LA-U dell'OLIVO
Aprile 29, 2024, 03:26:57 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Tony Blair e il Medio Oriente, storia di un fallimento  (Letto 2201 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Giugno 05, 2015, 11:02:58 pm »

Tony Blair e il Medio Oriente, storia di un fallimento

Pubblicato: 29/05/2015 15:34 CEST Aggiornato: 29/05/2015 15:34 CEST

A sua scusante può sostenere che nella squadra dei falliti è in buona compagnia, ma certo il bilancio degli otto anni di Tony Blair alla guida del Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Russia, Onu, Ue) è a dir poco scoraggiante. Lo è in sé e soprattutto se rapportato alle proclamate ambizioni con cui l'ex premier britannico assunse l'incarico: "Darò il mio contributo e metterò a disposizione la mia esperienza per rafforzare la speranza di una pace giusta e stabile fra Israeliani e Palestinesi", fu l'esordio di Blair. Otto anni dopo, l'uomo che riuscì a riportare al potere il Labour dopo la lunga era (18 anni) della "lady di ferro", al secolo Margareth Thatcher, annuncia le sue dimissioni, getta la spugna, si arrende. Otto anni dopo, della Road Map messa a punto dal Quartetto di cui Blair doveva essere l'architetto realizzatore, non è rimasta traccia alcuna, se non nel vocabolario diplomatico internazionale.

Quel "Tracciato di pace" si fondava su un principio basilare: quello della soluzione a due Stati. Un principio oggi irrealizzabile, perché a crederci non sono neanche più i diretti interessati, perché Israele ha scelto di affidare il suo futuro, con le libere elezioni del 17 marzo scorso, ad una coalizione di governo guidata da un premier (Benjamin Netanyahu) che a urne ancora aperte aveva proclamato: "Con me a capo del governo, uno Stato palestinese non vedrà mai la luce". Quel principio, ripetuto sempre più stancamente dall'inquilino della Casa Bianca e dai leader europei, si scontra col proliferare degli insediamenti ebraici nei Territori occupati, e non può certo essere innervato da una leadership palestinese usurata dal tempo e dagli errori commessi, una leadership peraltro talmente divisa, fra al-Fatah e Hamas, ed eterodiretta da non riuscire nemmeno a far vivere un governo di unità nazionale.

Mr. Blair se ne va, abbandona il campo, travolto anche da polemiche personali, da scandali che certo non danno di lui la visione di un disinteressato uomo di pace. Un episodio tra gli altri. Estate 2014: mentre a Gaza infuria il conflitto fra Tsahal, l'esercito israeliano, e le milizie palestinesi, Blair, riceve 150 ospiti nella sua villa di campagna per festeggiare con grande sfarzo i sessant'anni della moglie Cherie. A rivelarlo è il "Mail on Sunday", tabloid popolarissimo e influente, mettendo in imbarazzo l'ex premier britannico. Blair è accusato di trascurare il suo ruolo di rappresentante del quartetto Ue, Onu, Usa e Russia a favore di redditizie conferenze in giro il mondo, e di lasciare ad altri l'iniziativa diplomatica. Il suo ufficio si trova a Gerusalemme, ma la settimana precedente il gran galà londinese, Blair ha trascorso il suo tempo tra Gran Bretagna e Cina, mentre John Kerry e Ban Ki-moon tenevano incontri in Medio Oriente per pressare Hamas e Israele ad accettare una tregua. Il "Mail on Sunday", populista e conservatore, ci è andato pesante, rivelando dettagli di una mega festa che sarebbe costata 50.000 sterline (quasi 65.000 euro): gli ospiti hanno mangiato foie gras, bevuto champagne e ballato fino all'una di notte. Cosa ancora più imbarazzante, il compleanno di Cherie è a settembre.

