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Autore Discussione: TEMPLARI: DOPO SETTE SECOLI UNA PERGAMENA LI RIABILITA  (Letto 3147 volte)
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« inserito:: Ottobre 24, 2007, 11:05:38 am »

Cronaca

TEMPLARI: DOPO SETTE SECOLI UNA PERGAMENA LI RIABILITA
 

A settecento anni dai fatti, la Chiesa proclama la sua verita' sul processo e la condanna dei Templari. O meglio, sul processo e la loro assoluzione perche', e' questa la novita', il Papa non li condanno' mai, anzi. Fu piuttosto il Re di Francia, quel Filippo IV il Bello il cui ardore religioso era pari al fascino che esercitava sulle dame e le nobildonne, a forzare la mano per metterli sul rogo. Fino al punto di sfidare il Pontefice e intimidirlo con la minaccia di uno scisma. Non voleva lo scisma, il Re, ma mettere le mani sul tesoro dei Poveri Cavalieri di Cristo. Questi, fondatori del primo sistema bancario globalizzato della storia, avevano casse di oro che custodivano nella Torre del Tempio di Parigi. Al contrario il Re, impegnato a ricostituire l'autorita' della Corona ed a tenere gli inglesi lontani da Calais (erano gli inizi della Guerra dei Cent'anni), aveva le tasche vuote. E un giorno i Templari avevano commesso l'errore di mostrargli il loro tesoro. Mal gliene incolse. Sette secoli: un'eternita' anche per una istituzione dal respiro lungo come la Chiesa cattolica.

  Tanto c'e' voluto per riuscire a recuperare, studiare, valutare i documenti necessari per sfatare una delle piu' longeve leggende nere d'Occidente, quella che vuole il Papato alleato del Re di Francia nello sterminio dei Cavalieri Templari e nella soppressione del loro Ordine. Una tragedia, anche dal punto di vista spirituale, di dimensioni colossali, dalla quale e' scaturita con il tempo una aspra lotta tra la Chiesa e quanti, rivendicando l'eredita' del Tempio e accusando i papi di collusione con Filippo il Bello, sono giunti persino a sostenere che quella dei Poveri Cavalieri fosse una sorta di Chiesa alternativa, cui era stata affidata da Cristo stesso l'essenza vera del suo insegnamento.Niente di tutto questo.

A dir la verita', i Templari erano piuttosto uno stato nello stato in Francia come in Aragona, e questo non manco' di avere il suo peso nelle decisioni di Filippo il Bello. Nei documenti che saranno presentati in Vaticano il 25 ottobre, scoperti da una giovane storica chiamata Barbara Frale, sono contenute le prove di una verita' non piacevole per il Vaticano, ma certamente diversa dalla vulgata secolare sulla natura, i fini e la conclusione del processo che porto' Jacques de Molay ed i suoi compagni a morire sul rogo in quanto eretici un giorno di marzo del 1314. Secondo le pergamene rinvenute nell'Archivio Segreto il Pontefice era del tutto estraneo alla macchinazione antitemplare. Anzi, la subi' in un primo tempo e quasi la neutralizzo' in un secondo.

Arrivo' persino ad accordare l'assoluzione al Gran Maestro ed ai suoi uomini. Voleva semmai che l'Ordine del Tempio si fondesse con quello ospedaliere di San Giovanni, ma gli fu impedito da Filippo il Bello, che agitando lo spettro di uno scisma riusci' ad ottenere che Clemente V abbandonasse Jacques de Molay al suo destino, e le ricchezze dei suoi cavalieri andassero a ridare linfa alle esauste casse del Regno di Francia. Da allora l'Ordine del Tempio, mai soppresso anche se ai suoi membri venne imposto lo sciogliete le fila per le indegnita' effettivamente commesse (abiura della fede, sputo sulla croce nella cerimonia di ingresso, baci osceni e in qualche caso sodomia), puo' essere riportato in vita in ogni momento. Ma solo una persona puo' farlo: il Papa erede di Pietro, colui che assolse il Gran Maestro una sera d'estate del 1308. A fare luce sul mistero della fine dei Templari una pergamena di 70 centimetri per 58, piu' o meno quanto una cartina geografica. La firmano i tre membri della commissione d'inchiesta pontifica inviata a Chinon a processare i vertici dell'Ordine, tutti cardinali: Berenger Fredol, parente dello stesso Clemente V, Etienne de Suisy e Landolfo Brancacci. Quest'ultimo considerato, tra l'altro, esponente del partito filofrancese all'interno della Curia.

