sue parole d'ordine violente e superficiali e la propaganda come spettacolo televisivo sono il male oscuro della cattiva politica. Il risultato è una dissociazione dalla realtà che isola il disagio e lo trasforma in odio.

Gli imprenditori della paura sono i veri nemici del paese e sono il frutto avvelenato della crisi della nostra civiltà e dell'Europa.

Tuttavia la soluzione a questa deriva non è solo culturale, linguistica, giuridica, ma anzitutto economica. Intendo di economia politica. L'Europa avrebbe bisogno di un vero e proprio 'momento rooseveltiano'. In un documento riservato concepito da Renzi e destinato al prossimo consiglio d'Europa di fine giugno (COMPLETING AND STRENGTHENING THE EMU) ci sono due punti di forza: l'istituzione di un fondo comunitario per la disoccupazione e una politica fiscale unica. La condivisione del rischio dunque e un welfare europeo.

Tutto questo potrà attuarsi se nasceranno partiti e sindacati veramente europei. La rinascita del socialismo in Europa alla luce degli stravolgimenti globali è e dovrebbe essere l'orizzonte della sinistra italiana e della sua storia migliore. Sento il mio impegno da questa parte e mi impegnerò anche sul fronte nazionale ed europeo anteponendo le cruciali sfide ad ogni opportunismo tattico e ideologico.

DA - http://www.huffingtonpost.it/enrico-rossi/la-toscana-per-una-nuova-sinistra_b_7485958.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 13, 2015, 06:29:54 pm »

Renzi restituisca agli obbligazionisti i loro risparmi
Pubblicato: 13/12/2015 16:54 CET Aggiornato: 1 ora fa

ENRICO ROSSI

Sulla vicenda di Banca Etruria e delle altre banche, il governo e Bankitalia devono dare ai cittadini molte risposte e chiarire ritardi, insufficienze e errori.

La colpa maggiore risiede nel passato e nella scelta arrogante di Monti di non ricorrere al denaro dell'Europa per risanare il nostro sistema bancario. E così, con i nostri soldi si sono risanate le banche tedesche e spagnole che ora comprano le nostre su cui l'Europa alza severa e ipocrita il dito accusatore.

Erano i tempi in cui la sinistra PD e Fassina sostenevano il governo Monti. E anche questo non si può far lasciar correre.

Ora Renzi deve provvedere per restituire agli obbligazionisti i loro risparmi. E chi ha sbagliato deve pagare. Senza guardare in faccia a nessuno.

Ma che si ponga all'indice, come fa Saviano, la ministra Maria Elena Boschi e se ne chieda addirittura le dimissioni per il fatto di essere figlia di un signore che ha fatto parte del cda di Banca Etruria, a me pare semplicemente pazzesco.

L'idea che eventuali colpe dei padri ricadono sui figli è profondamente autoritaria e illiberale e rappresenta un regresso e un imbarbarimento disgustoso del discorso pubblico nel nostro Paese.

La sofferenza e l'indignazione delle migliaia di risparmiatori truccati non deve essere strumentalizzata da populisti ipocriti, populisti e incompetenti.

Come i leader della Lega e della destra che hanno raccontato la bugia che lo Stato faceva pagare ai cittadini i Monti Bond concessi al Monte dei Paschi di Siena e che oggi montano sulla protesta, legittima, degli obbligazionisti della Banca Etruria e delle altre banche chiedendo al governo Renzi di intervenire.

Beninteso: Renzi deve farlo. Anzi doveva farlo prima. Ma la verità è che lo Stato ha guadagnato dal prestito al Monte dei Paschi centinaia di milioni di euro.

Soprattutto, la verità amara è che nel Paese è mancata, e tuttora manca, una strategia per risanare e salvare il sistema bancario, come invece è avvenuto in Germania e Spagna e in tanti paesi europei con interventi di centinaia e centinaia di miliardi. Si motivò questa scelta dicendo che gli aiuti alle banche avrebbero avuto conseguenze negative sul debito. Ma in realtà la stretta creditizia ha contribuito alla recessione e quindi alla crescita del debito sul Pil.

