Orfini appello a Renzi: "Matteo, fai qualcosa più di sinistra".
Frecciata alla minoranza: "Usano toni alla Grillo: riflettano"
Andrea Carugati, l'Huffingtonpost
Pubblicato: 09/08/2015 19:49 CEST Aggiornato: 3 ore fa
Matteo Orfini sposa la strigliata di Sergio Staino contro la minoranza dem: “Coglie un punto vero, spesso usano contro Renzi toni peggiori di Grillo, forse è ora che inizino a riflettere”.
Poi stronca l’ipotesi di riesumare una forza come i Ds: “”Li abbiamo chiusi perché quel partito non era in grado di parlare all’Italia di 10 anni fa, figuriamoci a quella di oggi…”.
Ma in questa intervista ad Huffpost, il presidente Pd lancia anche un messaggio al premier Renzi, con una premessa: “Chi lo vive come un usurpatore commette un grave errore, perché l’impianto politico e culturale di Matteo è perfettamente dentro la storia della sinistra italiana degli ultimi 20 anni. Ha vinto perché ha convinto i nostri iscritti ed elettori, è la negazione di questo assunto che porta la minoranza a fare battaglie incomprensibili”. E tuttavia, accanto a una difesa del premier che riguarda in primo luogo il rapporto dialettico con Bruxelles, Orfini chiede al premier-segretario di fare qualcosa più di sinistra: “La legge di Stabilità può e deve essere un’occasione per dare un cuore sociale a questa esperienza di governo. Penso a una misura universale contro la povertà, che è cosa diversa dal reddito di cittadinanza di Grillo. Penso ad un vero piano di investimenti per creare nuovi posti di lavoro, perché è evidente che il Jobs Act non basta, serve a trasformare i precari in tempi indeterminati, ma da solo non crea nuova occupazione…”.
Orfini ne ha anche per l’alleato di governo Maurizio Lupi: “L’articolo 5 della legge che porta il suo nome prevede di staccare l’acqua a chi occupa abusivamente le case, trovo che sia una misura disumana, che tra l’altro ha portato a indagare il sindaco di Bologna Merola per aver disobbedito. E’ incredibile che l’abbia partorita un ministro cattolico, ma sono certo che un altro cattolico come Delrio provvederà rapidamente ad eliminarla”.
Casa, lavoro, reddito di povertà. E’ questa dunque la sua ricetta per aprire anche alle ragioni della minoranza Pd?
Il problema, per Renzi e per il Pd, in questa fase non è fare una discussione autoreferenziale dentro il gruppo dirigente, ma parlare al Paese. Una misura contro la povertà parla a quella parte di elettori delle fasce sociali più deboli che non vota più perché vede negati i diritti alla casa, al lavoro, al reddito. Sono d’accordo con l’idea di ridurre le tasse lanciata da Renzi a Milano. Ma solo se fa queste cose il governo recupera la sua anima sociale, di sinistra. E toglie anche spazio a chi, dentro il Pd, cerca argomenti per una battaglia strumentale contro il segretario e lo stesso governo.
Lei pensa che il Pd sia davvero arrivato a una fase cruciale della sua breve esistenza?
Sì, lo penso. Ma questo deriva dalla fase cruciale che sta vivendo il Paese. Il Pd è nato per cambiare l’Italia, dopo che la sinistra ha governato negli anni Novanta senza centrare questo obiettivo. L’idea che gli ostacoli a questo cammino vengano non dalle opposizioni ma da dentro il Pd a me pare incredibile. Lo dico ai compagni della minoranza: stanno esagerando, e questa degenerazione della discussione interna si scarica tutta sull’Italia. Se il Pd fallisce la prova di governo fallisce anche il Paese.
Sta dicendo che la minoranza Pd non vuole realmente cambiare il Paese?
Ormai nella discussione interna al partito il merito c’entra poco. Abbiamo vissuto una dialettica vera su temi importanti come il Jobs Act, la Costituzione, la legge elettorale. C’è stata un discussione vera negli organismi dirigenti, molto più che nel recente passato quando alla guida c’erano Bersani o Epifani. Ma al fondo, per molti della minoranza, resta l’idea che Renzi sia un usurpatore. E questo assunto li porta a scelte incomprensibili.
Non sarà che la leadership muscolare di Renzi ostacola il dialogo?
Guardi, io faccio parte di quel gruppo dirigente che ha perso il congresso e non ha mai votato Renzi. Ma il revanchismo non mi appartiene. Dopo la fine del congresso ho lavorato per unire il Pd, e il segretario in questo anno e mezzo è stato disponibile a discutere su tutto: sono state riscritte riforme come l’Italicum, la scuola, il Jobs Act. In passato le cose non andavano così.
Vuol dire che Bersani era meno dialogante?
Dico che i nostri sì alla legge Fornero e al pareggio di bilancio in Costituzione sono stati discussi nei nostri organismi dirigenti assai meno del Jobs Act o dell’Italicum. E questo vale per il sì al governo delle larghe intese, quando Speranza era capogruppo ed Epifani segretario. Più che discussioni, c’erano i caminetti tra correnti convocati al mattino nell’ufficio di Rosy Bindi….
Oggi, si dice, Renzi decide tutt’al più con il suo “giglio magico”…
Le assicuro che non è così. Come dimostra il caso del Jobs Act: la mediazione l’abbiamo trovata in direzione. Così sull’Italicum: il doppio turno, che io non ho mai condiviso, è stato inserito su richiesta di Bersani e Speranza.