Quindi, attacca il giornale, non si poteva aspettare? Gossip si dirà. Ma non è proprio così. Il fatto è che Tony Blair è sempre stato un uomo afflitto da conflitti e conflitti di interesse, scrive Chris Doyle, direttore del Consiglio per la comprensione arabo-britannica. "Per mantenere il suo ruolo di inviato del Quartetto- annota Doyle, - Blair dovrebbe rispondere alle seguenti domande: ha il tempo necessario e l'energia per ricoprire questo ruolo, dati tutti i suoi altri numerosi impegni? Può lavorare per un governo in Medio Oriente e consigliarne altri continuando ad essere visto veramente come una figura imparziale? Quando incontra i ministri degli Emirati Arabi Uniti preme per le donazioni a favore dei palestinesi con lo stesso entusiasmo che usa per promuovere i suoi affari?

Può commentare sui media i conflitti regionali come quelli in Siria, Iraq e Libia, chiedendo l'intervento in tutti e tre i casi, conservando al contempo la fiducia dei palestinesi? Adotta il punto di vista degli Emirati Arabi Uniti su tutte queste questioni? Riuscirà mai a rendere noti tutti i suoi interessi commerciali in modo tale da escludere ogni conflitto di interesse può essere fatta?". Tony Blair afferma che "Gaza è una metafora di tutto ciò che è sbagliato". I palestinesi di Gaza dicono lo stesso di Tony Blair, chiosa Doyle. D'altro canto, annota l'autorevole "Financial Times", l'ex premier britannico avrebbe "riconosciuto che il suo ruolo nei negoziati non è più sostenibile, a causa dei suoi cattivi rapporti con alti membri delle autorità palestinesi e i suoi interessi economici nella regione”. Il suo mandato è infatti stato molto criticato per i legami economici che legano la sua Tony Blair Associates (Tba) alle monarchie del Golfo Persico, al Kuwait e al Kazakistan. Non basta. Secondo quanto riportato dal "Sunday Times", l'affare più ghiotto per l'ex premier sarebbe stato un contratto con il ministero degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti. Il giornale londinese ha pubblicato una "proposta", datata settembre 2014, per una "partnership strategica" tra le due parti.

Nella prefazione di questo documento, firmata da Blair in persona, viene elogiata la "solida leadership" della dittatura degli Emirati, alla quale la TBA offre i propri servizi per costruire una rete di contatti nel pianeta e incrementare l'influenza internazionale di questo paese arabo. La TBA ricorda poi di essere già presente in 25 Paesi e che "non esiste virtualmente luogo nel mondo dove non siamo in grado di operare o fornire i contatti necessari, sia politici che economici". Nello spiegare come la collaborazione proposta dovrebbe concretizzarsi, il documento pubblicato dal "Times" di Londra assicura che lo stesso Blair sarebbe coinvolto direttamente e perciò disposto a trascorrere "2/3 giorni ogni mese a Abu Dhabi", nonché a rimanere continuamente in contatto con il regime degli Emirati. Il valore complessivo del contratto di consulenza ammonterebbe a 30 milioni di sterline, cioè più di 41 milioni di euro. Su queste basi, ergersi a facilitatore super partes di un negoziato di pace è impresa impossibile anche per un abilissimo navigatore diplomatico come Blair.

Ma "Tony d'Arabia" non ha fallito solo sul fronte israelo-palestinese. Prima ancora aveva lasciato la sua impronta insanguinata in Medio Oriente, sostenendo politicamente e poi sul piano militare George W. Bush nella scelta di portare la guerra in Iraq. Anche a costo di mentire. Tony Blair e i suoi "spaventosi fallimenti": così il "Telegraph" ebbe a riportare alla luce centinaia di pagine di documenti segreti sulla guerra in Iraq. Raccontano l'assenza di piani e lo scadente equipaggiamento delle truppe inviate a combattere e a gestire l'occupazione e mettono sul banco degli accusati l'allora premier Tony Blair. Le carte, dice il "Telegraph", indicano una causa politica per questa scarsa organizzazione: Tony Blair fuorviò i deputati e i britannici per tutto il 2002 quando affermava che l'obiettivo della Gran Bretagna era "il disarmo, non il cambiamento di regime". Nei fatti la pianificazione per l'invasione era iniziata nel febbraio 2002. Ma la necessità di nascondere questo fatto al parlamento e "a tutti, salvo un piccolo numero" di alti funzionari, "schiacciò" la pianificazione, portando a una campagna organizzata tecnicamente in fretta e furia, con "rischi significativi per le truppe e fallimenti critici nel dopoguerra". In interviste secretate con comandanti dell'esercito, questi descrivono come le truppe "furono esposte a rischi significativi, a causa di un'operazione affrettata che mancava in coerenza e risorse".