  (AGI) - Roma, 23 ott. -
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 28, 2007, 03:58:01 pm »

LA CROCE DEI TEMPLARI ENTRA IN CHIESA
 

ECCO LA VERITA' DELLA CHIESA


(AGI) - Roma, 24 ott. - A settecento anni dai fatti, la Chiesa proclama la sua verita' sul processo e la condanna dei Templari. O meglio, sul processo e la loro assoluzione perche', e' questa la novita', il Papa non li condanno' mai, anzi. Fu piuttosto il Re di Francia, quel Filippo IV il Bello il cui ardore religioso era pari al fascino che esercitava sulle dame e le nobildonne, a forzare la mano per metterli sul rogo. Fino al punto di sfidare il Pontefice e intimidirlo con la minaccia di uno scisma. Non voleva lo scisma, il Re, ma mettere le mani sul tesoro dei Poveri Cavalieri di Cristo. Questi, fondatori del primo sistema bancario globalizzato della storia, avevano casse di oro che custodivano nella Torre del Tempio di Parigi. Al contrario il Re, impegnato a ricostituire l'autorita' della Corona ed a tenere gli inglesi lontani da Calais (erano gli inizi della Guerra dei Cent'anni), aveva le tasche vuote. E un giorno i Templari avevano commesso l'errore di mostrargli il loro tesoro. Mal gliene incolse. Sette secoli: un'eternita' anche per una istituzione dal respiro lungo come la Chiesa cattolica. Tanto c'e' voluto per riuscire a recuperare, studiare, valutare i documenti necessari per sfatare una delle piu' longeve leggende nere d'Occidente, quella che vuole il Papato alleato del Re di Francia nello sterminio dei Cavalieri Templari e nella soppressione del loro Ordine. Una tragedia, anche dal punto di vista spirituale, di dimensioni colossali, dalla quale e' scaturita con il tempo una aspra lotta tra la Chiesa e quanti, rivendicando l'eredita' del Tempio e accusando i papi di collusione con Filippo il Bello, sono giunti persino a sostenere che quella dei Poveri Cavalieri fosse una sorta di Chiesa alternativa, cui era stata affidata da Cristo stesso l'essenza vera del suo insegnamento. Niente di tutto questo. A dir la verita', i Templari erano piuttosto uno stato nello stato in Francia come in Aragona, e questo non manco' di avere il suo peso nelle decisioni di Filippo il Bello. Nei documenti che saranno presentati in Vaticano il 25 ottobre, scoperti da una giovane storica chiamata Barbara Frale, sono contenute le prove di una verita' non piacevole per il Vaticano, ma certamente diversa dalla vulgata secolare sulla natura, i fini e la conclusione del processo che porto' Jacques de Molay ed i suoi compagni a morire sul rogo in quanto eretici un giorno di marzo del 1314. Secondo le pergamene rinvenute nell'Archivio Segreto il Pontefice era del tutto estraneo alla macchinazione antitemplare. Anzi, la subi' in un primo tempo e quasi la neutralizzo' in un secondo. Arrivo' persino ad accordare l'assoluzione al Gran Maestro ed ai suoi uomini. Voleva semmai che l'Ordine del Tempio si fondesse con quello ospedaliere di San Giovanni, ma gli fu impedito da Filippo il Bello, che agitando lo spettro di uno scisma riusci' ad ottenere che Clemente V abbandonasse Jacques de Molay al suo destino, e le ricchezze dei suoi cavalieri andassero a ridare linfa alle esauste casse del Regno di Francia. Da allora l'Ordine del Tempio, mai soppresso anche se ai suoi membri venne imposto lo sciogliete le fila per le indegnita' effettivamente commesse (abiura della fede, sputo sulla croce nella cerimonia di ingresso, baci osceni e in qualche caso sodomia), puo' essere riportato in vita in ogni momento. Ma solo una persona puo' farlo: il Papa erede di Pietro, colui che assolse il Gran Maestro una sera d'estate del 1308. A fare luce sul mistero della fine dei Templari una pergamena di 70 centimetri per 58, piu' o meno quanto una cartina geografica. La firmano i tre membri della commissione d'inchiesta pontifica inviata a Chinon a processare i vertici dell'Ordine, tutti cardinali: Berenger Fredol, parente dello stesso Clemente V, Etienne de Suisy e Landolfo Brancacci. Quest'ultimo considerato, tra l'altro, esponente del partito filofrancese all'interno della Curia. (AGI)