Secondo lei, perché la minoranza dem agirebbe in modo così tafazziano? Per un odio personale verso Renzi o perché temono che il Pd perda il suo dna?
Mi pare un tema più psicanalitico che politico, e io non ho le competenze necessarie. Posso dire che non c’è alcuna mutazione genetica del Pd. L’accusa riguarda lo scontro con la Cgil? Sono vent’anni che il più grande partito della sinistra ha un rapporto autonomo e dialettico col sindacato, basta pensare a D’Alema e Cofferati. Persino ai tempi del Pci c’era questa autonomia. E questa continuità c’è anche nel dialogo sulle riforme con le opposizioni: l’ha fatto Veltroni, poi Bersani. A cambiare, dal Pd delle politiche 2013 a quello delle europee 2014, è stata la composizione sociale del nostro elettorato: con Renzi abbiamo preso 3 milioni di voti in più tra giovani, precari e disoccupati. Se questa è la mutazione genetica, ben venga….
E tuttavia gli studi sui flussi dicono che nel 2015, alle regionali, il Pd ha perso voti a sinistra…
“E’ evidente che quel filo delle europee non va disperso e il Pd nell’azione di governo deve stare molto attento a mantenere la sua anima sociale. E tuttavia, io vivo in periferia, e al mercato nessuno mai mi chiede di far cadere il governo. La discussione di questi giorni vive molto sui giornali e poco nel Paese. Chi ha più bisogno di noi si ritrova spaesato da questo congresso permanente. Un malessere nell’elettorato di sinistra a mio avviso c’è, ma non si risolve certo cercando di sabotare il governo”.
I numeri del voto dicono che è più di un malessere. C’è il distacco di un pezzo della base sociale…
“Qui si apre un punto più complesso. Anch’io leggo tante lettere di insegnanti che non ci vogliono più votare. Ma molte di quelle proteste, sinceramente, le trovo corporative. Il coraggio delle riforme vuole anche dire mettere in discussione il rapporto con una fetta del proprio elettorato, comprese alcune rendite di posizione”.
Oggi Repubblica dedica un corsivo agli sfoghi sulla sua pagina Facebook. La accusano di tradimento…
“Non mi pare rilevante. E’ il tono prevalente dei commenti che si leggono sulle pagine Fb degli uomini politici. La maggior parte sono troll”.
La accusano di collaborare con l’” usurpatore”…
“Ritengo che sia un sentimento che vive in un circuito molto ristretto di gruppi dirigenti, ma non tra gli italiani. Le persone in carne ed osso vogliono che il governo funzioni e dia risposte”.
Eppure il clima dentro il Pd, anche simbolicamente, fa davvero pensare a un rischio di scissione. Lei lo vede?
“Andiamo con ordine. Io credo che sulla Costituzione ci sia il diritto a votare in dissenso. E’ auspicabile che si trovi l’unità del partito e io lavorerò su questo fino all’ultimo secondo. Ma non credo che si arriverà a una scissione sulle riforme costituzionali. Scissione è una parola che non ho mai usato. Per me è sempre una sconfitta di tutti quando anche uno solo di noi se ne va”.
E tuttavia, se la minoranza voterà contro, il governo rischia di finire sotto. Cosa succede un minuto dopo?
“Questa legislatura nasce dall’impegno preso da tutti noi con Napolitano per fare le riforme costituzionali. Mi pare ovvio che se questo cammino si fermasse sarebbe difficile portarla avanti. Verrebbe meno il presupposto stesso della legislatura. Ma io ritengo che alla fine i numeri per far passare la riforma del Senato ci saranno. Nonostante gli eventuali voti in dissenso di alcuni dei nostri senatori”.
Passerà con i voti di Berlusconi?
“Abbiamo sempre cercato i voti di tutte le opposizioni, compreso il M5s. E continueremo a farlo”.
Crede nell’ipotesi di una mediazione nel Pd sul testo del ddl Boschi? Ad esempio quella proposta dal ministro Martina.
“Mi pare che ci sia già stata una risposta negativa di Speranza su quell’ipotesi. Ma chiedere, come fa la minoranza, di tornare al Senato elettivo tout court significa mancare di rispetto a tutta la discussione che abbiamo fatto in questi mesi. Come presidente del Pd, io sono per definizione una colomba che cerca una sintesi: ma questo non può significare azzerare un pilastro della riforma come la non elettività diretta dei senatori”.
L’orizzonte potrebbe essere quello di un Pd senza Bersani e con dentro Alfano e Verdini? Lei ci starebbe in un partito così?
“Mettiamo le cose in chiaro. Di questo rischio parlano Bersani e Speranza, poi i senatori vicini a loro in aula votano sul canone Rai con Verdini e contro il governo. Mi pare una descrizione forzata, irricevibile. Non esiste e non esisterà un Pd con Verdini e Alfano. Siamo il più grande partito della sinistra europea, e non il partito della Nazione. E tale resteremo. Fondare il Pd è stata la scelta migliore che abbiamo fatto negli ultimi anni. Se qualcuno pensa di smantellarlo, sappia che non fa il bene dell’Italia. Su questo punto mi pare che gli schiaffi di Staino siano andati a segno. Una sinistra fondata solo sull’antirenzismo non va da nessuna parte”.
Da -
http://www.huffingtonpost.it/2015/08/09/orfini-renzi-minoranza_n_7962128.html?1439142598&utm_hp_ref=italy