I piani per l'invasione nel marzo 2003, ad esempio, "non contenevano i dettagli su cosa fare una volta che fosse caduta Baghdad" e ciò consentì ai ribelli di "sfruttare la perdita di slancio" nel dopoguerra. Il Foreign Office creò un'unità per pianificare cosa sarebbe successo in Iraq una volta finito il conflitto solo tre settimane dopo l'inizio della guerra. Tutta la campagna fu segnata dall'equipaggiamento inadeguato - la mancanza di giubbotti antiproiettile, scarpe da deserto, e protezioni contro la guerra chimica, tra le altre. Il Tenente colonnello ML Dunn, del IX reggimento approvvigionamento, Royal Engineers, ha raccontato che i suoi soldati "avevano solo cinque caricatori ciascuno, e giubbotti antiproiettile per coloro che stavano nei veicoli in cima e in coda alla colonna". Un altro alto ufficiale, tenente colonnello John Power, dei Royal Electrical and Mechanical Engineers, ha definito nel rapporto parti della catena di rifornimento "spaventose": "so per certo che mandarono un container pieno di sci nel deserto". Le radio Ptarmigan, a lungo raggio, "si rompevano verso mezzogiorno a causa del caldo, e in alcuni casi cellulari che usavano le reti telefoniche kuwaitiane erano gli unici mezzi per parlare con le truppe in combattimento".

Anche se la fase di guerra viene descritta come un importante successo militare, esso fu ottenuto contro "un esercito di terza classe... un nemico avrebbe probabilmente punito severamente le nostre mancanze". E così, in un intervento sulle pagine del "The Observer" di Londra ecco l'arcivescovo Desmond Tutu, Nobel per la pace chiedere che George W. Bush e Tony Blair vengano processati davanti alla Corte penale internazionale per le devastazioni provocate dalla loro aggressione ai danni dell'Iraq. Secondo Tutu i due avrebbero mentito riguardo alla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq portando ad un'instabilità mondiale e lanciando una guerra che "ha diviso più di ogni altro conflitto della storia" conducendo l'umanità sull'orlo di un precipizio. Tutu ha poi aggiunto: "Se è accettabile per dei leader assumere decisioni drastiche sulla base di menzogne, senza scusarsi, cosa dovremmo insegnare ai nostri figli? I leader degli Usa e della Gran Bretagna si sono inventati le ragioni per comportarsi come dei bulli di quartiere e dividerci ancora di più. Ci hanno portato sull'orlo del precipizio su cui ora ci troviamo".

Le notizie che giungono dall'Iraq, Stato smantellato, con le milizie dello Stato islamico alle porte di Baghdad (le due potenti esplosioni avvenute nei parcheggi di due degli hotel più lussuosi della capitale - lo Sheraton (ribattezzato Cristal Hotel) e il Babil - che hanno causato almeno una decina di morti e oltre ottanta feriti, sono l'ennesima, sanguinosa avvisaglia dello scontro finale tra sunniti e sciiti per il controllo della capitale irachena). Anche questo è il lascito della guerra voluta dal duo Bush&Blair. Addio, Mr. Blair, i popoli del Medio Oriente di sicuro non la rimpiangeranno.