ECCO LA VERITA' DELLA CHIESA (2)


(AGI) - Roma, 24 ott. - "Poiche' vedemmo che il Gran Maestro era pentito di cio' che aveva fatto", scrivono i prelati in quello che e' al tempo stesso un verbale di seduta ed una relazione per il Papa, "e poiche' i frati ne fecero richiesta, e rilasciarono le loro deposizioni con tale umilta' da meritare davvero la Misericordia di Dio, abbiamo concesso l'assoluzione nella forma consueta della Chiesa, restituendoli alla comunione dei fedeli e all'amministrazione dei sacramenti". Poche frasi che stravolgono secoli di ricerca storiografica, facili certezze e luoghi comuni. Una storia che incomincia quando Clemente V, primo papa francese della cattivita' avignonese, venne colto di sopresa dall'annuncio dell'avvenuto arresto dei Templari presenti sul territorio di Francia. Tra questi anche il Gran Maestro dell'Ordine. Per quest'ultimo si trattava quasi di una trappola tesa da mesi: la sua residenza abituale era Cipro, quartiergenerale dell'Ordine dopo la presa di San Giovanni D'Acri da parte saracena. Jacques de Molay era venuto in Francia per discutere con il Papa di un suo progetto: la fusione degli ordini cavallereschi in un ordine unico, cui affidare il rilancio della Crociata. Un progetto condiviso dallo stesso Filippo il Bello, che pero' intendeva porre a capo del nuovo rodine un esponente della sua famiglia, acquisendo cosi' un ruolo preminente tra tutte le corti europee. Ma Filippo aveva anche un altro progetto: entrare in possesso delle ricchezze dell'Ordine che lui stesso aveva potuto ammirare anni prima nella Torre del Tempio di Parigi, dove si era rifugiato per sfuggire ad una rivolta popolare. Arrestati e torturati sotto la supervisione dell'Inquisizione di Francia, De Molay e gli altri templari confessano ed ammettono tutto: idolatria e sodomia. Messo di fronte al fatto compiuto, Clemente sceglie di non affrontare di petto il Re. Invia una prima legazione per un processo autonomo, ma i suoi rappresentanti non riescono nemmeno a condurre un interrogatorio: sono bloccati dagli avvocati del Re. Mentre tornano a Poitiers, residenza pontifica, Filippo fa pubblicare le confessioni estorte con la tortura. Una mossa che decide dopo che de Molay, mostrando i segni delle torture, ha ritrattato ogni ammissione. Il Papa agisce allora su un doppio binario: da una parte denuncia lo scandalo della condotta di alcuni templari (le oscenita' in occazione della cerimona di ammissione gli erano state confermate ben prima che scattassero gli arresti ordinati dal Re). Dall'altra crea una nuova commissione, dotata di pieni poteri, che dovra' tornare a Parigi a interrogare il Gran Maestro. Sulla carta la posizione di Filippo il Bello e' fortissima, ma in realta' il Re rischia grosso. La commissione, come da diritto canonico, potgrebbe addirittura aprire un procedimento contro di lui per calunnia, qualora appurasse che le accuse sono false. Un reato per cui puo' arrivare anche una scomunica. Filippo capisce che aria tira quando il Papa sospende dalle sue funzioni tutta l'Inquisizione di Francia, che si e' resa complice della Corona nell'estorcere le confessioni. Filippo IV minaccia, fa pubblicare libelli diffamatori in cui si accusa il Papa di condotta dissoluta, ma alla fine deve cedere: la commissione papale vedra' i Templari per interrogarli liberamente. Il convoglio parte nel giugno del 1308 alla volta di Poitiers, ma a sue terzi del cammino la scorta blocca nel castello di Chinon il Gran Mastro e gli alti gradi dell'Ordine. Troppo malati per proseguire, fa sapere. Il Papa riceve ed assolve i Templari che compaiono di fronte al suo cospetto. Poi, praticamente di nascosto, invia tre emissari a Chinon. E' qui che ha luogo l'assoluzione. I Templari possono continuare a vestire le insegne dell'Ordine. Ma Filippo, nel giro di pochi giorni, apre un nuovo fronte.

(AGI)

24.10.2007
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