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Autore Discussione: ALESSANDRO PANSA. Nella nuova Europa a trazione tedesca l’unica difesa è ...  (Letto 2080 volte)
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« inserito:: Febbraio 25, 2015, 12:04:27 pm »

Equilibri
Nella nuova Europa a trazione tedesca l’unica difesa è innovare
L’Unione ha ormai un centro e una periferia evidenti. Non è un male: ma l’Italia deve creare il proprio futuro A partire dalla imminente rivoluzione tecnologica

Di Alessandro Pansa

Più di un fantasma si aggira per l’Europa; ma di ghostbuster (cacciatori di fantasmi) sembra essercene uno solo. Nell’accordo con la Grecia hanno prevalso la linea tedesca — soldi sì, se il rigore continua — ma soprattutto il principio, caro alla Germania, che l’euro è una scelta «storica», un vincolo indissolubile. Nell’Unione si può entrare ma non uscire, come disse il presidente Lincoln allo scoppio della Guerra civile americana. Con l’iniziativa tedesco-francese per la tregua in Ucraina, la Germania riguadagna all’Europa una capacità d’iniziativa che sembrava perduta: da questo punto di vista conta relativamente se gli accordi di Minsk reggeranno. La necessaria ridefinizione del rapporto tra l’Unione e la Russia diventa, in questo ambito, quasi una prerogativa tedesca.

È un momento cruciale per l’Europa, ma la sensazione è che ne usciremo o più deboli o più tedeschi. Il protagonismo della Germania, se lo guardiamo scrutando «il possente cammino della Storia che calpesta più di un fiore innocente sulla sua strada» (è Hegel a dirlo, guarda caso un tedesco) si è costruito a partire dagli Anni 90 del Novecento. E, a pensarci, fa una certa impressione.

Sino ad allora l’Europa aveva vissuto felicemente nell’illusione di creare un’Unione democratica, dove tutti i Paesi contassero uguale, un’Isola di pace perpetua, impegnata a dimenticare i conflitti passati e ad ignorare quelli presenti (tanto se ne occupavano altri), costruendo un esemplare sistema di benessere ed integrazione.

Poi — fine Anni 80 — è arrivata la liberalizzazione dei movimenti di capitale, scelta angloamericana cui il mondo ha dovuto adeguarsi. L’Europa si è protetta con una valuta ed una politica monetaria le cui caratteristiche, obbiettivi e metodi ricalcavano quelli del marco tedesco e della sua Banca centrale. Soffia forte il vento della globalizzazione tecnologica ed industriale. La Germania ristruttura per tempo il sistema produttivo e riforma il mercato del lavoro: ne ricava innovazione, produttività, occupazione e sicurezza sociale. Nel 2009 sbarca in Europa la crisi finanziaria e l’Unione monetaria rischia di frantumarsi. Il debasement — cioè il venir meno di un retroterra economico e politico stabile — dell’euro e la sua conseguente sparizione vengono evitati dal rigore europeo di matrice tedesca. Scelte molto criticate, quelle della Germania, spesso poste — e imposte — in modo irritante: per fortuna non sapremo mai cosa sarebbe successo se il resto dell’Europa non le avesse accolte.

Altre nazioni, intanto, hanno bussato alla porta dell’Unione ed il retaggio della storia ha reso inevitabile l’allargamento ad Est. La Germania è il primo investitore in quasi tutti i nuovi membri, l’Europa orientale diventa parte dello spazio economico tedesco. E il tentativo di integrare la Russia con l’Unione costituisce allora un cardine della politica di Berlino, tanto che il 40 per cento dei 400 miliardi investiti laggiù dall’Occidente vengono dalla Repubblica federale. L’obiettivo è la sicurezza degli approvvigionamenti energetici ed il controllo di un importante mercato per la manifattura europea. Ma una Russia più vicina all’Europa ridurrebbe tanto i rischi di sfaldamento interno di quel Paese quanto quelli di una sua progressiva attrazione nell’orbita cinese, pericoli che tutto l’Occidente avrebbe grande interesse ad evitare. L’attivismo sull’Ucraina indica la continuità della strategia tedesca.

Nel frattempo, l’integrazione europea non è progredita molto: la Costituzione è stata affossata dai referendum, pezzi cruciali del Trattato di Lisbona sono rimasti inapplicati, della politica estera e di difesa comune non v’è traccia. Nell’industria le cose non vanno meglio: dal 2007 la base produttiva tedesca è cresciuta dell’8 per cento, negli altri Paesi europei si è contratta del 12 per cento, in Italia del 18 per cento. E non tutti beneficeremo allo stesso modo della ripresa che verrà. Si sono così fatalmente creati un centro ed una periferia, come insegna la storia dei grandi sistemi politici. È un male? No, basta saperlo. Basta sapere che il welfare presuppone il rigore dei conti, la crescita è subordinata alla stabilità finanziaria, gli investimenti contano più dei consumi, il successo della manifattura dipende dalla produttività più che dal cambio, le politiche industriali sono un indispensabile vantaggio competitivo. Su basi più omogenee, forse, si realizzerà quell’integrazione di politiche economiche resa sinora difficile da un pluralismo eccessivo di scelte e modelli. E, chissà, potrà pure seguire l’integrazione politica, ridando all’Europa peso nel mondo.

Per l’Italia è certamente amaro scoprire che ci siamo giocati un ruolo maggiore in tanti anni di giri di valzer e di vita al di sopra dei nostri mezzi, anni durante i quali abbiamo diligentemente smantellato buona parte dell’industria ed impoverito il sistema sociale. Ma adeguarsi non significa appiattirsi. Disponiamo ancora di molte risorse. Anziché buttarle nell’inseguimento di una fragile crescita, usiamole bene. Innanzi tutto preparandoci alla rivoluzione tecnologica che è alle porte e quando qualcuno a Berlino dirà con Napoleone: «L’intendenza? Seguirà», almeno saremo un seguito intelligente e consapevole. Non sarebbe poco, di questi tempi.

24 febbraio 2015 | 13:10
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_febbraio_24/nella-nuova-europa-tr
« Ultima modifica: Gennaio 09, 2017, 06:16:40 pm da Arlecchino » Registrato
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