Da - http://www.huffingtonpost.it/umberto-de-giovannangeli/tony-blair-e-il-medio-oriente-storia-di-un-fallimento_b_7468240.html?utm_hp_ref=italy
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Giugno 06, 2015, 05:38:34 pm »

Blair si dimette da inviato del "quartetto" per il Medioriente.
Anp: "Rappresentava solo se stesso"

Fonti diplomatiche preannunciano la rinuncia all'incarico, già comunicata a Ban Ki-moon con una lettera. La ragione del passo indietro: "frustrazione" per i limiti posti alla sua autorità in qualità di "motore" per lo sviluppo economico e istituzionale della Palestina. Ma probabilmente ha pesato anche la polemica sui costi del "conferenziere" Blair

Di PAOLO GALLORI
27 maggio 2015
   
GERUSALEMME - In attesa dell'ufficializzazione, sono state fonti diplomatiche a Gerusalemme coperte da anonimato a far trapelare la notizia che l'ex premier britannico Tony Blair ha rassegnato le dimissioni dall'incarico, ricoperto per otto anni, di inviato del cosiddetto "Quartetto per il Medioriente" (Usa, Russia, Onu, Ue), fondato nel 2002 con l'obiettivo di favorire con la sua mediazione il processo di pace israelo-palestinese. Le fonti, vicine all'attività del Quartetto, hanno aggiunto che Blair ha scritto una lettera al segretario generale dell'Nazioni Unite, Ban Ki-moon, per confermargli la sua decisione. Le dimissioni saranno effettive a partire da giugno. Tony Blair assunse l'incarico nel 2007 alimentando grandi aspettative per il prestigio personale che avrebbe messo al servizio di una precisa missione: catalizzare progetti, energie e risorse per lo sviluppo dell'economia e delle istituzioni in preparazione dell'eventuale nascita di uno Stato palestinese. Sperimentando infine "frustrazione", come spiega una fonte, per i "limiti posti alla sua autorità".

Avrebbe dovuto aiutare i palestinesi, Tony Blair. Invece ha ricevuto costanti critiche per la scarsità di progressi, oltre a vedersi attribuire "cattive relazioni" con l'Autorità nazionale palestinese, che non ha mai nascosto di considerarlo molto più vicino a Tel Aviv che alla sua causa. E i palestinesi oggi rincarano. Nabil Shaath, esponente di primo piano dell'Autorità nazionale palestinese, dove ha svolto, tra gli altri, il ruolo di capo negoziatore. "Sono felice che Tony Blair abbia lasciato l'incarico. Nei suoi otto anni, non ha dato alcun contributo alla causa palestinese. Non ha mai proposto nulla su cui anche Israele non fosse d'accordo. In realtà, ha sempre e solo rappresentato se stesso. Lavorando per soddisfare israeliani e americani". "Ci aspettavamo le sue dimissioni. Blair ha lavorato su alcuni minori problemi legati all'economia, ma l'impatto che ha avuto nella risoluzione del conflitto è stato minimo" sentenzia Hanan Ashrawi dell'Olp. Mentre, dalla stessa organizzazione, Mustafà Barghouti considera "onestamente tardive e di nessun significato le dimissioni. Il ruolo di Blair è stato insignificante: troppo vicino alle posizioni israeliane e ostaggio della destra Usa".

Commenti impietosi, che liquidano con sbrigativa indifferenza i successi vantati da Blair nel suo ruolo di inviato del Quartetto, elencati nel sito del suo "ufficio": la rimozione di decine di posti di blocco israeliani in Cisgiordania che ha favorito la mobilità di lavoratori e prodotti palestinesi; migliaia di permessi di lavoro accordati a palestinesi impiegati in Israele; l'incremento del turismo a Betlemme; la movimentazione di 350 milioni di dollari di investimenti nella telefonia mobile in Cisgiordania; la creazione di migliaia di posti di lavoro e la pressione su Israele per l'allentamento dell'embargo eretto attorno a Gaza in modo da favorire le sue, seppur limitate, esportazioni.

