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Modelli precompilati IMU e Tasi: L’Italia è ancora nel Medioevo
I contribuenti non riceveranno i bollettini con l’indicazione delle somme da pagare come previsto dalla legge di stabilità del 2014 perché i dati del catasto e delle conservatorie dei registri immobiliari non sono allineati tra loro.
Di Lelio Violetti
Chiamatela rivoluzione incompiuta. Perché tra archivi catastali non coordinati con i registri immobiliari e scadenze in conflitto le une con le altre, il progetto che voleva spedire a casa i modelli di Tasi e Imu precompilati direttamente dal comune resterà una chimera. Almeno per quest’anno i contribuenti dovranno continuare ad arrangiarsi da soli, barcamenandosi tra aliquote, rendite catastali e percentuali di possesso, semplicemente perché i comuni non sono in grado di calcolare le imposte locali sugli immobili.
La questione si presta a una serie di paradossi e contraddizioni che dimostrano quanta distanza ci sia ancora dai primi della classe, Regno Unito e Francia in testa, in termini di semplicità nel calcolo preventivo delle imposte da pagare. Da un lato perché le informazioni per inviare il bollettino precompilato ci sarebbero, ma l’amministrazione finanziaria non è stata in grado fino ad oggi di utilizzarle per semplificare la vita al contribuente. Un ritardo che alcuni comuni più grandi hanno potuto colmare a proprie spese, mentre quelli più piccoli e con meno risorse sono rimasti al palo, finendo per dividere i cittadini in contribuenti di serie A e serie B. Ancora più singolare è poi il fatto che si sia lanciato il progetto del bollettino precompilato senza che fosse prima costruito un registro unico e aggiornato del patrimonio immobiliare, in grado di associare gli identificativi catastali ai rispettivi proprietari. Un po’ come costruire una casa partendo dal tetto.
Il problema è stato rimarcato in questi giorni anche da “Ifel - Fondazione Anci”, l’istituto deputato per legge ad “aiutare lo sviluppo della finanza dei Comuni nella direzione … della trasparenza verso i cittadini contribuenti”, che in una nota del 12 maggio scorso prima tenta di negare che vi sia un obbligo di invio del bollettino da parte dei comuni (“non emerge dalla normativa vigente”) per poi affermare che qualora vi fosse sarebbe comunque non attuabile (“è in pratica inattuabile un obbligo all’invio, da parte dei comuni, di bollettini precompilati per il pagamento della Tasi cittadini contribuenti così come apparentemente stabilito da una legge nazionale, comma 689 della Legge di stabilità per il 2014”).
Siamo veramente alle comiche finali in quanto il comma 689 della suddetta legge stabilisce in modo chiaro che “Con uno o più decreti del direttore generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il direttore dell'Agenzia delle entrate e sentita l'Associazione nazionale dei comuni italiani, sono stabilite le modalità di versamento, assicurando in ogni caso la massima semplificazione degli adempimenti da parte dei soggetti interessati, e prevedendo, in particolare, l'invio di modelli di pagamento preventivamente compilati da parte degli enti impositori.”
Il comma suddetto è abbastanza esplicito e risulta, pertanto, piuttosto curioso che il legislatore non abbia tenuto conto, nel momento in cui la norma veniva approvata, delle difficoltà operative esistenti e, solo ora, queste vengano sollevate, a nome dei comuni, da parte dell’IFEL.
Nella nota l’IFEL fa presente, tra l’altro, che “gli stessi archivi catastali degli immobili (il «Catasto» come comunemente inteso) e delle proprietà immobiliari (le formalità raccolte dalle Conservatorie dei registri immobiliari), non sono allineati tra loro, con particolare riferimento alle posizioni oggetto di cambiamenti meno recenti e quindi non toccate dalle norme di allineamento automatico delle transazioni immobiliari emanate negli ultimi 7-8anni.”
Trattasi d’una vecchia ed annosa questione che ormai va avanti da oltre un ventennio in quanto la prima riforma dell’amministrazione finanziaria, che prevedeva l’integrazione degli archivi di catasto e conservatorie con la creazione dell’ufficio unico del territorio, è degli anni novanta del secolo scorso.