L'assenza di iniziativa da parte dei governi passati ha determinato che le banche entrassero in sofferenza e limitassero il credito alle famiglie e alle imprese riducendo in questo modo investimenti e occupazione. Il bel risultato è che ci sono banche che sono fallite e altre vicine al collasso con conseguente rischio per gli obbligazionisti e i risparmiatori.

Ma nessuno pare seriamente intenzionato a discutere di questo e a trovare soluzioni la cui portata sarebbe decisiva per tante famiglie e per lo sviluppo del Paese.

Si preferisce il populismo e l'invettiva. Meglio un pacco di voti, meglio un po' di fango sugli avversari... e chi se ne frega se il Paese arretra e se a rimetterci sono proprio quelli che, famiglie, imprese, risparmiatori, a parole si dice di voler difendere.

Sarebbe davvero gradito un bel dibattito pubblico su questo tema. Un dibattito serio e competente, se possibile pacato, sulla stampa, nei partiti e persino nel Parlamento.
La questione è grave e prioritaria.

Sui giornali di economia e finanza, anche quelli internazionali (vedi Wolfgang Munchau su FT) si legge che il sistema bancario italiano è in affanno con 350 miliardi di crediti deteriorati.
Sarà un caso che la nostra economia non cresce?

Da - http://www.huffingtonpost.it/enrico-rossi/renzi-restituisca-agli-ob_b_8798950.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 05, 2016, 04:59:49 pm »

Opinioni

Enrico Rossi   @rossipresidente
· 3 dicembre 2016

Comunque vada io ci sarò

A partire dal 5 dicembre dovremo essere capaci di ricomporci, di ritrovarci come comunità che condivide anzitutto un’idea di società che mette al centro il lavoro, la protezione sociale e la lotta alle disuguaglianze e che costruisce ogni giorno il futuro

Siamo arrivati alla fine di una campagna referendaria non bella, alla vigilia di un voto per cui è doveroso un solenne silenzio. La storia della democrazia italiana è infatti anzitutto storia della partecipazione popolare. Il Partito comunista italiano è stata in questo senso una grande scuola.

Ricordo quando i vecchi di casa mia si alzavano presto per andare al seggio, per evitare che nel corso della giornata qualunque imprevisto potesse impedirlo. Personalmente ho nostalgia di quel sentimento popolare e di quella volontà unitaria che è mancata in questi mesi. Ad ogni modo la sovranità appartiene al popolo, «che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

Io, fin da tempi non sospetti, mi sono pronunciato per il Sì sostenendo la necessità storica di un Senato dei territori, di un regionalismo differenziato e del superamento del bicameralismo paritario. Resto anche convinto che buttare via due anni e mezzo di lavoro in un infinito gioco dell’oca sarebbe rischioso per il Paese. Sin dall’inizio ho però sempre testimoniato il mio massimo rispetto anche per i sostenitori del No, invitando più volte Matteo Renzi ad ascoltarne le ragioni, per rendere il Partito davvero una casa comune. Alla vigilia del voto voglio dunque aggiungere solo poche altre riflessioni.

Innanzitutto, qualunque sia l’esito del referendum, penso che Renzi debba continuare ad essere Presidente del Consiglio, senza colpi di testa, fughe in avanti o personalismi, ma restando al servizio della Repubblica con senso di responsabilità e impegno fino alla naturale conclusione del suo mandato.

Qualunque sia il risultato del voto, pur non cambiando la Costituzione nella prima parte fondamentale, il Paese si troverà comunque diviso sulla Carta che dovrebbe unire i cittadini quanto più possibile. Ci sarà quindi da ricostruire e ricucire un senso di appartenenza comune, per evitare che rivendicazioni o interessi di parte facciano pesare il loro impatto negativo. Anche nel PD le lacerazioni si faranno sentire. Il nostro partito e la sinistra ne usciranno comunque feriti, e nostro compito sarà quello di evitare fratture insanabili.

A partire dal 5 dicembre dovremo essere capaci di ricomporci, di ritrovarci come comunità che condivide anzitutto un’idea di società che mette al centro il lavoro, la protezione sociale e la lotta alle disuguaglianze e che costruisce ogni giorno il futuro. Comunque vada, io ci sarò.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/comunque-vada-io-ci-saro/
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