Ma a spingere l'ex premier laburista al passo indietro rispetto al prestigioso incarico internazionale potrebbe aver contribuito l'appannamento arrecato alla sua aura di politico sorridente, brillante e vincente dalle accuse, sempre più pesanti e insistenti, di essersi arricchito troppo, di accettare consulenze anche per despoti (ad esempio la Libia del colonnello Gheddafi). E di non avere concluso niente proprio come mediatore del Quartetto in Medioriente, accusa quest'ultima ingiusta vista la sua formale estraneità alle vere e proprie negoziazioni sulla pace.

Mentre non sono mai state ridotte al silenzio quelle riferite alle decisioni assunte da Blair come premier britannico nell'affaire Iraq: aver assecondato il suo "amico americano" George W. Bush nel dichiarare guerra a Saddam con il pretesto dell'inesistente arsenale di armi di distruzione di massa in possesso del dittatore. Vicende che nel 2010 avevano esposto Blair al lancio di uova da parte dei pacifisti durante la presentazione della sua autobiografia, inducendolo ad annullare altri incontri pubblici programmati per il lancio del libro per il timore, probabilmente fondato, di nuovi agguati.

Ma in quello stesso anno, il 2010, aveva investito la Gran Bretagna anche la polemica sul costo del "conferenziere" Blair, quando i parlamentari della commissione che esamina le spese del settore pubblico si erano pubblicamente indignati nel leggere tra le voci del bilancio lo sfarzo in cui i coniugi Blair continuavano a vivere anche dopo aver lasciato il numero 10 di Downing Street.

Come ex premier Tony aveva diritto a una scorta armata dovunque andasse, ma in tempi di recessione economica risultava eccessivo che per la sua sicurezza fossero impiegati alcuni dei migliori e meglio pagati agenti per un costo di due milioni di sterline all'anno, mentre il rimborso delle loro spese "di servizio" per alberghi e ristoranti aveva toccato in un anno, periodo aprile 2009 - aprile 2010, la cifra di 250.000 sterline. Tra l'altro, la security doveva seguire Blair e signora intorno al mondo, anche quando i coniugi viaggiavano separatamente verso destinazioni divergenti. E, ulteriore sdegno, gli agenti speciali avevano preso a condividerne il lusso, ordinando aragosta e champagne al ristorante e occupando camere d' albergo da sogno in località frequentate solo da miliardari.

Quattro anni dopo, nel luglio del 2014, il Mail On Sunday aveva portato un attacco frontale all'ex premier proprio in relazione al suo ruolo di inviato del "Quartetto" per il Medioriente. "Mentre Gaza brucia - scriveva il quotidiano -, lui organizza il compleanno per la moglie Cherie". Esplicita accusa di trascurare un impegno internazionale che lo vorrebbe protagonista nell'area più calda del pianeta, proprio mentre il nuovo conflitto fra Israele e Hamas infuriava con migliaia di morti.

Blair, scriveva il Mail On Sunday, aveva preferito concentrare la sua attenzione sull'organizzazione di un party a sorpresa per i 60 anni di Cherie costato 50mila sterline (63mila euro) nella sua residenza da 6 milioni di sterline nel Buckinghamshire. Una festa esclusiva, riservata solo a 150 selezionate personalità tra ministri, uomini d'affari milionari e divi della tv, intrattenuti da ballerini, comici e cantanti. Il giornale, da sempre vicino ai conservatori, non si era negato nemmeno il piacere di vantare un insider, riportando il commento velenoso di un ospite della festa: "Il suo posto era in Medioriente, ma a pensarci bene, cos'ha mai risolto Blair in Medioriente?".

© Riproduzione riservata
27 maggio 2015

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2015/05/27/news/dimissioni_blair_da_inviato_del_quartetto_per_medioriente-115395044/?ref=nrct-7
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!