Come tale tutta la vicenda del mancato aggiornamento e della mancata integrazione di questi archivi è paradigmatica di come funzionano le cose in questo paese. Il fatto grave è che tutto ciò ricade, sotto forma di complessità degli adempimenti, sulle spalle dei cittadini.
L’osservazione dell’IFEL esplicita la circostanza che ancor oggi non esiste in Italia un registro pubblico del patrimonio immobiliare (fabbricati e terreni), che collega gli oggetti (identificativo catastale) e i soggetti (codice fiscale di chi vanta i diritti sull’immobile), completo, corretto e tempestivamente aggiornato.
Non tutti i nostri fabbricati sono univocamente identificati attraverso una stringa di caratteri composta da codice catastale del comune in cui sono localizzati, foglio, particella e subalterno e a questo codice identificativo non sempre sono associati i soggetti (aggiornati e completi) con quota e durata dei diritti vantati in un determinato anno.
Il nostro sistema catasto/conservatorie, gestito fino a qualche anno fa, 2012, dall’Agenzia del territorio, ora dall’Agenzia delle entrate, ha probabilmente sempre sottovalutato la parte relativa ai dati censuari del patrimonio immobiliare, preferendo concentrare la sua attenzione sugli aspetti cartografici e di estimo.
Sta di fatto, però, che dagli anni novanta del secolo scorso esiste una imposizione locale sugli immobili (prima ISI, poi ICI, poi IMU, poi TASI) la cui efficacia si basa proprio su questi dati che sono alla base della determinazione dell’imponibile e di chi deve l’imposta.
Le fonti di aggiornamento di questi dati sono fondamentalmente tre: gli atti di trasferimento immobiliare, le successioni e le sentenze che stabiliscono il godimento di alcuni diritti.
Si tratta d’un sistema, fortemente intermediato, in cui, tuttavia, ancora non tutti i flussi di dati sono gestiti in tempi accettabili ai fini della gestione dell’imposizione locale sugli immobili; si pensi ad esempio alle successioni per solo trasferimento d’immobile (non fatte dai notai).
Nonostante i consistenti investimenti in informatica fatti per l’Agenzia del territorio la costituzione d’un registro unico del patrimonio immobiliare è, quindi, ancora in itinere ed, onor del vero, è ancora in itinere l’aggiornamento, anch’esso ormai da più di quindici anni, del valore (cosiddetta rendita catastale) associato ad ogni fabbricato sulla cui base si determina l’imponibile delle imposte locali.
In assenza d’un supporto affidabile a livello nazionale, molti comuni, a volte anche con investimenti notevoli, hanno cercato di venire incontro alle esigenze dei cittadini contribuenti formando ed aggiornando localmente ed autonomamente propri archivi attraverso i quali (operazione benemerita e suppletiva d’una carenza a livello centrale) inviano bollettini precompilati IMU/TASI a chi deve pagare per gli immobili situati nel loro territorio. Ma quanto costa, è costato e costerà tutto ciò?
Si rileva che il passaggio dell’Agenzia del territorio all’Agenzia delle entrate, più orientata alla gestione operativa delle imposte, fa ben sperare su un cambiamento di sensibilità verso i dati censuari alla base del registro del patrimonio immobiliare.
Dopo il positivo avvio del 730 precompilato questo potrebbe essere un ulteriore significativo passo/obiettivo per semplificare la vita del cittadino, mettendo in condizione tutti comuni, non solo i più volenterosi e sensibili, d’inviare bollettini precompilati TASI/IMU sulla base d’un registro nazionale.
Un passo di questo tipo ci allineerebbe agli altri paesi europei dove l’imposizione immobiliare locale è classificata tra quelle più semplici da gestire e l’amministrazione finanziaria ha il dovere/obbligo di calcolare l’imposta e comunicare il risultato a chi la deve pagare (si veda a questo proposito la "Council Tax – Housing and local services" del Regno Unito e la "Taxe d'habitation" e la componente patrimoniale dalla "Taxe Fonciére" della Francia).
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